Una formazione della Triestina seconda in Serie A nel ’48 - Fonte: unionetriestina.it - Immagine qui ripresa da SportHistoria |
La formazione Amatori Ponziana che castigò l’Hajduk Spalato nel 1946/47 - Fonte: Contrasti |
Una delle novità del campionato fu la concessione del GMA (Governo Militare Alleato) di far giocare dall’inizio della stagione tutte le gare casalinghe a Trieste (allo Stadio San Sabba) ad entrambe le squadre. Tale concessione fu subordinata all’assunzione della completa responsabilità del Presidente dell’Amatori Ponziana e dal segretario della Triestina in caso di incidenti.
Da come si legge dagli atti dell’Archivio statale di Trieste
"Io sottoscritto BOLTAR Edoardo, presidente dell’Amatori Ponziana, dopo essermi consultato con i diversi capi dei partiti politici aderenti all’U.A.I.S., garantisco con la presente e mi assumo la responsabilità per il comportamento corretto degli elementi sloveni di Trieste in occasione dell’incontro calcistico che avrà luogo nello Stadio S. Sabba […]"
"Io sottoscritto, COTTA Luciano, segretario dell’UNIONE SPORTIVA TRIESTINA, dopo essermi consultato con i diversi capi dei partiti politici italiani aderenti al C.L.N. garantisco con la presente e mi assumo la piena responsabilità per il comportamento corretto degli elementi italiani di Trieste in occasione dell’incontro calcistico che avrà luogo nello stadio S. Sabba domenica 22 dicembre 1946, tra una squadra proveniente dalla Jugoslavia ed una squadra di Trieste" <346.
Mentre l’A. Ponziana otteneva una discreta prestazione nel campionato jugoslavo, piazzandosi a metà classifica, la Triestina, dunque, disputò il suo miglior campionato della sua storia: dopo una fila di tredici partite utili consecutive, terminò seconda classificata con 49 punti, a pari merito con Juventus e Milan, e sotto solo al Torino.
L’imponente disponibilità finanziaria elargita dal governo italiano, unita alla possibilità di giocare le proprie gare casalinghe a Trieste e alla sapienza tattica di Nereo Rocco, portarono la Triestina nel punto più alto nella sua storia, a distanza di un solo anno dall’ultimo posto ottenuto nel corso del campionato precedente. Tale risultato sportivo è rimasto tuttora ineguagliato e risulta significativo che sia stato ottenuto proprio durante uno dei periodi più tesi della “questione di Trieste”. L’anno successivo la squadra alabardata non riuscì nell’impresa di riconfermarsi tra le grandi del calcio italiano e terminò il campionato del 1948/49 con un discreto ottavo posto; l’A. Ponziana, invece, concluse la stagione all’ultimo posto in classifica, e fu l’ultima apparizione nella Prva Liga.
Nel frattempo, infatti, un importante evento politico andava a sconvolgere gli equilibri internazionali, segnando profondamente tutto l’universo comunista, in maniera particolare quello triestino, ambito sportivo compreso. Stiamo parlando della “crisi del Cominform”. Tale evento politico determinò l’espulsione del partito comunista jugoslavo dall’ecumene comunista per tutta una serie di motivi: lo Stato jugoslavo veniva accusato dal PCUS di quella di aver condotto una «politica indegna nei confronti dell’URSS» <347, di aver rifiutato di rendere conto dei proprio atti politici al Cominform; di aver intrapreso un percorso di deviazionismo ideologico dai principi marxisti-leninisti; e, infine, Tito venne addirittura accusato di essere una spia imperialista.
In questa sede ci limiteremo a considerare solo una delle principali cause che determinò l’espulsione del PCJ dall’organismo del Cominform; vicenda che, oltre a innescare un vero rovesciamento dei rapporti tra potenze occidentali e lo stato Jugoslavo, avrà un effetto dirompente sugli equilibri politici (e, come vedremo, sportivi) del contesto triestino. Tito usciva dalla seconda guerra mondiale come uno dei leader più autorevoli del panorama comunista. Tra il 1941 e il 1944 divenne la guida del movimento di liberazione jugoslavo, ottenendo la liberazione del paese dalle forze nazifasciste e avviando la costruzione dello Stato socialista Jugoslavo. Sulla base di questi successi - che estesero la sua popolarità e il suo prestigio ben oltre i confini jugoslavi - <348 il leader del PCJ, cominciò, sin dall’immediato secondo dopoguerra, a condurre una politica estera in modo sostanzialmente autonomo, suscitando l’ostilità delle potenze occidentali e diventando una figura ingombrante per il regime sovietico. Come scrisse lo storico Pirjevec Stalin come Geova era un dio geloso, e non poteva permettere che accanto a lui sorgessero altri dei <349. Nel giro di pochi anni si venne a creare un clima di sospetto e diffidenza nei rapporti tra sovietici e jugoslavi che portarono alla definitiva sconfessione della Jugoslavia da parte dell’URSS nel giugno del 1948.
La questione di Trieste fu uno dei primi motivi d’attrito tra il leader jugoslavo e quello sovietico: l’occupazione della città giuliana nel Maggio del 1945 da parte delle truppe di Tito e le conseguenti richieste annessionistiche, rischiarono di trascinare la Jugoslavia, assieme all’Unione Sovietica, alle soglie di uno scontro armato con le potenze alleate <350. L’operazione militare di Tito venne interpretata dalle potenze del blocco occidentale come un gesto di sfida, come un deciso tentativo di espansione del mondo comunista all’interno dell’Europa occidentale. Tale tentativo, dunque, fu percepito dalle potenze del blocco occidentale come una manovra architettata dall’Unione Sovietica; lo stesso Churchill si convinse che Tito «fosse un tentacolo della piovra moscovita» <351. Tuttavia, per Stalin, la “questione di Trieste” - benché non fosse contrario alle pretese jugoslave - non fu mai considerata una questione prioritaria né tantomeno una causa per la quale rischiare un conflitto armato con le potenze occidentali.
[...] Tale clima di ostilità e di contrapposizione si estese anche all’ambito extrapolitico, coinvolgendo l’ambito culturale, quello editoriale e, ovviamente, la dimensione sportiva.
A Trieste ci fu lo scioglimento di tantissimi circoli culturali, compagnie teatrali e gruppi bandistici italo-sloveni; in alcune associazioni si scatenarono durissime guerre intestine tra membri di orientamento titoista e fra quelli stalinisti <365. Le principali testate della città presero due strade separate: i “cominformisti” mantennero il giornale italiano “Il Lavoratore”, mentre i titoisti, invece, conservarono la proprietà del già menzionato “Primorski Dvenik”.
A farne le spese fu altresì la dimensione sportiva. Come ha osservato Nicola Sbetti, lo scisma comunista indebolì profondamente la posizione dell’Ucef sullo sport triestino: "Da quel momento il supporto di Tito all’UCEF venne meno anche perché, con l’uscita della Jugoslavia dal Cominform, vi fu una presa di distanza anche dal PCI, partito a cui molti membri dell’UCEF erano legati" <366.
Ma soprattutto la “crisi del Cominform” pose fine del sostegno finanziario del governo Jugoslavo nei confronti dell’Amatori Ponziana. La società triestina terminò mestamente la stagione 1948/1949 all’ultimo posto in classifica e, dopo tre campionati nella Prva Liga, scomparve completamente dal panorama calcistico <367. Alcuni suoi giocatori trovarono sistemazione in altre squadre del campionato jugoslavo, la maggior parte, invece tornò in Italia. A quest’ultimi, però, fu impedito, per i primi sei mesi, di svolgere l’attività sportiva: la FIGC, infatti, punì i giocatori “fuggiti in terra jugoslava” con una squalifica semestrale <368.
Successivamente, l’epilogo della vicenda dell’A. Ponziana andò a incidere anche sul destino della Triestina, determinando un progressivo disinteresse da parte del governo italiano per le sue sorti sportive, che divenne pressoché totale dopo il 1954.
Dopo il Memorandum di Londra, che sancì il ritorno ufficiale della città all’Italia, il valore simbolico e propagandistico della Triestina subì un deciso ridimensionamento; e, anche per questo motivo, dopo la retrocessione in serie B nella stagione 1956-57, la squadra alabardata non riuscirà più a prendere parte alla massima serie italiana.
Si chiudeva quindi una vicenda fortemente rappresentativa del clima di contrapposizione e rivalità che caratterizzò la città giuliana dopo il 1945.
[...]
Appendice
Intervista con Giuliano Sadar, 19 Febbraio 2015.
Giulino Sadar è stato inviato del quotidiano “TriesteOggi” per il quale ha seguito le vicende delle squadre di vertice triestine. Giornalista professionista dal 1993, oggi lavora alla sede Friuli-Venezia Giulia della Rai. Nell’Ottobre 1997 ha pubblicato il suo primo libri “El Paron, vita di Nereo Rocco (Lint Editoriale).
1. Come nasce l’idea di questo libro?
Tutto nasce dal particolare clima politico che poi si riverberò all’interno del contesto sportivo. Sono venuto a sapere di questo episodio negli anni '80 ad Avellino, durante una partita tra Triestina e Avellino. Sono andato a casa di un certo Lo Schiavo, un triestino che viveva ad Avellino e mi riferì di questo episodio. La storia dell’Amatori Ponziana l’ho raccontata io per la prima volta, perché qua c’era proprio un tabù nel parlarne.
[...]
3. Lei ha scritto che «passare dall’Amatori Ponziana era un tradimento di maglia, affetti e ideologie», cosa intendeva con questa espressione?
Calcoli che il Ponziana, era la tradizionale squadra dei lavoratori del porto di Trieste, un ambiente molto frequentato dai socialisti; la Triestina invece era la squadra, tra virgolette dei “signori”, della borghesia italiana. Erano due mondi diversi, inconciliabili. Passare da una squadra all’altra veniva visto come un tradimento, soprattutto per quelli che dalla Triestina passarono all’Amatori Ponziana. La gente li vedeva come “dei venduti ai comunisti di Tito”. Questi 40 giorni di Tito a Trieste, sono stati vissuti malissimo dalla cittadinanza, era il periodo delle “Foibe”, un periodo di grandi violenze.
4. Quanto contava la questione ideologica nell’aderire all’Amatori Ponziana?
Intanto erano tutti giocatori italiani. A quanto mi ha detto Ettore Valcareggi (giocatore dell’Amatori Ponziana, ndr) fu prevalentemente una motivazione economica. Quando lo incontrai, mi disse “mi davano un milione all’anno”. La dirigenza era invece comunista: c’era un evidente motivazione politica. Secondo me, almeno tra i giocatori, ma è solo una mia sensazione, non c’era una particolare adesione politica.
5. Una parte di Trieste sperava nell’adesione di Trieste durante quel periodo?
Gli sloveni, e una parte dei comunisti italiani favorevoli a Tito. Al di là del socialismo, la Jugoslavia era una potenza militare, perché Tito era uscito vincitore da una guerra civile sanguinosissima, quindi aveva una grande forza di attrazione rispetto all’Italia, che era si era praticamente sfaldata dopo l’8 Settembre.
6. Quanto ha inciso la rottura fra Tito e Stalin sulle sorti sportive di entrambe le squadre?
Come ho già scritto nel libro, ha fatto calare il valore propagandistico di tenere la squadra in Jugoslavia. Lo stesso vale per la Triestina. Ha avuto finanziamenti fino agli anni ’50, fu tenuta in serie A fino al 1959, dopodiché ci fu il declino. Arrivavano soldi qua, come arrivavano soldi dalla Jugoslavia. Lo sport è sempre servito per motivi politici.
7. Era molto seguita l’Amatori Ponziana?
Si, era molto seguita durante le partite, ovviamente dalla parte comunista della città.
[NOTE]
345 Ivi, p. 64.
346 ASTs (Archivio di stato di Trieste), Oggetto n. 246, Unione Sportiva Triestina, II 27 B.
347 J. Pirjevec, Tito, Stalin e L’Occidente, Opicina, Villaggio del fanciullo, 1985, p. 173
348 P. Purini, op.cit. , p. 264.
349 J. Pirjevec, Tito, Stalin e L’Occidente, Opicina, Villaggio del fanciullo, 1985, p, 16.
350 Il pericolo che Tito trasformasse Trieste in un fronte di agitazione comunista portò le forze alleate a prendere in considerazione l’eventualità di uno scontro armato con le forze jugoslave. J. Pirjevec, op. cit., p. 36
351 J. Pirjevec, op.cit , p. 19.
365 P. Purini, op.cit. , p, 272
366 N. Sbetti, op.cit. , p, 429.
367 Ricordiamo che il C.S. Ponziana 1912 continuava a svolgere la sua attività sportiva nelle categorie inferiori del calcio italiano.
368 G. Sadar, op.cit. , p, 64.
Nicolò Falchi, Il Calcio al confine: il caso di Trieste. Dall’irredentismo alla guerra fredda, Tesi di laurea, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, Anno accademico 2014-2015
Il Ponziana del 1948/49, all'ultima recita nella Prva Liga - Fonte: Stefano Affolti, art. cit. infra |
Declino, blitz e campioni. Da allora il Ponziana conosce un lento ma inesorabile declino: la coraggiosa squadra del quartiere popolare naviga nei tornei minori, segnalandosi come ottimo vivaio (escono da lì Fabio Cudicini, il povero Giorgio Ferrini e Giovanni Galeone) e realizzando ogni tanto blitz da prima pagina. Come quando, il 17 luglio 1960, vince grazie alla monetina la finale nazionale dei dilettanti a Rimini con la Scafatese (finita 1-1). O quando, il 1° dicembre 1974, batte 1-0 la Triestina in un memorabile derby di serie D, giocato al Grezar davanti a ventimila spettatori. Triestina che, dopo la fine della querelle sui confini orientali, a sua volta perde la tutela politica della Dc: abbandona la serie A nel 1959 per non rivederla più.
Siccome reincarnarsi non gli dispiace, lo spirito del Ponziana è ancora vivo sotto altre spoglie: la società originaria è scomparsa nel 2014, oggi la legittima erede si chiama Chiarbola Ponziana e milita in Promozione.
Stefano Affolti, La guerra fredda del Ponziana, Gente di Calcio, 22 luglio 2020
L’inviato speciale del «Corriere» Egisto Corradi avrebbe tenuto in sospeso gli animi dei lettori con un reportage a puntate sulle sorti di quegli «Italiani modello, intensissimi Italiani, uomini che da piccoli giuocavano con le bandiere italiane invece che con bambole e palline», costretti nella Zona B del Territorio Libero di Trieste a veder smantellato «tutto ciò che è italiano, dalle scuole alle squadre di calcio, [...] terra italiana in cui si ascolta Radio-Milano di nascosto, a porte e finestre chiuse» <461, ridotti in libertà vigilata, serrati dietro «una trincea».
"Tutti gli Italiani possono esaminare carte geografiche e rendersi conto della situazione, ma i triestini, in mezz’ora di automobile da Piazza Oberdan, possono arrivare a toccare uno qualsiasi dei sedici posti di frontiera che dividono la zona anglo-americana del Territorio libero dalla Jugoslavia. [...] Dovete sempre ricordarvene quando parlate con loro: vivono in un cerchio che ha per raggio mezz’ora di vita libera. Se ve ne dimenticate, senza dirvelo, ve lo ricordano; e se avete orecchio intenderete sempre questo fatto della mezz’ora come sottinteso implicito ed incombente in ogni loro discorso. I triestini «sentono» la cortina di ferro che corre tutt’intorno, così come un cieco «sente» le pareti che ostacolano il suo cammino" <462.
[NOTE]
461 A Capodistria si ascolta Radio-Milano di nascosto, «Il Corriere della Sera», 1 aprile 1948.
462 Sarà duro per Tito lasciare la “Piccola Istria”, «Il Corriere della Sera», 8 aprile 1948.
Vanessa Maggi, La città italianissima. Usi e immagini di Trieste nel dibattito politico del dopoguerra (1945-1954), Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Urbino Carlo Bo, Anno Accademico 2018-2019