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domenica 13 agosto 2023

Le Fiabe sono state dedicate a Raggio di sole, certo, ma non è solo una dedica a R.D.S, una dedica all’amata, è di più


Nell'opera Gli amori difficili sono presenti anche dei racconti che implicitamente contengono dei riferimenti autobiografici alla vita dello stesso Calvino e in particolare alla sua relazione amorosa con l'attrice Elsa de' Giorgi <113, come "L'avventura di un viaggiatore" e "L'avventura di un poeta". Il primo dei due testi ha come protagonista Federico, un uomo che abitualmente compie lunghi viaggi in treno durante la notte per raggiungere Roma, dove vive la fidanzata Cinzia.
Giulia Zanocco, I personaggi femminili nella narrativa di Italo Calvino: stereotipizzazione e complessità, Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, Anno Accademico 2019-2020

Tra il 1956 e il 1958, tra le Fiabe e l’uscita dei Racconti, gli avvenimenti della vita di Calvino sono numerosi: tra questi, l’uscita dal Pci, Il barone rampante, La speculazione edilizia, La nuvola di smog e molti racconti de Gli amori difficili, e si tratta della produzione calviniana più compromessa con l’autobiografia. Vale la pena quindi di fare una preliminare analisi testuale ravvisando i collegamenti tra questi testi e i motivi accennati nei brani delle lettere oltre alle somiglianze tra i personaggi inventati nelle opere e le figure della sua vita. Individuando e interpretando la peculiarità della scrittura calviniana si può dire che si tratta quindi di racconti in cui Calvino rielabora spunti autobiografici e si racconta senza freni, mostrandosi nella più cruda debolezza del suo percorso intellettuale ancora in fieri, pur non assumendosi direttamente la responsabilità del genere mediante l’identità di autore, narratore e protagonista. Se ci domandiamo quindi quanto delle lettere sia stato sviluppato nelle opere e quanto di Calvino sia stato mostrato nelle lettere, in entrambi i casi la risposta è ‘molto’.
Proprio mentre sta lavorando alle Fiabe scrive alcune lettere in cui scende così nel profondo da entrare in crisi sulla sua capacità creativa. Calvino oscilla, per quanto concerne la propria vocazione letteraria, tra momenti di entusiasmo e momenti di sconforto.
"È un momento in cui mi sento più che mai senza prospettive, non so cosa sarà di me (…), ho girato per due giorni per le stanze come una belva in gabbia , convincendomi che nessuna delle idee che ho in testa sono capace a sviluppare in una narrazione. Ho puntato troppo alto, ho disperso le mie forze, ora non ho nemmeno quella mano sicura, quell’inclinazione dell’occhio anche limitata, parziale, che permette a uno scrittore di continuare il mondo, a far piccole scoperte. <115
(…) un fiume quasi secco. Dovrei fare un’operazione coraggiosa: rinunciare decisamente alla narrativa e mettermi a fare solo il saggista, il critico. Ma non ho il coraggio di rinunciare a una strada intrapresa e così non faccio né uno né l’altro; m’impegno in lavori che sono solo degli alibi, come queste Fiabe. Ecco, mi viene fuori solo una lettera triste come questa, e voleva invece essere una lettera per essere più vicino a te, combattere la tristezza degli ostacoli". <116
Lo scrittore si lamenta sul suo “continuo cambiar di genere, dalla fiaba all’autobiografia, dalla secchezza neorealistica all’aura simbolistica” e così le Fiabe inizialmente gli paiono un alibi, si ritrova diviso tra l’esigenza di far critica e una necessità di creazione; solo dopo, con l’impegno assiduo di un anno, il lavoro delle Fiabe lo conquisterà a tal punto da assorbirlo totalmente, tanto da domandarsi: “riuscirò a rimettere i piedi sulla terra?” <117.
Le Fiabe sono state dedicate a Raggio di sole, certo, ma non è solo una dedica a R.D.S, una dedica all’amata, è di più: è un orientamento a nuove tematiche, come l’amore e come la bellezza, delle quali non aveva sentito un richiamo così forte fino ad ora. È proprio nel mezzo di questo cambiamento che si inserisce una polemica di Calvino contro il disinteresse nei confronti valore estetico da parte di uno studio critico, talvolta troppo altero e lontano dal riconoscere un istinto archetipico nell’uomo che lo porta ad avere esigenza, da sempre, di inserire il reale all’interno di una cornice fantastica. È una logica antica, eterna e perduta che l’uomo moderno ha estrema necessità di riscoprire e recuperare. Calvino tratteggia i limiti e i doveri di chi dovrebbe fare la letteratura e su come si dovrebbe farla e da dei consigli efficaci sulla “retorica” del saggista-conferenziere sulla necessità di:
"(…) nascondere tutto l'apparato libresco, e far parere che tutti i giudizi, gli aforismi, i paradossi ti vengano fuori come fischiettando (…). Questa è l'arte dei saggisti "artisti", dei pensatori d'ingegno e di stile, e quel che li distingue dal professorone, il quale invece per ogni ideuzza scomoda mezza storia della filosofia (…) <118
Mi piacerebbe riflettere, cosa che tutti questi professori non fanno, sul perché della fortuna di certi motivi, sul perché si affondano più in certi luoghi che in certi altri, cioè sulle ragioni prime della poesia, del bisogno poetico e fantastico degli uomini. L’indifferenza al fatto estetico da parte di questi studiosi mi pare il più grande limite delle ricerche di questo tipo". <119
[NOTE]
115 “cara Paloma, il mio Visconte è un libro freddo, meccanico”: le idee, le crisi, gli errori dello scrittore Calvino nelle lettere a Elsa de’ Giorgi di Paolo Di Stefano del 11/08/2004
116 M. Corti, Un eccezionale epistolario d’amore in Vuoti del tempo, Bompiani, Milano 2003 p.144 (contenuto anche in G. Bertone, Italo Calvino: a Writer for the Next Millennium. Atti del Convegno Internazionale di Studi)
117 Introduzione alle Fiabe in I. Calvino, Fiabe Italiane, raccolte dalla tradizione popolare durante gli ultimi cento anni e trascritte in lingua dai vari dialetti da Italo Calvino, Einaudi, Torino 1956
118 “cara Paloma, il mio Visconte è un libro freddo, meccanico”: le idee, le crisi, gli errori dello scrittore Calvino nelle lettere a Elsa de’ Giorgi di Paolo Di Stefano del 11/08/2004
119 M. Corti, Un eccezionale epistolario d’amore in Vuoti del tempo, Bompiani, Milano 2003 p.145 (contenuto anche in G. Bertone, Italo Calvino: a Writer for the Next Millennium. Atti del Convegno Internazionale di Studi)

Eugenia Petrillo, Italo Calvino ed Elsa De Giorgi: l’itinerario di un carteggio, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Padova, Anno Accademico 2014-2015

lunedì 5 aprile 2021

Malgrado la fame, il mio peso era sempre di un quintale circa

Giorgio Amendola con la moglie Germaine

Bisognava ora che le posizioni unitarie affermate a Tolosa fossero fatte conoscere in America e fossero approvate dai gruppi antifascisti che vi si trovavano. Ma, soprattutto, bisognava che quelle posizioni fossero fatte conoscere in  Italia.
Attraverso i «legali», ritornati in Italia, ed i rapporti stabiliti con le famiglie di emigrati, copie dell'appello di Tolosa e circolari e lettere redatte nei mesi successivi, durante il 1942, furono inviate in Italia. Dalla corrispondenza inviata dai «legali» ai recapiti concordati appariva che il materiale inviato aveva avuto una certa diffusione e anche che veniva riprodotto. Una ricerca di archivio dovrebbe permettere di tratteggiare la carta delle aree di diffusione del  materiale inviato dalla Francia. È certo che già entro il 1941 in molte località italiane era pervenuta copia dell'appello di Tolosa. È certamente da deplorare la circostanza che, invece, copia dell'appello sia pervenuta al compagno Massola soltanto nell'estate del '42. Questo ritardo nel collegamento tra il centro estero e il centro interno non mancherà di provocare molti dannosi equivoci. Credo che, per quanto ridotta l'area di diffusione dell'appello di Tolosa, questo abbia servito a promuovere una certa preparazione politica, che dovrà permettere di accogliere con minore resistenza nel '43, dopo il 25 luglio e l'8 settembre, la linea di unità nazionale promossa dal  partito.
Era necessario tuttavia stabilire in Italia un contatto qualificato con gli esponenti antifascisti, per fare giungere loro i testi dei documenti approvati dal Comitato di Tolosa, compresa la lettera redatta da Sereni e diretta ai liberal-socialisti (della cui attività e linea politica eravamo stati informati), e per raccogliere notizie sullo stato in cui si trovavano i partiti antifascisti e sulle linee di attività che andavano svolgendo. Pensammo di affidare questo incarico a Gillo Pontecorvo, cugino di Emilio Sereni, che si trovava a Saint Tropez e che allora era per noi soprattutto un giovane simpatico sportivo, e il «fratello del fisico Bruno Pontecorvo». Ma bisognava prepararlo politicamente a compiere la sua missione, e questa fu l'occasione per fare con Germaine dei viaggi in quella magnifica località, allora ancora intatta nella bellezza delle sue spiagge deserte.
A Saint Tropez aveva trovato rifugio uno strano mondo di ìntellettuali francesi e stranieri, che sembravano vivere fuori del tempo e dello spazio, come se la guerra fosse una cosa remota. (Ma a Saint Tropez vi erano anche dei bravi compagni emigrati italiani, tra i quali il proprietario di un noto ristorante, dove aveva trovato rifugio e una base di attività Claudine Pajetta, che intravidi senza avvicinarla perché la consegna era di non conoscerci).
I viaggi a Saint Tropez erano allietati dalla squisita ospitalità di Gillo e di sua moglie Henriette. Quando non c'era nulla da mangiare, c'era sempre la risorsa della pesca subacquea nella quale Gillo era un asso. Il mare era allora  molto pescoso. Gillo si tuffava e tornava con un grosso pesce, per poi rituffarsi e prenderne rapidamente un secondo. Il primo era destinato allo scambio contro generi in natura: pane, olio, pasta. Il secondo veniva arrostito. E saltava  fuori un magnifico pranzo che per noi affamati di Marsiglia rappresentava una grande festa. Ma non fu per questi motivi turistico-gastronomici che la preparazione di Gillo andò per le lunghe. Alla fine, quando egli partì, si era già nell'estate del 1942.
In Italia egli prese contatto con Edoardo Volterra e questi lo presentò a La Malfa e a Tino. Gillo consegnò a  Volterra il materiale che aveva portato con sé e, tornato in Francia, ci portò informazioni dalle quali risultava che in quel  momento, nel settembre '42, alla vigilia di El Alamein e dello sbarco in Africa degli anglo-americani, lo stato di organizzazione dei partiti antifascisti era ancora assolutamente arretrato. In pratica, si era ancora ai primi contatti. I vecchi «popolari» andavano riannodando prudentemente le fila e preparavano i loro «nuovi orientamenti». I vecchi socialisti erano anch'essi alla fase dei radi contatti tra vecchi amici. Era in corso una discussione sul carattere di un partito nuovo in formazione, dove la pregiudiziale repubblicana spingeva dei democratici liberali come La Malfa accanto ai liberal-socialisti in un bell'imbroglio ideologico e politico, mentre altri democratici liberali venivano respinti a destra verso Croce e i conservatori. Queste informazioni, abbastanza deludenti, contrastavano con quelle provenienti dai nostri compagni «legali», attestanti tutte una crescente estensione del malcontento antifascista nelle masse. In particolare veniva segnalata la importanza assunta dal rifiuto dei contadini di obbedire all'ordine di consegna del raccolto all'ammasso. Veniva indicata la crisi crescente del partito fascista, il dilagare di un atteggiamento di indisciplina, di larga e palese violazione delle disposizioni fasciste.
Portai queste notizie a Nenni che, dopo un breve arresto, era stato trasferito dalle autorità francesi da Palade, nei Pirenei, a Le Croizet, un paese di montagna presso la cittadina di Saint Flour nell'Auvergne. In quel periodo (1942) andai più volte a trovare Nenni. Era una zona della vecchia provincia francese verde e fresca, miracolosamente intatta, non colpita dalla guerra né dalle sue conseguenze. Erano per Nenni giorni di grande ansia per la sorte di sua figlia Vittoria, arrestata a Parigi assieme a suo marito.
L'accoglienza della famiglia Nenni fu molto affettuosa e generosa. Il primo problema era sempre quello di trovare il modo di soddisfare la mia fame arretrata. E la signora Carmen, da brava romagnola, riusciva fare anche il miracolo di trovare la farina per fare delle tagliatele, condite con i funghi raccolti nei boschi da Nenni con la mia impacciata partecipazione. Una volta Nenni arrivò a compiere la prodezza sportiva di portarmi, per non farmi perdere il treno, sulla canna della bicicletta fino alla stazione lontana circa dieci chilometri. Malgrado la fame, il mio peso era sempre di un quintale circa.
In quelle visite, oltre alle questioni politiche di attulità, ci imbarcammo in lunghe e interminabili accalorate discussioni, che ci permisero un ampio e libero riesame critico delle vicende sfortunate dell'antifascismo italiano. Fu in quella occasione che conobbi meglio Nenni e strinsi con lui un'amicizia che dura tuttora e che ha resistito a tutti i motivi di gravi dissensi politici maturati nel corso dei travagliati sviluppi della lotta politica italiana.
Giorgio Amendola, Lettere a Milano, Editori Riuniti, 1973, pp. 68-70