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lunedì 31 luglio 2023

Biamonti divenne amico di Ennio Morlotti


Il poco che l'autore ci ha lasciato dell'ultimo libro, testimonia un cambiamento, confermato dallo stesso Biamonti: «[…] potenzierò la trama, ma abbandonerò la natura come consolazione. Nei miei romanzi la natura va dalla vita alla morte, dalla morte alla vita, è completamente metaforica, lo spazio è inficiato, il tempo è malato, il mondo è su un abisso. Però molti si consolavano con le mie descrizioni delle nuvole, del cielo, del mare. Ora non voglio più offrire questa consolazione voglio che diventi un ulteriore pungolo all'angoscia che investe tutta la nostra coscienza». <105
Il paesaggio che, per Biamonti fu sempre ragione di conforto, motivo di consolazione, nell'ultimo libro sparisce. Nelle poche pagine rimaste non accade a nessun personaggio di perdersi nella contemplazione della natura.
Nei quattro romanzi la natura è lo scenario e con le sue suggestioni domina intere pagine delle narrazioni.
Biamonti parla di paesi, strade, sentieri, rocce, mare, cielo, luce. Nel descrivere il paesaggio usa una prosa lirica, sintetica ed essenziale, sospesa sull'abisso, influenzata e sorretta dalla pittura, dalla poesia e dal legame con la terra, il mare, il cielo, eternamente presenti.
Durante un'intervista affermò: «Il cielo che si stinge nel mare e viceversa, le rocce che scompaiono, le cose polverizzate dalla luce rispondono sempre allo stesso progetto di rappresentare un'umanità che fugge, un mondo che si dilegua». <106 Lo scenario partecipa, così, alla narrazione. Accoglie in sé il mondo malato, morente abitato da un'umanità che fugge. Il paesaggio, anch'esso franante, è la sola consolazione che resta.
Nell'opera di alcuni pittori Biamonti trovò una soluzione, un'alternativa, una vicinanza di intenti. Amante dell'opera di De Stael e di Cézanne, divenne amico di Ennio Morlotti <107. Questa amicizia fu di grande importanza per entrambi gli artisti, innamorati del paesaggio ligure e dei suoi movimenti. Impressionati dagli scenari ne rimasero entrambi catturati.
Biamonti, raccontando di una passeggiata con l'amico pittore, disse: «Un giorno si passeggiava sul mare, c'era un tramonto ad occidente tutto fiammeggiante sull'acqua, rosso, molto rumoroso. Poi arrivati in fondo alla passeggiata a mare di Bordighera ci siamo tirati indietro a oriente. C'era un blu già pieno di tenebra con delle venature strane. Ha detto questo: “Ecco dipingerei questo <108 più questo silenzio, che la parte rumorosa del cielo”». <109
È evidente la somiglianza dei due artisti che, con strumenti diversi, espressero la loro formazione e il loro legame all'esistenzialismo. Questa formazione di Morlotti è confermata da Biamonti, che scrisse: "Nell'arte di Morlotti la soggettività individuale umana non cerca la fusione con l'assoluto, ma rappresenta il suo dramma in uno scenario ordinario e nei fenomeni sensibili porta sempre un'interiorità sostanziale. Si direbbe ch'essa proceda a cuore terrestre spezzato al di là della naturalità e dentro i confini del finito dell'esistenza. Gli oggetti dei quadri sono rappresentazioni esistenziali, il correlativo di una emozione profonda; tale correlativo tende a restringersi; v'è infatti nei quadri un'esistenzialità crescente, maggiore asprezza, anche se l'emozione non si affievolisce. (l'emozione si mostra come lato negativo del sentimento di unità e di alta felicità; come sentimento della contraddizione fenomelogica che consiste nell'abbandono, nella sospensione della personalità, senza perdita dell'indipendenza: contraddizione che costituisce l'essenza dell'eros, dove trova il suo riassorbimento eterno.) Tutta strutturata su angosce ed ossessioni, sparge i suoi stillicidi temporali su un fondo di finitudine la coscienza di Morlotti; mentre sempre in situazione, e non essendo statua o estasi, l'esistenza non si identifica, tranne nell'eros (solo forse parzialmente rappresentabile) né con sé stessa, né col mondo, ma sparge dentro le cose del mondo, i suoi segni di intelligibilità e di individualizzazione". <110
Come scrive Paolo Zublena: «La tesi di fondo di Biamonti riconosce, con piena ragione, in Morlotti una struttura di base cézanniana nella visione della natura come apertura all'essere e un tentativo di marca esistenzialista di sfida all'assurdo, lettura tra il freudiano (a livello dell'io e dell'es) e il fenomenologico eracliteo». <111
I due artisti, uniti dall'amicizia, ma soprattutto dai gusti artistici, crescono parallelamente e lavorano affascinati dal paesaggio e dalla sua forza interiore. Biamonti, scrittore, lavora con l'occhio di un pittore, come scrive Paolo Zublena: "Per Biamonti la sorgente dell'ossessione per il paesaggio è senz'altro la pittura, e - più ancora - la specificità percettiva dello sguardo pittorico. È d'altronde Biamonti stesso che enuncia a lettere chiarissime una tale istanza: «Posso dire che la visione di Cézanne, de De Stael e della pittura moderna, mi aiuta a rapportarmi velocemente con il paesaggio. Perché nel pittore c'è già tutto stilizzato. Spesso scrivendo mi dico, quando sono in una impasse, in un vicolo cieco e vedo che s'affastellano troppe parole e non si vede più niente: “Come vedrebbe Cézanne?”».
Si trova qui in ultimo detto a chiare lettere quello che traspariva dall'analisi dei testi: "Biamonti guarda il paesaggio attraverso la mediazione della pittura (di Cézanne, di De Stael, aggiungiamo pure di Morlotti). Il paesaggio della narrativa di Biamonti è un paesaggio dipinto, guardato con l'occhio e con il pennello di Cézanne. […] Abbiamo insomma dei forti indizi che Biamonti scomponga e «ritragga» in parole il paesaggio con l'occhio del pittore. Ma in che forme avviene questa - diciamo così -verbalizzazione dello sguardo? Principalmente attraverso la resa del movimento, che può avvenire in diverse modalità. In genere l'agente del movimento è la luce, lunare o più spesso solare, ciò che dimostra l'analogia con il modus visivo di un pittore, Cézanne o Morlotti in primo luogo". <112
Le sue descrizioni sono laconiche ma piene di passione per la terra, per il mare, la luce, le rocce dove ricerca un appiglio, un appoggio.
Nella sua opera, anche le cose vivono, partecipano, ascoltano, tacciono <113, si muovono. Come scrive Merleau-Ponty ne il visibile e l'invisibile: «Non siamo noi a percepire, è la cosa a percepirsi laggiù, - non siamo noi a parlare, è la verità a parlarsi in fondo alla parola - Divenire natura dell'uomo che è il divenire uomo della natura - il mondo è campo, e a questo titolo sempre aperto». <114
Il paesaggio è un personaggio «gremito di luce», una luce che vive ed agisce sulle cose, svelandone la vera condizione, l'autentica consistenza.
Come scrive Vittorio Coletti: "Nella narrativa degli ultimi anni, tra gli eredi liguri di Calvino, il paesaggio gioca un ruolo di primo piano in due autori come Nico Orengo e, soprattutto, Francesco Biamonti. Fin dall'Angelo di Avrigue, Biamonti ha affidato al paesaggio ligure la parte di un vero e proprio deuteragonista delle sue storie. È un paesaggio gremito di luce, abbagliato da colori intensi e scavato da sotterranee memorie letterarie, poetiche, narrative, persino trobadoriche. Questo paesaggio è dunque vivo, sente, partecipa, secondo un modulo che fu già di Pavese […] La torsione lirica si fa suggestionare anche da Montale. […] Il paesaggio sfrutta così la sua opposizione istituzionale al movimento temporale della narrazione e contrappone alla malattia del tempo le immobili solennità del suo resistere; la gravità cosmica del male è rivelata perciò proprio dalla penetrazione della temporalità nel recinto “arcaico” degli spazi: «C'è in ogni terra… il seme della morte»."
Per Biamonti il paesaggio è vivo, è ciò con cui i suoi protagonisti si confrontano costantemente e continuamente, è un «appoggio», un «appiglio» che resiste quando tutto frana. L'autore lo descrive e, con estremo lirismo, lo dipinge. Coglie i paesaggi nell'attimo in cui nascono, nell'istante in cui l'uomo vi pone lo sguardo. Con poche parole esprime l'impressione che la natura esercita su di lui. Talvolta si tratta di descrizioni sospese, spezzate dai dialoghi o dal silenzio, altre volte l'autore si dilunga, ma non si perde nel naturalismo, come Morlotti dà pennellate piene di materia con cui ghermisce la realtà. Ne descrive i rumori, le ombre, i colpi di luce e i silenzi. La solitudine dell'uomo è in questi silenzi e in questi colpi di luce. Si potrebbe pensare che nella pittura di Morlotti <115 stia la risposta ai silenzi di Biamonti e che le sue opere siano il sottofondo musicale alle opere del pittore. Indubbiamente vi è una profonda vicinanza tra i due artisti e le loro produzioni. Nei romanzi il paesaggio interagisce con i personaggi e suggestionandoli li induce a riflessioni, rievocazioni del passato, alla contemplazione silenziosa. In queste descrizioni l'autore tematizza il silenzio che è nel mondo, nel paesaggio come negli uomini.
Ecco alcuni esempi tratti dai testi:
"Il sole, l'azzurro diffuso e sospeso, i tronchi silenziosi… Gli venivano in mente i calzolai, le scarpe chiodate [P N 22].
- Che silenzio! - Lei disse.
- La Liguria è bella quando è silenziosa. [P N 26].
Uscirono e guardarono in silenzio, allineati come monaci. Il cielo, a oriente, s'andava espandendo. La valle non usciva ancora dal buio. Ma il paese a nord, su un crinale sottile, era tutto una tastiera. Luceva casa per casa. E lì, intorno a loro, sulla rupe di Beragna, la terra si muoveva. Comparivano ulivi intonati ai muri e muri intonati alle rocce. [P N 81].
L'alba, come una falena bianca si affacciava sulla terraferma. Rimbalzava su isole rocciose, decapitava qualche scoglio, nel porto vuoto sfiorava un peschereccio, con le sue tenebre argentate. Poi apparve un paese in una sorta di dolina discosta dalle rive.» [A M 85].
C'è in ogni terra, - pensava, - il seme della morte, si vede bene in piena luce…ci sono colpi di sole su terre appese. [A M 114].
Aùrno, sei case, aveva tre grandi scalinate di terrazze, fra le rocce, di buona terra, né troppo calcarea né troppo acida: un'argilla di medio impasto, che manteneva un'umidità senza ristagni. Una volta soltanto - quasi tre anni senza piovere - l'avevano vista gemere sulla vena senza sgorgare. Per pochi giorni. Era bastato un temporale sul Mercantur per farla di nuovo irrobustire. Alto, riparato a nord da una muraglia naturale, Aùrno era ventoso; ma i venti, che lo flagellavano, passavano sul mare che li mitigava; abbastanza lontano perché il vento depositasse per strada il salino che poteva bruciare. Di rado si vedeva il sale sui lentischi e sui rami d'ulivi. La strada carrozzabile non saliva da Luvaira ma molto più lontano, da Airole. Nelle sue strettoie, nei punti rocciosi, solo un motofurgone riusciva a passare. Lo usava solamente per portare giù il raccolto: rami di mimosa, sacchi d'olive. Se no scendeva a Luvaira a piedi. Le case, disabitate, andavano in rovina. Dorate dal silice ferroso, splendevano nella sera. Se Luvaira era in decadenza, Aùrno era morta. Luminosa per via dell'altura, delle rocce e del sole; ma ormai tenuta in mano dai «signori delle tenebre». Se ne andavano anche i segni cristiani: «madonnette» sbreccate e ròse, e croci, sui bricchi, inclinate dal vento. Gli ulivi, carichi di seccume, anziché folto argento, s'illuminavano di un viola scarno, che precedeva il buio della fina. Varì era l'ultimo testimone di una vita che se ne andava. [V L 11-12].
Adesso la luce era potente, a blocchi, e, più che tremare, sembrava rotolare sull'altopiano. Era una luce che divorava i suoi stessi riflessi e lasciava le cose nette: le rigide spighe dal color esiguo, un mandorlo dalla nera corteccia «Non ha le rughe degli ulivi, ma quasi!», un campo di grano. [V L 53].
Ripensò al mare, duro campo d'arenaria… [A A 9].
Si svegliò prima dell'alba, nella mattina rauca di brezza. Mentre prendeva un caffè emersero dall'oscurità il bosco di querce e l'uliveto. Un mondo vigoroso. Ma poi la piena luce ne rese visibile anche l'aspetto malato: l'ulivo con la lumaggine nera, il limone col cancro. [A A 19].
- In quelle solitudini, tra quei grandi venti monotoni… Posso immaginare cosa diventeresti. [A A p 47].
L'autore è presente in scena, investe di sue impressioni il protagonista ed i personaggi. Lui che ha passeggiato sulle vie dei passeur e che è cresciuto tra rocce ed ulivi, che conosce il mare, descrive le sue suggestioni, la sua contemplazione, i suoi silenzi davanti alla natura, i rumori ed i silenzi del paesaggio che gli vive intorno, con parole incisive ed essenziali, con descrizioni asciutte ma piene di lirismo. Fino alla fine, quando toglierà all'uomo ogni appiglio, e non saprà più su cosa appoggiarsi: «Adesso c'era silenzio. […] Adesso c'era silenzio e nulla su cui sperare»." <116
[NOTE]
105 Intervista di A. Viale, in “Il Secolo XIX” del 21 settembre 1999.
106 Intervista di F. Improta, in “La Gazzetta di San Biagio”.
107 Testimoniato in diverse occasioni. Ricordiamo: Intervista, in Paola Mallone, Il paesaggio è una compensazione. Itinerario a Biamonti. Con appendice di scritti dispersi, Genova, De Ferrari 2001, p. 50.
108 Ho ripreso l'intervista così come era scritta, probabilmente si tratta di un errore nella redazione o trascrizione dell'intervista e «questo» va eliminato.
109 Fulvio Panzeri, Francesco Biamonti, il mio amico Morlotti, “La provincia di Como”, 13 agosto 1998, p.26.
110 F. Biamonti, Ennio Morlotti, con commento iconografico di Renzo Modesti, Milano, 1972, Club amici dell'arte, pp. 7-14.
111 P. Zublena, Lo sguardo malinconico sullo spazio-evento. Biamonti, Morlotti e il paesaggio dipinto, cit, p 451.
112 P. Zublena, Lo sguardo malinconico sullo spazio-evento. Biamonti, Morlotti e il paesaggio dipinto, cit, p 451.
113 «Meglio che non mi metta a dialogare con la notte». [P N 17]. […] i tronchi silenziosi… [P N 22].
114 Maurice Merleau-Ponty, Il visibile e l'invisibile, Bompiani, Milano, 1999, p.202.
115 Eccetto l'ultima fase, da cui Biamonti ha preso le distanze, sia in F. Biamonti, Amo solo il vero, ma ormai il muro della natura è crollato, “Tuttolibri”, XVI, 758, 13 luglio 1991, p. 7; che nelle vesti di Leonardo, protagonista di Le parole la notte, che appare insofferente verso Eugenio, il pittore che, nel romanzo, ricorda Morlotti in P N 192.
116 F. Biamonti, Il Silenzio, Einaudi, Torino, 2003, p.4.
Coletta Venza, Le figure del silenzio e della reticenza nei romanzi di Francesco Biamonti, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Genova, Anno Accademico 2003-2004

martedì 12 gennaio 2021

Giuseppe Balbo e la “I^ Mostra dei Pittori Americani in Europa” di Bordighera (IM)

 Archivio Balbo

Nel 1952 Giuseppe Balbo è il regista di una sorprendente iniziativa artistica che pone Bordighera (IM) al centro dell’attenzione internazionale, al pari di altre più importanti città italiane tradizionalmente note come centri promotori di cultura. La “I^ Mostra dei Pittori Americani in Europa” s’inserisce in un clima di intensi rapporti del nostro paese con gli Stati Uniti.

Un momento dell'allestimento della Mostra - Archivio Balbo

Scrive Walter Shaw nell’opuscolo di presentazione: “Nel prendere sotto i propri auspici questa prima esposizione dei pittori americani in Europa, la città di Bordighera raggiunge il più alto ideale di buona volontà e di fratellanza. Tale è il senso di questo reciproco gesto verso il popolo americano quale lo fu il Piano Marshall nei riguardi del popolo italiano. Tutti i pittori americani che lavorano in Europa sono stati invitati a presentare le loro opere davanti ad una giuria composta da pittori-artisti francesi, americani e italiani. Questa esposizione quindi può ben definirsi internazionale in scopi e sentimento. E’ un panorama che dimostra gli effetti che le diverse concezioni culturali europee passate e presenti hanno avuto nell’animo degli artisti americani“.

Sally Nichols, La piccola strada - Archivio Balbo

Pegeen Vail, Piccolo nudo - Archivio Balbo

Balbo e con lui gli operatori culturali e gli enti pubblici che promuovono la manifestazione, investono sul binomio cultura-turismo che aveva qualificato la storia di Bordighera già nel tardo Ottocento. Credono che sia ancora attuale per far ripartire un’economia svilita dal recente conflitto mondiale e che possa fondare le future sorti della città.

Edward Melchart, Scala a Coney Island - Archivio Balbo

Jean Guerin, Ninfa in solitudine - Archivio Balbo

E. Vardi, Composizione musicale - Archivio Balbo

"E’ difficile trovare uno stile, un carattere che possa classificare la Mostra e potremmo meglio definirla un riflesso delle più disparate esperienze artistiche e d’avanguardia; riassunto che d’altronde è il risultato più logico delle fonti ispirative cui fa capo questa pittura. Fonti che vanno dalle tendenze impressionistiche e postCezanne a quelle fauviste e picassiane, da un astrattismo piuttosto formale ad un realismo con carattere intimista e talvolta anche primitivamente ingenuo e personalistico. Non siamo dinanzi ad arte americana nè di tradizione americana è il caso di parlare … Ognuno di questi pittori si è rivolto al maestro, per non dire all’esemplare…" G.C. Ghiglione, 5 giugno 1952, Il Secolo XIX

Archivio Balbo

Archivio Balbo

Archivio Balbo

Nonostante la tiepida reazione dei critici va considerata una importante caratteristica di questa esposizione: l’istituzione di premi d’acquisto da assegnare mediante una giuria. Il Comune di Bordighera ha quindi la possibilità di acquistare le migliori opere esposte, iniziando così la costituzione di una Galleria d’Arte Contemporanea, primo passo per un Centro internazionale d’arte e di cultura.

Nel 1953 Walter Shaw e Jean Guerin, due miei vecchi amici che vivevano a Bordighera, mi chiesero in prestito dei quadri perchè volevano organizzare un’esposizione di pittori americani che sarebbe stata patrocinata dal Comune, e perciò piuttosto ufficiale. Cocteau scrisse l’introduzione al catalogo ed io accettai di prestare i quadri e andai a Bordighera con Laurence Vail… Il pranzo che Walter e Jean offrirono in onore nostro e di Cocteau fu molto divertente… Con mia grande sorpresa scoprii che eravamo tutti e tre ospiti della città di Bordighera e ci furono offerte tre splendide stanze in un albergo. Peggy Guggenheim

Marco Balbo

lunedì 23 gennaio 2012

Antiche viste di Nizza



Queste stampe, che riguardano Nizza, la prima con soggetto il porto, l'altra con una vista dalla collina di Magnan sita ad ovest dell'antico centro, entrambe con disegno di Albanis Beaumont e acquarello di Cornelis Apostool, sono del 1787. Ce ne sono diverse, invero, di altri scorci della zona, dello stesso anno. E successive.


Non so a quale anno risalga questa immagine di Nizza, ammirata per così dire da est, che pubblico per avviarmi a completare un tour virtuale d'epoca di un approssimativo perimetro della città.


Nizza vista da Cimiez (da nord, più o meno) é di Francesco Bensa (1811-1895), nizzardo. E corrisponde ad un olio su tela.

Altri artisti, locali e immigrati, eseguirono nel 1800, già sotto il Regno di Sardegna, significativi dipinti dedicati a Nizza e al territorio della sua vecchia Contea.


Non ho resistito alla tentazione di pubblicare questo acquarello, anche se lo scorcio ritratto é limitato. Si tratta della zona di Rauba-Capeù, dove oggi sorge il grandioso Monumento ai Caduti Francesi della Grande Guerra (e del secondo conflitto mondiale).


E di tornare ad una stampa del 1787. In questo modo termino a nord-est, circa, il preannunciato giro storico di Nizza.