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lunedì 5 aprile 2021

Malgrado la fame, il mio peso era sempre di un quintale circa

Giorgio Amendola con la moglie Germaine

Bisognava ora che le posizioni unitarie affermate a Tolosa fossero fatte conoscere in America e fossero approvate dai gruppi antifascisti che vi si trovavano. Ma, soprattutto, bisognava che quelle posizioni fossero fatte conoscere in  Italia.
Attraverso i «legali», ritornati in Italia, ed i rapporti stabiliti con le famiglie di emigrati, copie dell'appello di Tolosa e circolari e lettere redatte nei mesi successivi, durante il 1942, furono inviate in Italia. Dalla corrispondenza inviata dai «legali» ai recapiti concordati appariva che il materiale inviato aveva avuto una certa diffusione e anche che veniva riprodotto. Una ricerca di archivio dovrebbe permettere di tratteggiare la carta delle aree di diffusione del  materiale inviato dalla Francia. È certo che già entro il 1941 in molte località italiane era pervenuta copia dell'appello di Tolosa. È certamente da deplorare la circostanza che, invece, copia dell'appello sia pervenuta al compagno Massola soltanto nell'estate del '42. Questo ritardo nel collegamento tra il centro estero e il centro interno non mancherà di provocare molti dannosi equivoci. Credo che, per quanto ridotta l'area di diffusione dell'appello di Tolosa, questo abbia servito a promuovere una certa preparazione politica, che dovrà permettere di accogliere con minore resistenza nel '43, dopo il 25 luglio e l'8 settembre, la linea di unità nazionale promossa dal  partito.
Era necessario tuttavia stabilire in Italia un contatto qualificato con gli esponenti antifascisti, per fare giungere loro i testi dei documenti approvati dal Comitato di Tolosa, compresa la lettera redatta da Sereni e diretta ai liberal-socialisti (della cui attività e linea politica eravamo stati informati), e per raccogliere notizie sullo stato in cui si trovavano i partiti antifascisti e sulle linee di attività che andavano svolgendo. Pensammo di affidare questo incarico a Gillo Pontecorvo, cugino di Emilio Sereni, che si trovava a Saint Tropez e che allora era per noi soprattutto un giovane simpatico sportivo, e il «fratello del fisico Bruno Pontecorvo». Ma bisognava prepararlo politicamente a compiere la sua missione, e questa fu l'occasione per fare con Germaine dei viaggi in quella magnifica località, allora ancora intatta nella bellezza delle sue spiagge deserte.
A Saint Tropez aveva trovato rifugio uno strano mondo di ìntellettuali francesi e stranieri, che sembravano vivere fuori del tempo e dello spazio, come se la guerra fosse una cosa remota. (Ma a Saint Tropez vi erano anche dei bravi compagni emigrati italiani, tra i quali il proprietario di un noto ristorante, dove aveva trovato rifugio e una base di attività Claudine Pajetta, che intravidi senza avvicinarla perché la consegna era di non conoscerci).
I viaggi a Saint Tropez erano allietati dalla squisita ospitalità di Gillo e di sua moglie Henriette. Quando non c'era nulla da mangiare, c'era sempre la risorsa della pesca subacquea nella quale Gillo era un asso. Il mare era allora  molto pescoso. Gillo si tuffava e tornava con un grosso pesce, per poi rituffarsi e prenderne rapidamente un secondo. Il primo era destinato allo scambio contro generi in natura: pane, olio, pasta. Il secondo veniva arrostito. E saltava  fuori un magnifico pranzo che per noi affamati di Marsiglia rappresentava una grande festa. Ma non fu per questi motivi turistico-gastronomici che la preparazione di Gillo andò per le lunghe. Alla fine, quando egli partì, si era già nell'estate del 1942.
In Italia egli prese contatto con Edoardo Volterra e questi lo presentò a La Malfa e a Tino. Gillo consegnò a  Volterra il materiale che aveva portato con sé e, tornato in Francia, ci portò informazioni dalle quali risultava che in quel  momento, nel settembre '42, alla vigilia di El Alamein e dello sbarco in Africa degli anglo-americani, lo stato di organizzazione dei partiti antifascisti era ancora assolutamente arretrato. In pratica, si era ancora ai primi contatti. I vecchi «popolari» andavano riannodando prudentemente le fila e preparavano i loro «nuovi orientamenti». I vecchi socialisti erano anch'essi alla fase dei radi contatti tra vecchi amici. Era in corso una discussione sul carattere di un partito nuovo in formazione, dove la pregiudiziale repubblicana spingeva dei democratici liberali come La Malfa accanto ai liberal-socialisti in un bell'imbroglio ideologico e politico, mentre altri democratici liberali venivano respinti a destra verso Croce e i conservatori. Queste informazioni, abbastanza deludenti, contrastavano con quelle provenienti dai nostri compagni «legali», attestanti tutte una crescente estensione del malcontento antifascista nelle masse. In particolare veniva segnalata la importanza assunta dal rifiuto dei contadini di obbedire all'ordine di consegna del raccolto all'ammasso. Veniva indicata la crisi crescente del partito fascista, il dilagare di un atteggiamento di indisciplina, di larga e palese violazione delle disposizioni fasciste.
Portai queste notizie a Nenni che, dopo un breve arresto, era stato trasferito dalle autorità francesi da Palade, nei Pirenei, a Le Croizet, un paese di montagna presso la cittadina di Saint Flour nell'Auvergne. In quel periodo (1942) andai più volte a trovare Nenni. Era una zona della vecchia provincia francese verde e fresca, miracolosamente intatta, non colpita dalla guerra né dalle sue conseguenze. Erano per Nenni giorni di grande ansia per la sorte di sua figlia Vittoria, arrestata a Parigi assieme a suo marito.
L'accoglienza della famiglia Nenni fu molto affettuosa e generosa. Il primo problema era sempre quello di trovare il modo di soddisfare la mia fame arretrata. E la signora Carmen, da brava romagnola, riusciva fare anche il miracolo di trovare la farina per fare delle tagliatele, condite con i funghi raccolti nei boschi da Nenni con la mia impacciata partecipazione. Una volta Nenni arrivò a compiere la prodezza sportiva di portarmi, per non farmi perdere il treno, sulla canna della bicicletta fino alla stazione lontana circa dieci chilometri. Malgrado la fame, il mio peso era sempre di un quintale circa.
In quelle visite, oltre alle questioni politiche di attulità, ci imbarcammo in lunghe e interminabili accalorate discussioni, che ci permisero un ampio e libero riesame critico delle vicende sfortunate dell'antifascismo italiano. Fu in quella occasione che conobbi meglio Nenni e strinsi con lui un'amicizia che dura tuttora e che ha resistito a tutti i motivi di gravi dissensi politici maturati nel corso dei travagliati sviluppi della lotta politica italiana.
Giorgio Amendola, Lettere a Milano, Editori Riuniti, 1973, pp. 68-70