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Maria Luisa Spaziani - Fonte: La Stampa
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III
L'esordio poetico: Le acque del Sabato
Sere di inverno
Sere di inverno al mio paese antico,
dove piomba il falchetto dentro i pozzi
d'aria, tra l'uno e l'altro campanile.
Sere rapite a un'onda di sambuchi
invisibili, ai vetri dei muretti
d'ultimo sole accesi, dove indugia
non so che gusto d'embrici e di neve.
Vorrei cogliervi tutte, o mie nel tempo
ebbre, sfogliate voci lungo l'arida
corona dell'inverno,
e ricomporvi in musica, parole
sopra uno stelo eterno.
- M.L. Spaziani, Le acque del Sabato -
[...] In una intervista del 1977 la
Spaziani, ancora in proposito alla scelta del titolo, dice: "Mi aveva colpito l'espressione: il fiume che scorre il sabato non ha lo stesso ritmo morale, per così dire, del fiume che scorre negli altri giorni, perché è un'acqua sacralizzata. L'acqua della poesia è diversa: è l'acqua del sabato: è l'acqua della festa, l'acqua del rito."
Inizialmente vi fu un silenzio totale della critica, finché il 12 ottobre 1954 non uscì sul “Corriere della Sera” un articolo di Emilio Cecchi, il quale definiva la raccolta poetica di Maria Luisa Spaziani come "uno dei libri più magnanimi delle recenti generazioni, dove la cultura si sposa con la natura".
[...]
Le acque del Sabato raccoglie componimenti scritti dalla poetessa tra i venticinque e i trent'anni. Questa prima opera è fortemente legata ai luoghi d'infanzia, in particolare alla “villetta dei ciliegi” e alla campagna astigiana (la madre nacque a Mongardino d'Asti) e, non a caso, verrà definita come "il libro della mia preistoria".
Sono anni in cui la Spaziani viaggia molto e nella raccolta si possono scorgere poesie su Venezia, Edimburgo e Parigi, oltre che ai sopracitati luoghi natii ai quali rimase sempre molto legata. La contrapposizione fra la patria e l'estero è quella fra immobilità dell'essere e la mobilità del viaggio, mezzo di conoscenza, punto per una nuova partenza: "Mille strade ci attendono ancora".
In questa prima raccolta vengono anticipati temi che ricorreranno insistentemente nella produzione successiva: la solitudine, la distanza e la rievocazione dei luoghi amati, per quanto riguarda la sfera emozionale, la luna e il mare come elementi della natura che di volta in volta si fanno portatori di significati diversi. Inoltre emerge fin dai primi scritti la centralità della parola, strumento di verità; essa, come si diceva, è esatta ed incisiva, volta a cogliere la concretezza della vita.
[...] Luigi Baldacci definisce la poesia della Spaziani come "una poesia di voce, ricca di quel suono che Leopardi riteneva intrinseco alla funzione della poesia, prima che i moderni ne smarrissero l'eco e i vestigi". Da questa breve affermazione emerge l'idea fondamentale della prima raccolta e di quelle successive, e cioè l'unione fra canto e parola.
La poetessa rivendica una propria autonomia nel quadro letterario a lei contemporaneo, e afferma che la sua poesia ha subito degli influssi shopenaueriani, per quanto riguarda la "radice nera" di sottofondo, e che la sua formazione è avvenuta su autori francesi come Baudelaire e Rimbaud, attraverso la lettura delle emozionati poesie di Anna Achmatova e dalla scrittura etica e spirituale di Rilke. Sicuramente in ambito italiano sono state fondamentali le personalità di Pascoli per quanto riguarda la metrica, d'Annunzio per il panismo, Montale emerge nell'uso aperto del pronome "Tu" e nell'endecasillabo montaliano più volte ricordato, Saba e Quasimodo, poeti a lei contemporanei che pubblicarono le loro prime poesie sulla rivista "Il Dado". Tuttavia, come bene ha osservato Paolo Lagazzi, la Spaziani con la sua originalità ha saputo confondere le acque e nascondere le tracce.
In proposito alla “radice nera” presente nella sua poesia, mi affiora subito alla mente il componimento posto in apertura de
Le acque del Sabato:
Non fare che ti tocchi
l'ansito cupo, il battito sulfureo
che dalla terra mascherata,
primavera, si svincola feroce.
Corri, stagione, sul tuo filo azzurro
di polline e di vento.
Cielo per noi sarebbe
fin la maceria sotterranea
se nei meandri sconosciuti, tetri
come le nostre viscere,
il dilagante fiore nero
per noi felici maturasse in segreto.
[...] Le acque del Sabato rievocano la dimensione del ricordo e della memoria che trasfigurano in un linguaggio poetico che tenta di squarciare il "velo di maya" per penetrare nel profondo e raggiungere il nocciolo della vita.
La Spaziani ricorda che vi è un contrappunto fra la realtà vissuta e la realtà ricordata, tema prettamente proustiano. La poetessa è debitrice della teoria della memoria di Proust, il quale distingueva la memoria volontaria rievocata dall'intelligenza e per questo arida, e la memoria involontaria che riemerge tramite le sensazioni pure.
La reminiscenza quindi affiora dalla memoria involontaria, attraverso essa vi è il recupero del passato che altrimenti cadrebbe nell'oblio. La poesia della Spaziani è fatta di ricordi, di sensazioni e di oggetti concreti, ci ripropone momenti quotidiani in chiave lirica, momenti che talvolta vengono trasfigurati dalla riflessione poetica.
La poesia come contemplazione infatti si riferisce ad oggetti concreti, ma tende a creare intorno a loro un alone di solitudine, questo il motivo principale dei toni malinconici della raccolta.
Ora scende il grigiore
Ora scende il grigiore in mezzo ai vicoli
che un liuto strazia e allarga oltre l'umano
mio tempo, arido ai ricordi.
E mattini ritornano leggeri,
agili sui selciati di rugiada
i nostri passi, i nostri lunghi indugi
sugli eroi dell'Iliade.
O mattini d'estate che memoria
del dolore gelosa in sé contrasta!
Un liuto sospirava una canzone
dietro le canne polverose.
Memoria-autunno-morte, biondo cerchio,
sempre più oscurandoti mi stringi,
feroce amore. Nel componimento sopracitato è vivo il tema della memoria del passato che ritorna al di fuori del tempo, che sembra essere restio ad accogliere il ricordo.
[...] Ma la luna diventa emblema della solitudine quando la poetessa si trova lontano dalla sua patria, in una città fredda dalle tinte fosche non paragonabili alle luci mattutine italiane.
Edimburgo
Se qui la fredda luce non risveglia
le tinte dei mattini della patria
non chiamarmi, città. Piovono oscure
non so che angosce, o attese, o solitudini.
S'animano le caserme nella sveglia
dell'alba. Ulula un cane da un balcone.
Passa un carretto solitario, un nome
nessuna cosa più scandisce.
Contro il cielo che imbianca,
solo un cipresso e il campanile e un roco
carosello di rondini s'imbruna.
Ma l'Italia è lontana. E questa è valle
e tempo e suono della luna. La malinconia viene descritta in modo diverso nel componimento Giudecca, la città di Venezia porta con sé un alone di mistero e di attesa e la poetessa osserva i giochi d'acqua della laguna, ascolta il canto lamentoso dei gondolieri che si inabissa nelle acque scure. L'atmosfera è dominata dalla luna, forse il sole splende in un altro luogo rigoglioso e proteso verso la vita. Al v.6 compare la cicogna che nell'immaginario collettivo porta il pargolo e quindi a livello generale annuncia ancora una volta la nascita/rinascita.
Giudecca
Dolce sera: la luna si disfoglia
lenta sulla palude dell'attesa.
Passano i gondolieri, il loro grido
sprofonda, e mai più al mondo tornerà.
Lontanissimo forse il sole splende
su voli in gloria di cicogne, forse
una bionda stagione i ricchi frutti
per te matura, per te s'inghirlanda.
Io qui raccolgo i cerchi che la riva
pigra rimanda. Sono la tua statua
senza occhi né mani.
Quella storia che chiamano la vita
avrà un senso domani.
Intensa la descrizione della luna, vista come un foglio che si adagia sull'acqua, lì si riflette e sembra “disfogliarsi” perché muta continuamente i suoi contorni incerti sulla laguna mossa dal passaggio di una gondola. I contorni incerti della luna sono gli stessi della vita, che non sempre sembra aver un senso.
Un componimento che, a mio avviso, sintetizza molto bene il concetto della solitudine. Tale sensazione la troviamo soprattutto nella prima quartina, dove si pone l'accento sull'attesa e sul grido dei gondolieri che naufraga nella laguna solitaria. Anche la luna ha una sua importanza nella lirica sopracitata, infatti è descritta come elemento naturale che sottende al ciclo vitale, concetto che nella raccolta La radice del mare (1999) verrà nuovamente ribadito. Le maree vengono qui accostate al pensiero intermittente, che cala e che cresce, che ora è produttivo e ora è spento. La poetessa colloquia con la luna in giorni di triste solitudine e ma anche di felicità.
Nella nebbia dormiamo, eppure la luna c'è,
se ne sta assorta e remota nei suoi feudi lontani.
Non vista comanderà nelle maree,
sui miei pensieri in alto intermittenti?
Con lei ho colloquiato in giorni di solitudine,
quando fra grigio e nero, s'intrecciava il mio tempo.
Nemmeno quand'ero felice l'ho dimenticata,
e nei suoi mari senz'acqua saltavo, delfino in amore. [...]
Giulia Dell'Anna,
L'universo poetico di Maria Luisa Spaziani, Tesi di laurea, Università Ca' Foscari, Venezia, Anno Accademico 2011/2012, pp. 19-34