Pagine

Visualizzazione post con etichetta Antibes. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Antibes. Mostra tutti i post

martedì 27 giugno 2023

La controversa realizzazione ad Antibes della villa dello scultore parigino André Bloc

Immagine * pubblicata in Francesco Testa, Op. cit. infra

Nel 1959, André Bloc pubblica un articolo sulla casa sperimentale di Antibes, l’incipit del testo rileva quanto la collocazione dell’edificio sia uno dei punti chiave dell’esito progettuale: «L’emplacement exceptionnel dont bénéficie cette habitation a déterminé le parti architectural. Elle occupe, en effet, au point haut du cap d’Antibes, un site rocheux dominant la mer dans trois directions. La végétation est caractéristique des côtes méditerranéennes: buissons bas serpentant entre les rochers et quelques pins maritimes». <1
 

Immagine * pubblicata in Francesco Testa, Op. cit. infra

Si capisce quindi come il sistema orografico generi l’assetto compositivo della casa e il suo posizionamento nel lotto: la casa si trova nella parte superiore della parcella, quella che gode della vista e dell’esposizione migliore, nonostante questa collocazione richieda grande impegno sotto il profilo costruttivo. Il suo rapporto col contesto è cruciale; è l’esito di una lettura critica e di una risposta moderna del luogo. Questi presupposti originano un progetto tutt’altro che timido e convenzionale, l’edificio non è mimetizzato nel declivio e non è realizzato con i materiali tipici del linguaggio vernacolare della Costa Azzurra: il tema del rapporto della casa col paesaggio è risolto riducendo al minimo i punti di contatto con il suolo il cui assetto viene minimamente alterato.
 

Immagine * pubblicata in Francesco Testa, Op. cit. infra

[...] I presupposti sulla complessità edificatoria sono chiari, ma nell’ottobre del 1959 la casa era ancora sulla carta, un’idea ambiziosa libera dai molti aspetti pratici che inaspriranno le difficoltà oggettive già chiare fin dalle premesse. Infatti, la realizzazione del progetto della casa sperimentale di André Bloc a Cap di Antibes richiese, fra operazioni progettuali ed edificatorie, circa 7 anni. La pratica si chiuse con l’ottenimento del certificato di agibilità il 16 dicembre del 1966, dopo un iter avviato con la richiesta del permesso di costruire depositata il 21 dicembre 1959.
Fra tutti gli elementi di difficoltà che contribuirono al compimento del progetto rilevano in modo significativo l’ostilità dell’amministrazione e la stratificazione delle norme che insistevano sul lotto. Infatti, la procedura ebbe differenti livelli di complessità sia dal punto di vista della prassi amministrativa sia dal punto di vista della realizzazione pratica del manufatto. In entrambi i casi le difficoltà trovavano le proprie ragioni nel contesto sul quale, oltre alla già citata complessità orografica, insisteva il vincolo paesaggistico. <3
[...] Il dibattito sull’architettura domestica in quell’epoca era centrale, tutti gli architetti vi si confrontavano e le ville rappresentavano un naturale laboratorio operativo di sperimentazione formale. Per le proprie caratteristiche climatiche e di bellezza naturale la Costa Azzurra fu un luogo nel quale sorgevano molte ville e divenne dunque emblematico polo di confronto sul tema.
[...] Rispetto al repertorio compositivo, le referenze che definivano il tipo dell’architettura tradizionale della Costa Azzurra erano quelle legittimate storicamente dall’esperienza borghese e dal gusto classico sia nelle dimore urbane sia nelle ville di campagna. Questa posizione culturale produsse esperienze progettuali che si sostanziavano della cultura tradizionale e attingevano i motivi formali dalla narrativa pittoresca. Vasto era il catalogo di elementi architettonici disegnati nel dettaglio e che fungevano da dispositivi che favorivano la fedeltà nei fatti formali e nei rapporti funzionali fra interno ed esterno: portici, pergola, portici sugli esterni o, per esempio, il soggiorno ampio e doppia altezza all’interno. Seppure il campo dei riferimenti formali attingesse dall’area culturale classica del mediterraneo - prime fra tutte quella ellenica e, di conseguenza, quella legata alla civiltà romana - la produzione rivierasca esprime la volontà di alterare i suoi modelli rifiutando di limitarsi allo stadio dell’imitazione.
[...] La combinazione della maglia complessa del sistema normativo e paesaggistico e dell’ostilità dell’amministrazione pubblica produsse una licenza edilizia dal percorso progettuale molto travagliato che sortì un esito provvisto di molte riserve. Nonostante ciò, il cantiere ebbe inizio, la realizzazione dell’opera è stata seguita da Jean Heams, ingegnere con lo studio a Nizza, nel ruolo di Direttore dei Lavori.
Come prima cosa venne realizzato lo scheletro dell’edificio. Quest’azione produsse una verifica a grandezza naturale delle ipotesi progettuali e Bloc intervenne in prima persona rilevando la opportunità di modificare le quote d’imposta dei solai sollevandole. Alla base di questa riflessione stavano due ordini di ragioni: favorire la vista mare e produrre una migliore proporzione fra i volumi - quello basamentale e quello sommitale - mediante una ridefinizione
dell’interpiano vuoto fra i due. Era solo l’inizio dell’opera ed il meccanismo era chiaro: il cantiere serviva a riscontrare le ipotesi fatte a tavolino. La realizzazione di ciascuno degli elementi costitutivi della villa era una sorta di piccola sfida tecnica, alle difficoltà oggettive si sommarono le esigenze dettate dai requisiti imposti da Bloc nella duplice veste di committente e conseille plasticien che complicano ulteriormente il compito dell’ingegnere nizzardo.
[...] Il processo di progettazione e costruzione di questo edificio, proprio per la sua natura sperimentale voluta da André Bloc, fu complesso anche tal punto di vista tecnico e fu necessario un processo di revisione complessiva del sistema strutturale dell’abitazione in più riprese. Lo stesso Claude Parent sostenne che « contrariamente alle apparenze, tutto era complicato in questo progetto, in particolare la scala a sbalzo che nessuno sembrava essere in grado di calcolare davvero». Per questo Bloc si rivolse, in prima battuta, ad un ingegnere ritenuto fra i più brillanti dell’epoca Serge Ketoff. Lo strutturista, temendo che le inesattezze delle valutazioni fatte al tavolino potessero essere potenziale causa di problemi statici, con conseguenti ripercussioni sulla propria credibilità professionale mentre era all’apice della sua carriera, chiese a Bloc di poter far realizzare un modello in scala 1/10, per poter
verificare anche sperimentalmente i meccanismi più critici.
Le ragioni di costo prevalsero. Bloc non accettò la proposta dell’ingegnere, che avrebbe avuto un costo difficilmente ammortizzabile nell’economia di un pezzo unico, e decise di muoversi in autonomia realizzando in proprio la scala ripercorrendo la strada che aveva adottato in precedenza nella sua proprietà di Meudon quando costruì la casa del guardiano con l’aiuto di specialisti selezionati ad hoc per la scala d’accesso al primo piano del piccolo edificio (anch’essa con gradini a sbalzo dal muro di perimetro). L’esperimento statico, complici alcuni accorgimenti non prestati durante la realizzazione dell’intero sistema strutturale che sembravano migliorativi sotto il profilo compositivo, non fu un pienamente un successo e in fase di verifica, l’ente di controllo (Socotec) rilevò delle carenze rispetto al controventamento generale e ai collegamenti del piano superiore alla struttura. La priorità data alle scelte plastiche fu una valutazione consapevole e una conseguente di assunzione di rischi, il rapporto tra equilibrio costruttivo ed equilibrio plastico fu cercato come in scultura, seppure qui la scala fosse quella architettonica. La soluzione finale è stata la sintesi di una logica di equilibrio che ha portato alla realizzazione di un telaio di fatto articolato e tutte le soluzioni tecniche ardite per realizzare le quali Bloc fu costretto a nominare dei consulenti tecnici; selezionò lo studio parigino CETAC7 (Cabinet d’études techniques d’architecture et de construction) che condusse lo scultore nella revisione del progetto fino al perfezionamento delle caratteristiche strutturali.
Réne Sarger, architetto capo dello studio, con Miroslav Kostanjevac, ingegnere strutturista, si occupò di fare le verifiche in situ per valutare lo stato dell’arte riguardo alla stabilità dell’edificio.
Per quanto riguarda l’impianto generale, fu rimarcato come il grande baldacchino apicale, che coronava l’edificio nella sua versione originaria, costituisse una rigida cornice alla sommità delle quattro colonne dei portici. La sua rimozione ebbe, in termini generali di rigidezza, un grande impatto al punto che gli strutturisti osservarono come questa operazione, da sola, mise in discussione la stabilità dell’intero dispositivo strutturale.
Identica fu la reazione rispetto all’assenza di collegamenti diretti tra i due piani dello spazio abitativo della struttura che si trovava “sospesa come una campana” completamente priva di fissaggi rigidi ai traversi.
[...] Lo studio parigino compì il proprio dovere predisponendo delle prescrizioni derivate dalle indagini condotte prima in cantiere poi in fase di rielaborazione dei calcoli, queste riguardarono principalmente: l’aggiunta di elementi di irrigidimento sia orizzontali sia verticali, l’inserimento di controventi a croce e la realizzazione di elementi di miglioramento dei fissaggi fra le componenti strutturali.
Anche a questa soluzione finale si giungerà soltanto dopo un dibattito piuttosto articolato e, riguardo alle scelte tecniche definite, fu lo stesso Bloc a scrivere una nota tecnica agli strutturisti nella quale riassume gli interventi di messa in sicurezza  [...]
La soluzione adottata fino a quel momento aveva privilegiato la plastica rispetto ai regolamenti tecnici: il rifiuto di qualsiasi controventatura diagonale e di qualsiasi grande tassello di fissaggio (Bloc pretese che le chiodature fossero saldate alle ali delle travi e che le testa dei chiodi fossero molate affinché rimanessero invisibili) dovette scendere al compromesso di ancorare la struttura direttamente alla roccia tramite una passerella, la soluzione per quanto compromissoria rende praticamente la funzione statica della passerella in forza della sua posizione totalmente a monte e della sua esilità.
[...] Concluse le già impegnative operazioni di consolidamento e messa in sicurezza dell’edificio dal punto di vista statico, i problemi non si esaurirono ed il cantiere, finì nel mirino dell’amministrazione locale che, nell’ottobre del 1960, per mano dello stesso sindaco di Antibes scrisse al dirigente regionale all’urbanistica affinché fermasse i lavori basando la sua richiesta su tre motivazioni:
1. Il progetto non era stato inviato alla commissione edilizia locale
2. L’altezza della facciata realizzata è superiore a quella autorizzata
3. Contrariamente a quanto prescritto il progetto sarà difficilmente assimilabile al contesto paesaggistico.
Il braccio di ferro fra progettisti e amministrazione durò altri 5 anni, fino al 1965, producendo una serie di inasprimenti dei rapporti di Bloc con il sindaco anche in ragione di alcune decisioni che lo scultore parigino, grazie alle proprie connessioni a livello centrale, fece cadere dall’alto sul governatore locale. Bloc ebbe anche problemi di vicinato in relazione alla presunzione del fatto che l’edificio superasse i dieci metri di altezza previsti dai Regolamenti: sul tema vi fu una causa che al secondo grado di giudizio si concluse in favore di Bloc.
[...] Come tutti gli elementi della villa, anche le pareti esterne del piano superiore sono disegnate per essere flessibili anche dal punto di vista tecnologico, l’intento dei dettagli è quello di neutralizzare i fenomeni deformativi sospendendo superiormente le paratie che sono condotte lungo il perimetro dalla guida inferiore da motorizzazioni elettriche. I pochi cassoni opachi che permettono di accogliere e mimetizzare i frangisole di alluminio nella configurazione completamente aperta.
Le due grandi superfici orizzontali sono dapprima trattate come piani astratti, strumento compositivo tipico del repertorio di Mies Van der Rohe, anche l’uso cromatico delle tinte primarie è un rimando evidente ai dettami dell’architettura moderna e dei suoi maestri: per il pavimento fu selezionato un linoleum giallo intenso e per i telai un blu. La forza conferita al volume dalla definizione di questi piani consolida l’effetto di trasparenza e totale apertura verso la natura conseguito dall’uso di pareti completamente vetrate. L’obiettivo è evidentemente quello di superare i riferimenti che pure rimangono chiari nei principi, rimane esplicito oltre a quelli compositivi già citati il nesso con le esperienze dei maestri americani fra tutte la Glass House e Farnsworth House, di trasferire la sensazione di fusione con l’ambiente circostante nella prospettiva interno-esterno che si apre sia sugli elementi costruiti esterni ai volumi abitatici come la scala e il portico sia sull’ambiente circostante che si propone in una doppia lettura di crinale roccioso in primo piano e di orizzonte marino sullo sfondo.
Tutte le viste intermedie sono caratterizzate dalla sensazione di vertigine alla quale contribuisce la sospensione dei volumi e la leggerezza dei sistemi di protezione verso il vuoto, che quando le lamiere scorrevoli a tutt’altezza sono impacchettate in un angolo, è costituita da un semplice corrente orizzontale disposto a 1/3 dell’altezza d’interpiano.
 

Immagine * pubblicata in Francesco Testa, Op. cit. infra

[...] La porzione di mobili disegnata si limita a due elementi: un mobile-spina composto da un semplice parallelepipedo che separa due sottospazi del vano principale l’allestimento della cucina composto da un piano di lavoro minimalista, fissato ad un tramezzo da un lato e appoggiato su un solo piede dall’altro. Gli arredi commerciali sono ridotti al minimo indispensabile al momento della consegna dell’edificio, ed erano progettati dal designer giapponese Sori Yanagi nel 1954, fra tutti il più famoso è lo sgabello Butterfly il quale faceva parte di una collezione che Bloc pubblicò su l’Architecture d’Aujourd’hui. La selezione dei colori utilizzati per le superfici principali e per le parti strututrali si basa sulla selezione elementare neoplastica che si distingue nettamente dalle scelte cromatiche [...]
 

Immagine * pubblicata in Francesco Testa, Op. cit. infra

Le linee astratte degli elementi strutturali si moltiplicano visivamente lo spazio verso l’esterno. La scelta dei colori contraddistingue la struttura dei portici i cui i profili sono dipinti di un profondo grigio acciaio blu all’esterno e di un rosso brillante all’interno delle cavità dell’H.
Il pianoro, gli spazi abitativi e la scala sono trattati in una sottile gamma di luce tonica grigi che consente alle strutture del cemento di abbinarsi a quelle dell’acciaio verniciato e dell’alluminio utilizzato nelle parti scorrevoli.
 

Immagine * pubblicata in Francesco Testa, Op. cit. infra

[NOTE]
1. Habitation expérimentale au cap d’Antibes: conception architecturale d’André Bloc et Claude Parent ; René Sarger, ingénieur, L’Architecture d’aujourd’hui, n°86, oct.-nov.
1959
3. La casa verrà poi iscritta nel registro dei beni con vincolo puntuale il 16/11/1989, questa la descrizione riportata sulla scheda dedicata sulla pagina web del ministero della cultura francese: “Maison de vacances construite en 1961 par l’architecte Claude Parent pour André Bloc, architecte, peintre et sculpteur et fondateur en 1930 de la revue L’Architecture d’Aujourd’hui. Cette “maison expérimentale” est caractérisée par sa mise en œuvre des produits de la sidérurgie moderne. Le commanditaire collabore avec l’architecte, notamment pour la conception de l’escalier extérieur.” Fonte

 

Immagine * pubblicata in Francesco Testa, Op. cit. infra

Francesco Testa, Fenomenologia del tradimento. Storie di committenti, architetti e delle loro case, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Genova, Anno Accademico 2021-2022
* Casa Sperimentale a Cap d’Antibes, Claude Parent e André Bloc. Foto: Gilles Ehrmann. Fonte: Fond Andre Bloc, Bibliothèque Kandinsky MNAM-CCI Centre Pompidou, Paris

mercoledì 11 agosto 2021

Pastonchi trova posto in antologie straniere di poesia italiana moderna

Francesco Pastonchi - Fonte: Wikipedia

Il 24 giugno 1933 Alessandro Pellegrini <1 scrive a Vjačeslav Ivanov che il poeta ligure Francesco Pastonchi scriverebbe “forse” per il numero speciale del “Convegno” a lui dedicato “alcune pagine, quasi un ritratto, impressioni personali” tratte dalle loro conversazioni. Le pagine di Pastonchi su Ivanov non sono mai state pubblicate e, probabilmente, neanche mai scritte; tutto ciò che rimane dell’incontro di queste due figure sono quattro lettere di Pastonchi conservate all’Archivio Romano di Ivanov (RAI) insieme ad una bozza di risposta di quest’ultimo, che coprono un arco temporale dal 1932 al 1935.
Se non possiamo avvalerci delle “impressioni” di Pastonchi su Ivanov per capire quanto i due condividessero in ambito artistico, è senz’altro utile tracciare il ritratto di Pastonchi per scoprire quali ruoli abbia rappresentato nel panorama letterario italiano della prima metà del XX secolo.
Giuseppe Francesco Flaminio Pastonchi nasce nel 1874 a Riva Ligure, <2 ma - pur restando sempre affettivamente e culturalmente legato alla terra natia - deve la sua formazione all’ambiente intellettuale della Torino dell’ultimo decennio dell’Ottocento. Qui frequenta la facoltà di Lettere sotto la guida di Arturo Graf (1848-1913) e diventa presto noto per l’abitudine di declamare in pubblico versi propri e altrui; conosce altri protagonisti della scena letteraria italiana come Giovanni Cena, Ferdinando Neri, Giulio Bertoni, Massimo Bontempelli <3 e nasce in lui “l’amore per la forma definita” in poesia, <4 ovvero per quella ricercatezza metrica che sarà sempre il suo vero tratto distintivo: <5 'gli interessava esclusivamente un ideale carducciano (e dannunziano) di far della poesia una pratica, né estetica né filosofica, ma metrica e linguistica: una pratica che quasi si risolve tutta nella parola, scelta e collocata là dove il “numero” la dispone'. <6
Appena diciottenne pubblica una prima raccolta di poesie intitolata Saffiche (1892); questo lavoro, le tre canzoni A mia madre (1900) e la poesia civica delle odi Italiche (1903) sono considerati “esercizi di buona scuola carducciana”, mentre La Giostra d’Amore e le Canzoni (1893-1895), <7 definite anni dopo da Pastonchi stesso “saggi metrici”, <8 risentono dell’influenza dei dannunziani Isotteo, Intermezzo e Chimera, sebbene vi sia poco di veramente “preraffaellita” e “stilnovista”. <9
Una delle migliori prove di quella che viene definita la ‘prima stagione lirica’ di Pastonchi sono sicuramente i sonetti di Belfonte (1903), salutati dal critico e scrittore Ugo Ojetti (1871-1946) come uno splendido esempio di “italianità”, perché scritti in quella che è la forma “più precisa, più singolare, più perfetta” e “più eterna” della poesia italiana, appunto il sonetto, rispetto alle “novità vandaliche” dei poeti dell’inizio Novecento. <10
Pensieri intimi, quelli di Belfonte, fusi a paesaggi italici, in particolare di montagna, una lotta tra io “randagio” e “fraternità universale”, cui seguono due anni dopo le limpide liriche di Sul limite dell’ombra (1905). Qui “come pochi suoi contemporanei” Pastonchi si lascia “incantare dall’abbagliante e transitorio fascino dell’impressionismo”, <11 per poi tacere qualche anno e riapparire con la meno riuscita raccolta Il pilota dorme (1913), influenzata stavolta dal più giovane Guido Gozzano (1883-1916). <12
Con queste raccolte Pastonchi trova posto in antologie straniere di poesia italiana moderna insieme ai grandi poeti cui si ispirava (Carducci, Pascoli, d’Annunzio) e ad Antonio Fogazzaro (1842-1911), Arturo Graf e Corrado Govoni (1884-1965); <13 rappresenta l’Italia con Pascoli, d’Annunzio e pochi altri in manuali di poesia contemporanea accanto a Poe, Swinburne, Mallarmé, Verlaine, Rimbaud e Claudel. <14
Oltre che poeta, Pastonchi è attivo critico letterario e saggista fin dagli anni Novanta del XIX secolo sulle pagine di giornali e riviste. Collaboratore costante, dal 1901 fino alla morte, del “Corriere della Sera”, è anche fondatore di periodici di arte e letteratura quali “Il Piemonte” (1903) e “Il Campo” (1904-1905). Per il suo impegno di giornalista e scrittore trascorre quasi tutta l’esistenza negli ambienti intellettuali di Torino e Milano, ama talora allontanarsi dalla città per riposare in località meno mondane o nei piccoli paesi della nativa Riviera.
È proprio nell’amata Liguria che il poeta ha contatti con la folta colonia russa, avendo modo di frequentare la famiglia del cugino, il deputato sanremese Paolo Manuel-Gismondi, che sposa nel 1927 la pittrice Anna Svedomskaja. <15
Nei dintorni di Antibes incontra il granduca Dmitrij Pavlovič Romanov (1891-1942), complice nell’omicidio di Rasputin del principe Feliks Jusupov (1887-1967), <16 e Sergej Djagilev (1872-1929) durante le tournées dei Ballets Russes a Monte Carlo, nella villa del noto medico Sergej Voronov. <17
Gli amici russi insistono spesso perché il poeta parli loro di Gabriele d’Annunzio, avendo avuto la fortuna di conoscerlo di persona. <18
Pastonchi diventa così famoso per le sue frequentazioni mondane e per essere riuscito, fin dai primi anni del Novecento, a crearsi un nutrito seguito, 'dovuto all’abile costruzione del personaggio, che oltre alla nota eleganza e alla posizione di prestigio di critico del “Corriere”, aveva per sale e salotti d’Italia grande successo come dicitore di poesia, da Dante a se stesso. L’attenzione al “nuovo” aveva precocemente reso il giovane Francesco esperto di comunicazione (…) rispetto al protagonismo tribunizio del maestro avverso Gabriele'. <19 [...]
1 Alessandro Pellegrini (1897-1985), germanista, francesista, scrittore, saggista e traduttore. Estimatore del pensiero di Ivanov, di cui legge alcune opere in tedesco già negli anni Venti, decide di pubblicare un numero monografico su di lui sulla rivista “Il Convegno”, della quale è creatore e redattore.
2 Notizie sulla vita di Pastonchi sono pubblicate in Francesco Pastonchi, un ligure accademico d'Italia. Biografia, ricordi del poeta, brani scelti di prosa e poesia, a cura di B. M. Gandolfo, Sanremo, Tipolito La Commerciale, 1998; M. Pardini, Francesco Pastonchi: un percorso biografico, “La riviera ligure. Quadrimestrale della Fondazione Mario Novaro”, 2005, n. 48, pp. 43-60; P. Rachetto, Francesco Pastonchi (il poeta), Torino, Petrini, 1952.
3 Giovanni Cena (1870-1917), poeta, prosatore e critico, redattore di “Nuova Antologia”, rivista fiorentina di letteratura, arti e scienze dal 1902 fino alla morte; Ferdinando Neri (1880-1954), francesista, critico letterario, presidente dell’Accademia delle Scienze di Torino, direttore di importanti periodici di letteratura come il torinese “Giornale storico della letteratura italiana” e il romano “La Cultura” (1928-1936); Giulio Bertoni (1878-1942), filologo, critico e linguista, direttore della sezione di Linguistica della Enciclopedia italiana dal 1925 al 1937, presidente dell’Accademia d’Italia; Massimo Bontempelli (1878-1960), scrittore, critico e drammaturgo, ideatore del “realismo magico” italiano.
4 U. Ojetti, Cose viste, Firenze, Sansoni, 1951, p. 784.
5 M. Guglielminetti, Francesco Pastonchi poeta, in La Musa subalpina. Amalia e Guido, Pastonchi e Pitigrilli, a cura di M. Masoero, Firenze, Olschki, 2007, p. 43.
6 Ivi, p. 38.
7 La Giostra d’amore è divisa in sette cicli “in onore” di altrettanti personaggi femminili, mentre le Canzoni sono divise in Canzoni libere, Sestine e Ballate. L’impianto è di ispirazione medievale e il richiamo a Dante si esplicita in un componimento intitolato La vita nuova.
8 Cf. U. Ojetti, Cose viste, cit., p. 784.
9 M. Guglielminetti, Francesco Pastonchi poeta, cit., pp. 41-42.
10 U. Ojetti, I sonetti di Francesco Pastonchi, “Fanfulla della Domenica”, XXV, 27, 5 luglio 1903.
11 F. Olivero, Studies in Modern Poetry, London, Milford, 1921, p. 251.
12 M. Guglielminetti, Francesco Pastonchi poeta, cit., p. 43. Cf. anche M. Guglielminetti, Pastonchi e Gozzano, in La Musa subalpina. Amalia e Guido, Pastonchi e Pitigrilli, cit., pp. 349-363. Pastonchi dedica a Gozzano il saggio Il terzo Guido, in F. Pastonchi, Ponti sul tempo, Milano, Mondadori, 1947, pp. 141-171.
13 Cf. Cambridge Readings in Italian Literature, edited by E. Bullough, Cambridge, Cambridge University Press, 1920.
14 Cf. F. Olivero, Studies in Modern Poetry,  cit.                                                                                          15 Anna Aleksandrovna Svedomskaja (1898-1973), figlia del pittore Aleksandr Svedomskij (1848-1911), frequenta l’Italia fin da bambina. Studia disegno e scultura a Mosca, trasferendosi in Italia dopo la rivoluzione. Vive dal 1925 a Sanremo, dove espone le sue opere tra gli anni Venti e Trenta. Cf. la nota biografica in www.russinitalia.it.
16 F. Pastonchi, Danzò e piacque, in Ponti sul tempo, cit., pp. 253-260.
17 Sergej Abramovič Voronov (1866-1951), chirurgo e scienziato russo emigrato in Francia. Acquista nel 1925 una spaziosa villa a Grimaldi, frazione di Ventimiglia.
18 F. Pastonchi, Colazione con Voronoff, in Ponti sul tempo, cit., pp. 69-79.
19 S. Verdino, Ascolto di Pastonchi, in Pastonchi, ricordo di un poeta ligure (Atti del Convegno di Riva Ligure e Sanremo, 5-6 dicembre 1997), a cura di G. Bertone, Novara, Interlinea, 1999, pp. 66-67.
Giuseppina Giuliano, Il Sole, “signore del limite”. Lettere di Francesco Pastonchi a Vjačeslav Ivanov in Archivio Russo-Italiano VIII - Russko-ital’janskij Archiv VIII, Pag.105-139, Salerno, Europa Orientalis, 2011 

Già Pastonchi, all’indomani della pubblicazione della Via del rifugio, aveva esortato il giovane Gozzano a ricercare la propria voce e a liberarsi dalle fonti francesi, quelle che più spiccavano all’orecchio dei contemporanei, più ancora di d’Annunzio che aveva emanato tanto della propria personalità da essere difficilmente riconoscibile. Ma il critico <2 non sapeva che ancor prima di lui, a separare l’originalità dell’oro dall’argento del plagio, ci aveva  pensato Mario Vugliano <3, che eliminò dal fascio di poesie pronte per l’Editore Streglio, quelle in cui il magistero dannunziano era troppo invadente, per lasciare spazio a quel mazzetto di poesie intitolato La via del rifugio.
2 F. Pastonchi, in Primavera di poesia, in <<Corriere della sera>>, 10 giugno 1907, parla soprattutto di Jammes e conclude che Gozzano dovrebbe: <<liberarsi da certe coloriture [...] da influenze che ne alterano l’organismo e lo dispongono a imitazioni>>
3  Carlo Calcaterra, in Con Guido Gozzano e altri poeti, Bologna, Zanichelli, 1944, narra l’episodio della “censura” di Mario Vugliano: <<Così nel 1907 apparve smilza smilza la prima sua raccolta di rime. La via del rifugio, senza Il frutteto, senza il sonetto L’antenata, senza i versi al Bontempelli, senza L’altana, senza i sonetti Domani e altri componimenti>>, pp. 27 e 28

Sara Calì, Gozzano tra D'Annunzio e Pascoli. Legami intertestuali, Tesi di Laurea, Università degli Studi "Roma Tre", Ciclo XXII

Pastonchi Francesco: 26 L, 30 C. Carteggio 1920-1951.
Pastonchi legge di UB soprattutto gli scritti d’arte e i Precetti ai pittori. I due condividono l’amicizia con Papini, Soffici, Linati. Alla morte dell’amico, UB pubblica sulla «Provincia» di Como una Lettera in morte di Francesco Pastonchi [029].
L'Archivio Ugo Bernasconi, Carteggi, Manoscritti, Documenti a stampa (1874-1960). Inventario, Carteggi: elenco dei corrispondenti, a cura di Margherita d’Ayala Valva, Edizioni Scuola Normale Superiore Pisa, 2005