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sabato 19 febbraio 2022

Gli agenti furono lanciati quaranta miglia a meridione del punto stabilito

Tirli, Frazione di Castiglione della Pescaia (Grosseto) - Foto: Danilo93 su Mapio.net

Il 22 gennaio 1944 le truppe anglo-americane sbarcarono ad Anzio per forzare il fianco della X Armata tedesca e superare, così, lo stallo che si era creato sul fronte di Cassino.
Sennonché il maggiore generale John P. Lucas, Comandante del VI Corpo d’Armata, non seppe approfittare delle quasi inesistenti linee di difesa tedesche e decise di fermarsi predisponendo uno schema di difesa della testa di ponte: l’offensiva frontale della V Armata si arenò a Cassino e la testa di ponte di Anzio, anziché serrare i tedeschi in una manovra a tenaglia, diventò un rischio per l’Allied Forces Headquarters (AFHQ) e la stessa V Armata.
Con quest’ultima sbarcò ad Anzio anche un‘unità dell’Office of Strategic Services (d’ora in poi OSS) che, tuttavia, non aveva un predefinito piano operativo. Il distaccamento dell’OSS ad Anzio inviò numerose missioni oltre le linee ma, in assenza di coordinamento con gli agenti infiltrati a Roma, raccolse informazioni strategiche militari di valore tattico limitato rispetto all’avanzata della V Armata <1.
A decorrere dal gennaio 1944, una parte del lavoro dell’OSS consistette nella raccolta d’informazioni strategiche concernenti la dislocazione delle bande partigiane nell’Italia occupata dai tedeschi, che si tradusse nella redazione di rapporti mensili, con allegate mappe dettagliate, inviati, poi, al direttore dell’OSS a Washington e, attraverso quest’ultimo, alla Casa Bianca.
Inizialmente questi rapporti furono redatti dal SIM, giusta la collaborazione tra i ricostituiti servizi segreti italiani del colonnello Agrifoglio e quelli americani, quale formalizzata nell’accordo del settembre 1943 con la Sezione italiana della Secret Intelligence Branch (SI) di Scamporino e Corvo, di cui sopra si è detto. In seguito, man mano che s’incrementò l’entità dell’infiltrazione degli agenti dell’OSS oltre le linee nemiche e s’intensificarono, così, le relazioni di questi ultimi con i patrioti italiani, tali rapporti furono sempre più densi di dettagli, concernenti sia gli uomini sia gli armamenti e consentirono, così, di ponderare la forza sia locale sia regionale e generale di queste organizzazioni irregolari <2.
Gli agenti che Bourgoin aveva reclutato a Napoli furono inviati in missioni di lungo raggio e raccolsero informazioni che si rivelarono molto utili alle tormentate forze militari alleate che combattevano ad Anzio. Nel suo rapporto riservato sulle attività dell’OSS dal 20 settembre 1943 al 26 gennaio 1945, Bourgoin ha celebrato, tra gli altri, l’agente “Cervo”, alias Maurizio Giglio, che, allo scopo di facilitare la missione d’intelligence di cui era stato investito, riuscì a introdursi nella polizia segreta fascista in veste di ufficiale di collegamento (Liaison Officer) con le autorità tedesche. Egli fu molto abile nel raccogliere una gran quantità d’informazioni militari segrete, trasmetterle via radio al Quartier Generale di Caserta e, altresì, preparare basi sulla costa tirrenica e, in particolare, nell’area di Capalbio, per consentire lo sbarco di altre missioni dell’OSS in Italia e, soprattutto, dalla Corsica. Stabilì contatti con alcuni esponenti dei partiti antifascisti che, clandestinamente, stavano organizzando la Resistenza nella Roma occupata dai tedeschi, tra i quali spiccavano Franco Malfatti, membro del Partito Socialista Italiano (PSI) e braccio destro del rappresentante socialista nella giunta militare del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), Giuliano Vassalli che collaborò, in particolare, con Peter Tompkins <3.
Accadde, infine, che, nella prima parte di marzo ’44, il radiotelegrafista Vincenzo Converti fu denunciato alla Gestapo: il fatto di per sé di rilevante gravità assunse una notevole importanza anche per i suoi inquietanti risvolti con riguardo alla sorte dell’agente “Cervo”, il quale, il 17 marzo 1944, fu arrestato dalle SS e, quindi, fucilato alle Fosse Ardeatine. Così Bourgoin raccontava la drammatica fine del suo agente:
"Il tenente Giglio, nel tentativo di salvare le attrezzature radio, su ordine di Mr. Tompkins, fu arrestato dalle SS tedesche e, dopo alcuni giorni di orribili torture, fu infine fucilato alle Fosse Ardeatine il 24 marzo insieme con i trecentoventi ostaggi italiani. Con la persona del tenente Giglio, perdemmo uno straordinario e capace agente e uno dei migliori patrioti italiani che avessi avuto l’onore di conoscere durante il mio servizio in Italia. Nonostante le torture inflittegli nei sette giorni di prigionia, egli rifiutò sempre di confessare e mantenne al sicuro i nomi e gli indirizzi di tutti i nostri agenti, compreso Mr. Peter Tompkins e così, con il sacrificio della sua vita, salvò tutta la nostra organizzazione" <4.
Fallito il tentativo di prelevare il figlio del maresciallo Badoglio durante la citata missione Richmond II, si decise di porre in essere una nuova operazione anche allo scopo di stabilire contatti con alcuni nuovi gruppi di partigiani sparpagliati in Toscana e, in particolare, tra Tarquinia e Follonica. Tale missione fu compiuta dall’ufficiale dell’aviazione italiana, Piergiorgio Menichetti, il quale si offrì volontario e dal radiotelegrafista, tale Mummolo, nome in codice “Barone”. Entrambi furono paracadutati nella parte sud-orientale di Orbetello. L’operazione, secondo la testimonianza di Bourgoin, fu condotta dall’aviazione britannica che, però, nonostante che l’OSS avesse impartito istruzioni molto precise e corredate di mappa a grande scala nonché fotografie aeree del punto di lancio, paracadutò i due uomini a dieci miglia più a nord del punto stabilito. Questi furono, così, lanciati nel mezzo di una fattoria occupata dalle truppe nemiche e, solo grazie al loro coraggio e abilità, riuscirono a scappare. Come se non bastasse, l’attrezzatura radio, gli effetti personali e le mappe militari furono lanciate a venti miglia dal punto in cui gli uomini erano stati paracadutati. Pertanto, la missione fu assolutamente inutile in quanto gli agenti, privi come furono delle necessarie attrezzature, furono impossibilitati a mettersi in contatto via radio con la base. Menichetti tentò, invano, di collegarsi con gli altri agenti segreti alleati, soprattutto britannici, che si trovavano nella vicina regione di Viterbo, ma i messaggi furono trasmessi al Quartiere Generale con un mese di ritardo. L’inarrestabile Menichetti, non potendo lavorare, decise, quindi, con l’aiuto del capitano Fantappié che possedeva una piccola imbarcazione lunga quindici piedi, di raggiungere con questo mezzo qualche isola occupata dagli Alleati. La loro avventurosa spedizione non fu vana perché fornì importanti informazioni strategiche concernenti tutte le fortificazioni costiere, i presidi e i movimenti delle truppe tedesche sulla costa tirrenica tra Civitavecchia e Piombino e consentì di redigerne mappe molto dettagliate che giovarono alle operazioni speciali dell’OSS che si dipartirono soprattutto dalla base di Bastia in Corsica. L’impresa fu descritta con enfasi ancora da Bourgoin che celebrava il raro coraggio dei due uomini con queste parole:
"Il 14 marzo, essi salparono da Castiglion della Pescaia diretti a Bastia, Corsica. A loro si aggiunsero due patrioti italiani desiderosi di unirsi alle forze armate italiane che combattevano dalla nostra parte. La prima parte del viaggio verso l’isola di Monte Cristo fu facile ma nel mezzo della notte furono colti da vento molto forte che lacerò la vela e fece scoppiare l’albero maestro dell’imbarcazione, sicché invece di arrivare in Corsica come programmato, essi approdarono esausti, dopo settantadue ore di navigazione su un mare molto mosso, su una piccola roccia a largo della costa della Sardegna vicino all’isola della Maddalena. Individuati dalla Marina Britannica, arrivarono quindi a Napoli con un volo il 16 marzo ‘44. Menichetti e il capitano Fantapie [sic] fornirono informazioni utilissime concernenti tutte le fortificazioni costiere, i presidi e i movimenti delle truppe dei tedeschi sulla costa tra Civitavecchia e
Piombino e contribuirono a redigere mappe molto dettagliate delle quali una copia fu inviata anche al colonnello Livermore, Commanding Officer dell’OSS in Corsica" <5.
Anche una seconda missione intentata dal medesimo agente Menichetti rischiò di essere compromessa a causa di un grave errore di lancio da parte dell’Aviazione britannica, sebbene questa volta fosse stata adottata una serie di precauzioni, compresa, in particolare, in una dettagliatissima mappa della zona di lancio e, pur tuttavia, il coraggio e l’iniziativa di Menichetti e i suoi uomini supplì la carenza militare e consentì di compiere un’eccellente missione. Menichetti si arruolò volontario per una seconda missione nella quale fu accompagnato dal radio operatore Bormida. I due agenti dovettero essere lanciati a Tirli, a est di Follonica, per unirsi a un potente gruppo di patrioti il cui comandante, tale Vanucci, fu convocato da Bourgoin con l’intermediazione del generale Accame. Le forze aeree britanniche furono dotate di una mappa dettagliata del punto per evitare di commettere il medesimo errore in cui erano incorse nella prima missione. Nonostante tutte le precauzioni adottate, però, gli agenti furono lanciati quaranta miglia a meridione del punto stabilito, mentre le attrezzature radio, le batterie e i generatori elettrici non furono paracadutati tutti insieme, tanto che, mentre le batterie e i generatori furono individuati, le radio, invece, finirono in un posto assolutamente sconosciuto e, infine, andarono perdute. A dispetto delle circostanze, Menichetti riuscì a mettersi in contatto con un’altra stazione radio operante nella regione e si dovette organizzare, quindi, un’altra operazione di aviolancio volta a rifornire gli agenti del necessario equipaggiamento.
I messaggi inviati da Menichetti furono molto importanti perché contennero informazioni militari di grande valore che permisero all’aviazione alleata di distruggere il più grande deposito tedesco di munizioni in Italia a Tombolo di Feniglia vicino a Orbetello. Pertanto, quando gli Alleati arrivarono sul posto a metà giugno, centinaia di barili di gasolio erano stati dati alle fiamme, immensi rifornimenti distrutti e un gran numero di tedeschi uccisi.
Inoltre, grazie a questa missione, il comando di tutti i gruppi di partigiani della regione fu fortificato e ingaggiata una dura battaglia che distrusse una gran quantità di armamenti nemici, spianando, così, la strada all’avanzata della V Armata. E’ ancora Bourgoin che, così, ricordava l’agente da lui reclutato:
"Egli compì una meravigliosa missione grazie alla quale furono inviate noi informazioni militari d’immenso valore che permisero all’Air Force di distruggere il più grande deposito di munizioni tedesco in Italia. Centoquaranta Flying Fortressess bombardarono il posto sito a Tombolo di Feniglia vicino a Orbetello. Il deposito fu interamente distrutto, tre navi affondate e quando gli Alleati arrivarono sul posto a metà giugno, centinaia di barili di gasolio furono dati alle fiamme, immensi rifornimenti distrutti e un gran numero di tedeschi uccisi. Grazie alla capacità di Menichetti, il comando di tutti i gruppi di partigiani della regione fu fortificato e fu ingaggiata una battaglia che distrusse una gran quantità di armamenti tedeschi, uccidendo in una sola volta centosessanta tedeschi e aprendo la strada alla V Armata che trovò le posizioni abbandonate dal nemico. Menichetti catturò due batterie tedesche, quattro mitragliatrici e venti carri armati che furono consegnati agli americani della V Armata. I due radiotelegrafisti all’ultimo minuto abbandonarono le loro attrezzature radio e combatterono con i partigiani italiani e il loro ufficiale comandante" <6.
Nello stesso periodo dalla base dell’OSS di Bastia in Corsica si dipartirono altre importanti missioni d’intelligence, a lungo raggio, aventi come destinazione l’Italia occupata dal nemico. L’operazione denominata Richmond II, che, come avanti enunciato, approdò sulla spiaggia di Fosso Tafone nella notte tra il 17 e il 18 gennaio ‘44 e si svolse tra la Liguria e la Toscana, fu affidata alla squadra composta dei seguenti agenti: Vera Vassallo; Sergio Tavernari e Salvatore Piazza, nome in codice “Turi”, oltre ai radiotelegrafisti Alberto Fabbri e Mario Rebello. Vera Vassallo, che si era formata nei servizi d’intelligence della Marina Militare Italiana, compì la missione affidatale con encomiabile determinazione, permettendo ai servizi segreti americani di mettersi in contatto con le principali bande partigiane italiani operanti nel distretto delle Alpi Apuane, La Spezia e la Toscana nonché con il CLN di Firenze. Si narra di ben sessantacinque operazioni di aviolancio alleate per il rifornimento di armi e munizioni in favore dei partigiani di quell’area [...]
[NOTE]
1 M. Corvo, La campagna d’Italia dei servizi segreti americani cit., pp. 206 e 207.
2 Si veda, a tal proposito, il citato rapporto del SIM sulle bande partigiane nell’Italia del nord, con allegata mappa, che fotografa la situazione nel periodo dal 1° maggio al 31 luglio 1944 con riferimento alle regioni di: Toscana, Emilia, Marche, Piemonte e Liguria, Lombardia e Veneto. Il rapporto analizza sia l’organizzazione sia le attività delle formazioni di partigiani le quali ‹‹a prescindere dai partiti politici di riferimento, sono controllate dal Comitato di Liberazione Alta Italia (CLNAI) che ha fatto tutto il possibile per coordinare le attività di tutti i gruppi di patrioti nella comune guerra contro il nemico›› nonché l’esatta posizione per area geografica con l’indicazione della forza in uomini e arsenale delle bande organizzate. SIM Reports. Armed Bands in Northern Italy cit.
3 A. Bourgoin, From 20th September 1943 to 26th January 1945 cit., p. 55.
4 ‹‹Lt. Giglio, trying to save the radio sets on orders given to him by Mr. Tompkins, was captured by the Germans and during several days of horrible torture, he finally was shot at Fosse Ardeatine on the 24th of March with 320 Italian hostages. We lost, in the person of Lt. Giglio, an extraordinary and capable agent and one of the best Italian patriots I had the honor to know while serving in Italy. In spite of the tortures which had been inflicted on him during the seven days, he always refused to give the names and safe addresses of all of our Agents including Mr. Peter Tompkins, and by the sacrifice of his life, he thus saved all of our organization›› A. Bourgoin, From 20th September 1943 to 26th January 1945 cit., p. 56.
5‹‹On the 14th of March they sailed from Castiglione della Pescaia to Bastia, Corsica. They took with them two Italian patriots who were willing to join the regular Italian Army fighting on our side. The first part of the trip to the Island of Monte Cristo was easy, but in the middle of the night they were caught bay a very heavy gale which tore the sail , blow off the mast of the ship and instead of arriving in Corsica as planned, they landed exhausted after seventy-two hours of navigation on a very rough sea, on a little rock off the Sardinian Coast near Maddalena [sic]. Rescued by the British Navy, they arrived in Naples with a plane on the 16th of March. Menichetti and Capt. Fantapie [sic] supplied us with the most useful information about all coastal fortifications, German garrisons and troop movements on the coast between Civitavecchia and Piombino. Detailed maps were established and a copy sent to Col. Livermore who was the Commanding Officer in OSS Corsica.›› A. Bourgoin, From 20th September 1943 to 26th January 1945 cit., pp. 66 e 67.
6 ‹‹He accomplished a wonderful mission sending us the most valuable military information and allowing the Air Force to destroy the biggest German dump in Italy. One hundred and forty Flying Fortresses bombed the place at Tombolo di Feniglia near Orbetello. The dump was entirely destroyed, three boats sunk, and when the Allied Armies arrived on the spot in the middle of June, thousands of gasoline barrels had been burned; enormous supplies destroyed, and a great number of Germans killed. Due to ability of Menichetti, he secured the command of all resistance groups of the Region and put up a fight destroying a great quantity of German equipment killing in one battle one hundred and sixty Germans and opening the way to the Army which found the positions abandoned by the enemy. Menichetti captured two Germans batteries; four machine guns and twenty trucks were given to the American 5Th Army. The two radio operators at the last minute abandoned their radio sets and fought with the patriots and their Commanding Officer.›› A. Bourgoin, From 20th September 1943 to 26th January 1945 cit., pp. 68 e 69.
Michaela Sapio, Servizi e segreti in Italia (1943-1945). Lo spionaggio americano dalla caduta di Mussolini alla liberazione, Tesi di Dottorato, Università degli Studi del Molise, 2012 


sabato 22 gennaio 2022

Le formazioni clandestine comuniste pagavano fra tutte il prezzo più doloroso



Ester Lombardo e Giovanni Artieri [n.d.r.>: il marito] lasciarono Milano già all'inizio del 1943 <523 e si trasferirono ad Amalfi, «nel clima di aranci e limoni, nella vista del mare stupendo» <524, dove avevano preso in affitto Villa Lone. Ester già conosceva la costiera amalfitana: a Capri ed Amalfi era stata diverse volte in villeggiatura e, nella primavera del 1942, vi aveva trascorso la convalescenza dopo un lungo periodo di febbri <525. La casa di Milano <526 venne affidata alle cure di una segretaria e presto sgomberata da mobili, tappeti, oggetti e libri, portati al sicuro nel piccolo castello di un amico, a Miasino, sul lago d'Orta, dove potevano essere custoditi da un guardiano. Un altro amico, Raffaele Vuolo, offrì ad Artieri una casa a Roma <527, usata spesso dai due giornalisti per brevi soggiorni. Artieri vi alloggiò quando doveva raggiungere la capitale per consultarsi con Alfredo Signoretti, che fino al luglio del 1943 diresse «La Stampa» <528, e, in seguito, ci abitò durante i nove mesi dell'occupazione tedesca di Roma.
Il luglio del 1943 segnò certamente una svolta nella vita politica del Paese e nella vita quotidiana e professionale di Ester Lombardo, che dopo ventuno anni era ormai costretta a chiudere le pubblicazioni di "Vita Femminile".
Fin dai mesi precedenti si intravedeva per l'Italia un futuro incerto: «Nell'autunno del '42 - scrive Giaime Pintor - due grandi avvenimenti militari, il fallimento dell'offensiva tedesca in Russia, culminata nella battaglia di Stalingrado, e lo sbarco angloamericano nell'Africa francese del Nord col successivo crollo del fronte africano dell'Asse, avevano dato la sensazione che la guerra fosse perduta per la Germania. Da quel momento l'azione di sganciamento della monarchia dal fascismo acquistò un moto progressivo. [...] Fu facile convincersi che l'enorme maggioranza del popolo avrebbe accolto come una liberazione qualunque gesto contro il fascismo e che tutti gli elementi politici, dai conservatori ai comunisti, avrebbero sostenuto chi se ne fosse fatto l'iniziatore. [...] Vittorio Emanuele riuscì ad attirare nel gioco i capi del fascismo dissidente e provocò il voto di sfiducia del Gran Consiglio» <529. Il 25 luglio Mussolini, arrestato, non era più a capo del governo: «l'Italia di Mussolini si era disfatta in un giorno come una facciata di cartapesta» <530. Iniziarono i quarantacinque giorni di Pietro Badoglio: si istituì un governo di tipo militare fino all'8 settembre 1943, quando il Maresciallo rese noto l'armistizio firmato con gli Alleati il 3 settembre. Seguirono quelli che Giovanni Artieri definisce «i nove lunghi mesi» o «i nove mesi della prigionia di Roma», l'occupazione tedesca di Roma che ebbe termine il 4 giugno del 1944 con l'arrivo delle truppe americane guidate dal generale Clark <531.
Nonostante la disponibilità della villa ad Amalfi, nei mesi di giugno e luglio, sia Ester Lombardo che Giovanni Artieri erano a Roma, probabilmente per lavoro. Il clima era teso:
"La Resistenza, albeggiante prima del 25 luglio e dell'8 settembre 1943, riusciva a mantenere in angoscioso stato d'allarme i nazisti. Specialmente con la propalazione di voci e allarmi. Ricordo una notte di fine giugno che fummo svegliati, Ester e io, da colpi furiosi alla porta e da grida: «Fuggite, fuggite che tra poco il quartiere Savoia salterà in aria. È stato già incendiato l'aeroporto del Littorio». Riconobbi le voci di chi, complici i portinai della zona, andava spargendo quel terrore. Dissi a mia moglie, fortemente perplessa: «Non è niente. So di che si tratta. Andiamo a letto. Non accadrà nulla». Non accadde nulla <532.
Non così invece il 19 luglio quando, il giorno seguente l'incontro tra Hitler e Mussolini a Feltre, Roma fu bombardata e i due furono testimoni di quell'avvenimento:
"Erano le 11 del mattino, stavo dinanzi lo specchio radendomi. il viale Regina Margherita, tra la piazza Quadrata e la via Nomentana, è strada larga, popolare, parallela a un quartiere signorile di architetture neo-barocche intitolato al Coppedè, suo autore. Oltre la Nomentana (nel 1943) è già periferia, nella zona del grande cimitero del Verano, della basilica di San Lorenzo, dei quartieri popolari, dei depositi tramviari, delle reti ferroviarie di approccio alla Stazione centrale. È qui che le informazioni alleate supponevano l'acquartieramento dei carri armati tedeschi, dei loro depositi di munizioni, delle loro caserme. Erano informazioni sbagliate che tuttavia portarono a quel bombardamento massiccio dell'intero anello periferico della capitale, durato due ore, dalle 11 alle 13 del pomeriggio, effettuato da 180 Liberator. La sera avanti ero a cena con Ester a casa di Eduardo De Filippo. Sonò l'allarme e cominciò un fuoco di artiglieria. Negli intervalli si udiva il ronzio di un solo apparecchio: un ricognitore, evidentemente, venuto a fotografare i siti della difesa antiaerea, indicata dai lampi delle cannonate. Eduardo disse: «Domani verranno in massa». Era stato buon profeta. Ai primi fragori andai nella camera di Ester. Erano troppo vicini perché non si potesse pensare che tra qualche istante una bomba non cadesse a polverizzarci tutti. Sedetti sul letto. Ci abbracciammo senza dirci ch'era consolante, dopo tutto, poter morire insieme. Nulla avvenne. Ridemmo guardandoci. Le bombe cadevano, ma sentivamo di esserne fuori. Anzi, andai a lavarmi, a insaponare il volto, a radermi. A picco, dalla mia finestra, vedevo i fuochi della difesa; grevi nuvole nere salivano da poco distante. I bombardieri battevano gli edifici del Policlinico ove si sapeva la sede del comando tedesco. Mi misi a contare le ondate degli attacchi. Nove. Colpite le stazioni ferroviarie di San Lorenzo, del Prenestino; gli aeroporti del Littorio, di Ciampino, quasi crollata la basilica di San Lorenzo, danneggiato il cimitero del Verano. Quella tetra festa durò, l'ho detto, due ore circa, durante le quali continuai (vestito e raso) a conversare con Ester, preparandoci per andar fuori a colazione, in un ristorante del centro. E ciò (ancora, a ripensarci, mi stupisce) senza più badare alle bombe all'intorno, mirate sui siti militari e, dunque, su obiettivi ammessi dalla convenzione che (si diceva) fosse intervenuta tra il Vaticano e la Wehrmacht sulla demilitarizzazione della capitale... Rimaneva il fatto dell'indifesa Roma, posta dinanzi alla realtà della guerra. Subito la patina di indifferenza è scomparsa dal volto della città e la povera gente è affiorata con i suoi materassi sdruciti, i suoi miseri letti, le stoviglie e le grame mobilie sui tricicli, i carretti, per le vie, a porre il suo colore disperato e umano nell'aria frivola e scempia della Roma gerarchica e godereccia" <533.
Il 23 erano ancora a Roma dove si respirava un clima teso per il rapido evolversi degli eventi:
"Sul corso Umberto incontrai Armando Curcio e Eduardo De Filippo. Eduardo, osservando il traffico della strada, l'aria grigia e carica attorno ai volti e alle cose, disse come per ispirazione: «Forse tra poco si proclamerà lo stadio d'assedio». Si parlava d'un consiglio della Corona per quella sera stessa, 23. Si sapeva della imminente convocazione del Gran Consiglio a richiesta d'un gruppo di componenti tra i quali Dino Grandi, Federzoni, Bottai e, persino, Galeazzo Ciano... Mi avvertirono di gravi e risolutivi avvenimenti, con la probabile eliminazione della dittatura di Mussolini. Credetti a metà a questa notizia" <534.
Ester Lombardo e Giovanni Artieri partirono il giorno seguente per Amalfi, fu qui che appresero la notizia della caduta di Mussolini e qui, sempre presso Villa Lone, rimase la giornalista fino alla liberazione di Roma:
"Giudicai mio dovere mettere al sicuro Ester nella nostra casa di Amalfi e, dunque, lasciare Roma; pensavo di ritornarvi, come avvenne, anche perché «La Stampa», il mio giornale, mi pregava di non allontanarmi in vista di non precisabili (o facilmente precisabili) avvenimenti" <535.
Dunque Artieri già il 29 luglio, convocato da «La Stampa», era di nuovo a Roma e inseguiva «i grandi fatti e il loro svolgersi» tra «la fine del fascismo, l'arresto di Mussolini, l'avvento della dittatura militare di Badoglio e le sue incongruenze ed errori, la complessa tragicommedia della dichiarazione di armistizio e la cinematografica avventura romana dei due diplomatici, l'americano e l'inglese (il generale Maxwell Taylor e il colonnello T. Gardiner)» <536. Nonostante le sempre maggiori difficoltà negli spostamenti, egli riuscì a tornare varie volte ad Amalfi: «Pensavo imminente - scrive - l'invasione, con i suoi pericoli e incognite da dividere con la mia cara» <537. Dalla costiera amalfitana si sentivano e si vedevano le incursioni aeree alleate sul territorio di Salerno. Si stava già preparando lo sbarco anfibio nel Golfo, operazione con cui gli alti comandi Alleati intendevano costituire una base per avanzare poi verso Napoli. Lo sbarco avvenne il 9 settembre, il giorno seguente alla proclamazione dell'armistizio <538.
Il 2 settembre Giovanni Artieri tornò a Roma e qui rimase «intrappolato», lontano da Ester, fino alla liberazione della città <539. Nella capitale erano anche Lea Lombardo e Italo Minunni, rispettivamente sorella e cognato di Ester. Fu proprio Italo Minunni <540, anch'egli giornalista, che arruolò di autorità Giovanni Artieri nel Partito democratico del lavoro di Ivanoe Bonomi <541. Con questo partito, che non ebbe un forte seguito popolare, entrò a far parte del Comitato di Liberazione Nazionale (Cln) insieme ad un esiguo gruppo di notabili prefascisti e si guadagnò in tal modo gli attestati della milizia nella Resistenza durante i nove mesi dell'occupazione romana, attestati che risultarono poi necessari per rientrare nel mondo del giornalismo. «La Stampa», attiva durante la Repubblica sociale italiana non poteva rinascere ma, già dal maggio 1945, Artieri fu chiamato a lavorare all'"Opinione" <542, diretta da Franco Antonicelli, capo del Cln del Piemonte <543.
Egli, pur sperando in una rapida liberazione, ricorda il tempo dell'occupazione di Roma comunque come fecondo:
"La scarsa possibilità di promuovere azioni nella stretta ferrea della sorveglianza nazista induceva a scivolare in una vita di pura evasione. Si trovava un correttivo nel lavoro organizzativo dei partiti: troppi, pullulanti, spesso velleitari... Ma, ripeto, esisteva unanimità tra tutte le forze della Resistenza: la «mia» casa di viale Regina Margherita, risultante non abitata dal suo proprietario ... fu per un certo tempo il punto di convegno dei comitati centrali e delle direzioni democristiana, comunista, del Partito d'azione, di quello demolaburista. Ospitò prigionieri evasi, comunisti ricercati (ne ricordo uno, Vittorio Viviani)... Ricordo ancora, ospite clandestino di quella casa, Armando Curcio, commediografo, editore; e ricordo i consigli e gruppi liberali: sullo sfondo appare il volto pallido e pensoso di Mario Pannuzio... Altri ospiti temporanei miei furono Eduardo e Peppino De Filippo, sottrattisi al bando emanato dal governo della Repubblica sociale che convocava al Nord i rappresentanti delle maggiori compagnie teatrali. Talvolta io ero ospite di Eduardo; talaltra io in un altro appartamento comprato dalla signora De Filippo, la prima moglie di Eduardo, la cara e bella Dodò, come la chiamava il marito. Quasi sempre, sfidando ogni regola di prudenza, ci si riuniva a pranzo o a cena: Eduardo e Peppino, io, Armando Curcio, il Carloni, marito di Titina De Filippo, e un giornalista napoletano, F.C., che noi, di sicuro, sapevamo essere spia dei tedeschi e dei neofascisti, ma che per una specie di insuperabile inibizione costituita da un complesso sentimento di affetto, di ammirazione, di ricordi napoletani, di timori, di inferiority complex e via dicendo non ci denunciò mai e noi, ciecamente, credevamo, sapevamo che mai e poi mai ci avrebbe denunciati" <544.
Giovanni Artieri visse infatti i nove mesi dell'occupazione in uno stato di clandestinità, poiché aveva ignorato gli ordini di Alessandro Pavolini, il quale, nominato segretario provvisorio del neonato Partito Fascista Repubblicano, aveva emanato l'ordine per i giornalisti di raggiungere le sedi dei loro sindacati e passare ai comandi del Ministero repubblicano <545. Così Artieri venne controllato dai tedeschi, anche se, per la sua iscrizione al Pnf <546 e perché poco aperto al dissenso, non rischiò seriamente di essere arrestato:
"Le formazioni clandestine comuniste pagavano fra tutte il prezzo più doloroso... A noi la polizia ci ritiene innocui o cerca di non vedere o di non guardare attentamente. Siamo, finché non si travalichino certi gradi di attività cospirativa, nel settore «italiano» della sorveglianza; là dove i comunisti sono oggetto delle premure di gran lunga più zelanti della polizia tedesca e perciò si tengono alla larga da chi non appartiene, sicuramente, alle loro fila" <547.
Durante l'occupazione di Roma, Ester Lombardo continuò a vivere ad Amalfi dove «dette la sua opera all'organizzazione degli Alleati a Capri, ad Amalfi e a Positano» <548. È difficile capire cosa si intenda con questa affermazione, ma sicuramente Ester Lombardo era ben inserita nel contesto, poteva godere di diverse amicizie, come quella con il sindaco di Capri, Peppino Brindisi, o con lo scrittore Edwin Cerio <549.
Subito dopo la liberazione di Roma, Giovanni Artieri «corse al sud» a cercare Ester, con una Balilla comprata per l'occasione insieme ad alcune latte di benzina. Non la trovò ad Amalfi, dove Villa Lone era stata requisita da Badoglio, per se e per il suo seguito, ma a Positano: "Ester la trovai a Positano, inserita come housekeeper, cioè come padrona di casa, nella spicciola burocrazia dell'alto comando britannico e badava all'ospitalità di tre vecchi colonnelli, dirigendo il personale locale addetto ai servizi. Ester aveva detto e vantato di avere il marito nella clandestinità romana, e fu orgogliosa di presentarmi ai suoi ospiti che m'accolsero cordialmente non prima di aver attentamente esaminato i miei titoli di appartenenza alla Resistenza e consultato elenchi ove (con incredibile precisione) erano segnati i nomi dei giornalisti aderenti alla Repubblica di Mussolini" <550.
L'offensiva alleata su Roma, iniziata il 12 maggio 1944, aveva portato alla sua liberazione il 4 giugno <551. Quasi un intero anno mancava alla resa dei tedeschi a Milano. Dunque, seppur ripristinati i collegamenti e i servizi ferroviari tra Roma e il sud, rimaneva ancora difficile per Artieri riprendere i contatti con «La Stampa», a Torino, al di là della Linea Gotica. Più semplice, come infatti fece, spostarsi tra il sud e Roma, dove la nascita di nuove testate creava la necessità di impiego di provati giornalisti. Caduta la Repubblica Sociale, fu possibile per lui tornare al Nord, alla sua casa di Milano, e riprendere i contatti con «La Stampa». Era la metà di maggio del 1945 e quel viaggio venne condiviso con Enrico Mattei, che raggiungeva Torino per ripresentarsi alla «Gazzetta del Popolo» <552. Come detto, «La Stampa» non poteva rinascere, ma Artieri iniziò a lavorare all'"Opinione". Il mese seguente arrivò a Milano anche Ester Lombardo. Probabilmente nel 1946 entrambi torneranno a Roma: Giovanni Artieri terminava l'esperienza all'"Opinione", Ester Lombardo iniziava l'avventura politica.
[NOTE]
523 Giovanni Artieri scrive infatti: «Il diario di Amalfi comincia il 1° gennaio 1943 a Lone, un venerdì di vento furioso e pioggia», G. Artieri, Prima durante e dopo Mussolini, cit., p. 404. Il diario non è stato pubblicato ed è conservato da Paolo Cacace.
524 G. Artieri, Prima durante e dopo Mussolini, cit., p. 403.
525 "Fra otto giorni partirò per Capri. Ho ancora un poco di febbre; ormai sono quattro mesi e mezzo e non ne posso più. Spero che Capri mi faccia entrare definitivamente in convalescenza, anticamera della guarigione", Lettera di Ester Lombardo a Celso Luciano Capo di Gabinetto di S.E. il Ministro della Cultura Popolare, Milano, 3 giugno 1942, in ACS, MCP, Gabinetto, Archivio generale - affari generali 1926-1944, b. 99, fasc. 593 "Vita femminile". Lombardo Ester (1935-1942), c. 12. Si vedano anche Lettera di Ester Lombardo a Celso Luciano Capo di Gabinetto di S.E. il Ministro della Cultura Popolare, Milano, 29 aprile 1942, in ACS, MCP, Gabinetto, Archivio generale - affari generali 1926-1944, b. 99, fasc. 593 "Vita femminile". Lombardo Ester (1935-1942), c. 27; G. Artieri, Prima durante e dopo Mussolini, cit., pp. 231-237 e 403-404. Ester Lombardo aveva dato a Capri e alla costiera amalfitana visibilità anche attraverso le pagine di «Vita femminile», si vedano ad esempio: E. Lombardo, L’isola dei naufraghi, in «Vita femminile», 15 aprile-15 maggio 1923, pp. 24-27, qui meritano attenzione alcune righe scritte quasi vent'anni prima del suo "ritiro" amalfitano: «I deragliati dalle rotaie ordinarie dell'esistenza, i più vari falliti della vita approdano a Capri. [...] Attori grandi e piccoli di rivolgimenti politici andati a male naufragano su questo scoglio melodioso del Tirreno, attratti da qualche Sirena ancora superstite dai tempi di Ulisse», la cit. è a p. 24; A. Viviani, Passeggiate romantiche: Capri, in «Vita femminile», 1 luglio 1929, pp. 12-13 ; L. Minunni, I principi di Piemonte alle regate e al ballo a Capri, in «Vita femminile», agosto 1932, pp. 10-11; L. Minunni, Capri sulla tela. [Ezelino] Briante, giovane pittore ottocentista, in «Vita femminile», ottobre 1932, p. 42; A. Cesareo, Marina di Capri, in «Vita femminile», 15 agosto-15 settembre 1934, pp. 10-13.
526 Viale Regina Elena (oggi viale Tunisia).
527 Presso viale Regina Margherita.
528 Tutte le informazioni sono tratte dal capitolo Avvisaglie della crisi in G. Artieri, Prima durante e dopo Mussolini, cit., pp. 403-410.
529 G. Pintor, L'ora del riscatto. 25 luglio 1943, Castelvecchi, Roma, 2013, pp. 13-14 e 24. Saggio scritto da Giaime Pintor a Napoli nell'ottobre 1943 e pubblicato postumo in «Quaderni italiani», IV, New York, 1944.
530 Ivi, p. 24.
531 Si veda a proposito Istituto romano per la storia d'Italia dal fascismo alla Resistenza (a cura di), Roma durante l'occupazione nazifascista. Percorsi di ricerca, Franco Angeli, Milano, 2009.
532 G. Artieri, Prima durante e dopo Mussolini, cit., p. 411.
533 Ivi, pp. 412-413. Giovanni Artieri, sbagliando, colloca questo evento il 20 luglio. Roma, invece, fu bombardata il 19 luglio da aerei americani decollati dalle basi del Nord Africa. Per ogni approfondimento si rimanda a M. Carli, U. Gentiloni Silveri, Bombardare Roma. Gli alleati e la «città aperta» (1940-1944), Il Mulino, Bologna, 2007, in particolare pp. 101-148.
534 G. Artieri, Prima durante e dopo Mussolini, cit., p. 414.
535 Ivi, p. 423.
536 Ivi, p. 418.
537 Ivi, p. 425.
538 Su Salerno e l'operazione Avalanche si vedano S. Alinovi, L'amministrazione civica di Salerno dalla caduta del fascismo alla giunta del Comitato di Liberazione Nazionale, in AA.VV, Alle radici del nostro presente. Napoli e la Campania dal fascismo alla Repubblica (1943-1946), Guida, Napoli, 1986, pp. 193-210; A. Sole, Salerno e gli alleati, in R. Dentoni Litta (a cura di), Schegge di storia. Salerno e l'operazione Avalanche. Documenti, diari, memorie, testimonianze, Archivio di Stato di Salerno, Fisciano, 2014, pp. 279-294. Si vedano anche P. De Marco, L'occupazione alleata a Napoli, in N. Gallerano (a cura di), L'altro dopoguerra. Roma e il sud 1943-1945, Franco Angeli, Milano, 1985, pp. 261-273; G. D'Agostino, Napoli: governo e amministrazione della città dalla caduta del fascismo all'avvento della Repubblica (1943-1946), in N. Gallerano (a cura di), L'altro dopoguerra, cit., pp. 407-422.
539 Si veda G. Artieri, Prima durante e dopo Mussolini, cit., p. 418.
540 Italo Minunni era anch'egli giornalista di stampo nazionalista, economista, volontario in Libia, mutilato di una gamba durante la prima Guerra Mondiale, alto funzionario della Confindustria, partigiano monarchico. Fu arrestato durante l'occupazione tedesca di Roma insieme ad Alberto Bergamini dalla polizia neofascista di Pietro Caruso poiché indiziato di cospirazione antifascista e di ricostituzione del partito della Democrazia del Lavoro. Era in carcere a Regina Coeli durante l'attentato di via Rasella ed era stato inserito nella lista dei 330 che i tedeschi avrebbero fucilato alle Fosse Ardeatine. Fu poi cancellato dalla lista quando l'ufficiale tedesco, venuto a prelevare i prigionieri, ordinò: «Abbiamo bisogno di uomini interi». Dopo la liberazione evase dal carcere. Si veda G. Artieri, Prima durante e dopo Mussolini, cit., pp. 462-469 e 504-505.
541 Si veda G. Artieri, Prima durante e dopo Mussolini, cit., p. 464. Sul Partito democratico del lavoro si veda L. D'Angelo, Fra liberalismo e socialismo: il Partito democratico del lavoro, in F. Grassi Orsini, G. Nicolosi (a cura di), I liberali italiani dall'antifascismo alla Repubblica, vol. I, Rubettino, Soveria Mannelli, 2008, pp. 159-173.
542 Anche il quotidiano «L'Opinione» aveva sede a Torino. Nato nel 1846, aveva chiuso le pubblicazioni nel 1900. Nel 1945 venne rifondato ma durò solo un anno.
543 Si veda G. Artieri, Prima durante e dopo Mussolini, cit., pp. 540-549.
544 G. Artieri, Prima durante e dopo Mussolini, cit., pp. 464-466. Su Mario Pannuzio e i liberali si veda A. Cardini, Il liberalismo di Mario Pannuzio, in F. Grassi Orsini, G. Nicolosi (a cura di), I liberali italiani dall'antifascismo alla Repubblica, cit., pp. 611-646.
545 Si veda G. Artieri, Prima durante e dopo Mussolini, cit., p. 476.
546 Giovanni Artieri si era iscritto al Pnf nel 1927, si veda Appunto della polizia politica, Napoli, 24 marzo 1933, in ACS, MI, DGPS, Divisione polizia politica, b. 48, fasc. 54 Artieri Giovanni, c. 4. Bisogna però tenere conto del fatto che in pratica l'iscrizione al sindacato fascista divenne per i giornalisti, proprio da quell'anno, una condizione indispensabile quanto l'iscrizione all'albo per poter esercitare la propria professione. Sull'argomento si veda G. Fabre, L' elenco. Censura fascista, editoria e autori ebrei, Zamorani, Torino,1998.
547 G. Artieri, Prima durante e dopo Mussolini, cit., pp. 478 e 482.
548 Ivi, p. 484.
549 Edwin Cerio scrisse anche alcune novelle per «Vita femminile», si veda ad esempio E. Cerio, Concorrenza sleale, in «Vita femminile», luglio-agosto 1935, pp. 50-51. Inoltre sullo scrittore Ester Lombardo pubblicò un articolo: L. Minunni, Intervista con Cerio, il poeta-mago di Capri, in «Vita femminile», settembre 1932, pp. 26-28. Ester Lombardo e Giovanni Artieri frequentarono anche altre personalità molto conosciute a Capri, come l'archeologo Amedeo Maiuri e lo scrittore e giornalista Curzio Malaparte. Le relazioni con queste persone sono approfondite in diverse pagine di G. Artieri, Prima durante e dopo Mussolini, cit.
550 G. Artieri, Prima durante e dopo Mussolini, cit., p. 535, per approfondimenti si veda l'intero paragrafo Alla ricerca di Ester, pp. 534-539.
551 Per un quadro approfondito sulle azioni militari e diplomatiche che portarono alla liberazione di Roma si faccia riferimento a M. Carli, U. Gentiloni Silveri, Bombardare Roma, cit., pp. 203-237. Si veda anche A. Di Stefano, U. Gentiloni Silveri, S. Palermo (a cura di), Roma 4 giugno 1944. La liberazione a colori, Palombi, Roma, 2011.
552 Si veda G. Artieri, Prima durante e dopo Mussolini, cit., pp. 535-537.

Caterina Breda, Biografia intellettuale di Ester Lombardo: giornalista, scrittrice, attivista politica tra fascismo e Repubblica, Tesi di laurea dottorale, Università degli Studi Roma Tre, Anno Accademico 2016-2017

martedì 16 novembre 2021

I due film hanno in comune un tipo di linguaggio cinematografico sontuoso e barocco

Foto di amici di Gian-Maria Lojacono

Federico Fellini è uno dei registi italiani più conosciuti a livello internazionale. Con le sue pellicole ha portato il nome del cinema italiano in giro per il mondo. Ha iniziato come disegnatore, per poi divenire sceneggiatore e infine regista. Ha diretto, per trenta anni, più di venti film di grande successo. Nelle sue pellicole costruisce un ipertrofico parco delle meraviglie e la sua macchina da presa fa muovere i personaggi come nelle montagne russe, dando sensazioni di esaltazione e vuoto improvviso <1. Tra i film da lui diretti Luci del varietà, I vitelloni, La strada, La dolce vita, Otto e mezzo, Roma. Tutti lungometraggi che raccontano storie e posti vissuti dal regista. I suoi lavori vogliono far conoscere l’Italia e gli italiani. Una delle caratteristiche delle sue pellicole, è quella di forzare le immagini fotografiche nella direzione che porta dal caricaturale al visionario <2. Il lavoro di Fellini non era solo raccontare ciò che vedeva o lo circondava, ma andare oltre, scoprire il lato introspettivo della società di quel tempo. La svolta nel suo lavoro, e forse anche la consapevolezza di ciò che poteva fare nei suoi set, avviene con La dolce vita. Uno dei suoi film che ha vinto premi importanti, descrivendo gli ambienti caratteristici della bella vita romana. Qui, Fellini, parte dal boom economico mostrando un Paese pieno di speranze e di attese. Questa pellicola non rappresenta più, solo, la semplice evoluzione cinematografica del regista, ma è anche il sunto di un intero periodo della storia italiana del secondo dopoguerra. Il film è un ritratto agrodolce della società “in” di quel tempo. Il successo de La dolce vita e arrivato in maniera insolita. Infatti, la pellicola all’interno del nostro Paese ha fatto discutere tanto, dividendo il mondo della critica in due. Nonostante i pesanti giudizi, il film ha registrato grandi incassi. Molte le disapprovazioni che sono state rivolte al film, in particolare l’opinione pubblica si è mostrata molto contrariata per delle scene che andavano, a loro parere, contro il buon costume. Federico Fellini in questo lavoro va oltre il neorealismo che si era sviluppato solo qualche anno prima, con registi di grande fama come Luchino Visconti e Roberto Rossellini, raccontando di un paese che guarda avanti nonostante restava ancora ancorato al passato.
[...] La dolce vita. Con quest’opera il nome di Fellini diventò celebre in tutto il mondo. La dolce vita racconta i pensieri, i sentimenti, e quello che vede intorno il regista in quel periodo. La sua “poetica” in quaranta anni di esperienza si è evoluta, ma in tutti i suoi set si accostò sempre con la semplicità di autodidatta <14. Un elemento caratteristico e fondamentale nei film di Fellini, ma anche di altri registi di quel periodo è la riflessione sulla realtà sui comportamenti e sull’indole umana, affidata, con toni critici alle donne che sono le sole capaci di autentici sentimenti e vere passioni <15. Ed è proprio il personaggio femminile che acquista nelle opere di Fellini una peculiare importanza, senza tralasciare l’aspetto seducente. <16
[NOTE]
1  G. P. Brunetta, Guida alla storia del cinema italiano, 19052003, Bologna, Piccola Biblioteca Einaudi, 2003, p. 325.
2  I. Calvino, Autobiografia di uno spettatore, in F. Fellini (a cura di), Fare un film, Torino, Einaudi, 1980, p. XXII.
14 G. P. Brunetta, Guida alla storia del cinema italiano, 1905-2003, Bologna, Piccola Biblioteca Einaudi, 2003, p. 189.
15 L. Miccichè, S. Bernardi (a cura di), Storia del cinema italiano 19541959, Roma, Marsilio Edizioni di Bianco & Nero, 2001, vol. IX, p. 166.
16 Ivi, p. 245.
Paolo Sorrentino a soli quarantasette anni è uno dei registi più giovani, e di maggior successo nell’ambito del panorama internazionale contemporaneo. Scoprì il suo amore per il cinema all’età di 19 anni, con i film di Sergio Leone e Bernardo Bertolucci, ma a folgorarlo furono le pellicole di Federico Fellini, autore che da sempre ha considerato uno dei maggiori maestri per la sua carriera di regista. Il suo approccio con la settima arte avvenne contro il parere di chiunque <1, ma fin da subito si è fatto notare per le sue doti nello scrivere sceneggiature <2.
[...] La grande bellezza, uno dei film che ha ottenuto maggiori riconoscimenti. In un cinema atrofizzato come il nostro, Sorrentino è uno dei pochi registi di questa generazione che racconta il brutto come se fosse bello <4. Il suo stile narrativo si compone di frammenti e simboli che si rivelano le funzionali allo svolgimento del film <5. Nei suoi film mette in scena una società deformata da ciò che la circonda. Il regista, più che enfatizzare un passaggio particolare della storia, tende a epicizzare un frangente apparentemente banale e quotidiano, imponendo all’evento trattato, un’inaspettata etichetta di visione. In questo modo cerca di evidenziare la dimensione simbolica di un certo evento e nasce la necessità di guardare la scena oltre la superficie della sua temporalità fenomenica, riuscendo a scolpire gli spazi, iconizzare le figure, caricando tutte le immagini di una tensione fuori dal comune <6. Appare difficile incasellare Sorrentino nel contesto del cinema italiano <7. Di sicuro il suo è un cinema, per molti, di cui non se ne può fare a meno <8.
[NOTE]
1  P. Sorrentino, La grande bellezza. Diario del film, Milano, Feltrinelli, 2013, p. 9.
2  P. De Sanctis, D. Monetti e L. Pallanch, Divi & Antidivi. Il cinema di Paolo Sorrentino, Roma, Laboratorio Gutenberg, 2010, p. 7.
4  Ivi, p. 125.
5  Ivi, p. 126.
6  Ivi, p. 35-36.
7  F. De Bernardinis, La poetica della solitudine e dei rapporti di forza, in P. De Sanctis, D. Monetti e L. Pallanch (a cura di), Divi & Antidivi. Il cinema di Paolo Sorrentino, Roma, Laboratorio Gutenberg, 2010, p. 15.
[...] Uno dei maggiori “oratori” dagli anni Cinquanta è stato Federico Fellini, che con i suoi film ha rappresentato meccanismi e dinamiche delle tappe dell’evoluzione del paese concentrando lo sguardo soprattutto sulla capitale, divenuta la sua città adottiva. Una città che è stata più volte scelta, da molti registi, come luogo in cui ambientare le proprie pellicole. Fellini, nello specifico, ha raffigurato nei suoi lavori, non solo i momenti di ricostruzione, industrializzazione ed esplosione delle periferie urbane, ma anche associato la condizione della società e del singolo, in una situazione di stallo per tutti gli italiani. Spesso questi mutamenti sono divenuti topoi classici dell’immaginario comune, grazie alla potenza dei suoi film. Il cinema del regista riminese si definisce modernista, riaffermando le prerogative di controllo e manipolazione dell’attenzione e dello spettatore, senza però tralasciare la sottile prospettiva postmoderna che sembra volere mettere in luce come lo spettatore è capace di divenire “editor” di sè stesso. In questo modo il regista fornisce sia una creazione artistica, che una critica al valore di tale operazione. Le sue opere hanno tratti autobiografici, raccontano la storia del nostro paese, attraverso eventi che il regista, molte volte, ha sentito, visto o, addirittura, vissuto. Sono storie che vogliono porre l’accento sulla diversità apparente dei vari stati sociali, che coesistono nello stesso luogo e non possono fare a meno l’uno dell’altro.
Forse proprio perché affascinati da questa idea di fare cinema, alcuni giovani artisti contemporanei hanno deciso di intraprendere la settima arte e raccontare l’uomo dei nostri giorni e la realtà circostante. Tra questi spicca Paolo Sorrentino che con le sue pellicole ha dato testimonianza della società logorata e decadente dei nostri giorni, attirato a sè il mondo della critica.
3.1 Un maestro chiamato Fellini
Diversi i termini di paragone che più volte sono stati utilizzati tra l’opera di Paolo Sorrentino La grande bellezza, e quelle di Federico Fellini. Quest’ultimo è spesso preso a modello soprattutto per le idee che riguardano il suo sviluppo nel campo della cinematografia, una svolta che non si sofferma solo al suo modo di fare cinema, ma che influenza tutta l’industria cinematografica italiana. Infatti, il regista riminese, con La dolce vita segna un cambio nel suo modo di fare cinema che approfondisce con le pellicole successive. Roma, 8 ½ e Intervista, sono di sicuro alcuni dei film che indubbiamente hanno influenzato e ispirato Sorrentino e il suo lavoro. Lavoro, che è considerato innovativo dai i critici contemporanei.
Il film di Sorrentino, spesso, fa ritornare alla mente, in diversi momenti, le pellicole di Fellini, ma questo non vuol dire che sia un remake, o la brutta copia dei suoi film, come spesso è stato definito. Di seguito, è riportata l’analisi del confronto tra l’opera di Sorrentino e quelle di Fellini. Uno studio basato sulle analogie riscontrate tra le opere prese in esame, prendendo come punto di riferimento l’influenza cui è stata soggetta La grande bellezza e non in base alla loro prima proiezione nelle sale cinematografiche.
3.1.1 La dolce vita VS La grande bellezza
Uno tra i film, di Fellini, in cui si trova maggiore assonanza, indubbiamente è La dolce vita. Un film che ha segnato un cambiamento nel cinema del regista riminese. Una pellicola che è divenuta un nuovo punto di partenza per tutto il cinema italiano. I due cineasti condividono, nonostante la distanza di sessant’anni, un’idea di cinema come territorio di esplorazione visionaria e surreale. Sia ne La dolce vita che ne La grande bellezza ogni singolo particolare è significativo. Federico Fellini e Paolo Sorrentino non hanno lasciato nulla al caso durante la stesura delle loro opere, né tanto meno durante la loro messa in scena. Due registi che prima di cimentarsi nelle loro rispettive pellicole, si sono “spogliati” di tutto quello che li poteva coinvolgere nella composizione dell’opera cinematografica, così da immedesimarsi nello spettatore facendogli scoprire nuovi ambiti dell’animo umano. Entrambi hanno deciso di ritrarre Roma, la coprotagonista delle pellicole, sotto un profilo nuovo insolito, osservando non solo la città, ma soprattutto chi la vive. Roma è vista come da un turista ammaliato dalla città eterna. Un luogo in cui convivono la borghesia, il clero e la nobiltà, che si lascia trascinare dagli eventi, e dalla moda. I due cineasti mettono in scena la loro realtà contemporanea, una visione non così distante, nonostante La dolce vita ritrae la Roma del boom economico, mentre La grande bellezza quella decadente del nostro periodo. Una società che mescola il sacro con il profano che si perde e non riesce più a trovare la strada del ritorno. In entrambe le pellicole emerge una Roma di straripante grandiosità e malinconia, antica ma moderna, nobile ma volgare, solenne ma miseranda <2. Ne La dolce vita il regista rileva l’impossibilità e il fallimento dei propri personaggi di sperimentare una conversione. In questa pellicola si mette in scena uno spettacolo multiplo, l’espressione di una cultura onnivora con una grande fame arretrata di esperienze negate <3. Mentre Sorrentino si focalizza su un ambiente caratterizzato da scorci di personaggi e una babele di linguaggi diversi, in cui Jep si fa osservatore distaccato. Fellini nella sua opera mette in scena come un “diario notturno”, di un personaggio qualunque di mezza strada tra il gusto e il disgusto per l’ambiente in cui vive <4. I due protagonisti sono simili ma allo stesso tempo molto diversi. Poiché Marcello rappresenta un personaggio che fin da subito si mostra sensibile, e aspira ad una vita diversa. Si scorge già dalle prime scene il suo sentirsi inadatto alla realtà che lo circonda. Marcello cerca di attorniarsi da persone importanti della società “in” di Roma, alle quali vorrebbe cercare un aiuto che non possono dargli, finendo così a mescolarsi in un turbinio di gente cercando di capire chi è lui, e la strada da intraprendere. Ben diversa è la descrizione di Jep, fin dalle scene iniziali, è raffigurato come un cinico, come il re dei mondani.
Io non volevo essere, semplicemente, un mondano. Volevo diventare il re dei mondani. E ci sono riuscito. Io non volevo solo partecipare alle feste. Volevo avere il potere di farle fallire <5.
Il suo personaggio appare sicuro di sé, solo durante il film si scopre il lato sensibile e i dubbi che lo assalgono. I due film sono molto simili nella trama, ma anche nella concatenazione delle scene. Sia La dolce vita che La grande bellezza sono caratterizzati da un montaggio complesso, episodi a tratti frammentari che si alternano ad altri completi che balenano solitari e splendenti durante la pellicola. I diversi episodi hanno una funzione simbolica, che per Marcello rappresentano le vie offertegli per arrivare alla pace con sè stesso e con il mondo: ma sono tutte strade da cui non trova via di uscita. Differente per Jep che si ritrova a far i conti con il passato, riuscendo a riflettere e a ritrovare la sua sensibilità, che sembrava perduta.
Sono forti gli echi che richiamano al capolavoro degli anni Sessanta, anche in alcune scene. Rappresentativa la sequenza che inquadra la scala a chiocciola, in entrambe le pellicole, intimando nello spettatore un senso di vuoto e in ambedue i casi sono preludio di morte. Ne La dolce vita è ripresa poco prima della scoperta del suicidio di Steiner. Marcello sale di corsa questa scala tortuosa fino ad arrivare davanti alla porta di casa dell’amico di vecchia data. Una scena che segna una svolta nell’animo del protagonista che ritorna a smarrirsi. Anche ne La grande bellezza lo spettatore si trova di fronte alla stessa inquadratura, la scala ripresa dal basso, ma non c’è quella tensione che si percepisce nell’opera di Fellini. Anche in questo caso l’inquadratura segue una brutta notizia: la morte di Elisa, il grande amore di Jep Gambardella. Una scena inaspettata che vede il protagonista piangere come un bambino e lascia nello spettatore sbigottito e con un senso di vuoto interiore. Proprio da questa sequenza cambia la visione del pubblico nei confronti del protagonista, riemerge il suo lato umano, quello debole che ha cercato sempre di nascondere. Altre scene sembrano rifarsi alla pellicola di Fellini come ad esempio il circolo d’intellettuali a casa di Steiner, in cui erano presenti letterari, musicisti, gente che voleva cambiare il mondo stando comodamente seduti a discutere nei salotti. Così anche Sorrentino propone il suo “cenacolo”, ma non più formato da letterari, ma dalla gente mondana di Roma che discute del più e del meno, finendo a parlare di cose vacue, pettegolezzi, sciocchezzuole <6, consapevoli delle loro fragilità e debolezze. Punti in comune che non si limitano solo ai temi delle scene, ma anche nella realizzazione delle inquadrature. Infatti, sia nell’opera di Fellini che quella di Sorrentino, sono presenti dei quadri molto simili. Tra tutte, la falsa soggettiva è forse quella più significativa. Infatti, tutti e due i registi, hanno deciso di utilizzare questa inquadratura, per sottolineare un momento clou del film. Ne La dolce vita è adoperata nel momento in cui Marcello con Emma entra per la prima volta a casa Steiner. Un episodio che immette il protagonista in un ambiente da lui sempre ammirato, ma che ben presto scoprirà pieno di vacuità. Mentre Sorrentino si avvale della scelta di una falsa soggettiva, per rendere più efficace l’azione introspettiva nei confronti del protagonista. La scena si svolge all’interno del Chiostro del Bramante, in cui si sente la voce di una bambina che domanda a Jep chi è, e la sua stessa risposta che gli dice che è nessuno. Un episodio che colpisce l’animo del protagonista.
I due film hanno in comune un tipo di linguaggio cinematografico sontuoso e barocco. Una scelta che evidenza ancora di più tutte le bellezze di Roma, i luoghi principali visitati dai turisti, ma anche Via Veneto, una delle vie maggiormente frequentate dalla società mondana. Un’ambientazione questa, che, più volte, ha posto i due colossi del cinema italiano come il primo continuazione dell’altro. In realtà, nei due film sembrano due vie completamente diverse. Ne La dolce vita è raffigurata una strada piena di gente importante, dove da un lato sono presenti i vip e dall’altro i giornalisti e i fotografi pronti a immortalare una rissa, o un bacio rubato. Uno scenario che non combacia con quello presente ne La grande bellezza. La scena riprende Jep mentre cammina solo con le mani dietro la schiena osservando le vetrine dei locali e una limousine con gente altolocata della società romana, accompagnata da delle escort.
Una sostanziale differenza tra i due registi sta nell’idea di realizzazione dell’opera. Fellini basa i suoi racconti per lo più su eventi realmente accaduti che danno vera testimonianza del mondo che lo circonda, di un’Italia a volte soprafatta dal boom economico. Mentre con La grande bellezza ci troviamo di fronte a un’opera del tutto immaginata dove ogni singolo personaggi, ogni episodio è stato studiato nei dettagli, arrivando quasi a esasperare la situazione e la realtà che lo circonda. È evidente come ambedue i registi hanno deciso di dare un ritratto agrodolce, ma essenzialmente comicheggiante della vita “in” del loro tempo. Non hanno tralasciato nulla al caso e ciò si nota anche nella cura dei dettagli, dalla stravaganza e dalla particolarità degli abiti indossati dalle protagoniste femminili. Basti pensare all’abito talare di Anita Ekberg e al soprabito di Sabrina Ferilli con un ampio rivolto che le fascia il collo e avvolge parte della testa.
In conclusione si può affermare che La dolce vita è il manifesto di quella che si potrebbe chiamare “la seconda liberazione”, contrassegnata agli inizi degli anni Sessanta, che rifiuta ogni schema moralistico nel giudicare eventi e personaggi. Una scelta simile viene sviluppata da Sorrentino, poiché anche lui volge lo sguardo alla vuotezza su cui si basa la società borghese di oggi.
[NOTE]
2 F. Vigni, La maschera, il potere, la solitudine. Il cinema di Paolo Sorrentino, Firenze, Aska, 2014, p. 204.
3 T. Kezich, Federico Fellini, la vita e i film, Milano, Feltrinelli, 2002, p. 202.
4 Ivi, p. 200.
5 P. Sorrentino, U. Contarello, La grande bellezza, Milano, Skira, 2013, p. 60.
6 Ivi, p. 78.
Melania Abbate, Dalla Roma di Fellini a quella de La grande bellezza di Paolo Sorrentino, Tesi di laurea, Università degli Studi di Pisa, 2018

sabato 20 ottobre 2012

Quando io e Diego a Roma...

Rivedere, come mi capita in questi giorni, Diego e parlare di Roma é tutt'uno. Anche se poi la memoria difetta a entrambi, per cui, ad esempio, ricordiamo perfettamente di avere assistito circa vent'anni fa in un'afosa notte estiva all'aperto di un bar di Trastevere ad un colorito dialogo, quasi degno di Petrolini, tra tre simpatici emuli di Petrolini (o di Gigi Proietti: fate voi!), ma non sappiamo oggi riportarne nemmeno mezza battuta. Ne avevo pure già fatto piccolo riferimento in un commento ad un vivace post di Aldo @il monticiano.
E in affiatata e consapevole compagnia si apprezzano meglio le situazioni brillanti.

A Trastevere abitavano anche le gentili persone che, casualmente incontrate ad un convegno, ci invitarono ad una simpatica cena all'aperto dalle parti del Gianicolo, cui feci già cenno altra volta.










Ed allora l'altro giorno sono stato io a sottolineare meglio a Diego che in quelle occasioni avevamo avuto la ventura di parlare, con chi li aveva conosciuti o frequentati o ne era stretto parente, di due figure di grande statura civile. Angelo Oliva, che potrei definire di Vallecrosia e su cui ho già riportato sul blog parole di Giorgio Napolitano, più chiare di mille discorsi. Girolamo Li Causi, strenuo avversario di Cosa Nostra, che era solito passare le vacanze estive dalle mie parti, a Perinaldo e di cui mi spiace adesso non avere chiesto più notizie a suo tempo ai vecchi compagni del paese. Ma questo apre un capitolo a parte, che non so se sono capace e degno di affrontare.

Vorrei giungere ora ad aspetti più frivoli. Già sto pubblicando alquanto a casaccio fotografie di Roma, sia di famiglia che di amici. Quindi, non strettamente legate ai luoghi più precisi di cui ho parlato.
L'ultima, però, mi riporta sempre approssimativamente ad un'altra presenza comune con Diego nella Città Eterna. In quel caso era stato per una manifestazione, di cui avevamo anche qualche immagine di gruppo che - tanto per cambiare! - non sono riuscito a rintracciare. C'era anche Alfredo Moreschi, il cui solo pensiero mi indurrebbe ad aprire altre parentesi e, magari, in tema di cortei riprendere a parlare di Milano. Il fatto é che, tornando a quella giornata di ottobre del 1991 - credo! - da cui sono partito, siccome la nostra comitiva andò a mangiare in un posto più o meno a sinistra nell'ultimo scatto, qualche mio fugace commento sui monumenti mi fece guadagnare dal salace, appunto, Alfredo, per la prima volta - come negli anni successivi da parte di altri colleghi, ma, ahimé per loro, in tono serio e convinto! - l'epiteto di... esperto di storia e di arte romane. Ma, forse, se ci ripenso, anche Alfredo non scherzava. Con grande soddisfazione, comunque, di Diego, sempre sensibile alle botte di vita. Perché Diego, di cui mi riprometto di dire di più e di citare, soprattutto se pesco fotografie adeguate, altre similari esperienze condotte insieme, a margine di impegni ufficiali, anche in Costa Azzurra, é la simpatia fatta persona. E, dato che lui é fatto così, proprio con lui ho vissuto significativi momenti, che adesso ci siamo ripromessi non tanto di rinverdire, ma di rinnovare! Anche dispensatore di saggi consigli, che, peraltro, non sempre ho seguito. Gli devo, poi, perché, quando eravamo così presi dalle cose ufficiali, non é che avevamo agio di discettare proprio di tutto, come gli ho preannunciato, riferire con comodo altre cose - parte delle mie solite storie, insomma! - del presente stampo e, se possibile, presentargli altre persone, con le quali suonare sulle stesse corde del calore umano e di una certa nostra storia progressista. C'era un altro caro amico - come Diego, del Dianese: finalmente l'ho specificato! -, frequentato in provincia, meno propenso alle trasferte: per cui, ancora,  "Diego, vorrei che tu, Pierluigi, ed io..."

sabato 22 ottobre 2011

Un amico da Roma


Un amico di famiglia, che sta a Roma, passando qualche tempo fa dalle nostre parti, mi ha fatto gentilmente dono di un certo numero di fotografie riguardanti la Città Eterna, soprattutto scattate, per combinazione, perché forse nessuno é profeta in patria, da suoi parenti e suoi conoscenti.

L'alluvione che ha colpito diverse zone della Capitale giorni addietro mi porta a rammentare che ho a disposizione diverse immagini della piena del Tevere del dicembre 2008.

Tra gli scatti che ormai ho nei miei archivi ce ne sono anche di curiosi. Eccone appunto uno.

Il Portico di Ottavia. Almeno un monumento dovevo farlo vedere.

Ma anche per chiudere non ho resistito alla tentazione di produrre qualcosa di ben noto.

Certo che ce ne sono di storie da raccontare su Roma! Chissà se me ne verranno in mente ancora?



giovedì 2 dicembre 2010

Arrivederci, Roma!




La neve sui Colli Albani a marzo 1971 per la gioia di tanti ragazzi romani che non l'avevano mai vista.

Non ricordo, né altri conoscenti, da me interpellati, rammentano, se quella volta era scesa anche più giù, sulla Città Eterna.

E' indescrivibile sottolineare cosa si provi in visita alla Fosse Ardeatine, se non anche un giovanile confuso senso di trovarsi al cospetto delle ombre di Giusti della Storia!


A Roma si fanno tanti incontri. Vorrei ricordare un bel volto nobile e serio ergersi sotto la pioggia tra la folla. Vittorio Gassman in Piazza del Popolo alla manifestazione antifascista dei 300.000 a novembre, sempre del 1971.

Quasi una gag. Il collega, che senza chiedermi nulla mentre ne ero un po' consapevole, interpella in quella notte di inizio primavera un passante circa Fontana di Trevi, salvo accorgersi (su questo, invece, io ero out!) un attimo dopo che era un noto attore. Indicazioni vaghe come risposta. Che era dietro l'angolo, praticamente!

Camminate, tante camminate. Non solo alle manifestazioni. D'altronde, per fare i turisti per caso non si può agire diversamente. Altri colleghi, in queste peregrinazioni molto post-lucane, a dirmi che conoscevo bene storia e monumenti. Di lì, forse, personali intensi ripasso e studio di tante cronache passate e di tante guide recenti. Ma, più si sa, più ci si accorge di sapere poco!

A Trastevere case che negli interni ricordano quelle quasi turrite dei borghi liguri. E locali pubblici dove gli avventori discutendo bonariamente, ma in modo colorito, forse forniscono tanti spunti ad artisti che vanno per la maggiore.

Se a Roma piove, le cose vengono fatte per bene. Memorie di fortunate fughe in taxi sotto l'infuriare degli elementi.

Invito rimediato all'ultimo da amici appena conosciuti, che a loro volta a loro tempo frequentavano persona già con ruolo pubblico delle nostre parti: cena con verdura fresca dell'estate nelle riattate scuderie della Villa sul Gianicolo, già teatro degli scontri del 1849 a difesa della Repubblica Romana. Il mondo é piccolo: a tavola altro nuovo contatto che rimanda ad un'importante storia familiare di antimafia e a neglette (da quel commensale) vacanze adolescenziali in quel di Perinaldo (IM), ermo ed ameno colle con piena vista sul Mar Ligure, non discosto da Bordighera e Ventimiglia.

Angoli inediti, non molto noti di Roma. Come non può essere, dati il peso della Storia e la vastità fisica.

Un piccolo, affettuoso pensiero il mio, insomma, nulla di più, perché su questa città, credo, non si finirà mai di scrivere, così come Lei non smette mai di stupirci.



domenica 14 novembre 2010

Il ciclismo era una mia passione


Bordighera (IM): i corridori della Genova-Nizza del 16 marzo 1961
Ho letto avidamente storie (anzi, se mi capita, le divoro letteralmente ancora) del ciclismo epico degli esordi e di quello che arriva all'immediato secondo dopoguerra: Garin, Petit-Breton, Ganna, Gerbi il Diavolo Rosso, altri di cui ora mi sfugge il nome. E, poi, atleti italiani, che in piroscafo andavano alle remuneratissime Sei Giorni americane negli anni '20. Gorni Kramer, musicista e direttore d'orchestra: cognome il primo, secondo il nome, da un grande pistard statunitense che aveva entusiasmato il padre. Vennero in seguito Belloni, Girardengo, Bottecchia, Binda, Guerra, molti dei quali anch'essi spesso in trasferta negli USA. E ancora Bartali, Coppi, Magni.

Bartali prima della guerra in allenamento passava spesso da Ventimiglia. Giovanotti del posto talora lo affiancavano per un po', anche nella salita verso la frontiera, con i loro mezzi molto più ordinari.


C'é un fotografia di famiglia che riprende Nino Defilippis, il "cit", mentre quell'erta la ridiscende per andare a vincere in fuga solitaria la tappa del Giro d'Italia del 1955, approdata a Sanremo con partenza dalla Costa Azzurra.

Mi capitò da bambino di vedermi regalare due annate pressoché complete del quotidiano sportivo rosa. Conobbi così la tragica tappa del Bondone del Giro d'Italia del 1956: neve e gelo a primavera inoltrata, da cui emerse solo il lussemburghese Gaul, il corridore educato e gentile, che ha lasciato memoria di tanti aneddoti edificanti. Nel 1959, all'atto di riprendere il treno per la Riviera, io e mio padre vedemmo a Milano da un giornale della sera (come quelli che non ci sono più) che aveva ipotecato quel giorno la nostra massima corsa.

Non fu con "Ciclismo illustrato", o qualcosa del genere, che pur sfogliai qualche volta, ma con un inserto specifico a colori de "L'Équipe", una copia rinvenuta abbandonata su di un treno da mio padre ferroviere, ma del Tour del 1957, il primo vinto da Anquetil, praticamente sapevo tutto.

Nizza-Genova del 2 marzo 1958
Nizza-Genova del 1 marzo 1964
Bordighera (IM): i corridori della Genova-Nizza del 16 marzo 1961
Passava dalle nostre parti, sulla Via Aurelia, a marzo la Genova-Nizza, che ad un certo punto poteva anche essere la Nizza-Genova: era una festa, per lo meno nel nostro rione di allora, per cui si era in tanti in attesa sul cavalcavia di Nervia, sullo sfondo Mont Agel.

I corridori della Parigi-Roma passano sul cavalcavia di Nervia
Fece tappa a Ventimiglia una Parigi-Roma, credo sempre nel 1959. Un ciclista gentile, benché stanco ed impolverato, dopo l'arrivo stette a rispondere alle domande di mio padre, che molti anni dopo mi disse che secondo lui era Roger Riviére, di cui sapevo già che era recordman dell'ora e grande inseguitore, ma la cui immagine vidi forse per la prima volta quando fece l'anno dopo la tragica caduta al Tour vinto da Nencini, caduta che gli stroncò la carriera e gli accorciò di sicuro la vita.

Di Nencini avevamo diverse fotografie con autografo, perché i ciclisti all'epoca viaggiavano in treno: facile per mio padre ferroviere fare molte conoscenze, da cui discendevano affascinanti racconti in famiglia.

Vidi in televisione Coppi lanciare nella fuga vincente del Mondiale su strada del 1958 il giovane Baldini, che non riuscì ad essere suo erede: ma la leggenda del Campionissimo, che non mi ha più lasciato, l'appresi in pieno dopo la sua morte per via delle pubblicazioni uscite nella triste occasione. E ho ascoltato con nostalgia i racconti delle persone che hanno avuto la ventura di incontrarlo e di conoscerlo.

Castelvittorio (IM)
In sella ad una bicicletta da bersagliere ho percorso poco prima dell'adolescenza in lungo e largo la Val Nervia, che qualche salita pur la presenta, specie per andare a Castelvittorio (IM). Da Bardineto (SV) a Calizzano ed oltre, l'anno del Vajont, sulle orme della Armeé d'Italie di Napoleone, io ci andavo su un mezzo da donna, il mio compagno di scuola, trovato lassù casualmente, su uno da corsa. Ma il mio approdo all'attività vera e propria si fermò in pratica lì.

Traguardo volante a Ventimiglia del Giro d'Italia del 1998
Qualche tappa del Giro d'Italia (e qualche altra corsa in linea) dalle nostre parti é poi arrivata quando ero ormai adulto, troppo tardi per suscitarmi grandi emozioni. Così non mi sono mai recato nella vicina Sanremo per vedere dal vivo l'arrivo della classica di San Giuseppe, cui, però, mi dicono, ho assistito da piccolo. Ascoltavo e cercavo storie di nostre piccole glorie locali, che, magari, la fama se l'erano fatta da dilettanti nella vicina Costa Azzurra o di chi, con discreto trascorso, sulla Riviera era poi venuto ad abitarci. Episodi più significativi altri hanno raccontato, altri ancora racconteranno. E sono iniziate circa trent'anni fa, come, credo, un po' in tutta Italia, diverse serie di corse per dilettanti o amatori, che prima non ricordavo di avere mai visto. 

Il Giro d'Italia nella discesa del cavalcavia di Nervia, Ventimiglia, 21 maggio 1961
Non mi sembra di avere mai visto passare professionisti in allenamento, che pur ci sono stati. Questione di mie semplici coincidenze mancate, mentre in diversi, specie le signore, che in genere salutava tutte per primo, si ricordano ancora di Cipollini (perché residente a Monaco), che si faceva la gamba sulla nostra Aurelia.

Mi sono, in verità, scaldato per Moser, così che, sapendo che doveva gareggiare in una delle tante kermesse di fine inverno, quella volta nel 1975 mi fermai volentieri, nonostante il ritardo per il mio appuntamento, a Beausoleil, sopra il Principato, sperando, illuso, di poterlo scorgere nel gruppo che arrancava in salita. E mi sono preso la soddisfazione di vedere in tanti bar del Trentino esposta la sua fotografia autografata.

E' il doping la bestia maledetta, o come si può chiamare adesso, emo, ecc. Venire a sapere, poi, che anche a livello di ragazzini o di cicloturisti (o come si chiamano) possono essere in voga pratiche proibite mi ha tolto quasi del tutto la poesia per il ciclismo. E qualche inchiesta (diversa da quella cui accennerò dopo) si é sviluppata anche dalle nostre parti, verso farmacie presunte compiacenti.

Certo, lampi tra le nuvole ce ne sono stati, ma l'ombra, se non di più, degli scandali si é allungata su tutti i campioni degli ultimi vent'anni. In un ambiente, quello delle Federazioni professionistiche, che continua praticamente a fare finta di niente.

Con tutto questo, qualche anno fa, pur sapendo la notizia e pur cercando di non fare lo spettatore ad ogni costo, mi sono trovato casualmente a vedere transitare la tappa in circuito a Sanremo del Giro (paradossalmente alla sera ci furono sequestri di sostanze all'indice, di cui parlarono a lungo i giornali): il fruscio delle ruote sull'asfalto, devo confessarlo, mi ha procurato invero qualche brivido.

Spero vivamente nel risanamento del mondo del ciclismo, ma soprattutto che non si disperda l'eco delle grandi imprese del passato, che, considerate le condizioni (di biciclette, di strumenti di supporto, di strade) in cui si correva una volta, così diverse da quelle attuali, rimangono a mio avviso sempre esaltanti.