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venerdì 3 marzo 2023

Tuttavia c'è anche il Calvino "lirico"

Ospedaletti (IM): il mare davanti a Capo Nero

Negli anni dal 1954 al 1956 per incarico dell’editore Einaudi Calvino si dedicò ad un importante studio filologico: raccolse e riscrisse le Fiabe italiane, servendosi del lavoro di Cocchiara e di Pitré, i due insigni studiosi di tradizioni popolari italiane. Mancava in Italia una raccolta tanto minuziosa ed esauriente del patrimonio popolare fiabesco quale esisteva in altri paesi, per esempio in Germania, già da centocinquant’anni.
Questi furono anche gli anni della relazione sentimentale con l’attrice Elsa de' Giorgi (dal 1955 al 1958), di cui si conserva un importante epistolario. Maria Corti, che conosce quelle lettere per averle ricevute in consegna dalla stessa de’ Giorgi, lo presenta:
"L’epistolario, giacente dal novembre 1994 nel Fondo Manoscritti dell’Università di Pavia, consta di 297 lettere di Calvino alla De Giorgi, tutte di rilevante lunghezza, delle quali 144 (dal giugno del ’55 alla fine estate del ’58) sono state sigillate, in base alle disposizioni dei Beni Culturali sugli epistolari, per 25 anni, periodo per il quale non sono quindi consultabili né descrivibili, dato il carattere privato delle missive. Postillerei solo che si tratta forse dell’epistolario più bello, così lirico e drammatico insieme, del Novecento italiano". (CORTI, M., 1998: 301)
Annalisa Piubello, Calvino racconta Calvino: l'autobiografismo nella narrativa realistica del primo periodo, Tesi di dottorato, Universidad Complutense de Madrid, 2016
 
Nell'opera "Gli amori difficili" sono presenti anche dei racconti che implicitamente contengono dei riferimenti autobiografici alla vita dello stesso Calvino e in particolare alla sua relazione amorosa con l'attrice Elsa de' Giorgi <113, come "L'avventura di un viaggiatore" e "L'avventura di un poeta". Il primo dei due testi ha come protagonista Federico, un uomo che abitualmente compie lunghi viaggi in treno durante la notte per raggiungere Roma, dove vive la fidanzata Cinzia
[...] Paradossalmente, quando nel finale del racconto il protagonista arriva a Roma e incontra Cinzia, viene travolto da insicurezze e paure che oscurano il senso di pienezza provato durante il viaggio e che gli impediscono di spiegare all'amata perché preferisce la notte trascorsa sul treno circondato da oggetti simbolici e familiari ai giorni frenetici e caotici vissuti con la donna reale; ancora una volta l'uomo è quindi incapace di spiegare il suo appagamento e la totalità del suo desiderio poiché esso rappresenta un'esperienza ineffabile, una visione intima e personale dell'amore.
[...] Anche nel testo "L'avventura di un poeta" è presente l'elemento autobiografico, poiché il viaggio in barca del protagonista Usnelli insieme all'amata Delia richiama le ore estive trascorse da Calvino e da Elsa de' Giorgi «in her small boat swimming and exploring the Ligurian coast» <118, e la figura del poeta sembra in un certo senso rappresentare l'alter ego dell'autore. Il nucleo centrale del racconto consiste nella lotta insanabile tra l'ineffabile esperienza amorosa e la volontà di esprimerla attraverso il linguaggio <119. Il protagonista e la donna amata stanno infatti esplorando una piccola isola a bordo di una barca, ma, nonostante entrambi stiano osservando lo stesso paesaggio, le loro reazioni e le modalità di esprimere lo stupore che provano sono nettamente differenti. Mentre Delia dà voce a tutto il suo entusiasmo urlando di gioia e recitando poesie, Usnelli non riesce a pronunciare nemmeno una parola perché sente che il linguaggio sarebbe completamente inadeguato davanti allo splendore della natura e potrebbe violare il senso di meraviglia che il protagonista prova dentro di sé; lui infatti si rende conto che nella sua attività di poeta non ha mai dedicato nemmeno un verso alla felicità, allo stupore, all'amore, a quelle esperienze umane positive che vanno al di là del mondo delle parole e che risultano inesprimibili.
[...] Il legame tra l'autobiografia dello scrittore e i personaggi del romanzo è ben visibile se si osserva la protagonista femminile dell'opera e la sua connessione con Elsa De' Giorgi, la donna che ha rappresentato per lo scrittore il vero amore e che «sopravvive nella Viola del 'Barone rampante', nella Claudia della 'Nuvola di smog', nei personaggi femminili della serie di racconti 'Gli amori difficili'» <130. L'attrice italiana presenta infatti dei tratti in comune con varie figure femminili della narrativa calviniana, ma essi diventano evidenti e più espliciti nel caso di Viola, perché l'amore tra lei e Cosimo richiama fortemente la relazione tra Elsa De' Giorgi e Calvino.
[...] Le somiglianze tra Elsa e Viola sono numerose: le due donne sono bionde, voluttuose, civettuole e desiderano vivere in modo agiato e confortevole; entrambe inoltre suscitano nel compagno un sentimento di rabbia e di gelosia molto forte a causa del loro modo di fare quando sono in compagnia di altri uomini. Al di là dei singoli elementi di correlazione tra le due figure <132, ciò che più è interessante constatare è il fatto che il riferimento fortemente autobiografico nella costruzione del personaggio femminile dimostra la centralità della donna nell'opera e la sua complessità, frutto appunto di numerosi elementi combinati tra loro, tra i quali quelli ricavati dalla vita privata dell'autore e dalla sua relazione con l'amata.
[NOTE]
113 Per un approfondimento della relazione amorosa tra Elsa de' Giorgi e Italo Calvino e dei riferimenti autobiografici connessi a questo rapporto nelle opere dello scrittore si rimanda a E. DE' GIORGI, Ho visto partire il tuo treno, Milano, Leonardo, 1992, e al saggio M. CORTI, Un eccezionale epistolario d'amore di Italo Calvino, contenuto in G. BERTONE (a cura di), Italo Calvino. A writer for the next millennium, Alessandria, Edizioni dell'Orso, 1988.
118 B. TOMPKINS, Calvino and the Pygmalion Paradigm, cit., p. 67.
119 Per approfondire il concetto calviniano della lotta tra l'esperienza amorosa umana e la sua espressione si rimanda a I. CALVINO, Otto domande sull'erotismo, «Nuovi Argomenti», n. 51-52, luglio-ottobre 1961.
130 D. SCARPA, Italo Calvino, Milano, Mondadori, 1999, p. 20.
132 Per un maggiore approfondimento dei tratti di somiglianza tra Elsa e Viola si rinvia a E. DE' GIORGI, Ho visto partire il tuo treno, cit., e al saggio M. CORTI, Un eccezionale epistolario d'amore di Italo Calvino, cit.
Giulia Zanocco, I personaggi femminili nella narrativa di Italo Calvino: stereotipizzazione e complessità, Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, Anno Accademico 2019-2020

Ospedaletti (IM): pini a Capo Nero

Le vicende biografiche che legano Calvino all'America latina sono note: la nascita a Santiago de Las Vegas, il matrimonio con la traduttrice argentina Esther Singer, i viaggi a Cuba (1964), in Messico (1964 e 1976) e in Argentina (1984). Calvino rientra in Italia a tre anni, ma ricorda come nel pastiche linguistico del padre entrasse anche la lingua di paesi presso cui questi lavorò tra il 1909 e il 1925. [6]
[6] Cfr. la lettera ad Elsa de' Giorgi del 6/1/1958, allorché Calvino descrive il proprio rapporto con la lingua scientifica usata dalla madre ed il pastiche linguistico del padre; l'occasione è una riflessione sul lessico botanico, avvertito da Calvino come impoetico. "Questo principio che non potevo naturalmente giustificarmi mi si configurava - di fronte al culto di mia madre per l'esattezza della terminologia - come una colpa, in modo tanto grave da vietarmi di distinguere - cioè di avere il bisogno di dar loro un nome - le piante, di considerarle nella loro specifica diversità. Quindi per farmi imparare la botanica avrei avuto bisogno di un precisissimo raffinamento e decadentismo letterario in modo d'apprezzare il pastiche polilinguistico, e trovare ad esempio una contraddittoria coerenza nel linguaggio di mio padre, misto di termini scientifici, dialettali, spagnoli, italiani, inglesi, in cui tutto diventava riconoscimento d'una rigorosa unità stilistica; ad apprezzare il pastiche fatico molto di più. Quindi posso dire che non ho mai imparato la botanica per la stessa ragione per cui mi riesce difficile apprezzare C.E. Gadda". Qui citato da M. CORTI , Un eccezionale epistolario d'amore di Italo Calvino, in Italo Calvino, a writer for the next millennium, a cura di G. Bertone, Edizioni dell'Orso, Alessandria, 1998, p. 305
Luigi Marfè, Il sapore del Messico e altre cose. Italo Calvino e le letterature iberiche, Artifara, 5, 2005     

Ospedaletti (IM): scogli a Capo Nero

Tuttavia c'è anche il Calvino "lirico": nessuna delle trecento lettere che lui scrisse all'attrice Elsa De Giorgi durante la loro intensa relazione negli anni '50 si può trovare in questa collezione.
[...] In un periodo storico intellettualmente importantissimo come quello del secondo dopoguerra, Calvino era il Calvino de "Il Midollo del leone", il Calvino dirigente dell'Einaudi e quello che abbandonò il Pci; era il Calvino delle "Fiabe italiane" che hanno consolidato l'immagine di un Calvino "favolista"; il Calvino del "Barone rampante" e della "Speculazione edilizia"; il Calvino della "Nuvola di Smog" e del "Cavaliere inesistente". Quindi, forse, è in queste lettere che si potrà rintracciare il Calvino più autentico e vulnerabile che ad Elsa De Giorgi ha dedicato i libri più belli, liberi, liberatori che abbia scritto, quelli che ben giustificano la sua fama e il suo valore.
Calvino aveva sempre considerato l'amore come cosa secondaria ed accessoria, non certamente essenziale per la vita completa di un poeta, aveva sempre pensato che altro non fosse che un elemento esistenziale vissuto nell'ambito della nostalgia e del desiderio. Dopo l'incontro amoroso con la De Giorgi egli prende coscienza di qualcosa di nuovo: l'amore arricchisce la vita e aumenta la sete di essa. Si vedrà dunque, nei capitoli successivi, come molte osservazioni importanti per comprendere l'opera calviniana siano disseminate nelle epistole amorose, ma si constaterà anche quanto queste analisi risultino solo un assaggio di quello che in realtà è tenuto ingiustamente nascosto da leggi che impediscono la conoscenza di elementi preziosi alla comprensione di uno scrittore come Calvino e al sommuoversi del suo linguaggio. Man mano che Calvino si convince della portata di questa nuova visione, lascia spazio ad un Calvino nuovo, ottimista, il più adorabile forse, il Calvino del gioco, dell'umorismo sapiente ed innocente, quello che secondo la De Giorgi scriveva disegnando avvenimenti e stati d'animo, con una grazia di cui è un delitto non poter portare a conoscenza i lettori.
Il fatto che la sua opera sembri sortita, per molti critici, dalla naturalezza di uno scrittore sapiente, destinato ad esserlo senza l'assillo di una propria storia umana, secondo la De Giorgi a Calvino non sarebbe piaciuto per niente. Quindi, contro l'immagine più nota dello scrittore timido, sognante, appartato e capace di un grande rigore intellettuale, appare un Calvino passionale, umorale ed irrequieto.
'Quello che è avvenuto dopo la morte di Calvino, l'inconcludenza con la quale si è girato intorno alla sua opera, rispecchia una crisi intellettuale generazionale, giunta al suo culmine, non certo per rovelli stilistici ai quali, per la verità, con Garboli solo Citati pose attenzione in uno degli articoli scritti a caldo dopo la sua morte, (…) ma per la sbrigatività con la quale si liquidò Calvino monumentalizzandolo perentoriamente in quella classicità di gesso che era precisamente l'opposto di ogni sua vocazione e problematicità. Eppure è forse in quella crisi, rivelata dal disorientamento dei suoi critici postumi presi in contropiede dalla sua morte, che va indagato Calvino.' <7
Nei capitoli seguenti ho cercato quindi di studiare il carteggio attraverso quello che è stato possibile recuperare delle trecento lettere di cui è composto, di cui circa la metà è stata posta sotto sigillo. Ho cercato di raggruppare la maggior estensione possibile dei brani trovati, attraverso la collazione e l'unione degli stralci recuperati in primo luogo da "Ho visto partire il tuo treno" (il libro che scrisse la De Giorgi sulla relazione con Calvino in cui cita le lettere dello scrittore), che ha costituito la fonte primaria del reperimento. Un'altra fonte sono stati gli articoli di giornale presenti nell'archivio dei quotidiani, che a partire dal 1956 vennero scritti sul caso Calvino-De Giorgi, un'altra ancora dai saggi di Maria Corti e di Martin McLaughlin; infine è risultato un materiale fondamentale, per la buona estensione dei brani delle lettere, quello che è rimasto in rete dopo la pubblicazione delle lettere su 'Epoca', avvenuta per volere della De Giorgi e poi bloccata dalla vedova Calvino. Si tratta di un lavoro di sistemazione e assemblaggio di tutto quello che è stato detto e scritto sul caso Calvino-De Giorgi negli interventi sui periodici, nella cronaca mondana dei quotidiani e nei saggi critici, al fine di dare un'idea di come andarono le cose, sviluppando gli aspetti importanti dove è stato possibile farlo e preparando così il materiale per quando le lettere potranno essere finalmente lette e studiate.
[...] La De Giorgi, rievocando il suo rapporto con Calvino, dedica un intero capitolo al loro usuale ritrovo a Caponero, località tra Ospedaletti e Sanremo, e all'impatto esplosivo che ebbe il loro incontro. Se per lei - che era sposatissima - fu un processo più lento e solo col tempo incominciò a ricambiare l'amore, per Calvino fu un coinvolgimento immediato "Sono con te, tutto il resto mi è estraneo e indifferente" e, come un fuoco che divampa, ha invaso ogni aspetto della sua vita "(…) e soprattutto l'amore, un amore grande come tutte le ragioni dell'intelletto e della vitalità che è in noi". <80
Tutto il discorso amoroso calviniano ha ora i suoi termini specifici che prevedono un registro nuovo rispetto a quello usato solitamente dall'autore. Lo scrittore si pone sotto una nuova luce in quanto uomo: si descrive e viene descritto come un essere bicefalo che non può raggiungere la sua completezza se non accompagnato dalla figura di una donna che finisce per risultare l'unico elemento indispensabile alla felicità. La De Giorgi scrive: 'Per Calvino la convinzione di sentirsi ancora radicato quale parte intelligente a un creato dove l'amore - come lo aveva scoperto - poteva nei suoi imprevedibili impulsi respingerlo o accoglierlo nelle supreme armonie':
Il nostro amore scorre ancora accidentato e tutto rapide e anse come un torrente, e forse è in questa sua natura, nella natura accidentata e sassosa del terreno che attraversa la sua vera natura, la prova vera della sua forza: ma è di quei torrenti che si sa che diventeranno fiumi che traverseranno pianure e regioni che nutriranno mari.'
[HPT ('Ho visto partire il tuo treno) pag.33]
"Come abbiamo saputo in mezzo a tutto questo costruire la nostra felicità, a fili, a festuche, come due uccelli che si costruiscono il nido in mezzo ai fili dell'alta tensione (…) come hai saputo sempre combattere la mia tendenza a lasciarmi andare giù per il versante grigio della vita, come mi hai sempre insegnato a tenermi con la faccia al sole (…) il dato di natura della tua bellezza è solo uno strumento" <81
[posteriore al settembre 1955]
Varie sono le considerazioni di Calvino sul tempo, sul suo umore, sugli stati d'animo, sulle impressioni e sul luogo in cui si trova: a Sanremo, a Torino, a Roma, "Sono triste", "oggi sono rattristato", "ho un rimorso", "era una giornata triste ieri", "sono contento"; "sono tornato da Milano"; "sono a Sanremo". L'intento della De Giorgi, dunque, è quello di non rinviare l'annotazione dei ricordi prima che le immagini custodite in essi di un Italo Calvino singolare, spariscano. Urge impellente la necessità di recuperare un tempo non perduto, ma vissuto in una storia che non è esclusivamente d'amore. La De Giorgi cerca di compendiare fatti e cose che sembrano avvilupparsi al sembrano avvilupparsi al
racconto quasi conclusivamente, prima di averle affidate alla confidenza di una ragionevole stesura.
[...] Come si è già accennato precedentemente, la relazione segreta veniva messa a dura prova anche dai pettegolezzi e da imprevisti come il caso de 'L'Espresso'. Le "Fiabe italiane", alle quali Calvino aveva iniziato a lavorare nel 1954, escono il 12 novembre del 1956 da Einaudi (gran parte di quest'anno lo dobbiamo dunque considerare occupato da questo lavoro molto impegnativo sulle 'Fiabe') e quando lo scrittore le pubblicò, le dedicò a "Raggio di sole", che era uno dei nomignoli con cui lui chiamava Elsa e di cui solo lei era a conoscenza. Naturalmente nel bel mondo letterario si scatenò la caccia per capire chi fosse la fantomatica Raggio-di-sole, e fra le ipotesi dei pettegoli letterati di via Veneto si fece anche il nome dell'attrice. <88 'L'Espresso' raccoglieva da poco sotto la testatina "Confidenze italiane" certe cronache di mondanità culturale che venivano firmate da Mino Guerrini con lo pseudonimo di Minimo, che in quest'occasione scrisse: "Intanto dall'altra parte della città, in un caffè di via Veneto, ebbe inizio il mistero, un nuovo quiz di cui discutere della serata: a chi aveva dedicato il libro il giovane scrittore? A Pavese, naturalmente, ma anche ad un'altra persona adombrata nella dedica sotto il nome di 'Raggio di sole', personaggio che non è nel libro. Chi poteva essere questo Raggio di sole? Furono suggeriti molti nomi, ma soltanto a sera tarda, dopo molte discussioni ad un tavolo di letterati, fu trovata la risposta esatta: Elsa De Giorgi. Raggio di sole è infatti l'anagramma, quasi esatto, del suo nome, manca solo una 'e'." <89
La notizia uscì su 'L'Espresso', Calvino lo seppe in anticipo, ma non riuscì a fermare la pubblicazione e la cosa diede parecchi fastidi all'attrice, che era impegnata nella complessa causa di divorzio [n.d.r.: di separazione: il divorzio all'epoca non era ancora legge] e che così racconta <90:
'Ci fu poi l'episodio dell''Espresso', che scoperse nella prefazione delle 'Fiabe' dedicate a Raggio di Sole l'anagramma del mio nome. Calvino aveva fatto di tutto per impedire la pubblicazione dell'articolo, rivolgendosi direttamente al direttore Benedetti, ma purtroppo il pezzo era già stampato emi recò danno: fu infatti usato contro di me in tribunale.' <91
[HPT pag. 42]
L'episodio viene quindi riportato sia dalla De Giorgi sia da Calvino che le scrive una lettera e, riferendole così l'accaduto, mostra una visibile apprensione. Calvino infatti allude a "implicazioni legali" evidentemente legate alla causa di separazione (a cui si possono attribuire sia il tentativo di far intervenire direttore ed editore dell'Espresso, sia il tono di leggera e minimizzante blandizie che usava con la su corrispondente): "Mia cara, eccomi qui e appena arrivato mi sono trovato di fronte a un piccolo tentativo scandalistico da parte dell'Espresso che spero d'aver fatto in tempo ad evitare. M'hanno mandato la bozza dell'articolo per la manifestazione delle fiabe e alla fine dell'articolo, che è piuttosto lungo, tirano fuori la dedica a Raggio di sole e che a via Veneto la sera si discuteva su chi era Raggio di sole. Furono suggeriti molti nomi, ma soltanto a sera tarda, dopo molte discussioni, ad un tavolo di letterati fu trovata la risposta esatta: Elsa De Giorgi. Raggio di sole è infatti l'anagramma quasi esatto del tuo nome, manca solo la «e». Ho mandato subito un telegramma lampo a Benedetti raccomandandomi alla sua cortesia perché elimini la parte finale. E ho telefonato a Carlo (Caracciolo, ndr) perché telefonasse subito e si interessasse della cosa, magari soltanto facendo togliere il nome. Non so però se si è ancora in tempo, o se il numero è stato già stampato. Me lo sentivo che qualcosa combinavano. Spero soltanto che il mandarmi le bozze (per due giorni avevo inutilmente dato loro la caccia per riuscire a leggere l'articolo) sia stato fatto per vedere se protestavo. Sulla bozza il titolo non c'è e anche questo potrebbe essere uno scherzo di questo tipo. (Però, questa dell'anagramma è una scoperta loro, a cui noi non avevamo mai pensato, e che corrisponde alla verità! E se distogliamo il pensiero per un momento dalle implicazioni legali e giornalistiche è molto bello). <92
[*novembre 1956] <93
[...] Ad un certo punto, prima che la loro storia decollasse veramente, all'improvviso Calvino scompare senza dare più sue notizie virando così del tutto la preoccupazione della De Giorgi su di lui. Era scomparso Sandrino, ora anche Calvino, e così la contessa racconta:
"Calvino (…) Scomparve. Per alcuni giorni nessuno, né in ufficio, né la madre, ne seppe più nulla. (…) Calvino ne stava imitando i gesti proprio per richiamare la mia attenzione su di sé. Si appropriava della mia preoccupazione, obbligandomi a dividerla con quella per Sandrino. (…) Non potevo dimenticare in certe sue lettere la descrizione dei suoi patemi perché aspettava la mia telefonata sul corridoio gelido della camera mobilitata che abitava a via Carlo Alberto 9"
[HPT pag. 44]
Molti sono i racconti che Calvino fa della sue attese al telefono, in un corridoio freddo, con il terrore che le persone o la padrona di casa o l'inquilino potessero ascoltare la sua conversazione. Così, per esempio, Calvino scrive: "Per colmo di ventura qui la camera vicino al telefono è occupata da un inquilino e non posso parlare liberamente". Fu però proprio il telefono, a porre fine a quella terribile attesa e a riportare in contatto la De Giorgi con la voce irriconoscibile di Calvino. Lo scrittore si annunciò, dopo giorni, senza aggiungere alcun particolare. Lei lo implorò di rivelarle dove fosse e la paura di perdere quel contatto la spinse a dirgli: "Senti, se sei a Torino parto e ti raggiungo".
Rintracciato Calvino la De Giorgi lo raggiunge immediatamente alloggiando al Principe di Piemonte.
 
Fonte: Eugenia Petrillo, Op. cit. infra

[NOTE]

7 Da E. De Giorgi, Ho visto partire il tuo treno, Leonardo Editore, Milano 1992
80 HPT pag. 167
81 M. Corti, Un eccezionale epistolario d'amore in Vuoti del tempo, Bompiani, Milano 2003 p.142 (contenuto anche in G. Bertone, Italo Calvino: a Writer for the Next Millennium. Atti del Convegno Internazionale di Studi)
88 A.Cambria, Nove dimensioni e mezzo, Donzelli Editore Roma 2010: 'Nel 1962 ormai a Roma da due anni, avevo letto il Visconte dimezzato, il Cavaliere inesistente e le Fiabe italiane di Calvino, che incominciavo a raccontare, magari semplificandole, al mio bambino… le Fiabe italiane erano dedicate dall'autore a "Raggio di Sole"… Avrei scoperto soltanto nel 1979 che "Raggio di sole" era l'anagramma -"quasi esatto" - di Elsa de' Giorgi: come scrisse Calvino, in una delle 407 sue lettere all'amata. Ma di lei, purtroppo, continuavo a non sapere nulla…. …Una sera del 1962 nella mia casa di via del Babuino - quella dell'"astratto salotto romano" di cui Sergio Saviane m'avrebbe attribuito la colpevole titolarità - arrivò anche Italo Calvino, con un'amica che nessuno di noi conosceva: era "Chiquita" (Esther Judith Singer), la traduttrice di cittadinanza argentina che lo scrittore aveva incontrato a Parigi e che aveva sposato il 19 febbraio 1964 a L'Avana. (Calvino era nato a Santiago de Las Vegas, a pochi chilometri dall'Avana, dove suo padre era il direttore del giardino botanico tropicale). La serata con Calvino e la sua amica in via del Babuino fu, come accadeva quasi sempre, un piacevole dopocena di chiacchiere spiritose e polemiche elitarie, ed erano quelli di sempre gli altri ospiti del mio divano angolare con la fodera di parcalle a fiorellini: Moravia, Morante, Pier Paolo Pasolini, Enzo Siciliano con la fidanzata, l'elegante Flaminia Petrucci, che allora da single emancipata (responsabile della grafica de "L'Espresso") abitava nell'appartamento al piano di sotto…. Calvino parlava poco, la sua amica ancora meno, andarono via presto e qualcuno pronosticò, pagando il dovuto al tasso di misoginia naturale dell'epoca: "Dopo il ciclone Elsa de' Giorgi , questa Chiquita sarebbe una moglie del tutto inoffensiva…"'.
89 S. Bartezzaghi, Scrittori giocatori, Einaudi, Torino 2010 pag. 208
90 http://www.trivigante.it
91 Dall'articolo di Alessandra Pavan su www.libreriamo.it, 20 0ttobre 2014:"AMORE COME DIVERTISSMENT ANAGRAMMATICO" - 'L'amore inoltre è argomento di enigmi e giochi letterari a partire appunto dal Barocco e da Luigi Groto, che compone due sonetti sull'amor sacro e l'amor profano , nei quali il contrario in senso direzionale crea il contrario nel significato. Ma i giochi con i nomi dell'amata cominciano già con Beatrice, Laura (l'aura) e Eleonora di Tasso (E …le onora) fino ad arrivare ad Italo Calvino, il cui interesse per l'anagramma risale al momento in cui si firmò come Tonio Cavillo in un ‘edizione per le scuole de Il barone rampante. A fine anni ‘50 Calvino si innamorò di un amore impossibile per Elsa de Giorgi, un attrice dell'epoca sposatissima e pubblicò le Fiabe Italiane dedicandole a Raggio di Sole, un anagramma imperfetto del nome dell'amata. Fu l'Espresso nel 1957 ad interrogarsi per primo sull'identità di Raggio di Sole e ad arrivare a questa congettura, poco plausibile - un anagramma imperfetto - per un autore perfezionista quale fu Calvino. E allora? "Fu il caso che svelò la cosa e ne derivò un caos?", così Bartezzaghi sigilla la sua lectio dedicata alle lettere che si intrecciano con i cuori.'
92 Stefano Bartezzaghi, giornalista e scrittore e soprattutto esperto di enigmistica, si è occupato di questo caso in Scrittori Giocatori alle pgg. 205-210. 'La cosa buffa e meravigliosa è che né Calvino né la De Giorgi avevano mai notato la cosa, come si deduce dalla parte finale della lettera.' Si tratta di un'operazione inconsapevole. Parrà strano, ma nel 1957 il concetto di anagramma non era affatto diffuso se non tra gli enigmisti, ed è dunque molto probabile che Calvino non praticasse la difficile arte (ne risultano altri esempi di tecnica argomentativa nelle altre opere di questo scrittore).
93 Non si può risalire con precisione alla data precisa della lettera; si può chiaramente ipotizzare che sia stata scritta in prossimità della pubblicazione delle Fiabe, quindi risale circa al mese di novembre 1956. Nella schedatura di McLaughlin non viene registrata nessuna lettera risalente al 12 novembre, ma soprattutto nessuna lettera riporta l'incipit "eccomi qui e appena arrivato mi sono trovato di fronte", neanche le lettere schedate senza data. Si dovrebbe quindi pensare che questo brano non sia compreso nelle 156 missive consultabili e schedate da McLaughlin; tuttavia, data l'inesattezza con cui potrebbero essere stati riportati alcuni passi reperiti delle lettere, da coloro che hanno avuto la possibilità di leggerle, la lettera schedata da McLaughlin il cui incipit si avvicina di più è la lettera 2,31: "Eccomi qui sballottato" datata nell'arco di tempo tra il 1956/1957.
 
Fonte: Eugenia Petrillo, Op. cit. infra. Per la lettura integrale della nota di Calvino acclusa da questa autrice nella tabella vedere post scriptum

Eugenia Petrillo
, Italo Calvino ed Elsa De Giorgi: l'itinerario di un carteggio, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Padova, Anno Accademico 2014-2015
 
P.S. 
particolarmente nel suo innesto con un linguaggio che sentivo naturale, come quello dialettale e semidialettale parlato dalla gente, e questo principio che non potevo naturalmente giustificarmi mi si configurava - di fronte al culto di mia madre per l’esattezza della terminologia- come una colpa, in modo tanto grave da vietarmi di distinguere - cioè di avere bisogno di dar loro un nome- le piante, di considerarle nella loro specifica diversità. Quindi per farmi imparare la botanica avrei avuto bisogno di un precisissimo raffinamento o decadentismo letterario in modo d’apprezzare il pastiche polilinguistico, e trovare ad esempio una contraddittoria coerenza nel linguaggio di mio padre, misto di termini scientifici, dialettali, spagnoli, italiani, inglesi in cui tutto diventava naturale. Ma il [mio] modo di arrivare alla comprensione estetica è il riconoscimento d’una rigorosa unità stilistica; ad apprezzare il pastiche fatico, molto di più. Quindi posso dire che non ho mai imparato la botanica per la stessa ragione per cui mi riesce difficile apprezzare C.E Gadda.

domenica 30 gennaio 2022

Tutti uniti attorno al democristiano dissidente Silvio Milazzo


Proprio in occasione dell’inaugurazione del nuovo Palazzo di Giustizia di Palermo, il 2 marzo 1958, Giuseppe Togni, ministro dei Lavori pubblici, teneva così un comizio, dal tema "La Democrazia cristiana risponde ai suoi avversari", dove precisava che, in merito al risanamento dei quattro mandamenti, presto sarebbero stati stanziati 10 miliardi da parte del governo e 10 dalla Regione. Le sue dichiarazioni servivano, in primo luogo, ad attenuare l’impressione sconfortante suscitata dal fallimento della Legge speciale e, in vista delle elezioni politiche, più che altro ad avere un effetto psicologico sulla cittadinanza. <190
L’inizio della campagna elettorale richiedeva la mobilitazione di tutti gli iscritti della DC. Dalla caduta di De Gasperi, infatti, cinque anni difficili avevano caratterizzato la legislatura, a causa delle ripetute crisi di governo, dell’instabilità e dell’incertezza della situazione parlamentare. <191 Un decreto del presidente della Regione, in Sicilia, apriva la campagna suscitando però non poche perplessità: l’ex sindaco Cusenza, un otorinolaringoiatra, veniva nominato alla presidenza della Sicilcassa in sostituzione di Restivo, dimesso perché candidato alla Camera. <192 Era il frutto di un evidente compromesso elettorale, perché la designazione del suocero di Gioia arrivava da Piazza del Gesù come merce di scambio, visto che anche il segretario provinciale si apprestava a candidarsi. A nulla valevano le proteste dei comunisti, che per salvare il nome dell’istituto chiedevano all’ARS l’annullamento della nomina. <193 In attuazione delle norme stabilite dal Consiglio nazionale DC sui candidati al Parlamento, dopo cinque anni Gioia si dimetteva pertanto dalla Segreteria palermitana per far posto a Giuseppe Lo Forte. <194 Nel frattempo non si placavano gli attacchi contro Lima, ritenuto responsabile di aver tenuto vacanti duemila alloggi popolari, negandoli a chi ne aveva diritto, per prometterli in cambio del voto. <195 Il PCI protestava anche per l’invadenza della Chiesa. Nella dichiarazione della CEI, che aveva ribadito la necessità dell’unità dei cattolici per costruire «un argine valido ai gravissimi pericoli» che gravavano sul Paese, rilevava infatti una minaccia alla laicità dello Stato. Nel timore che le elezioni venissero trasformate in una sorta di censimento religioso, contro l’intromissione dei vescovi protestavano pure Il Mondo, che parlava di «assalto allo Stato» da parte dei ministri del culto, e L’Espresso, che indirizzava al presidente della Repubblica una lettera aperta di protesta. <196
Già incandescente, la situazione precipitava in occasione della celebrazione dei dodici anni dell’Autonomia, il 15 maggio 1958, quando Fanfani teneva un comizio a Palermo. La scelta dell’oratore scatenava le polemiche perché il segretario della DC era ritenuto il principale responsabile degli ostacoli che da Roma si erano frapposti alla Legge speciale. Il senso di fastidio era avvertibile già alla vigilia, perché Lima aveva fatto allestire una grande parata con i preparativi durati più di una settimana. Di proporzioni gigantesche, il palco era stato addobbato con metri di stoffa e velluti, e lungo l’impalcatura correva un impianto d’illuminazione a formare a grandi lettere il nome di Fanfani. Il tutto era stato preceduto dalla distribuzione di quintali di manifestini, alcuni dei quali lanciati da un aereo appositamente noleggiato dalla Segreteria provinciale. Accolto da tale contesto celebrativo, quando iniziava il suo discorso Fanfani non si aspettava dunque di essere contestato: nel momento in cui invitava gli ascoltatori a ringraziare la DC, infatti, alcuni militanti comunisti confusi tra la folla iniziavano a fischiarlo, finché, persa la calma, il segretario invitava il questore a ristabilire l’ordine accusandolo platealmente di avere la «spina dorsale di pastafrolla». Chiudeva il suo discorso maledicendo tutti coloro che il 25 maggio non avrebbero votato per la DC. Le critiche, verso un tale atteggiamento autoritario, erano unanimi: "il Giornale di Sicilia" lanciava comunque un appello perché la libertà di dissenso non degenerasse in provocazione e sopraffazione. <197 Poco dopo Domenico Modugno, noto simpatizzante socialista, citava tuttavia in giudizio la DC, perché, invitando a "votare…sì, sì / votare… per la DC", aveva sfruttato senza autorizzazione la sua celebre "Nel blu dipinto di blu". <198
Alle elezioni la DC guidava l’area centrista alla maggioranza assoluta dei voti. Rispetto al 1953 recuperava il 2,2% alla Camera e l’1,3% al Senato, guadagnando dieci seggi in entrambi i rami del Parlamento. Smentendo le previsioni della vigilia, che sull’onda della rivoluzione ungherese del 1956 ritenevano probabile un crollo dei comunisti, anche il PCI e il PSI aumentavano i consensi. L’incremento dei liberali era più contenuto rispetto alle previsioni, mentre il PSDI e il PRI mantenevano invariate le posizioni. Soltanto le destre subivano pertanto un arretramento, sia il MSI che i monarchici, che oltretutto si erano presentati divisi in due movimenti (PNM e PMP). <199 I dati nazionali venivano confermati a Palermo, dove la DC guadagnava 31mila voti danneggiando le destre - 18mila in meno al PNM e 13mila al MSI - mentre i due partiti di sinistra ne guadagnavano 16mila. Gioia veniva eletto alla Camera con 82.492 voti, quarto nella lista democristiana dopo Mattarella (120.392), Restivo (102.550) e Aldisio (89.310). Con 47mila voti, veniva eletto anche Barbaccia. <200
Il giorno prima del voto, improvvisamente, era venuto a mancare Luciano Maugeri, il sindaco settantenne. Secondo il PCI, la scelta del nuovo primo cittadino avrebbe pertanto dovuto tenere conto dei risultati elettorali. Scongiurando le «solite manovrette di corridoio», i comunisti si auguravano che il Comune potesse rimettersi sulla strada della buona amministrazione grazie alla loro collaborazione. Senza nemmeno consultare gli altri gruppi consiliari e zittendo gli oppositori interni che proponevano una soluzione più aperta e condivisa, la DC sosteneva invece l’elezione di Lima. Non solo appariva a molti acerbo e sprovveduto per il compito, ma la sua stessa attività a capo dell’assessorato ai LL.PP. non era stata esente da critiche. Queste le opinioni raccolte da "L’Ora" intorno alla sua candidatura: per il liberale Nicola Sanguigno, assessore all’Igiene, non avrebbe ottenuto il consenso degli stessi democristiani poiché, data la particolare gravità della situazione, serviva un uomo di esperienza; rammaricandosi per la mancata consultazione, Giuseppe Ingrassia, capogruppo del PNM, affermava che il sindaco della sesta città italiana non poteva essere un cittadino qualsiasi, ma una personalità conosciuta e con un passato di notorietà politica e professionale; il socialista Purpura parlava dell’ennesima prova, in seno alla DC, di «un inguaribile spirito di faziosità intorno a qualsiasi considerazione di interesse cittadino»; Ferretti aggiungeva infine che la DC voleva nominare il sindaco tramite «i soliti colpi di maggioranza», quando un riesame dei fallimenti precedenti avrebbe dovuto indurre a nuove scelte. Al di là delle riserve legate alla sua età, la candidatura di Lima poneva soprattutto la questione di come la corrente fanfaniana, carica dopo carica, si stesse ormai impossessando di tutte le leve del potere cittadino. <201 A Sala delle Lapidi la candidatura superava comunque abbondantemente i 31 voti necessari alla maggioranza assoluta: Lima veniva così proclamato la sera del 7 giugno 1958. Condividendo le incertezze di quanti vedevano in lui un sindaco privo di esperienza - era il più giovane capo di un’amministrazione capoluogo di provincia in tutta Italia - nell’accettare la carica si limitava a dire che avrebbe fatto del suo meglio. <202 La sua prima giunta era di centrodestra, sostenuta da una maggioranza composta da 27 democristiani, 7 monarchici (4 PNM, 3 PMP), 2 socialdemocratici e 1 liberale. Per la presenza del monarchico Antonino Sorci, la conferma di Ciancimino e l’ingresso di Giuseppe Trapani e Giuseppe Brandaleone, la presenza della mafia, a Palazzo delle Aquile, rimaneva pressoché inalterata. <203
All’estate del 1958 la Sicilia arrivava carica di tensione anche perché, caduto a Roma il monocolore DC retto da Adone Zoli, il 1° luglio Fanfani aveva presentato un gabinetto nel quale la componente siciliana aveva subito un forte ridimensionamento. L’unico ministro era Giardina (per la Riforma della pubblica amministrazione, peraltro senza portafoglio), mentre erano assenti esponenti come Mattarella e Scelba, che in qualità di leaders locali avevano contribuito al successo democristiano. <204 Considerato che la rappresentanza siciliana era la più numerosa in Parlamento (22 senatori e 57 deputati), a molti sembrava inaccettabile. Secondo Mario Ovazza, capogruppo comunista all’ARS, era preoccupante l’orientamento antisiciliano ripetutamente manifestato da Fanfani. Il socialista Michele Russo parlava di un’accentuata settentrionalizzazione del governo, mentre l’indipendente di sinistra Paolo D’Antoni lamentava che l’isola era ormai «una colonia a disposizione delle regioni del Nord». <205 La convinzione che fanfanismo e poteri forti del capitalismo italiano si apprestavano a restringere gli spazi delle libertà e delle competenze attribuite all’Autonomia era dunque largamente diffusa. Gli attacchi allo Statuto erano iniziati un anno prima con la soppressione di uno dei pilastri dell’edificio autonomista, l’Alta corte per la Sicilia, assorbita dalla Corte costituzionale con la sentenza 9 marzo 1957, n. 38. <206 Quando La Loggia si dichiarava vicino ai monopoli del Nord si giungeva così alla clamorosa rottura tra la Sicindustria, guidata da Domenico La Cavera, e Confindustria. <207 All’interno della DC non vi era spazio per gli oppositori, tanto che Fanfani incitava il presidente della Regione ad andare avanti con o senza voti. Preso alla lettera il suggerimento, La Loggia rifiutava così di dimettersi, il 2 agosto, nonostante il bilancio veniva bocciato dall’Assemblea. Con spavalderia, sfidava anzi l’aula ripresentando lo stesso documento la settimana successiva. In un’incandescente seduta, a Palazzo dei Normanni, le sinistre dichiaravano illegittimo il governo, dando inizio a un ostruzionismo che si sarebbe protratto per due mesi. Per la sua ostinazione a restare a tutti i costi, quello di La Loggia veniva ritenuto un «ostruzionismo alla rovescia». <208 Sfiancato dalla dura opposizione parlamentare, rassegnava le dimissioni dopo due mesi esatti, il 2 ottobre. Piazza del Gesù aggiungeva ulteriore benzina sul fuoco quando, in contrasto con la volontà del gruppo parlamentare della DC siciliana, imponeva come candidato Barbaro Lo Giudice, un fanfaniano suggerito da Gullotti. <209 Questa ennesima forzatura, di fatto, consegnava il candidato ai franchi tiratori. La mattina del 23 ottobre, gli italiani apprendevano infatti che in Sicilia la DC era stata estromessa dal governo regionale. <210 L’avvenimento era senza precedenti, perché, anomalia dei tradizionali valori politici, un inedito patto autonomista dava corpo a una maggioranza composta da socialisti e comunisti, da un lato, e missini e monarchici, dall’altro, tutti uniti attorno al democristiano dissidente Silvio Milazzo. <211
Alla lettura dei risultati, se nei banchi democristiani si rimaneva in sbigottito silenzio, le opposizioni si levavano al grido: «Viva Milazzo! Viva la Sicilia! Viva l’autonomia!». Per i socialisti e i comunisti era la vittoria del Parlamento siciliano contro le intimidazioni, le coercizioni esterne e la prepotenza dei fanfaniani. Per il gruppo democristiano, la sconfitta era invece talmente cocente che nessuno era in grado di esprimere un giudizio sulla vicenda. Poiché la congiuntura assembleare aveva fatto confluire su Milazzo i suffragi di due schieramenti contrapposti, fin da subito la Direzione democristiana sosteneva che quel «ponte fra le estreme ali assembleari» avrebbe avuto una durata effimera. <212 Convocato Milazzo, pena l’esclusione dal partito, il segretario gli intimava le dimissioni. Era però l’ennesimo atto di prevaricazione da parte della Segreteria nazionale, tanto che il calatino opponeva un coraggioso rifiuto e tornava a Palermo intenzionato a formare un governo su base assembleare. Nominata la giunta con i voti di PCI, PSI, PNM, MSI e democristiani dissidenti, già il 31 ottobre Fanfani annotava nei suoi "Diari" che la DC avrebbe fatto di tutto per «rendere la vita impossibile ad un simile governo». <213
Sul settimanale diocesano palermitano il cardinale Ernesto Ruffini non tardava a far apparire la sua condanna. Poiché la giunta era nata da un’ibrida coalizione di ideologie e interessi, gli esponenti DC che ne avevano favorito la costituzione avevano assunto comportamenti «politicamente e moralmente gravi». Il «console di Dio», figura forte e discussa della Chiesa siciliana, definiva quegli uomini «pavidi e schizzinosi», avendo occultato le proprie responsabilità nel segreto dell’urna. <214 Gli inviati dei principali giornali nazionali si precipitavano così a Palermo, e "L’Espresso" titolava: "Roma ha paura di Caltagirone". <215 La situazione aveva ripercussioni anche al Consiglio nazionale della DC (15-18 novembre 1958), dove, giustificando il suo comportamento, Fanfani sosteneva apertamente di non aver sbagliato nulla nei confronti della Sicilia. Per lui i transfughi erano mossi unicamente da interessi personalistici, perciò era doverosa la sua decisione di espellere chi aveva accettato di entrare in un governo appoggiato dai comunisti. La sua autodifesa non veniva tuttavia condivisa da parecchi colleghi: Scelba non condivideva nulla, rimproverando al segretario d’aver messo in soffitta l’alleanza con i liberali per inseguire il PSI e aver quindi provocato la crisi del partito nell’isola; Pella e Andreotti denunciavano la mancanza di fraternità interna e di unità d’intenti, mentre Colombo esprimeva il timore che la frana potesse allargarsi alle altre regioni; il più critico era comunque Roberto Lucifredi, che senza mezzi termini attaccava il malcostume dei «gerarchetti» fanfaniani. <216
Il primo effetto dell’operazione Milazzo era perciò uno scossone alla posizione del segretario e del suo apparato. Se il caso avrebbe appassionato l’opinione pubblica per un anno e mezzo, conclusa l’esperienza e placatosi il fervore polemico che ne avrebbe accompagnato l’«epilogo non certo edificante», molto poco però si sarebbe discusso e ancor meno scritto negli anni successivi. Solamente alla fine degli anni Settanta un convegno organizzato dall’Istituto socialista di studi storici avrebbe affrontato il tema col necessario rigore critico e documentario. <217 Un primo bilancio era stato tracciato da Macaluso, per il quale con l’esperienza milazziana l’Autonomia aveva vissuto i suoi momenti più esaltanti: il merito principale dell’operazione, infatti, era quello di aver risvegliato nell’animo dei siciliani «uno spirito di fierezza e di ribellione alla prepotenza esterna». Momento di rottura della preclusione anticomunista, il milazzismo aveva inoltre rappresentato il più serio tentativo di creare un fronte, seppur composito ed eterogeneo, contro il malgoverno democristiano. <218 Su questa scia interpretativa si inseriva la ricostruzione di Alberto Spampinato, giornalista de "L’Ora", che più avanti avrebbe ripercorso le tappe della vicenda arricchendo la narrazione con l’utilizzo di fonti allora inedite quali le testimonianze di Ovazza e di Francesco Pignatone, segretario dell’USCS. <219 Un taglio diverso avrebbero avuto gli scritti di Pasquale Hamel, storico di formazione cattolica, che non circoscrivendo l’analisi in un ambito esclusivamente regionale ha evidenziato i nessi con la situazione nazionale. <220 Il missino Dino Grammatico, assessore all’Agricoltura del primo governo Milazzo, avrebbe infine considerato l’operazione come una lezione alla DC, una clamorosa protesta contro la partitocrazia che Fanfani aveva legalizzato attraverso l’occupazione sistematica delle istituzioni. <221
[NOTE]
190 ACS, MI Gab. 1957-1960, Attività dei partiti, b. 55, f. Palermo, Telegramma del prefetto, 2 marzo 1958.
191 Democrazia cristiana - SPES, 5 anni difficili, SPES, Roma 1958.
192 Sulla Cassa di risparmio, la cui storia si è chiusa nel 1997 con la messa in liquidazione, cfr. Dino Grammatico, Sicilcassa: una morte annunciata. La svendita del sistema creditizio siciliano e la crisi delle banche in Italia, Sellerio, Palermo 1998.
193 ARS, Leg. III, Resoconti parlamentari, interrogazione n. 1403, 25 marzo 1958, pp. 1538-1539.
194 Giuseppe Lo Forte segretario provinciale della DC, in «Sicilia del Popolo», 25 aprile 1958.
195 Lanciata una sfida ai DC Lima e Cacopardo, in «La Voce della Sicilia», 5 maggio 1958.
196 E. Scalfari, Chi comanda in Italia?, in «L’Espresso»; L’assalto allo Stato, in «Il Mondo», 11-13 maggio 1958.
197 L’on. Fanfani segretario politico della DC ha pronunziato l’annunciato discorso a Palermo, in «Giornale di Sicilia»; Mario Farinella, Clamorosa protesta di Palermo durante il comizio di Fanfani, in «L’Ora», 16 maggio 1958.
198 Ugo Ugolini, Modugno querela la DC, in «L’Ora», 21 maggio 1958. La DC parodiava così la canzone vincitrice del Festival di Sanremo: «Penso che un tempo così / non ritorni mai più / Se non votiamo lo scudo / dipinto nel blu / Che tutto il bene che abbiamo / verrebbe abolito / Da chi di falce e martello / si è sempre servito... Votare… sì, sì… / Votare… per la DC / lo scudo dipinto nel blu / E non ascoltare Palmiro che lo devi votare anche tu! / dice: Ti dono la luna e anche più! / Mentre al mondo pian piano / aiuta a donar schiavitù / E con la lusinga vorrebbe / il tuo voto per sé…Votare… sì, sì… / Votare… per la DC / lo scudo dipinto nel blu / lo devi votare anche tu!».
199 Sulle elezioni cfr. P. Pombeni, Partiti e sistemi politici nella storia contemporanea. 1830-1968, il Mulino, Bologna 1994, p. 518. Per le tabelle cfr. M. S. Piretti, Le elezioni politiche in Italia dal 1848 a oggi, Laterza, Roma-Bari 1996, p. 433.
200 ACS, MI Gab. 1957-1960, Elezioni politiche 1958, b. 415, f. voti di preferenza.
201 Lima sindaco? È un po’ troppo…, in «L’Ora», 6 giugno 1958.
202 ASMPa, DCC, Elezione del sindaco, 7 giugno 1958.
203 O. Cancila, Palermo, cit., p. 292.
204 F. Malgeri, Storia della Democrazia cristiana, cit., III, pp. 146-153.
205 Delusione e disappunto negli ambienti regionali, in «L’Ora», 2 luglio 1958.
206 Sull’Alta corte e sui difficili rapporti Stato-Regione cfr. R. Menighetti - F. Nicastro, Franco Restivo, cit., pp. 195-241.
207 Sulla linea confindustriale al Sud negli anni Cinquanta, in generale, cfr. Anna Lucia Denitto, Confindustria e Mezzogiorno (1950-1958), Congedo, Lecce 2001; sul caso Sicindustria cfr. Nino Amadore, L’eretico. Mimì La Cavera un liberale contro la razza padrona, Rubbettino, Soveria Mannelli 2012.
208 V. Nisticò, Diabolicum perseverare, in «L’Ora», 1° ottobre 1958.
209 C. Pumilia, La Sicilia al tempo della Democrazia cristiana, cit., p. 38.
210 ARS, Leg. III, Resoconti parlamentari, 23 ottobre 1958, pp. 4863-4873.
211 Fin da giovane attivista del Partito popolare di Caltagirone, Milazzo aveva frequentato il liceo con Scelba. Durante il fascismo era sfuggito all’esilio andando a presiedere la cassa di San Giacomo, una banca di credito agrario fondata da don Sturzo. Nel 1947 era stato segretario della DC catanese, poi, eletto deputato regionale, era stato assessore ai LL.PP. e all’Agricoltura. Cfr. Felice Chilanti, Chi è Milazzo. Mezzo barone e mezzo villano, Parenti, Firenze 1959.
212 Enzo Passiglia, Sicilia ’58. Nascita e declino del milazzismo e dei cristianosociali, Acropoli, Palermo 2006, pp. 27-30.
213 A. Fanfani, Diari, cit., p. 385.
214 Giuseppe Petralia, Ibrida coalizione nel governo regionale, in «Voce Cattolica», 7 novembre 1958. Sull’anticomunismo di Ruffini cfr. Francesco Michele Stabile, I consoli di Dio. Vescovi e politica in Sicilia, 1953-1963, Sciascia, Caltanissetta 1999, pp. 245 sgg.
215 Manlio Del Bosco, Roma ha paura di Caltagirone, in «L’Espresso», 9 novembre 1958.
216 A. Damilano, Atti e documenti della Democrazia cristiana, cit., I, pp. 968-975; F. Malgeri, Storia della Democrazia cristiana, cit., III, pp. 168-173.
217 Rosario Battaglia - Michela D’Angelo - Santi Fedele (a cura di), Il Milazzismo. La Sicilia nella crisi del centrismo, atti del Convegno organizzato dalla sezione di Messina dell’Istituto socialista di studi storici, Messina, marzo 1979, pp. 99-106.
218 Emanuele Macaluso, I comunisti e la Sicilia, Editori riuniti, Roma 1970, p. 109.
219 Alberto Spampinato, Operazione Milazzo. Cronaca della rivolta siciliana del 1958, Flaccovio, Palermo 1979. Pignatone era deputato alla Camera nelle prime due legislature. Non rieletto nel 1958, per la difficoltà di sopravvivere alla lotta tra Alessi e Volpe nello scudocrociato nisseno, passava all’USCS, di cui diveniva segretario (1959-1963). Tornato nella DC al termine del milazzismo, veniva nominato presidente dell’ESPI. Per i suoi scritti cfr. Nella crisi dell’autonomia siciliana e del cattolicesimo politico. Testi da L’Unione Siciliana (1959-1961), Centro studi A. Cammarata, San Cataldo 1994.
220 Pasquale Hamel, Dalla crisi del centrismo all’esperienza milazzista (1956-1959). Cronaca della terza legislatura dell’Assemblea regionale Siciliana, Vittorietti, Palermo 1978; Da Nazione a Regione. Storia e cronaca dell’autonomia regionale siciliana (1947-67), Sciascia, Caltanissetta 1984.
221 D. Grammatico, La rivolta siciliana del 1958. Il primo governo Milazzo, Sellerio, Palermo 1996.
Vincenzo Cassarà, Salvo Lima. L’anello di congiunzione tra mafia e politica (1928-1992), Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Firenze, 2019