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martedì 2 gennaio 2024

Ma chi erano, poi, i fratelli Lazaridès?

Fonte: Alessandro Dall'Aglio, op. cit. infra

Il ferroviere rimase molto stupito nel controllare il biglietto a Lucien Lazaridès, con il quale aveva frequentato (nel 1931-1932) un anno di scuola elementare francese nel corso della sua breve, molto breve permanenza a Le Cannet in qualità di figlio di emigrante. Riconoscersi da adulti dopo oltre vent'anni non è cosa di tutti i giorni.

Ma Lucien (nato ad Atene) aveva un fratello - Jean, soprannome Apo -,  anche questi probabilmente frequentato da quel conduttore nel lontano trascorso in Costa Azzurra. 

Due fratelli entrambi ciclisti professionisti di discreta fama, più accentuata - va da sè - nel Nizzardo, avendo anche partecipato a diverse edizioni del Tour de France. E Lucien, quando rivide il vecchio compagno di scuola, era probabilmente ancora in carriera.

Il ferroviere aveva raccontato in famiglia, ad amici e conoscenti che uno - Apo (Jean) - dei due fratelli aveva vinto un Tour de France, uno non ufficiale, quello del 1946: il Web - e non solo - consente oggi di appurare tranquillamente che si trattava di giusta informazione.

Di queste vicende si trova riscontro in una tesi di laurea, quella di Alessandro Dall'Aglio (Emigrazione italiana e sport a Nizza nel secondo dopoguerra. 1945-1960, Università degli Studi di Parma, Anno Accademico 2002-2003), un documento che pur passando in rassegna nello specifico ciclisti di origine italiana, non poteva non dedicarsi ai Lazaridès, registrando, altresì, gli entusiasmi locali dell'epoca. Ad esempio: "Alla Marsiglia-Monaco, il 30 giugno 1946, vince Jean Lazaridès, corridore dell’ES Cannes, figlio di immigrati greci trasferitisi nel 1922 a Marsiglia [...] A fine luglio si corre la Monaco-Parigi, gara a cinque tappe organizzata da «Le Parisien Libéré» e «Nice Matin». Il quotidiano nizzardo si ostina a nobilitare questa corsa col titolo di Tour de France e, talvolta, più onestamente, di mini Tour de France. Questa corsa in realtà non viene mai inserita negli annali del Tour. Semplicemente riproduce il vero Tour, ma in forma molto ridotta. I ciclisti vengono comunque convocati per nazionalità [...] Per la Costa Azzurra le cose non andranno comunque male, visto che a Parigi leader della classifica finale sarà, a sorpresa, Lazaridès".
 
Adriano Maini

martedì 21 febbraio 2023

L’Alligatore è la prima figura di detective privato italiano credibile


Una caratteristica che rende unico il lavoro di Carlotto è ben esplicitata dalla ricercatrice Barbara Pezzotti:
“Carlotto's novels are interested because are the first crime story to be set in the north-east of Italy, a huge, indistict area that covers the regions of Veneto, Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia. […] Italian crime fiction writers have strangely negleted this part of Italy, and Carlotto has been the first crime writer to set a series in this troubled part of Italy”. <112
Carlotto racconta il Veneto e tutto il nord-est, una terra che da contadina si è trasformata in una no man's land qualsiasi dopo gli anni del boom e la moltiplicazione di capannoni, poi lasciati vuoti dal turbine della crisi; il territorio è preda di mafie dall'est Europa che addirittura mettono nell'angolo la vecchia criminalità organizzata italiana.
Il paesaggio solare in contrasto con il plumbeo dei noir, dei non luoghi metropolitani, dei parcheggi ma anche della linea veneta che dalle ville palladiane si scontra con i capannoni e l'industrializzazione vorace raccontato da Carlotto.
Tra le opere ricordiamo proprio Nordest (in collaborazione con Marco Videtta, 2005) di cui Franca Pellegrini, in un suo recente saggio dedicato al libro dichiara che il romanzo contemporaneo, nell'intenzione dello scrittore padovano, ha la funzione “di porre di fronte al lettore questioni sociali di cogente attualità per il paese”. <113 Il noir può diventare uno strumento che permette di prendere coscienza di quanto accade intorno a noi e di svelare le dinamiche occulte della criminalità, che i media e la giustizia sembrano non voler o non essere in grado di denunciare. Paradossalmente, il romanzo di finzione diviene quindi il mezzo migliore per raccontare la verità. Il romanzo diventa così contro-informazione.
“Non esiste oggi in Italia un altro autore che sappia raccontare, come Massimo Carlotto, il dolore e la capacità di resistenza degli esclusi; uno scrittore che sappia descrivere meglio i meccanismi attraverso cui una società civile si trasforma in un'arena dove il pubblico reclama lo spettacolo del diverso colpevole e del sangue che scorre”. <114
Nel tempo Carlotto è diventato esponente di spicco del genere noir, nel solco del quale ha pubblicato la serie di romanzi dell'Alligatore, il detective privato Marco Buratti: La verità dell'alligatore, 1995; Il mistero di Mangiabarche, 1997; Nessuna cortesia all'uscita, 1999; Il corriere colombiano, 2000; Il maestro di nodi, 2002 - con il quale vince il Premio Scerbanenco - riuniti in un unico volume dal titolo L'Alligatore, 2007, a cui è dedicato anche il racconto a fumetti Alligatore. Dimmi che non vuoi morire in collaborazione con Igort, 2007; seguono L'amore del bandito, 2009, La banda degli amanti, 2015, Per tutto l'oro del mondo. Un nuovo caso per l'Alligatore, 2015 e Blues per cuori fuorilegge e vecchie puttane 2017, tutti editi e/o.
L'Alligatore è la prima figura di detective privato italiano credibile. La narrativa poliziesca italiana ha prodotto commissari e poliziotti, senza dimenticare il Duca Lamberti di Scerbanenco, che da medico diventa poi poliziotto, ma non detective privati.
“Se il noir è la variante metaforica della controinformazione e una scrittura che vuole tradurre in chiave romanzesca il pasoliniano io so, rimuovendo, almeno nella finzione narrativa, quella censura che occulta i misteri, o meglio i segreti di stato, al fine di fornire al lettore strumenti di riflessione, è un genere che ha bisogno di un investigatore privato credibile, cioè di un personaggio che non crede nella Giustizia dei giudici e dello Stato, ma che combatte per raggiungere la verità, quella verità che la dea bendata della Giustizia non vede mai. Questo personaggio la narrativa noir nostrana l'ha trovato nel protagonista dei romanzi seriali di Carlotto”. <115
L'Alligatore è un ex cantante blues, è stato in galera e ha conosciuto alcuni galeotti che si fa amici, come il fraterno Beniamino Rossini. È melanconico, ama il distillato di sidro di mele, il calvados e non crede nella giustizia dello Stato. Il suo passato e la necessità economica lo spingono a diventare un detective sui generis, a suo agio con le storie al confine della legalità. Le sue passioni - la musica blues, il sidro di mele e le donne - lo avvicinano ai suoi padri putativi mediterranei: Pepe Carvalho e Fabio Montale. L'Alligatore però lavora con dei soci, Beniamino Rossini e in seguito Max la memoria. Il lavoro di quadra, la triade, è un fatto nuovo nella tradizione noirista.
Nel descrivere Beniamino Rossini, Carlotto così si esprime:
“La prima volta che l'avevano pizzicato, Beniamino Rossini portava ancora i pantaloni corti e aiutava la mamma e i fratelli a trasportare merce di contrabbando attraverso il confine svizzero. Poi si era specializzato in rapine ai furgoni portavalori facendosi un nome di tutto rispetto a Milano, città in cui era nato e cresciuto. Ora, a cinquant'anni suonati, era tornato al contrabbando che praticava con comodi e veloci motoscafi, attraversando il braccio di mare che divideva il Veneto dalla Dalmazia. Trasportava di tutto: latitanti, puttane russe, oro, caviale, armi. Droga mai. Detestava gli spacciatori e li accusava di aver rovinato la mala. Ci eravamo conosciuti al penale di Padova; aveva un problema con un gruppo di camorristi intenzionati a tagliargli la gola alla prima occasione e mi aveva chiesto di intervenire. Alla fine, tutto si era risolto per il meglio e col tempo eravamo diventati amici. Ricco e rispettato, non aveva alcun bisogno di collaborare alle mie indagini. A spingerlo erano solo l'amicizia e la voglia di ficcarsi nei casini”. <116
All'amico Rossini Carlotto dedica un intero romanzo, La terra della mia anima (2006) in cui racconta la sua storia e la sua terra che è la frontiera, mentre dichiaratamente noir Carlotto scrive anche L'oscura immensità della notte (2005) e Il mondo non mi deve nulla (2014).
L'Alligatore è stato uno dei personaggi che ha contribuito all'innovazione della scena letteraria del romanzo noir italiano, ma anche all'affermazione internazionale del noir mediterraneo. Quando apparve nel 1993 (con La verità dell'Alligatore) fu come un terremoto: era nata una figura inusuale nella tradizione italiana. Non si era mai visto prima un investigatore uscito di galera, che non aveva fiducia nelle istituzioni, ma era ossessionato dalla giustizia e svolgeva le sue indagini con l'aiuto di un criminale “vecchia maniera” e di uno strano "analista", reduce dai movimenti extraparlamentari anni '70.
“Nella tradizione italiana, la tipologia che ha fatto più fatica a fornire modelli credibili è quella dell'investigatore privato. Da sempre priva di una cultura dell'investigazione, l'Italia ha potuto dar vita a decine e decine di investigatori onesti servitori dello Stato, il più delle volte più onesti dello Stato stesso, commissari, marescialli, vicequestori o agenti di polizia, a volte prodotti letterari di imitazione, nel migliore dei casi realistiche personificazioni, didascaliche e ormai abusate, dell'onestà e della dedizione, alla ricerca della verità e della giustizia. Ma nel filone del giallo tendente al noir, il cui principale interesse è la denuncia sociale, e non il rassicurante ristabilimento dell'equilibrio e del Bene, la figura dell'onesto commissario non funziona”. <117
Emerse immediatamente che l'Alligatore era il soggetto necessario per raccontare l'Italia contemporanea e il suo groviglio tra economia e criminalità e le contraddizioni della giustizia e della politica. Non si fatica a vedere in Buratti un alias dello stesso Carlotto.
Proseguendo nei romanzi dedicati a Buratti, si scopre che l'Alligatore suonava in un gruppo Blues chiamato Old Red Alligators ed offriva ospitalità quasi a chiunque. La sua vita cambia bruscamente quando viene condannato a sette anni per avere accolto in casa un ricercato. Mentre è in galera perde la voce. Il primo libro (La verità dell'Alligatore, 1995) parla di un uomo che viene ingiustamente accusato di avere ucciso a coltellate una donna e infine viene condannato. La narrazione presenta corsi e ricorsi della vita di Carlotto.
Un personaggio terribile e feroce inserito sempre nel “ricco” nordest è Giorgio Pellegrini a cui dedica Arrivederci, amore ciao (2001) e Alla fine di un giorno noioso (2011) e che inserirà anche nei romanzi dell'Alligatore (La banda degli amanti e Blues) in un tipico crossover da serialità televisiva. I romanzi su Pellegrini, scritti in prima persona, raccontano di un uomo che rinnega i propri ideali giovanili per diventare un sadico criminale che desidera a tutti i costi ripulirsi per avere una nuova chance nella società “bene” e ricca del nordest. Ottima trasposizione cinematografica è l'omonimo film Arrivederci, amore ciao di Michele Soavi nel 2006 con Alessio Boni, che riproduce un senso di repulsione verso il personaggio così bene delineato nella sua oscurità. Nel paragrafo 3.2 viene analizzata l'opera sia letteraria che cinematografica.
Dopo il Veneto, un altro luogo del cuore di Carlotto è la Sardegna, a cui dedica Jimmy della collina (2002) ispirato a don Ettore Cannavera della comunità La Collina di Serdiana che consente di sostenere i percorsi di vita di ragazzi perduti. Alla Sardegna e in particolar modo alla zona del poligono di Salto di Quirra è dedicato il romanzo noir Perdas de Fogu (insieme al collettivo Mama Sabot, 2008), frutto di una meticolosa inchiesta di cui parleranno anche i giornalisti molti anni dopo come il programma Presa diretta, Rai Tre, nel 2013. <118
Il noir ha un'importante funzione anticipatoria - come sottolinea Carlotto nell'intervista in appendice - che si evidenzia nel romanzo Mi fido di te (in collaborazione con Francesco Abate, 2007). Il tema centrale è il mondo della sofisticazione alimentare, per il quale entrambi gli autori fecero ricerche accurate. Nel romanzo, il protagonista Gigi Vianello distribuisce prodotti adulterati (cibo, erboristeria, pulizia del corpo) e vive al riparo nel suo ristorante finché il passato non torna a tormentarlo, come avviene a Toni Servillo nel film Una vita tranquilla (di Claudio Cuppellini, 2010).
“Passione civile e veemenza della trama possono convivere in un preciso equilibrio narrativo? In una quindicina di anni e di romanzi, Massimo Carlotto ci ha ampiamente dimostrato che è possibile”. <119
A Torino e al mondo del consumo a tutti i costi, quasi un grido disperato di una donna che invidia le veline e il Grande Fratello è Niente più al mondo (2004) mentre con Respiro corto (2012) Carlotto fa un omaggio alla Marsiglia del suo amico Izzo, con una sorta di Alligatore al femminile (seppure entro i ranghi delle forze dell'ordine), Bernadette Bourdet, un commissario della narcotici che ascolta solo Johnny Hallyday e comanda una squadra di agenti reietti, cacciati da tutti i commissariati.
Con La via del pepe. Finta favola africana per europei benpensanti (in collaborazione con Alessandro Sanna, 2014) Carlotto compie un'operazione oltre il suo stile noir, scrivendo una fiaba - pur sempre nera - e moderna che rimanda a Le irregolari. Entrambe le esperienze, infatti, quella dei desaparecidos argentini e quella dei desaparecidos africani, sono narrate da Carlotto attraverso la medesima operazione: scavare nell'oblio della storia per disseppellire la memoria di persone che scompaiano nel nulla, nel silenzio e con la complicità delle democrazie occidentali. Se il regime dittatoriale argentino pianificava nei minimi dettagli la scomparsa degli oppositori, i regimi democratici europei pianificano da almeno vent'anni la sistematica scomparsa dei migranti africani nel mar Mediterraneo. <120
Il turista (2016) è un thriller anomalo, dove Carlotto sceglie di contrapporre la figura di un abile serial killer che compie un errore e di un ex commissario, che ha già commesso un grave sbaglio nel passato e vede ora l'occasione giusta per riscattarsi.
Carlotto ha spesso analizzato il proprio lavoro, raccontando il suo metodo, il noir mediterraneo e il suo stile di scrittura, in una meta-narrazione fondamentale per capire il suo modus operandi. Con The black album (2012), una lunga conversazione con Marco Amici, Massimo Carlotto ripercorre i temi nodali del genere e gli aspetti centrali della sua scrittura, in cui troviamo rappresentati i profondi cambiamenti avvenuti nell'universo criminale e il ruolo dell'Italia nei traffici illeciti che attraversano l'Europa. Con Tre passi nel buio <121 (con Luca D'Andrea e Maurizio de Giovanni) in una lunga intervista con l'editor Luca Briasco, i tre scrittori decidono di raccontare nei dettagli come costruiscono le loro storie, quali sono gli ingredienti irrinunciabili e come questi si sono evoluti nel corso degli anni.
Carlotto lavora insieme ad altri autori, scrive racconti all'interno di antologie, crede negli intenti comuni. Si veda Cocaina (2013), scritto insieme a Gianrico Carofiglio e Giancarlo De Cataldo dove gli scrittori affrontano una questione quanto mai fondamentale ma assente dall'agenda dei mass media (si veda l'intervista in appendice).
A più mani compare la quadrilogia Le vendicatrici (con Marco Videtta, 2013) composta dai romanzi dedicati a quattro donne, Ksenia, Eva, Luz e Sara e nel 2018, sempre declinato al femminile, Sbirre (con De Cataldo e Maurizio de Giovanni).
Di molti dei suoi romanzi Carlotto cura l'adattamento teatrale e cinematografico, come per Il fuggiasco, regia di Andrea Manni (2003, soggetto e sceneggiatura), Morte di un confidente in Crimini, regia dei Manetti Bros. (2007, soggetto e sceneggiatura), Little dream in Crimini, regia di Davide Marengo (2009, soggetto e sceneggiatura). Dai suoi romanzi vengono realizzati gli adattamenti cinematografici di Arrivederci amore, ciao (Ita/2006) regia di Michele Soavi e Jimmy della collina (Ita/2006) regia di Enrico Pau. Cura alcuni programmi per la radio, nel 2001 - Il piccolo patriota padovano, riadattamento da Edmondo De Amicis (Radio RAI), nel 2004 - Radio Bellablù, radiogiallo di Massimo Carlotto e Carlo Lucarelli, a cura di Sergio Ferrentino (RAI Radio 3) e nel 2006 - Vincenzo De Paoli e il pascià Ulug Alì, in Dialoghi possibili, regia di Giuseppe Venetucci (RAI Radio 3).
Paragonato a Ellroy per la violenza deflagrante, la chiave dell'opera di Carlotto “volta più all'impegno etico che alla ricerca estetica”, <122 secondo Gian Paolo Giudicetti è condivisibile là dove si impernia nella descrizione dell'esperienza individuale con personaggi-diaframma grazie ai quali viene raccontata la Storia, come nei romanzi Il giorno in cui Gabriel scoprì di chiamarsi Miguel Angel e Le irregolari, entrambi scritti di denuncia sulla dittatura argentina.
Le sue opere mostrano spesso un'altra faccia della storia di un crimine, quella del delinquente. In Arrivederci, amore ciao la storia viene enucleata dal punto di vista di Caino, dietro l'apparenza della ricchezza del Veneto si nasconde lo sfruttamento della politica come strumento per ottenere successo, economia legale e illegale si mescolano, nuove mafie, vecchi terroristi, tutti si ripuliscono per dare l'apparenza della “locomotiva del nordest”.
L'Europa, e in particolare l'Italia, ha utilizzato tradizionalmente il genere poliziesco come mezzo per descrivere la realtà sociale ed economica: da Gadda a Sciascia, a Scerbanenco fino ai più recenti Camilleri, Fois, Lucarelli. Lo stesso Carlotto ravvisa questa visione politica come una “tendenza letteraria” <123 del genere noir.
[NOTE]
112 Barbara Pezzotti, “Alligator is back, Massimo Carlotto and the north-east, the Corroded Engine of Italy”, p.324-35 in Storytelling: A Critical Journal of Popular Narrative, 10.1 (2010): 33-49
113 Franca Pellegrini, “Il giallo contemporaneo. Memoria e rappresentazione dell'identità nazional-regionale” in Monica Jansen, Yasmina Khamal, Memoria in noir. Un'indagine pluridisciplinare, Peter Lang, Bruxelles, 2010, p.218
114 Edizioni e/o, introduzione a La banda degli amanti
115 Antonio Emiliano Di Nolfo, Sulle tracce del Noir. L'itinerario di Massimo Carlotto, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Sassari, 2004-2005
116 Massimo Carlotto, Nessuna cortesia all'uscita, Roma, edizioni e/o, 1999 p.24
117 Claudio Milanesi, “L'Alligatore, il nordest come metafora” in Italies, 4, 2000, pp. 673-685
118 Il titolo dell'inchiesta è Servitù militari
119 Sergio Pent  - Tuttolibri/La Stampa
120 https://www.carmillaonline.com/2015/04/28/i-desaparecidos-del-mediterraneo-e-la-via-del-pepe-di-massimocarlotto-e-alessandro-sanna/
121 Massimo Carlotto, Luca D'Andrea, Maurizio De Giovanni, Tre passi nel buio. Il noir, il thriller e il giallo raccontati dai maestri del genere, Roma, Minimun Fax, 2018
122 Gian Paolo Giudicetti, “La narrazione nelle opere di Massimo Carlotto. Impegno etico e affermazione dell'io”, in Monica Jansen, Inge Laslots, Dieter Vermandere (a cura di) Noir de Noir, op.cit., p.103
123 Il concetto di tendenza espresso da Walter Benjamin in L'autore come produttore, Torino, Einaudi, 1973
Giuditta Lughi, Il noir mediterraneo come strumento di investigazione del reale. Il caso di Massimo Carlotto, Tesi di laurea, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, Anno accademico 2019-2020

lunedì 5 aprile 2021

Malgrado la fame, il mio peso era sempre di un quintale circa

Giorgio Amendola con la moglie Germaine

Bisognava ora che le posizioni unitarie affermate a Tolosa fossero fatte conoscere in America e fossero approvate dai gruppi antifascisti che vi si trovavano. Ma, soprattutto, bisognava che quelle posizioni fossero fatte conoscere in  Italia.
Attraverso i «legali», ritornati in Italia, ed i rapporti stabiliti con le famiglie di emigrati, copie dell'appello di Tolosa e circolari e lettere redatte nei mesi successivi, durante il 1942, furono inviate in Italia. Dalla corrispondenza inviata dai «legali» ai recapiti concordati appariva che il materiale inviato aveva avuto una certa diffusione e anche che veniva riprodotto. Una ricerca di archivio dovrebbe permettere di tratteggiare la carta delle aree di diffusione del  materiale inviato dalla Francia. È certo che già entro il 1941 in molte località italiane era pervenuta copia dell'appello di Tolosa. È certamente da deplorare la circostanza che, invece, copia dell'appello sia pervenuta al compagno Massola soltanto nell'estate del '42. Questo ritardo nel collegamento tra il centro estero e il centro interno non mancherà di provocare molti dannosi equivoci. Credo che, per quanto ridotta l'area di diffusione dell'appello di Tolosa, questo abbia servito a promuovere una certa preparazione politica, che dovrà permettere di accogliere con minore resistenza nel '43, dopo il 25 luglio e l'8 settembre, la linea di unità nazionale promossa dal  partito.
Era necessario tuttavia stabilire in Italia un contatto qualificato con gli esponenti antifascisti, per fare giungere loro i testi dei documenti approvati dal Comitato di Tolosa, compresa la lettera redatta da Sereni e diretta ai liberal-socialisti (della cui attività e linea politica eravamo stati informati), e per raccogliere notizie sullo stato in cui si trovavano i partiti antifascisti e sulle linee di attività che andavano svolgendo. Pensammo di affidare questo incarico a Gillo Pontecorvo, cugino di Emilio Sereni, che si trovava a Saint Tropez e che allora era per noi soprattutto un giovane simpatico sportivo, e il «fratello del fisico Bruno Pontecorvo». Ma bisognava prepararlo politicamente a compiere la sua missione, e questa fu l'occasione per fare con Germaine dei viaggi in quella magnifica località, allora ancora intatta nella bellezza delle sue spiagge deserte.
A Saint Tropez aveva trovato rifugio uno strano mondo di ìntellettuali francesi e stranieri, che sembravano vivere fuori del tempo e dello spazio, come se la guerra fosse una cosa remota. (Ma a Saint Tropez vi erano anche dei bravi compagni emigrati italiani, tra i quali il proprietario di un noto ristorante, dove aveva trovato rifugio e una base di attività Claudine Pajetta, che intravidi senza avvicinarla perché la consegna era di non conoscerci).
I viaggi a Saint Tropez erano allietati dalla squisita ospitalità di Gillo e di sua moglie Henriette. Quando non c'era nulla da mangiare, c'era sempre la risorsa della pesca subacquea nella quale Gillo era un asso. Il mare era allora  molto pescoso. Gillo si tuffava e tornava con un grosso pesce, per poi rituffarsi e prenderne rapidamente un secondo. Il primo era destinato allo scambio contro generi in natura: pane, olio, pasta. Il secondo veniva arrostito. E saltava  fuori un magnifico pranzo che per noi affamati di Marsiglia rappresentava una grande festa. Ma non fu per questi motivi turistico-gastronomici che la preparazione di Gillo andò per le lunghe. Alla fine, quando egli partì, si era già nell'estate del 1942.
In Italia egli prese contatto con Edoardo Volterra e questi lo presentò a La Malfa e a Tino. Gillo consegnò a  Volterra il materiale che aveva portato con sé e, tornato in Francia, ci portò informazioni dalle quali risultava che in quel  momento, nel settembre '42, alla vigilia di El Alamein e dello sbarco in Africa degli anglo-americani, lo stato di organizzazione dei partiti antifascisti era ancora assolutamente arretrato. In pratica, si era ancora ai primi contatti. I vecchi «popolari» andavano riannodando prudentemente le fila e preparavano i loro «nuovi orientamenti». I vecchi socialisti erano anch'essi alla fase dei radi contatti tra vecchi amici. Era in corso una discussione sul carattere di un partito nuovo in formazione, dove la pregiudiziale repubblicana spingeva dei democratici liberali come La Malfa accanto ai liberal-socialisti in un bell'imbroglio ideologico e politico, mentre altri democratici liberali venivano respinti a destra verso Croce e i conservatori. Queste informazioni, abbastanza deludenti, contrastavano con quelle provenienti dai nostri compagni «legali», attestanti tutte una crescente estensione del malcontento antifascista nelle masse. In particolare veniva segnalata la importanza assunta dal rifiuto dei contadini di obbedire all'ordine di consegna del raccolto all'ammasso. Veniva indicata la crisi crescente del partito fascista, il dilagare di un atteggiamento di indisciplina, di larga e palese violazione delle disposizioni fasciste.
Portai queste notizie a Nenni che, dopo un breve arresto, era stato trasferito dalle autorità francesi da Palade, nei Pirenei, a Le Croizet, un paese di montagna presso la cittadina di Saint Flour nell'Auvergne. In quel periodo (1942) andai più volte a trovare Nenni. Era una zona della vecchia provincia francese verde e fresca, miracolosamente intatta, non colpita dalla guerra né dalle sue conseguenze. Erano per Nenni giorni di grande ansia per la sorte di sua figlia Vittoria, arrestata a Parigi assieme a suo marito.
L'accoglienza della famiglia Nenni fu molto affettuosa e generosa. Il primo problema era sempre quello di trovare il modo di soddisfare la mia fame arretrata. E la signora Carmen, da brava romagnola, riusciva fare anche il miracolo di trovare la farina per fare delle tagliatele, condite con i funghi raccolti nei boschi da Nenni con la mia impacciata partecipazione. Una volta Nenni arrivò a compiere la prodezza sportiva di portarmi, per non farmi perdere il treno, sulla canna della bicicletta fino alla stazione lontana circa dieci chilometri. Malgrado la fame, il mio peso era sempre di un quintale circa.
In quelle visite, oltre alle questioni politiche di attulità, ci imbarcammo in lunghe e interminabili accalorate discussioni, che ci permisero un ampio e libero riesame critico delle vicende sfortunate dell'antifascismo italiano. Fu in quella occasione che conobbi meglio Nenni e strinsi con lui un'amicizia che dura tuttora e che ha resistito a tutti i motivi di gravi dissensi politici maturati nel corso dei travagliati sviluppi della lotta politica italiana.
Giorgio Amendola, Lettere a Milano, Editori Riuniti, 1973, pp. 68-70

 

domenica 12 settembre 2010

Marsiglia

Su Marsiglia intendo esprimere rapide impressioni, diversamente da quanto mi é capitato con Genova. Perché la conosco veramente poco, ma esercita su di me fascino. Del resto, sia su Internet che su vari blog si possono in merito trovare molte notizie.

Ho l'impressione, per ricordi personali, che 40/50 anni fa' fosse destinazione di immigrazione italiana, scarsamente tollerata nell'ambiente locale.

Ho scoperto in una conversazione con chi in quel momento, purtroppo per lui, c'era coinvolto che all'8 settembre 1943 sussisteva a Marsiglia anche una guarnigione italiana, coinvolta anch'essa nello sbandamento tragico di quei momenti.

All'epoca della mia escursione ad Aubagne, mi sono perso un'occasione preziosa per saperne di più su una "diversa" Marsiglia. In compagnia di un personaggio autorevole non prestai molta attenzione a quanto di carettere sociale e di costume mi stava dicendo, perché tutto teso a prepararmi e a fare domande, dal medesimo puntualmente ed elegantemente eluse, sui suoi trascorsi politici ed antifascisti, locali e nei dintorni. Soprattutto per quanto riguarda La Canebière, la via più famosa di Marsiglia, nella quale volle a tutti i costi recarsi.
 
La Canebière (via Google)
A me La Canebière sinceramente non é mai piaciuta, non fosse altro per l'ininterrotto traffico veicolare che la soffoca, ma mi sono meglio reso conto in seguito che da lungo tempo é il salotto della città, nel quale si sono sviluppate un numero incredibile di vicende. E così, pescando a caso nella memoria delle mie letture, posso maldestramente citare gruppi di belle ragazze a passeggio per destare l'ammirazione maschile.

In letteratura e nel cinema, invero, Marsiglia é stata teatro o riferimento di tante opere. Credo che Jean-Claude Izzo, dal quale penso di avere tratto le immagini femminili di cui poc'anzi, ne sia stato l'ultimo grande cantore. Avendone già scritto ed essendo abbastanza noto, mi limiterò a lodare in lui, scrittore di noir, il grande cuore cosmopolita.

Di Marsiglia si é a più riprese occupato il cinema, soprattutto, mi pare, per toste storie criminali (con epicentro la "French Connection"). Marsiglia, con un briciolo di autonomia anche sotto il regime dispotico del Re Sole, da allora é sufficientemente al centro della storia transalpina. Marsiglia ha il Porto Vecchio e un grande moderno porto, il più grande del Mediterraneo. Ha monumenti, cultura, dintorni naturalistici e paesaggistici notevoli. E potrei continuare, se non fosse per l'assunto iniziale.

Come personale nota di curiosità, posso accennare ancora una volta al ben noto ventaccio di Marsiglia. Aggiungere la meravigliata sensazione destata dai tanti colori e dai tanti odori dei prodotti (quasi del tutto a me ignoti, fatta eccezione per datteri e pistacchi) del sud del Mediterraneo esposti nelle bancarelle di negozietti nelle strette vie vicine al Porto Vecchio.

La grande emozione di carattere privato me la procurano la vicenda della fondazione di Marsiglia ad opera dei Greci di Focea (partiti dall'Asia Minore) e, all'epoca di Alessandro Magno, il cosiddetto periplo di Pitea, partito dal porto di questa città alla ricerca diretta di ambra e stagno verso ed oltre la Norvegia (l'ultima Thule degli antichi), costeggiando all'andata da occidente le isole britanniche, al ritorno l'attuale Germania. Perché si sa delle espansioni e degli empori degli antichi Massalioti verso l'odierna Spagna, ma anche, trascurando le lotte contro i Liguri, gli Etruschi ed altri popoli, della loro fondazione di Antibes, di Nizza, di Monaco, così vicine oggi al nostro confine.

mercoledì 18 agosto 2010

Ad Aubagne non solo bamboline ed emigrati italiani, ma anche la... Mamma dei Legionari

Aubagne è un comune francese di 42.638 abitanti (al 2005) situato nel dipartimento delle Bocche del Rodano, nella regione Provenza-Alpi-Costa Azzurra. E questa frase l'ho ripresa tale e quale da Wikipedia.

Quando mi ci recai nella primavera del 1983 di Aubagne non ne sapevo molto.

Durante il viaggio da Marsiglia, poco distante, non ebbi, quella volta, il modo di apprezzare o notare molto del paesaggio, anche se era ancora giorno, giorno di primavera, sia perché teso per la spericolata guida del nostro autista, sia perché preso dal conversare dei miei due accompagnatori, imperniato soprattutto su gustosi aneddoti riferiti a Gaston Deferre, sindaco di Marsiglia per più di trent'anni, ed all'epoca lo era ancora, anzi stava per diventare o ridiventare anche ministro.
 
Arrivati a destinazione, la prima cosa imprevista e simpatica fu che c'era un appuntamento per me con la Giunta Comunale al completo. Mentre ci si attardava ad entrare nel Municipio, notai che quasi in fila indiana sindaco ed assessori salutavano con naturalezza e garbo scambiando baci (sulle guance!) con il vice sindaco, giovane signora elegante, oltrettutto carina: non mi era ancora capitato all'epoca di assistere a tale usanza in pubblico tra autorità, mentre in seguito, invece, ravvisai che almeno sulla Costa Azzurra tra colleghi (uso questo termine in senso largo, che ricomprende anche gli "ospiti" italiani) signore e signorine si attendono in genere il ripetersi di quella gentile consuetudine.
 
Scambiati i saluti di rito (che io dovetti per la mia parte improvvisare) in una bella sala, per lo più dedita alla celebrazione di matrimoni civili, venni gratificato con il dono di un pezzo pregiato di artigianato locale, una graziosa bambolina di porcellana, vestita in miniatura in modo tradizionale, vale a dire con gonna bianca a fiori, grembiule rosa, camiciola bianca orlata di pizzo, scialle lilla a fiori bianchi, cuffietta anch'essa adorna di pizzo, cappello di paglia a larga tesa, con un mazzolino di fiori di Provenza nella mano sinistra e con un cestino di altri fiori ed erbe della regione sotto l'altro braccio. Si tratta di una bambolina tuttora custodita con cura, tanto é vero che, al momento in cui stendo di getto questi appunti, non me la sento di trarla dalla vetrinetta per procedere ad una rituale fotografia cui sinora non avevo pensato.
 
Dopo questo incontro mi vennero mostrate in altre ali del palazzo civico diverse grandi fotografie che testimoniavano un consistente processo di industrializzazione, di cui i miei anfitrioni andavano molto fieri (in termini di occupazione indotta anche dalla politica di quell'Amministrazione, forse anche giustamente). In quel momento pensai che la convivenza tra l'artigianato artistico, di cui la pupeé era un fattivo esempio, e la modernizzazione in corso fosse un fatto compiuto, senonché non ho più avuto l'occasione di valutare l'evolversi della situazione.
 
Si procedette, poi, alla riunione con emigrati italiani colà residenti, scopo del mio viaggio, cui dedico (un po' me ne vergogno, ma spero di riuscire a tornare altre volte sull'argomento) poche righe, perché l'onda (neanche molto tumultuosa, come cercherò poi di attestare) dei ricordi mi spinge su un'altra strada.
 
Perché, finito il mio vero e programmato impegno, mi ritrovai a bere una volta (come si suol dire) nel bar della "Mamma dei Legionari"!
 
Sì, la cosa non mi parve, e non mi pare tuttora, solo pittoresca, come me la descrivevano i miei amici di quella sera. Cercherò di rendere al meglio il concatenarsi di fattori, ma non é facile: descrivere non é come trovarsi dal vivo in quelle scene una dietro l'altra.
 
Intanto, non sapevo che a Aubagne ci fosse la Legione Straniera. Mi sembra che anche oggi ci sia la sede del comando generale, dove avvengono gli arruolamenti; e non farò deviazioni dal racconto principale riferendo nei dettagli come, ironia del caso, poco tempo dopo qualche giovane di mia conoscenza (non metto aggettivi di sorta!) si arruolasse tra quei mercenari. Il vero fatto perturbante per me era trovarmi vicino ad uno dei simboli più spietati delle repressioni coloniali: sì, il film "Beau Geste" con Gary Cooper da ragazzino mi era anche piaciuto, ma la storia documenta una realtà diversa di soprusi e di crudeltà.
 
A seguire mi si accennò quella sera ad una matrona, che mi limiterò a definire di forme e fattezze esuberanti e di non tenera età. Si trattava della padrona dell'esercizio, che si era meritata l'appellativo di mamma dei legionari, perché il suo locale era il ritrovo preferito da quei presunti militari, che in lei trovavano attenzione, calore umano e parole di conforto.
 
Non c'era molta gente, a parte noi tre, forse perché, essendo già un po' tardi, la ritirata in caserma era già suonata; forse per questo motivo i miei accompagnatori non trovarono di meglio che invitare tanto personaggio al nostro tavolo, come se fosse un rituale folcloristico cui io dovessi assistere per forza. E la signora venne e mi pare dicesse le solite parole di circostanza sull'Italia e quanti italiani erano stati ed erano nella Legione e così via.
 
Poi ebbe come un lampo, si allontanò un attimo, sempre accompagnata dai sorrisi sardonici (che non l'avevano mai abbandonata!) dei miei anfitrioni, per tornarsene trionfante per esibire soprattutto a me (i miei amici lì, é chiaro, se non erano di casa, poco ci mancava: se per "spiare" o per divertirsi invero amaramente guardando le miserie del mondo, non lo so!) una copia di una rivista popolare italiana che l'aveva "immortalata" con almeno tre pagine, corredate di varie fotografie, in quanto consolatrice di quei poveri giovani abbandonati che sono i legionari: la "Mamma dei Legionari", insomma!
 
Si da il caso che tra la guida spericolata di cui ho già detto, un mangiare affrettato fatto non so più dove e qualche sorso di grappa (sì a me sembra ancora adesso grappa, mentre in Francia c'é dell'ottimo cognac che é un vero medicinale), servita in precedenza da una cameriera, io da un po' ormai, ad usare un eufemismo, avevo del mal di testa. Per cui non riuscendo a sottrarmi in modo elegante ad una situazione per me un po' equivoca, mi andai ad inibire la tranquilla visione di una serie di vere chicche che quel locale riservava, che io vedevo solo da lontano, perché non potevo allontanarmi dalla "celebrità locale": vale a dire ritagli di giornale dedicati e fotografie autografate di vari protagonisti dello sport francese, che a quanto pare non avevano manifestato  scrupoli di coscienza nel lasciare là delle tracce.
 
E fu così che non ricordo quasi niente del viaggio di ritorno. E l'alberghetto davanti al quale mi lasciarono, ormai nel cuore della notte, fu un po' come un tocco finale. A me sembra ancora adesso, per farla breve, tratto di peso da un qualche romanzo dove compare Maigret, con la differenza che io mi trovavo a Marsiglia e non a Parigi. Solita tappezzeria un po' ... trasandata, solito rubinetto che sgocciolava, solita persiana che cigolava al vento, solite voci di donne e uomini: queste cose, nonostante il ... mal di testa me le ricordo, così come mi ricordo di avere dormito ben poco.
 
Fu veramente comodo il viaggio di ritorno in treno, un bel treno ancora di quelli di una volta, posizionato in una vera poltrona (non ci si crederà!) tutta per me: l'unica dello scompartimento, credo, ma non me la ero certo lasciata sfuggire!
 
E così capita che, stando al computer posto vicino ad una vetrinetta dove é custodita una così bella bambolina, mi siano affiorati alla memoria ricordi un po' sfumati che mi hanno indotto a scrivere queste righe. Anzi, mi sembra quasi che anche la graziosa contadinella al termine di questo post intenda mandare i suoi garbati saluti a tutti!



domenica 15 agosto 2010

Ferragosto con vento di mare


Dopo la pioggia di ieri, oggi sulla Riviera dei Fiori é arrivato, quasi puntuale, il vento, un vento di sud-ovest, che, quindi, spira su tutta la Costa Azzurra.



Mi vengono in mente tante immagini e tante situazioni.

Pensando alla vicina Provenza, un dicembre di diversi anni fa con una Marsiglia veramente flagellata: dal sagrato di Notre Dame de la Garde sembrava che l'isolotto d'If venisse, insieme a tutte le memorie del Conte di Montecristo, da un momento all'altro inghiottito dalla furia del mare. E per associazione d'idee penso ad un vento (dei venti) che ha (hanno) altre provenienze e che quasi sempre si accompagna (accompagnano) allo scorrere tumultuoso di torrenti e di fiumi montani, il vento (i venti) che spira (spirano) nelle Alpi di Bassa Provenza nelle pagine di Pierre Magnan, dense di omicidi gotici, di personaggi comunque indimenticabili anche perché quasi tutti avulsi dallo scorrere della storia, dei variopinti colori di cime, foreste, prati, rocce, forre, giardini segreti; della natura e di pietre, pregne di storia, insomma.


Nel Ponente Ligure quasi in ogni stagione, invece, la furia del vento spinge il mare a devastare litorali di difficile, anche per l'incuria dell'uomo, ripascimento, spesso con conseguenze devastanti per gli stabilimenti balneari e per le stesse opere di fabbrica delle passeggiate a mare. Sul piano letterario pagine sublimi sugli effetti cangianti, di luce, di colore, di forma, del vento sul nostro mare ha scritto un insigne autore di questa terra, Francesco Biamonti.


D'altronde é Ferragosto, per cui, forse, anche pochi, piccoli spunti possono essere sufficienti per successivi letture ed approfondimenti.