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domenica 13 gennaio 2013

Da Imperia a La Turbie, ancora una volta...

La Torre di Prarola di Imperia, subito a levante della città. Protetta alla base dalla furia dei marosi con il cemento spalmato decenni e decenni fa' e costruzione ben visibile dal treno, meriterebbe ben più di uno scarso cenno, ma oggi, come sottolineo alla fine di questo post, ho altro su cui concludere.
Taggia, dalla storia superba e dai tanti miei ricordi personali.
La Parrocchia di San Marco a Camporosso, quella Camporosso di cui riscopro di continuo angoli interessanti.
Porta Canarda a Ventimiglia fa parte, si può dire, del paesaggio.
Ampie vestigia medievali a La Turbie, dove non sussiste solo l'imponente, noto monumento augusteo.

Ho qui proceduto ad una estemporanea, affrettata selezione di fotografie, perché, perdurando una certa mia latitanza da Blogger, non solo segnalo che cercherò di essere più presente, ma anche che tento di farmi perdonare un po'...



venerdì 3 agosto 2012

Un gesuita di Taggia che nel Seicento viaggiò in Estremo Oriente

Nasce nel 1608 nel territorio della Serenissima Repubblica di Genova, a Taggia, di cui qui a fianco si può vedere una fotografia dello storico ponte, Giovanni Filippo De Marini, gesuita e missionario in Estremo Oriente. 

Entra nella Compagnia fondata dal Loyola nel 1625. Dopo 13 anni, nel corso dei quali matura ed affina le doti potenziali di missionario, s'imbarca per le Indie nel 1638. 

Prima tappa, il Tonkino, di cui, come accennerò tra breve, lascia per iscritto vivi ricordi di attuale efficacia espessiva.

Incontra in breve tempo il favore dei superiori, se abbastanza presto gli viene affidato l'incarico di Rettore del Collegio Gesuitico di Macao.

Senza dimenticare che é pur sempre uomo del suo tempo, connota una sua originale curiosità, sulla falsariga di altri missionari gesuiti, il più famoso dei quali è certo Matteo Ricci.

E' in Italia, a Roma più precisamente, nel 1660, ma prova un'incontenibile nostalgia per l'Asia, nella quale, per l'esattezza in Giappone, torna definitivamente nel 1674.


Durante l'ultimo suo soggiorno nella penisola, compare il suo scritto più importante, l'Istoria e relazione del Tunkino e del Giappone, del 1663, ma di cui si ricorda un'edizione veneziana del 1665. Un'opera di sicuro di rilievo per una comprensione storica delle conoscenze geografiche dell'epoca, un libro anche agile, nonostante certe pesantezze dell'inevitabile barocco.

Prima di accennare alle sue convinzioni più profonde - il De Marini é pur sempre un religioso, missionario per giunta -, voglio produrre almeno un esempio della sua attenzione più umana: assistendo ad una gara locale di voga, da lui descritta in modo plastico, se ne esce con un vivido paragone mutuato oggettivamente dalle sue esperienze di adolescente che vide il mare ligure.

Il De Marini scrive anche un celebre "Elogio di Confucio", che la dice lunga su certo sincretismo operato in Oriente da tanti esponenti della sua Compagnia. Là, mi permetto di dire io, i Gesuiti non sono così filantropi come con gli indios del Paraguay. Più semplicemente cercano di essere realisti a cospetto di grandi potenze statuali. La Cina lo é ancora in quel momento. Certa spregiudicatezza intellettuale della Compagnia, per sua implicita connessa invasiva arroganza, la stessa di altri ordini religiosi operanti a quelle latitudini, non le evita, come noto, periodi alterni di scontri con le popolazioni, ma anche di persecuzioni  da parte di autorità locali.

Tornando al De Marini, occorre aggiungere che in Giappone, nonostante la complessità dei tempi, sa come al solito destreggiarsi. Muore, esempio di un certo pendolarismo professionale, a Macao nel 1682.

In definitiva, potrei sostenere che De Marini é semplicemente una gloria - faccio per dire, perché poco nota! - locale. Ma, a mio avviso, avendo fatto le sue missioni, in cui profondamente credeva, con sensibilità umana, e avendo trasmesso cospicua documentazione sui suoi soggiorni in Estremo Oriente, é anche una figura interessante sotto molti riguardi.


sabato 12 maggio 2012

Leggendo per caso del Risorgimento ...


Vado via dalla provincia per qualche giorno e trovo anche il tempo di leggere in prestito un libro sul Risorgimento che, oltre che alla storia, mi riporta in alcuni passi ad un'altra passione, quella per i miei luoghi. Anche se, credo, il senso del tempo che é passato si afferra comunque ovunque, se non si va con troppa fretta.

Nell'inquadratura di cui sopra si potrà notare la statua dedicata alla madre dei patrioti fratelli Ruffini, posta in Taggia (IM).

Risulta pressoché d'angolo rispetto all'Oratorio dei Santi Sebastiano e Fabiano per la Confraternita I Bianchi. Ma sul capoluogo della Valle Argentina compio in questa occasione solo questa digressione. Già ce ne sarebbero tante da effettuare, evocate dalla trama che qui mi si é profilata.

Torno brevemente a quella donna, dei Curlo di Taggia, appunto. Eleonora nell'incisione del monumento. Lenora nel nome, penso aulico, riportato nell'opera che mi ha fornito il presente spunto. Forse avevo dimenticato, forse non conoscevo l'episodio, ma accompagnò - dopo la scoperta dei moti, repressi spietatamente sul nascere, della Giovine Italia nel 1833, a causa della quale morì suicida, come più comunente si ritiene, senza tradire i sodali nel carcere di Palazzo Ducale a Genova il figlio Jacopo - a Marsiglia da Mazzini l'altro, Agostino. 
Già influente sul grande patriota, ne accettò l'invito a rientrare nel Regno di Sardegna. Morì a Taggia, come poi accadrà al figlio Giovanni, già arrestato con il fratello Jacopo, ma avventurosamente salvatosi. Giovanni Ruffini ripercorse nel romanzo "Lorenzo Benoni" molti momenti topici, anche autobiografici, di quegli anni tormentati e densi di pericoli. Fece soprattutto conoscere agli inglesi - determinandone un flusso turistico d'elite - il Ponente Ligure con "Il dottor Antonio", pubblicato nel 1855. Per saperne di più su tutti questi ultimi aspetti, si potrebbe anche vedere qui su Cultura Barocca.

Sempre dal libro di cui all'inizio apprendo che la fuga - similare per molti versi a quella di Giovanni Ruffini - nel già citato torno di tempo da Genova del giovane Garibaldi, infiltrato come recluta nella Marina Sarda per ordine di Mazzini, avvenne via terra dapprima verso la natia Nizza. L'espatrio definitivo verso la salvezza in Francia gli fu agevolata dalla perfetta conoscenza delle colline su cui da ragazzo seguiva uno zio bracconiere a caccia di beccacce. E mi piace immaginare, allora, che l'altura qui ritratta, abbastanza vicina al porto locale, sia stata anch'essa teatro di quelle escursioni.

Ma almeno un'altra personale sorpresa da quella lettura voglio ancora mettere in evidenza. L'onegliese G. B. Cuneo - della cui biografia si può trovare traccia su Cultura Barocca -, difensore anch'egli delle - presunte - cause dei popoli del Sud America, ma soprattutto l'uomo che fu determinante per la piena adesione alla causa patriottica da parte di Garibaldi, con cui rimase sempre in contatto, conobbe il futuro Eroe dei Due Mondi sul ... Mar Nero. Tra uomini di mare, quali erano in una prima fase, poteva ben capitare! Ma il titolo di Santone lo ebbe solo il Cuneo.