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domenica 1 luglio 2012

L'orientalista svizzero che abbracciò l'Islam

Fonte: Wikipedia



Johann Ludwig Burckhardt (Losanna, 24 novembre 1784 - Il Cairo, 15 ottobre 1817) è stato un viaggiatore e orientalista svizzero, noto anche con il nome francese di Jean Louis (da lui preferito) e con quello inglese di John Lewis.

Di origini basilesi, la famiglia, dopo la rivoluzione francese del 1789, fuggì in Germania e Austria. Compiuti gli studi universitari a Lipsia e Gottinga, per i suoi sentimenti anti-francesi Burckhardt dovette nel 1806 emigrare ancora, a Londra.   

Nel 1809 ottenne l'appoggio della African Association per il suo progetto di scoprire le fonti del fiume Niger.
Travestito da mercante arabo, con lo pseudonimo Sheikh Ibrahim Ibn Abdallah, Burckhardt si fermò dapprima ad Aleppo in Siria per conoscere l'Islam (religione che abbracciò) e perfezionare l'araboche aveva studiato, insieme ad altre materie signifiucative per i suoi scopi, in Inghilterra. In Siria tradusse il romanzo Robinson Crusoe in arabo. Divenne grande conoscitore del Corano e del diritto islamico, tanto da essere spesso coinvolto nel dirimere questioni religiose dagli stessi indigeni. Nei due anni trascorsi in Siria Burckhardt fece numerosi viaggi, visitando Palmira, Damasco e il Libano.

Il 22 agosto 1812 si imbattè, probabilmente primo europeo da secoli, nella stupenda Petra, a suo tempo capitale dei Nabatei.

Con l'intenzione di rinvenire finalmente le fonti del Niger, partì poi per il Cairo, dove però non riuscì a trovare carovane che lo conducessero verso ovest. Risalì allora il Nilo e vide nel 1813 il tempio di Abu Simbel.

Nel 1814 fu a Gedda per svolgere il rituale pellegrinaggio alla città santa della Mecca. Si spinse poi verso l'altra città santa di Medina, dove rimase  fino ad aprile 1815, a causa di attacchi di febbre dovuti a parassiti. Nella primavera del 1816, dopo il suo ritorno al Cairo, fece ancora un viaggio per esplorare la penisola del Sinai.

In attesa di ritornare in Europa, Burckhardt ebbe una ricaduta e morì il 15 ottobre 1817. Secondo i suoi desideri fu inumato in un cimitero islamico sotto nome arabo.
I suoi scritti, raccolti in 350 volumi, e la sua collezione di 800 manoscritti orientali rimasero in eredità all'Università di Cambridge.

A questo link su Cultura-Barocca si possono, peraltro, leggere, digitalizzate, alcune delle sue memorie di viaggio in Arabia, così come pubblicate in italiano nel 1844 - a cura dell'illustre geografo Marmocchi - dall'editore Giachetti di Prato.


martedì 26 giugno 2012

Il profumo delle jacarande

Quest'anno mi sono fatto cogliere alquanto impreparato dalla fioritura delle jacarande. Sono già avvolte dal delizioso, originale profumo che, pur permanendo per mesi, nel mio empirismo é sintomo anzitutto della caduta di quei petali che non rimangono a lungo sui rami.
Mi sono dimenticato di chiedere conferma o lumi su questi particolari circa una settimana fa all'amico giardiniere, che, fermatosi per parlare con me di tutt'altro, equivocando, mi redarguiva bonariamente per le mie pregresse disattenzioni a questo albero, mentre io in effetti mi rammaricavo a quella data di non avere ancora fatto fotografie in proposito. Del resto, diverse persone di questa zona di Riviera Ligure, pur dotate di pregevoli giardini, mi hanno confermato di essersi accorte da poco dell'attecchimento dalle nostre parti di quelle belle piante esotiche.
E a volte le jacarande più spettacolari sono situate in terreni privati, quindi, non agevoli da ammirare da vicino. Scorgendone per la prima volta - le scoperte in tal senso sono continue - una da lontano - una vera nuvola di colore! - in un paesino dell'entroterra, un altro amico me ne voleva precisare il nome in palissandri, termine che pur conoscevo ma che non torna usuale nelle conversazioni correnti.
Ne riportavo un'altra informazione con la quale coglievo di sorpresa l'amico giardiniere, rivisto, sempre per caso, l'altro ieri. Che quelle piante erano state introdotte a pochi chilometri dal mare già prima della seconda guerra mondiale (inesorabilmente falcidiate dal gelo di inverni più rigidi di altri: dal che deduco una continua ripiantumazione di nuovi esemplari).
Mentre la jacaranda dell'ultima immagine é stata proprio collocata anni fa dall'amico giardiniere, che lamenta oggi trascuratezza in merito da parte del Comune di Bordighera.

venerdì 22 giugno 2012

Sul Barbaira


Ancora da adolescente, perché, per ormai perse ragioni, anche le tante mie scampagnate in bicicletta lungo la Val Nervia non ebbero mai una deviazione verso quel borgo, Rocchetta Nervina (IM), situata nella laterale del rio Barbaira - poco sopra Dolceacqua -, rappresentava per me un arcano mistero, nonostante la conoscenza di tante persone del posto, che visitavano spesso casa nostra, distante solo una dozzina di chilometri, o che ebbi per compagni, se non di classe, quantomeno di istituto.


Alle piccole cose spesso si ritorna. Infatti. Chiedevo ieri sera al mio amico, autore del sito Cultura-Barocca, qualche delucidazione su un affresco del locale Oratorio. Ho avuto conferma che tramanda un importante episodio di storia medievale di Rocchetta Nervina. La conversazione, come quasi sempre accade,  scivola sullo scambio di qualche aneddoto. A me, per associazione di idee, allora torna in mente che mi sono avvicinato a quel borgo per la prima volta in occasione di un personale esperimento di viaggio in motorino: senonché, ormai vicino a quell'abitato, rimasi in panne, da cui non avrei proprio saputo trarmi, se l'autista - pietoso - dell'autobus di linea, parcheggiato vicino a dove ero stato costretto a fermarmi, non mi avesse spiegato che avevo inavvertitamente interrotto... l'alimentazione dell'olio e non avesse, poi, direttamente provveduto a rimediare all'inconveniente. Dopo di che mi affrettai a tornare indietro ancora senza visitare Rocchetta Nervina.


Già vedendo questa porta, che nella mia memoria era quella anni fa di una stalla, mi sono ricordato di un aspetto di pregressa civiltà materiale. La mia famiglia si rifornì a lungo da un contadino del luogo di un delizioso olio d'oliva. Ed anche, per un primo periodo, di legna da ardere, perché quelli erano i tempi. Alle provviste della stufa della nonna materna in Bordighera (IM), quel signore contribuì, invero, più a lungo. Solo che, ancora alla svolta degli anni '60 del secolo scorso, prima di dotarsi di furgoncino, quel signore, con cui poi tante volte scambiai saluti e impressioni in paese, faceva i suoi trasporti con un carretto trainato da un mulo.


Uno scorcio della Chiesa Parrocchiale e di una piazzetta mi riportano alla storia di Rocchetta Nervina. E al   pallone elastico, sport tipico - se non erro - del Basso Piemonte e delle Valli dell'Imperiese, di cui spesso avevo sentito parlare con toni da saga arcaica, ma che là avevo visto infine praticare se non altro a titolo amatoriale.
E sul torrente Barbaira ci sono a monte altri ponti antichi, come quello di Pau', dove inizia il tratto consigliato di canyoning, attività che infine ha preso piede da quelle parti. 
Ma questo é solo un accenno di un discorso che merita a mio avviso di essere ripreso, perché, tra angoli di natura circostante e tipico abitato medievale, Rocchetta Nervina, al netto di sempre opinabili ricordi personali, presenta molte altre cose di cui scrivere.


martedì 19 giugno 2012

Nicolaas Witsen, erudito e viaggiatore olandese del Seicento

Mappa dell'attuale Siberia, realizzata nel 1690 da Witsen - Fonte: Wikipedia

Di Nicolaas Witsen (1641-1717), o Nicolaes Witzen, olandese, Jules Verne tramanda che aveva percorso la Tartaria orientale e settentrionale, riportandone un racconto di viaggio pubblicato nel 1692 in olandese e mai tradotto in altra lingua.

Fonte: auction.catawiki.cn
Fonte: aste.catawiki.it
Fonte: Wikipedia
Verne aggiunge che, nonostante due ristampe (1705-1785), altre opere più curiose e più complete destarono nel 1700 l'attenzione degli europei in materia.
Fonte: Wikimedia
Questa immagine di uno sciamano della Siberia, stesa di mano dallo stesso Witsen, testimonia già da sola, credo, il rilievo del suo lavoro.
Fonte: Wikipedia
Witsen in un ritratto del 1701, di Peter Schenck.

In effetti, Witsen, notevole erudito, ebbe una vita intensa e interessante, non facile da riassumere.

Fu tredici volte, dal 1682 al 1702, borgomastro di Amsterdam, come già era stato il padre. Verso la fine del XVII secolo fu anche uno dei Direttori della Compagnia Olandese delle Indie Orientali. Già da giovane era stato in Inghilterra, entrando in relazione con i figli di Cromwell. Nel 1664 e nel 1665 fu ambasciatore in Russia o Moscovia, come si diceva allora. E ne scrisse una sorta di diario. Subito dopo viaggiò in Italia, in Francia e di nuovo in Inghilterra.

Fonte: veiling.catawiki.nl
Sull'Estremo Oriente Witsen realizzò un compendio di documenti importanti, anche medievali.

Fonte: Wikipedia
Witsen si occupò inoltre di costruzioni navali, tanto é vero che a lui si devono le migliori conoscenze sui navigli olandesi dell'epoca. E per costruire la moderna flotta russa, Pietro il Grande fu anche tributario delle competenze di questo personaggio, conosciuto nel suo soggiorno ad Amsterdam. Con Witsen lo zar rimase in contatto sino alla morte dello studioso olandese, in occasione della quale disse di avere perso un grande amico.

Witsen fu in rapporto con molti pensatori e scienziati dell'epoca, tra cui Liebniz.

Fu un teorico della coltivazione del caffé, di cui propugnò l'introduzione in diverse lande.
Ebbe una collezione di più di millecinquecento disegni di piante, quasi tutte della zona del capo in Sudafrica, nota come Codex Vitsenii e passata di mano in mano a diversi successivi studiosi.

Ricoprì ulteriori, importanti ruoli pubblici.

Ma quello che si ricorda soprattutto di lui é quella carta della Siberia, stesa nel 1690.

Diverse pubblicazioni, tra cui non poteva mancarne una di uno storiografo russo, sono state dedicate negli ultimi anni, in modo più o meno completo, alla multiforme attività di Witsen.



venerdì 15 giugno 2012

Sfogliando qualche vecchio "Albo dell'Intrepido"


Non credo, visto che é riportata sulla copertina, che sia necessario trascriva la data di questo "Albo dell'Intrepido".


Il medesimo nella quarta riporta esempi di comicità dell'epoca. Di "Pedrito El Drito" ho trovato qualche tempo fa una sorta di antologia in ristampa anastatica. "Arturo e Zoe" comparivano negli anni '50 anche su "Il Monello". Forse - ma la mia memoria in merito difetta - queste vignette, ed altre dello stesso tenore - penso a "Tarzanetto" - si alternavano anche sul fumetto gemello più famoso, "intrepido", cui altre volte ho fatto cenno.


Riporto a titolo di esempio qualche illustrazione di un'avventura nei Caraibi, comparsa nel numero del 14 aprile 1953 del periodico in questione.

Ho parlato più volte di fumetti, sostanzialmente di quel periodo, che coincide con la mia infanzia. Specie di "intrepido", come ricordavo prima. Mi arrivano in proposito ancora commenti, a volte via email. L'argomento, dunque, interessa. Personalmente, mi capita di riscontrarlo anche in conversazioni con amici e conoscenti.



Da ultimo, come possono attestare le immagini da me selezionate in "Albo dell'Intrepido" del 9 luglio 1963, la rivista, arricchendosi oltrettutto - al pari di "intrepido" e "Il Monello" - di altre rubriche, aveva abbandonato il criterio dell'avventura, iniziata e conclusa nel singolo numero. Giova anche ricordare che l'uso del colore era l'eccezione e non la regola.

Anche l'"Albo dell'Intrepido" faceva parte di quella schiera di fumetti anni '50, che rimandano alla storia del costume, per via dei contenuti interessanti e spesso di rilievo informativo, nonché dei bei disegni, ma anche perché per tante famiglie rappresentavano un costo non sostenibile, per altre fattori diseducativi. Ne conseguiva, del resto, la diffusa pratica di prestiti e scambi, tutti aspetti, insieme ad altri, che talora tornano alla memoria di chi ha vissuto quei periodi.

Le immagini sopra pubblicate derivano dalla collezione dell'amico Bruno Calatroni di Vallecrosia (IM).

lunedì 11 giugno 2012

La novella Zenobia


Lady Hesther Lucy Stanhope (1776-1839) è stata una nobile viaggiatrice e avventuriera britannica, divenuta famosa per le incredibili vicende della sua vita in Medio Oriente. Una terra straordinaria che da fine '700 e primi '800 cominciò a rivelare ai suoi primi esploratori scientifici  il suo fascino leggendario e lo splendore dei suoi reperti archeologici. 

Fonte: Wikimedia

Lady Stanhope, infatti, fu proclamata - novella Zenobia -  regina di Palmira, l'antica Tadmor, da alcune tribù di beduini e divenne una sorta di profetessa tra le comunità druse. 

La "Revue des Deux Mondes" nel 1845 la descrisse come "regina di Tadmor, maga, profetessa, patriarca, capo arabo, morta nel 1839 sotto il tetto del suo palazzo sgangherato e in rovina a Djîhoun, in Libano". 

Era figlia dello scienziato Charles Stanhope, III conte di Stanhope, e di Hester Pitt, sorella del primo ministro britannico, William Pitt il giovane, grande nemico di Napoleone. Fu a capo - usanze dell'epoca! - della casata dello zio, scapolo: già questo capitolo della sua esistenza sarebbe significativo e da esplorare bene in sede storica. 

"Giovane, bella e ricca", secondo la descrizione di Lamartine in "Le Voyage en Orient", che riportò con linguaggio icastico anche gli episodi più incredibili di devozione alla donna da parte di tribù del Medio Oriente, Lady Stanhope viaggiò in Europa a partire dal 1806, prima di visitare il Medio Oriente. Qualche fonte insinua a seguito di una delusione d'amore. E partì con un amante. In genere si pensa che non contrasse matrimonio - d'altronde l'età l'aveva superata! - per spirito ribelle. 



In Asia, dove pervenne dopo avere attraversato un Egitto ancora in rovina per la guerra condotta poco prima da Bonaparte, ebbe come tappe principali Gerusalemme, Damasco, Aleppo, Homs ( vale a dire l'antica Emesa in Siria, celebre per il culto solare del Dio El Gabal) e in particolare Baalbeck (l'antica Eliopoli o "città del sole"), siti dei quali in quel periodo altri viaggiatori, tra cui il Robinson, lasciarono inusitate testimonianze. E forse fu la prima persona a essere autorizzata dai pubblici poteri turchi a compiere scavi archeologici.

Lady Stanhope fu in corrispondenza con Lamartine, al quale raccontò della sua fede, una miscela di cristianesimo e di tradizioni orientali. Questa sorta di sincretismo venne poi dibattuto dal famoso poeta con un celebre visitatore della donna, il Visconte di Marcellus che le dedicò un intero capitolo delle sue "Rimembranze intorno all'Oriente". 

Ha ispirato produzioni letterarie, tra cui il personaggio di Althestane Orlof nel romanzo di Pierre Benoît La Châtelaine du Liban (1924). 

Scrisse le sue memorie, pubblicate in inglese poco dopo la sua morte: meriterebbero invero una edizione critica in italiano, per comprendere meglio lo spirito di libertà e di avventura di questa donna, che seppe resistere alle feroci reprimende del mondo perbene del suo tempo.


giovedì 7 giugno 2012

Quella Bordighera di Guido Seborga


Le linee più generali dei ricordi cui tra breve pervengo mi erano già state tratteggiate da alcuni amici più di quarant'anni fa, ma non rammento di aver raccolto in quel periodo testimonianze in proposito, rese dai protagonisti, quelli che allora conoscevo. Capita di recente che, da una mia curiosità su di un aspetto, in diversi mi facciano un quadro più preciso di quegli eventi. Soprattutto, avviene che io vada a leggere una testimonianza del nipote di Guido Seborga, Claudio Panella, da cui, intanto, attingo, per stralci:
Fin dagli anni '50 Bordighera è stato un centro culturale decisamente animato, e Guido Seborga passava spesso le sue giornate nei caffè del centro, intrattenendosi con coloro che diverranno i suoi compagni di una vita. Nei locali ormai scomparsi del Gran Caffè della Stazione, o del Caffè Giglio sull'Aurelia, poi del bar Chez Louis di C.so Italia (davanti all'allora sede del P.S.I), si è incontrata e formata più di una generazione di artisti liguri: oltre a quella di Seborga e dei pittori Balbo e Maiolino, che all'inizio degli anni '50 fondarono i premi delle "Cinque Bettole" per la pittura e per la letteratura, passando libri e stimoli a scrittori come Sanguineti e Biamonti, quella più giovane di Giorgio Loreti e Angelo Oliva, che insieme a Seborga scoprirono i poeti francesi, i surrealisti, gli esistenzialisti e la politica. Tutti i nomi sopra citati, e non solo, furono variamente influenzati dall'azione continua di formazione e incitamento all'organizzazione giovanile che Seborga portò avanti nella Bordighera di quegli anni. Nel 1956 Seborga, che già conosceva Francesco Biamonti e faceva parte della giuria delle "Cinque Bettole", lo indusse a parteciparvi con la speranza che si mettesse in luce ... Seborga citava "le pagine scritte da certi giovani come Oliva, Lanteri, Loreti, per non dire del romanzo "Colpo di grazia" di Biamonti, dimostrano ampiamente che un clima di ricerca intellettuale i migliori giovani hanno saputo creare"
E di Guido Seborga, forse, in questa occasione, può essere sufficiente citare, dalla stessa fonte cui sono partito, Edoardo Sanguineti:
Bordighera è legata al mio entrare nella conoscenza della scrittura, per esempio. Ecco, mi sedevo in un caffè, la mattina, e lì, lontano dalla confusione di oggi, leggevo, imparavo. Vi conobbi Guido Hess, un romanziere torinese … il quale aveva pubblicato qualcosa col proprio nome e, in seguito, con quello di Guido Seborga. Ebbe un momento di fama e poi fu ingiustamente dimenticato. Di lui ricordo un primo romanzo (si era nei primi anni '50) e un altro in versi. Era un personaggio singolare, una sorta di sperimentalista "ante litteram". Passeggiavamo sul lungomare di Bordighera e chiacchieravamo. Fu uno dei miei primi punti di riferimento culturale e mi fece conoscere Antonin Artaud, di cui mi prestò "Héliogabale".
Il racconto di Claudio Panella, va da sé, é maggiormente articolato e complesso. Cercherò di darne ancora conto, confidando di procedere, allora, a integrazioni augurabilmente suggeritemi dagli amici, che hanno vissuto quei momenti.

Fotografia di Bordighera.Amore.Mio/Facebook