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giovedì 27 novembre 2025

La giovane Adelina Pilastri collaborò con il martire antifascista Ettore Renacci

 


Un recente libro, Protagoniste. Storie di donne e Resistenza nel Ponente ligure (Isrecim - Regione Liguria - Fusta Editore, 2025), scritto da Daniela Cassini, Gabriella Badano e Sarah Clarke Loiacono, costituisce una mole straordinaria di emozionante documentazione.
È più che doveroso sottolineare il ruolo determinante - troppo a lungo misconosciuto - ricoperto dalle donne nella lotta di Liberazione.
È impossibile - ma non è neppure giusto - riassumere in poche righe il contenuto del menzionato lavoro.
Ed anche citare, a titolo meramente indicativo, alcuni minuti aspetti, radicati nella zona di Ventimiglia, qui di seguito riportati, non aiuta a comprendere la complessità dei temi trattati.
Brigida Rondelli, nata a Camporosso nel 1905, era sorella di altri tre partigiani, di Andreina, dunque, e dei più giovani Fulvio (Lilli) ed Eliano Vicàri. Fulvio cadde in Valle Argentina a marzo 1945: alla sua memoria venne concessa (Decreto presidenziale 11 luglio 1972 in Gazzetta Ufficiale n. 319 del 9 dicembre 1972) la medaglia d'argento. Diverse persone ricordano ancora Brigida, detta "Bigìn", iscritta al Partito comunista e abitante, qualche decennio fa, in Via Dante di Ventimiglia lato mare. 

Bordighera (IM): il Municipio

Adelina Pilastri, giovane impiegata del comune di Bordighera, poco dopo l'8 settembre 1943 portava notizie ai militari sbandati, riuniti nei pressi di Rocchetta Nervina; ebbe la possibilità di avvisare del pericolo di arresto diversi renitenti alla leva fascista, consentendo loro di cavarsela; collaborò con Ettore Renacci, uno dei 67 prigionieri politici del campo di transito di Fossoli, trucidati (tra di loro anche il ferroviere ventimigliese Giuseppe Palmero) il 12 luglio 1944 al poligono di tiro di Cibeno per una rappresaglia dalle motivazioni mai chiarite: proprio nei giorni scorsi è stata posta in Bordighera nei pressi di quella che fu la sua abitazione una pietra d'inciampo alla memoria di Renacci. Nel suo memoriale Adelina Pilastri tenne a sottolineare che Renacci, nonostante le torture subite, non fece mai il suo nome. La ragazza dovette salire poi in montagna con i partigiani, assumendo il nome di battaglia di "Sascia", con il quale aveva già dato un epico resoconto in L'epopea dell'esercito scalzo (Mario Mascia, 1946, due più recenti ristampe di Isrecim) delle traversie passate sulle nevi del Mongioie nel tentativo riuscito di salvare mezzi di sussistenza.

La zona Nervia di Ventimiglia fotografata dalla collina di Collasgarba qualche giorno dopo il bombardamento del 10 dicembre 1943 - Fonte: Silvana Maccario

Ventimiglia (IM): Villa Olga qualche anno fa

Emilia Giacometti aveva dodici anni da compiere alla fine della guerra, ma affrontò in quel periodo con i genitori traversie incredibili vissute tra Sanremo ed il confine. Figlia di Pietro [detto anche Dino], il suo diario, anche se redatto ad anni di distanza dagli eventi, ha inoltre il merito di fare piena luce sul grande contributo del padre alla lotta antifascista, al di là di quanto avesse riferito nel suo memoriale - non molto noto, invero - l'amico Giuseppe Porcheddu. Occorre subito aggiungere che Emilia, ormai stabilita in Roma, mantenne sino all'ultimo i contatti con Lina Meiffret, dalla quale, anzi, ricevette gran parte dell'archivio personale. Dalla narrazione degli anni trascorsi a Ventimiglia da Emilia Giacometti non si può fare a meno di espungere la testimonianza sui tragici bombardamenti aerei di Nervia del 10 dicembre 1943 e la conferma che l'abitazione di proprietà della famiglia fosse all'epoca Villa Olga.
Il libro Protagoniste offre anche il destro per qualche riflessione attinente la discordanza delle fonti.
Irene Anselmi di Vallecrosia, ad esempio, fornisce una versione diversa da quella ampiamente assodata del tragitto clandestino, compiuto, tra lo sbarco ed il balzo finale verso la I^ Zona Operativa Liguria, dal capitano Robert Bentley, del britannico SOE, per svolgere le mansioni di ufficiale di collegamento tra gli alleati e i partigiani dell'estremo ponente ligure. Non è secondario rimarcare che Irene Anselmi era nipote di Giuseppe Anselmi, suo zio, membro del C.L.N. di Sanremo, fucilato per rappresaglia ad Imperia il 6 novembre 1944 insieme ad Armando Denza e Luigi Novella, ma che nella sua relazione non fa nessun cenno sul suo ruolo - ancorché forse inconsapevole - avuto nell'agguato da cui conseguì il grave ferimento del comandante partigiano Stefano Carabalona (Leo).

Perinaldo (IM)

Emma Borgogno di Perinaldo collocava un altro grave ferimento, quello del partigiano Adler, come avvenuto vicino al paese (questa, almeno, è l'impressione ricavata), mentre, ad esempio, Angelo Mariani in Giuseppe Mac Fiorucci, Gruppo Sbarchi Vallecrosia (Isrecim, 2007), lo riferiva in connessione con l'attacco al campo di concentramento di Vallecrosia dei primi di settembre del 1944. Entrambi sottolinearono come Adler venisse curato e salvato: nelle parole di Mariani "Quando fu ferito la madre contattò l’ufficiale tedesco che lo aveva catturato, diede false generalità e spiegò che lei ed il figlio erano solo degli sfollati e che non avevano niente a che fare con i partigiani. L’ufficiale si convinse ed autorizzò il ricovero di Adler all’ospedale di Sanremo, dove fu trasportato su un carretto da alcuni contadini di Perinaldo. Su disposizione del CLN portai personalmente alla mamma di Adler, all’ospedale di Sanremo, 5.000 lire di allora...". Va da sè che quella di Emma è un'altra preziosa testimonianza, perché presenta pagine inedite sulla Resistenza a Perinaldo.

Adriano Maini

giovedì 20 novembre 2025

Di Bagnabraghe, di altre spiagge, di altri scogli

 

La spiaggia di Bagnabraghe, situata nella parte di levante di Bordighera, è stata a lungo il sito preferito dai pescatori del posto.
La denominazione è tutto un programma e si spiega, invero, da sola.
Anche di là partirono gozzi a remi e barche a motore per viaggi via mare verso la Costa Azzurra di ebrei stranieri in fuga dall'Italia a causa delle leggi antisemite del regime fascista.
 



Un bravo imprenditore edile racconta di tanto in tanto di quando da ragazzino fece l'apprendista (il "bocia") pescatore dell’unico equipaggio della città delle palme accettato come tale alla svolta degli anni Cinquanta a Marina San Giuseppe di Ventimiglia: forse salpando di là arrivavano a zone più ricche di prede, guidati da professionisti che ne sapevano più di loro.



Sarà pur vero che per uno strano fenomeno fisico sul mare o vicino ad una spiaggia le voci si trasmettono molto lontano ed in modo chiaro, ma un pescatore dilettante - in verità, provetto forse più di tanti professionisti - riusciva dal largo a farsi sentire con un poderoso fischio dai familiari in casa in Via Dante di Ventimiglia: con modulazioni in codici decifrabili solo dai suoi cari.
Del resto, se non era in mare, dove aveva insegnato a tante persone un po' dei suoi segreti, quell'ex ferroviere era una presenza costante, quasi un punto di riferimento per chi passava, su quella spiaggia prossima alla sua abitazione, tutto intento a rigovernare quanto attinente alla sua profonda passione.
Il figlio maschio, per nulla seguace del padre, ha amato il mare in modo diverso, al punto da rievocare oggi con toni lirici "meravigliose domeniche passate su quegli scogli chiamati 'le moese' per catturare le zigurelle, pesciottini coloratissimi e rimediare ustioni clamorose".




Non molto lontano da quel rione, qualche decennio prima che venisse costruito il porto turistico di Ventimiglia, un nonno, già collega del bravo pescatore poc'anzi citato, rassicurava in più di un'occasione il nipotino che avrebbe cucinato e mangiato qualche pesciolino non molto più grosso di un dito pollice, catturato dal piccolo, spesso quasi ad onta di persone che, ben munite di ultimi ritrovati, rientravano, invece, con i cestini vuoti, con attrezzo quasi di fortuna dal vecchio molo, costruito per un progetto da tempo tramontato ed ormai - caotico, ma fascinoso ammasso di scogli - quasi del tutto sprofondato in acqua, in attesa del nuovo scalo che lo avrebbe ricoperto.

Adriano Maini

sabato 8 novembre 2025

Se si sale a Ventimiglia Alta...

 


Ventimiglia Alta, città vecchia, centro storico per eccellenza di Ventimiglia, al di là del fiume.


Ventimiglia Alta con Cattedrale e Battistero.



Ventimiglia Alta con vista sul mare, ma anche sul nuovo porto turistico.



Ventimiglia Alta con vista sulla valle del Roia.


Ventimiglia Alta con vista - va da sè! - sul centro urbano di Ventimiglia. La migliore dal Cavu

Ma qui e là anche altre aperture su altri scorci.

  


Ventimiglia Alta con i suoi vicoli.



Ventimiglia Alta con molti altri monumenti e reperti di storia.



Ventimiglia Alta dalle vicende già ampiamente consegnate a pubblicazioni anche specialistiche.


Di Ventimiglia Alta ha scritto poco - almeno pare - Gianfranco Raimondo, che, già rodato in esperienze di teatro condotte a Nervia, fece il suo esordio come presentatore di uno spettacolo nell'Oratorio dei Bianchi, se si vuole pure di San Giovanni Battista e di Santa Chiara, all'epoca già sconsacrato, tanto è vero che era stato convertito in cinema-teatro con i locali sottostanti adibiti a tipografia.

Correva probabilmente l'anno 1957, e già in stagione scolastica a cavallo con il successivo, proprio quando Arturo Viale, che a Ventimiglia Alta qualche pagina in qualche modo ha pur dedicato, frequentava la primina retta dalle Suore dell'Orto, un'istituzione allora veramente classica.



Viale rammenta la Colla per le fotografie della sua comunione e della sua cresima: su quel sito giocavano - documentati da scatti che sono vere rarità - tanti bambini piccoli, come continuano oggi a fare i loro coetanei.


Poco prima - 16 maggio 1956 - e poco più in là, sulla vecchia Via Aurelia, era passata una tappa del Giro d'Italia di ciclismo, quella - con partenza da Cannes - vinta a Sanremo da Nino Defilippis in fuga solitaria.


Poco dopo studenti delle professionali, recandosi a scuola lassù, avrebbero immagazzinato nella memoria con pena e con partecipazione umana le immagini di tante famiglie di immigrati meridionali, ammassate a vivere di stenti in cantine o stalle riadattate, affacciate sui carruggi: sentimenti quasi svaniti nell'aria e discendenti di quei poveracci del tutto dimentichi delle pregresse traversie dei loro cari.





Se si sale a Ventimiglia Alta...

Adriano Maini

lunedì 3 novembre 2025

Anche un macello in legno

 





Si è aperto già per questa ultima stagione a Camporosso nella zona a mare un campeggio di quelli come una volta, di quelli con le tende portate da casa, insomma, come quelli già esistenti negli anni Cinquanta e Sessanta sulle due sponde, dunque, anche su quella di Ventimiglia, della foce del torrente Nervia.



Foto Mariani

A Nervia di Ventimiglia Vico del Pino prendeva il nome da un maestoso albero, che cadde, tuttavia sotto la furia di una tromba d’aria nei primi anni Sessanta: si collocava più o meno all'angolo con Via Nervia ed un muro nell'estate del 2018 portava ancora sotto forma di squarcio la traccia di quel crollo: la recizione nel frattempo è stata ristrutturata. 

Le scuole di Nervia

L'edificio, prima Ospedale, poi, sino a qualche anno fa presidio ASL, che negli anni Cinquanta ospitava le scuole elementari di Nervia

Avanzando di poche decine di metri a ponente ci si imbatte nel plesso scolastico costruito nel 1960, dove venne spostato il ciclo delle elementari, prima ospitato al piano terra dell'ex clinica Isnardi - poi a lungo ospedale - e fu aggiunta una sezione di medie inferiori.








Nel campetto posto alla foce del fiume Roia a Ventimiglia si svolgevano, come di certo nell'estate del 1951, tornei di calcio, si facevano talora - con rischio di incendiare i pini dei limitrofi Giardini Pubblici - i fuochi d'artificio per la Festa patronale di San Secondo, si vide nel 1967 anche una gara di dama vivente, ma soprattutto si consentì a lungo (di sicuro ancora nel 2010) una destinazione d'uso a parcheggio per automobili: utilizzi oggi inibiti per motivi di sicurezza.


Diverse persone affermano che il 1970 fu l'anno di più intense frequentazioni culturali, sociali e politiche presso il Bar Irene di Ventimiglia, quello che vedeva l'abituale presenza - in orari diversi, notturno di sicuro per il primo! - di Francesco Biamonti, di Lorenzo Muratore, di Elio Lanteri, di Lorenzo Trucchi, di dirigenti, di attivisti e di utenti dell'antistante Camera del Lavoro.



Dalla stazione ferroviaria di Vallecrosia, adesso fermata incustodita nella singola giornata per un treno in direzione Genova e per uno di ritorno, quando la produzione floricola del ponente era diversa e più florida, partivano comunque per il nord Europa carri merci colmi di variopinti prodotti della terra.




In località Cabane di Bordighera sono scomparsi due casolari di antica bellezza, ancora presenti nei primi anni Sessanta, per fare posto a nuove costruzioni in terreni che due famiglie coltivavano in affitto.
Al confine con i Piani di Borghetto, ma più di recente, è stata demolita - per dare più volumetria ad un nuovo edificio - una casa in pietra, che insisteva sull'attuale Via Giulio Cesare, dove iniziò a metà anni Trenta il decollo per un'attività di successo una stirpe di bravi gelatieri, tuttora attivi a Bordighera con la loro antica insegna. Dietro resistono ancora i ruderi di un pozzo (noria!) cui si attingeva a trazione animale, l'ultimo di una discreta schiera diffusa nelle vicinanze. Più verso il mare, rispetto a quel punto, svolse ai tempi le sue funzioni anche un macello in legno.

Adriano Maini