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sabato 17 giugno 2023

Prime missioni alleate in Toscana


Nella nostra regione [la Toscana] esistevano, certamente fin da prima dell’inizio della guerra, cellule dei servizi di informazione alleati, soprattutto di quello britannico <62, che potevano trovare un’efficace mimetizzazione nella consistente e autorevole colonia anglosassone presente in Toscana e almeno in una parte della cerchia di parentele e di amicizie da questa intessute. Una parte di tale colonia si disperse all’inizio del conflitto, ma un’altra, italianizzata per matrimoni ecc, rimase, come rimase in piedi la trama di rapporti stabiliti in precedenza; appare infatti plausibile che questi ambienti abbiano fornito un supporto determinante per la preparazione e la riuscita iniziale dell’evasione dal castello di Vincigliata degli alti ufficiali britannici prigionieri di guerra ivi detenuti, verificatasi alla fine di marzo 1943, poiché la ricostruzione dell’impresa effettuata dalle autorità militari italiane presenta vari punti oscuri <63. In Toscana, ovviamente, erano presenti anche centri dei servizi informativi militari italiani ed è doveroso rilevare che le sezioni locali di tali organismi non passarono in blocco al servizio della Repubblica di Salò e dei nazisti e quelle rimaste fedeli alla casa reale svolsero una preziosa attività per contrastare gli intendimenti germanici: valga per tutti l’esempio della rete messa in piedi da Rodolfo Siviero, che a Firenze operò intensamente, ma sulla cui attività sappiamo qualcosa, non molto, solo in virtù delle avare notizie che egli ha reso note, soprattutto circa il salvataggio delle opere d’arte, anche se non si occupò solo di queste <64. Allo stato attuale non è chiaro se fossero in contatto anche con il gruppo di Siviero o altro gruppo analogo, i livornesi don Roberto Angeli e suo padre, che sembra si siano collegati con l’avvocato Eliso Antonio Vanni già nell’ottobre per provvedere al salvataggio degli ex prigionieri di guerra alleati <65. Ma durante il governo Badoglio alcuni ambienti romani vicini alla casa reale avevano provveduto a stabilire contatti con persone appartenenti alla borghesia medio alta, fedeli alla monarchia, per porre le condizioni atte a dar vita ad altri nuclei informativi, molto probabilmente non agganciati alla rete preesistente, facendo ricorso a figure politicamente appartenenti al mondo moderato-conservatore prefascista, anche se nel loro passato figurava una partecipazione all’iniziale movimento fascista, poi divenuta dissidenza e infine «separazione dal partito al potere, gravida di risentimenti di natura privata [...] nell’intento di determinare una crisi intestina che valesse a reintrodurli nel gioco politico» <66.
Uno di tali personaggi fu il giornalista e finanziere Filippo Naldi <67, coinvolto nelle indagini relative al delitto Matteotti ed espatriato nel 1925 per sottrarsi alle minacciose intenzioni del regime; questi al suo rientro in Italia, avvenuto subito dopo la destituzione di Mussolini, prima di recarsi a Romasi fermò nei pressi di Pescia, dove abitava l’ingegner Tullio Benedetti, con il quale dopo le elezioni del 1921 aveva militato nelle file del gruppo parlamentare della Democrazia liberale; tornò a Pescia alla fine di agosto o ai primi di settembre, dopo che a Roma aveva stabilito contatti ai massimi livelli con la casa reale e aveva incontrato lo stesso Vittorio Emanuele III, cui aveva sottoposto un progetto di coinvolgimento delle sinistre in un ampliamento della base politica del governo Badoglio. Sorpreso a Pescia dall’armistizio, sembra che Naldi abbia elaborato col suo ospite il progetto di collegare il nascente movimento partigiano locale con il governo badogliano di Brindisi e gli Alleati - operazione che avrebbe consentito a entrambi di tornare sulla scena politica - stabilendo verso la metà del mese un primo contatto con una delle prime formazioni partigiane pistoiesi, quella di Silvano Fedi, tramite Vanni La Loggia <68.
Tenuto conto dello spregiudicato pragmatismo del Naldi e del Benedetti, della loro conoscenza degli ambienti governativi e della comune appartenenza alla massoneria, che offriva loro la possibilità di molteplici contatti a livelli, in direzioni e per canali diversificati, appare difficile pensare che essi abbiano escogitato un simile piano senza avere un consistente margine di sicurezza sull’effettiva realizzabilità del collegamento con il governo di Brindisi e gli angloamericani, poiché se ciò si fosse rivelato un bluff la reazione dei resistenti avrebbe potuto essere assai sgradevole, soprattutto per il Benedetti, che, a differenza del Naldi, rimase nel Pesciatino <69.
Nacque così una delle prime maglie della rete informativa messa in piedi all’Office of Strategic Services (OSS) statunitense, rivelatasi in seguito assai utile per gli angloamericani, alla quale Naldi, giunto a Brindisi e divenuto autorevole componente degli ambienti della corte reale, provvide ad agganciare il gruppo pistoiese <70.
La scelta e l’impegno nel rischiosissimo campo della raccolta e trasmissione al Sud delle notizie sul regime e le forze armate nazifascisti furono decisioni prese autonomamente e senza secondi fini, ma solo per riscattare l’onta della guerra condotta dalla parte sbagliata e dell’occupazione germanica, anche da numerosi altri cittadini della nostra regione.
Firenze, in quei mesi a cavallo fra il 1943 e il 1944, era affollata da persone provenienti un po’ da tutta l’Italia, soprattutto da quella meridionale: profughi, persone che vi cercavano rifugio nella speranza che i tesori d’arte ivi raccolti allontanassero le offese belliche, perseguitati politici o razziali e militari fuggiaschi che speravano di far perdere le loro tracce allontanandosi dalle loro città. In questa folla in continuo movimento gli agenti dei servizi d’informazione alleati riuscivano a mimetizzarsi con una certa facilità, potendo inoltre contare sulla diffusa ostilità verso tedeschi e fascisti. Infatti proprio a Firenze il Partito d’Azione, mettendo a punto il suo apparato clandestino, dette vita a una Commissione per gli aiuti ai prigionieri di guerra alleati fuggiaschi e, soprattutto, a una Commissione radio, presto divenuta nota come CORA, che aveva l’obiettivo di mettere in piedi un sistema di collegamenti radio con i centri dirigenti azionisti milanesi e romani, con gli Alleati e con le nascenti formazioni partigiane; entrambi questi organismi nell’esplicazione della loro attività avrebbero avuto modo di entrare in rapporto e collaborare con missioni informative provenienti dall’Italia del Sud. Della prima commissione divenne, fin dall’inizio, parte attiva Ferdinando Pretini, un noto parrucchiere per signora di Firenze, il quale era entrato in contatto con una missione informativa, sbarcata nei pressi di Pesaro da un sottomarino britannico, capeggiata dal capitano Giovanni Tolleri, fiorentino, che egli pose subito in contatto con Max Boris e Luigi Belli, due responsabili dell’apparato militare clandestino azionista; la sera del 24 novembre 1943, giorno in cui fu arrestato dalla Banda Carità, Pretini doveva effettuare il collegamento fra la missione Tolleri e una "seconda missione badogliana, proveniente dall’Italia del Sud, incaricata, con mezzi finanziari a sua disposizione, di proteggere e mettere al sicuro prigionieri alleati, evasi dai campi di concentramento, e di stabilire contatti con il centro di resistenza dei Patrioti [...] La missione in parola era composta da un reverendo e da un signore, che dichiarava di esserne lo zio (era un generale)..." <71.
Non risulta che l’arresto di Pretini abbia avuto conseguenze sulla sorte di queste due missioni, delle quali però non è nota l’ulteriore attività. La Commissione radio, invece, i cui obiettivi comportavano ovviamente un’attività di intelligence, divenne il supporto fondamentale di una missione dell’8a Armata britannica dotata di radio ricetrasmittente, giunta a Firenze nel gennaio 1944, divenuta nota come Radio CORA dopo che uno degli animatori della commissione azionista, l’avvocato Enrico Bocci, di fronte alle esitazioni dei dirigenti locali del suo partito, del resto rapidamente superate, aveva accettato di assumersi personalmente la responsabilità di una collaborazione organica con detta missione, divenendo il capo riconosciuto di un’organizzazione, che riuscì a ramificarsi in ogni settore, civile e militare, potendo contare sullo spontaneo contributo di funzionari e semplici cittadini <72. L’importanza dell’attività svolta da Radio CORA ebbe il riconoscimento di un encomio - trasmesso per radio e quindi intercettato anche dai nazifascisti, da parte dello stesso generale Alexander, di cui i componenti della missione avrebbero anche fatto volentieri a meno - che, forse, contribuì in qualche misura alla tragica conclusione dell’impresa, ormai ampiamente nota <73.
Nel ribollente calderone umano di Firenze fra il dicembre 1943 e gli inizi di gennaio 1944 trovarono ricettacolo altri agenti e varie missioni provenienti dal Sud: agli inizi di dicembre vi era Giangiacomo Vismara, emissario dell’OSS, che ristabilì regolari collegamenti con il Benedetti a Pescia e venne raggiunto pochi giorni dopo dalla coppia Mario Rivano e Giovanni Fabbri - rispettivamente sottotenente d’artiglieria il primo, sottufficiale di marina e operatore radio il secondo - la quale faceva parte, con l’altra coppia formata da Renato Parenti, anch’egli sottotenente d’artiglieria, e il suo radiotelegrafista “Renatino”, sottufficiale di marina, della missione Pescia <74, posta alle dipendenze del Benedetti <75. Tra la fine del mese e i primissimi giorni di quello successivo giunse in città una missione del Servizio informazioni militari (SIM) italiano, di cui facevano parte il guardiamarina Antonio Fedele e il suo operatore radio Alfredo Shermann, destinati a rimanere in città, il sottotenente Dante Lenci, l’allievo ufficiale Ezio Odello e il radiotelegrafista Giuseppe Jacopi, destinati a operare sulla costa fra Livorno e Carrara <75.
[NOTE]
62 Interessanti a tale proposito, anche se, ovviamente, non espliciti, risultano i ricordi di K. Beevor, Un’infanzia toscana, La Tartaruga, Milano 2002, passim. Secondo un documento dello Special Operation Executive (SOE) del febbraio 1943, risulterebbe addirittura attivo a Firenze, oltre che in altri capoluoghi italiani, un gruppo di tale organizzazione, che aveva tra i suoi compiti principali la sovversione e il sabotaggio; la notizia, priva di riscontri oggettivi a oggi noti, deve essere presa con molta cautela, poiché non confermata da altri documenti della stessa fonte, cfr. P. Sebastian, I servizi segreti speciali britannici e l’Italia, Bonacci, Roma 1986, pp. 94-96.
63 La documentazione relativa a quest’evasione si trova in AISRT, Fondo Regione Toscana; NAW, T821, bob. 100, Ministero della Guerra, fasc. «Evasioni prigionieri di guerra»; per sintetiche notizie al riguardo cfr. Verni, Popolazione e partigiani dall’Alpe della Luna all’Abetone, cit., p. 169, nota 1.
64 Cenni sull’attività dell’organizzazione Siviero in R. Siviero, Seconda mostra nazionale delle opere d’arte recuperate in Germania, Sansoni, Firenze 1950, pp. 13-31; S. Ungherelli [Gianni], Quelli della “Stella rossa”, Polistampa, Firenze 1999, pp. 121, 129, 321, 334; Frullini, La liberazione di Firenze, cit., p. 98; qualche notizia in più in W. Lattes, ...E Hitler ordinò: “Distruggete Firenze”. Breve storia dell’arte in guerra, 1943-1948, Sansoni, Milano 2001, passim.
65 AISRT, Fondo CVL, b. 17, fasc. «Gruppo bande Teseo», s.fasc. «Banda di Pozzolatico», relazione dell’avvocato Eliso Antonio Vanni per il SIM allegata alla copia di attestato rilasciato al Vanni.
66 M. Franzinelli, I tentacoli dell’OVRA, Bollati Boringhieri, Torino 1999, p. 37.
67 Per sintetiche note biografiche su Naldi, ivi, p. 39 e nota 7.
68 G. Petracchi, Al tempo che Berta filava, Mursia, Milano 1995, pp. 46-51, passim.
69 Ivi, pp. 50-52.
70 Ivi, pp. 65-66.
71 AISRT, Carte processo Banda Carità, fasc. «Ferdinando Pretini», «Il mio diario. Deposizione resa all’Ill.mo Presidente della Corte d’Assise di Lucca al processo della banda Carità il 9 maggio 1951», dattiloscritto, pp. 2-3. Sui due componenti della seconda missione non disponiamo di altre notizie, ma le indicazioni fornite da Pretini suggeriscono che potrebbe forse essersi trattato di don Angeli e di suo padre.
72 G. Larocca, La “radio CORA” di piazza D’Azeglio e le altre due stazioni radio, Giuntina, Firenze 1985, pp. 39-44. Circa la spontanea partecipazione alla raccolta delle notizie, essa ricorda, ad esempio, le informazioni relative alla Linea Gotica, fornite a Bocci da un suo cliente residente in Mugello, ivi, p. 50.
73 Ivi, p. 67. Oltre a tale opera, fondamentale poiché l’autrice fece parte fin dall’inizio del gruppo, ci limitiamo a segnalare, fra gli altri testi C. Francovich, La Resistenza a Firenze, La Nuova Italia, Firenze 1962, passim; L. Tumiati Barbieri (a cura di), Enrico Bocci. Una vita per la libertà, Barbera, Firenze 1969; Contini Bonacossi, Ragghianti Collobi (a cura di), Una lotta nel suo corso, cit., pp. 313-318.
74. Petracchi, Al tempo che Berta filava, cit., pp. 70-73.
75 AISRT, Fondo CVL, b. 17, fasc. «Gruppo bande Teseo», s.fasc. «Banda di Pozzolatico», relazione dell’avvocato Eliso Antonio Vanni per il SIM allegata alla copia di attestato rilasciato al Vanni. Sull’attività e la sorte del gruppo comandato dal Lenci cfr. F. Bergamini, G. Bimbi, “Per chi non crede”. Antifascismo e Resistenza in Versilia, ANPI Versilia, Viareggio 1983, p. 79.
Giovanni Verni, La resistenza armata in Toscana in (a cura di) Marco Palla, Storia della Resistenza in Toscana. Volume primo, Carocci editore, 2006

Tullio Benedetti era il leader nazionale dei monarchici, che avevano formato la lista denominata Blocco della Libertà.
Ma chi era Tullio Benedetti, l’agente “Berta” collegato con lo spionaggio alleato durante il periodo bellico?
[...] Intorno all’8 settembre 1943 era suo ospite, nella villa di S.Lucia, l’amico Filippo Naldi, già suo collega parlamentare nel 1921. Entrambi monarchici e massoni “pensarono che, aiutando concretamente la gestazione di un movimento di resistenza sulle falde dell’Appennino, avrebbero allargato la base del consenso al governo Badoglio” <5.
Benedetti presentò Naldi a La Loggia (a cui Naldi disse essere un agente dell’Intelligence Service) per parlare della possibilità di aiuti aviolanciati per i partigiani. Fu così che Benedetti (in codice “Berta”) si trovò al centro di un’attività di collegamento tra l’OSS (Office of Strategic Services) dell’esercito americano e una parte delle forze partigiane, quelle che facevano capo ai “libertari” di Silvano Fedi e La Loggia e, dopo gli iniziali tentennamenti di “Pippo”, quelle dirette da Manrico Ducceschi. Ma quando nella primavera del 1944 lo smascheramento di Tullio Benedetti (“Berta”) fu totale e la minaccia perentoria e incombente, egli non ebbe altra scelta che sottrarsi alla cattura lasciando Pescia e riparando dietro le linee alleate a sud di Roma. Egli effettuò il passaggio del fronte, nella prima decade di maggio del 1944, comodamente trasportato in un’ambulanza che il genero, dottor Scanga (membro del Consiglio Nazionale delle Ricerche e commissario provinciale della Croce Rossa Italiana del Lazio) aveva inviato apposta da Roma per prelevarlo.
5 Giorgio Petracchi: Al tempo che Berta filava - MURSIA Editore - Milano, 1995 - pag.50
Pier Luigi Guastini, Tullio Benedetti: il quinto costituente, QF Quaderni di Farestoria Anno X - N. 2-3 maggio-dicembre 2008 

Anche il sessantacinquenne Filippo “Pippo” Naldi, personaggio controverso <54, riuscì a oltrepassare le linee nemiche verso gli Alleati allo scopo di offrire i suoi servigi alla causa comune. Naldi presentò a Bourgoin uno degli uomini 'più utili che io abbia utilizzato durante la campagna dei servizi segreti americani in Italia (…), esponente molto agiato della finanza e dell’industria' <55: Tullio Benedetti, denominato “Pippo”. Residente a quel tempo a Santa Lucia Uzzanese in Toscana, Benedetti aveva formato il primo gruppo di resistenti immediatamente dopo l’8 settembre, i quali erano collocati sulle regioni montuose degli Appennini, in attesa di ricevere aiuto dagli Alleati nella guerra contro il nemico.
[NOTE]
54 Secondo la testimonianza di Bourgoin, il 'gentleman' Filippo Naldi, noto giornalista prima del ventennio e impegnato in missioni di pace con il Governo Giolitti, fu esiliato dal regime fascista nel 1925 e fino al 9 agosto 1943 visse a Parigi. A. Bourgoin, From 20th September 1943 to 26th January 1945 cit., p. 36. Peter Tompkins, invece, ha scritto che “Pippo” Naldi aveva procurato a Mussolini finanziamenti francesi per il suo 'Popolo d’Italia'. Poi, in disaccordo con il Duce, si era rifugiato a Parigi, dove nel 1937 aveva incontrato un altro esule, Indro Montanelli, che, nel 1953, in un elzeviro fece un ritratto alquanto impietoso di 'Pippo Naldi faccendiere'. Per Tompkins, anche il Naldi era stato mandato da Badoglio per controllare la missione dell’OSS aggregato alla V Armata. Cfr. P. Tompkins, L’altra Resistenza cit., p. 395.
55 Bourgoin, così, lo definisce 'a very wealthy financier and industrialist, Tullio Benedetti'. A. Bourgoin, From 20th September 1943 to 26th January 1945 cit., p. 36. In un rapporto dell’OSS, Tullio Benedetti è ritratto quale 'uomo d’affari, monarchico, con uno spiccato carattere impetuoso e deciso. Dirige Il Giornale della sera'. P. Tompkins, L’altra Resistenza cit., nt. 5, p. 395.

Michaela Sapio, Servizi e segreti in Italia (1943-1945). Lo spionaggio americano dalla caduta di Mussolini alla liberazione, Tesi di Dottorato, Università degli Studi del Molise, 2012 

Il 28 [dicembre 1943] cinque operatori del S.I.M. di due missioni dirette in Toscana (Livorno e Firenze), furono sbarcati dal MAS 510, partito dalla Maddalena, vicino al punto di sbarco di Castiglioncello (Buca dei Corvi) <94.
[NOTA]
94 Quella diretta a Firenze era formata dal guardiamarina Antonio Fedele, Tonino, e dal radiotelegrafista Alfredo Scirman. Di quella diretta a Livorno facevano parte il sottotenente del Genio Navale Dante Lenci (che aveva già preso parte alla resistenza fin dal 29 settembre 1943), il sergente universitario, ex-allievo dei corsi normali dell’Accademia Navale, Ezio Odello, e il secondo capo radiotelegrafista Lorenzo Iacopi. Svolgendosi nel periodo di massimo contrasto nazi-fascista all’attività della Resistenza nell’Italia Centrale, le due missioni furono molto accidentate. Alcuni dei collaboratori reclutati sul posto furono arrestati, anche a Roma, dove erano stati inviati per portare informazioni e ricevere istruzioni. Ai primi di aprile alcuni membri dell’organizzazione di Livorno, compreso Lenci e Iacopi, furono arrestati. Odello lasciò Livorno e avvertì personalmente Fedele di quanto accaduto; quindi, con le notizie in suo possesso, e con quelle fornitegli da Fedele relative alle fortificazioni e agli armamenti tedeschi, Odello si recò, in compagnia del partigiano Emilio Angeli, il nonnino, a Roma. Qui giunti i due furono arrestati, il 10 maggio 1944, e furono condannati a morte. Ai primi di giugno furono riuniti, con altri 26 condannati, nel cortile del carcere di via Tasso. Un primo gruppo di condannati fu caricato su un camion e raggiunse Bologna. Un secondo gruppo, che comprendeva Bruno Buozzi e Brandimarte, giunto alla Giustiniana, fu trucidato da uomini della G.N.R. in fuga. L’ultimo camion fece avaria, ciò che impedì di trasferire i 12 superstiti rimasti nel carcere di via Tasso, fra cui l’Odello, che furono liberati dalla popolazione il 4 giugno. Lenci fu fucilato l’11 settembre 1944 nel campo di concentramento di Bolzano.

Giuliano Manzari, La partecipazione della Marina alla guerra di liberazione (1943-1945) in Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare, Periodico trimestrale - Anno XXIX - 2015, Editore Ministero della Difesa

giovedì 6 ottobre 2022

Il governo americano aveva già predisposto dei piani di possibile intervento militare in Italia


1.1 Il Sifar, il primo servizio segreto della Repubblica
Il primo servizio segreto della Repubblica, per i motivi sopracitati, poté nascere soltanto dopo l’esito delle elezioni dell’aprile del 1948, che sancì la sconfitta del Partito Comunista e aprì la strada alla Nato. Fino a quel momento, l’Oss (Office of Strategic Service) e successivamente la Cia (Central Intelligence Agency) avevano ritenuto opportuno operare sul territorio italiano in prima persona.
Il Sim, ossia il servizio segreto militare di epoca fascista, che stava cercando di far valere la propria identità antifascista all’insegna della discontinuità col vecchio regime (come gran parte degli apparati dello Stato), nel 1945 dovette affrontare il cosiddetto “scandalo Roatta” <7. L’ex capo del Sim negli anni Trenta, il generale Mario Roatta, il quale era sotto processo per la mancata difesa di Roma e per l’omicidio dei fratelli Rosselli oltre che accusato dal governo jugoslavo di crimini di guerra, era stato aiutato dal SIM a fuggire dal suo luogo di detenzione, per trovare asilo nella Spagna franchista. Lo scandalo scatenò un’ondata di sdegno pubblico, che sfociò in importanti moti di piazza animati dalla sinistra. Per placare gli animi, all’ufficio venne semplicemente cambiato nome (pratica che, come si vedrà, verrà riutilizzata in futuro) e, dopo un anno, venne ufficialmente sciolto. Rimase in piedi soltanto l’ufficio “I” (un modesto ufficio d’informazione militare che esisteva, tra scioglimenti e rifondazioni, dal 1865 <8), che si occupò principalmente di distribuire sussidi ai decorati di guerra. Fu soltanto nell’ottobre del 1948, sei mesi dopo le prime elezioni politiche, che il generale Giovanni Carlo Re venne messo a capo di questo ufficio; e fu soltanto il 30 marzo 1949 che Re venne incaricato, con una circolare del ministro repubblicano Pacciardi, di potenziare l’ufficio e riformarlo, ma sempre sulla linea del vecchio Sim. Infine, dopo la firma del patto Nato in aprile, il primo di settembre del 1949 nasceva ufficialmente il Sifar (Servizio Informazioni Forze Armate) <9. Alla stessa data vennero istituiti i Servizi informazioni operative e Situazioni (Sios), che “avrebbero dovuto operare esclusivamente nel campo tecnico-militare di ciascuna forza armata, ma sui quali peseranno, negli anni successivi, le stesse ombre e gli stessi sospetti che si addentreranno sul Sifar e sul Sid” <10.
La contiguità con la stipulazione del patto del Nord Atlantico (ratificato in parlamento il primo di agosto 1949) e la sua relativa Organizzazione è l’elemento da tenere in maggiore considerazione. All’interno della vasta rete di alleanze degli Stati Uniti (Nato, Cento, Seato, Patto di Colombo, ecc.), anche la Nato agiva per mantenere lo status quo politico nei paesi aderenti, ma scelse di tenere segreta questa finalità per le ovvie proteste che avrebbero presentato i partiti comunisti italiano e francese. <11
Il governo americano aveva già predisposto dei piani di possibile intervento militare in Italia. Nel documento 'Foreign Relations of the United States' (1948) del National Security Council, la sezione dedicate all’Italia prevedeva che, nell’ipotesi di una vittoria elettorale del Pci, bisognasse “iniziare una pianificazione militare congiunta con azioni selezionate” e che si dovesse “fornire ai clandestini anticomunisti italiani assistenza finanziaria e militare”; ancora più significativo il passo: “un efficace appoggio degli USA può incoraggiare elementi non comunisti in Italia a fare un ultimo vigoroso sforzo, anche a rischio di una guerra civile, per prevenire il consolidarsi del controllo comunista”. <12
“Per prevenire”: infatti, nonostante il risultato rassicurante delle elezioni, le direttive degli Usa sull’Italia non cambiarono affatto di orientamento; al contrario, le misure furono sempre più intensificate, dato il progressivo aumento dei consensi che il Pci registrò in ogni tornata elettorale per ancora trent’anni. In un’altra riunione del National Security Council, del 5 gennaio 1951, era stato previsto un piano per “dispiegare forze in Sicilia o Sardegna o in entrambe le isole, col consenso del governo italiano, in forze sufficienti a occupare queste isole contro l’opposizione comunista indigena”, direttiva approvata da Truman l’11 gennaio <13.
Si possono qui intravedere le origini del progetto Gladio <14. Il documento, consultabile dal 1985, è tuttavia coperto da omissis nelle parti più delicate; in un passo, che riteniamo significativo, si dice che: “[…] nel caso che [il governo italiano] cessi di mostrare determinazione a opporsi alle minacce comuniste interne ed esterne, gli USA dovrebbero iniziare misure [omissis] … progettate per impedire la dominazione comunista e per ravvivare la determinazione italiana di opporsi al comunismo”. <15
Il “ravvivare la determinazione”, con il senno di poi, ci può far ritenere che si potesse già trattare di iniziative in linea con quella che poi verrà chiamata “guerra psicologica” (v. cap. 3).
Per completare il quadro delle relazioni tra il Sifar e gli apparati di intelligence americani e la massima fedeltà dimostrata dal primo verso i secondi, menzioniamo la funzione dell’ente del dipartimento di difesa americano National Security Agency (NSA), un’agenzia specializzata nello spionaggio delle telecomunicazioni; questa struttura governativa allestì un “pool internazionale delle informazioni”, comprendente i servizi segreti di molti paesi alleati degli americani. La rete di collaborazione, che era sostanzialmente un insieme di patti firmati dai servizi segreti per conto dei governi, funzionava a senso unico, c’era in sostanza una gerarchia per la quale il cosiddetto primo firmatario (appunto, il Nsa) e i secondi firmatari (il GCHQ per la Gran Bretagna, il CBNRC per il Canada e il DSD per Australia e Nuova Zelanda) avevano l’obbligo di scambiarsi tutte le informazioni senza restrizioni; mentre i terzi firmatari (tra cui il Sifar per l’Italia) erano semplicemente tenuti a inviare materiale al primo e ai secondi, in un rapporto impari.
Un ex agente del NSA rivelò nel 1972 il funzionamento di questa catena: “I terzi firmatari non ricevono quasi nulla da noi, mentre noi riceviamo quasi tutto da loro. In pratica è un trattato a senso unico. Noi lo violiamo anche con i secondi firmatari, sorvegliando costantemente le loro vie di comunicazione.” <16
Dopo il generale Re, il Sifar passò per degli anni di gestione “apparentemente incolore”, sotto la guida del gen. Umberto Broccoli e del gen. Ettore Musco. Il salto di qualità nella attività del Sifar cominciò negli ultimi giorni del 1955, con la nomina a capo del servizio del generale Giovanni De Lorenzo, una personalità che diventerà di importanza centrale e che ritroveremo più avanti all’interno del presente studio. Il generale De Lorenzo ricevette questa nomina anche in virtù dei suoi meriti nella guerra resistenziale, probabilmente veritieri ma sicuramente molto gonfiati dal momento che gli vennero assegnate numerose decorazioni senza motivazioni esaustive <17. Il De Lutiis definisce questi meriti “assai presunti” <18. Di fatti, la sua nomina viene favorita piuttosto dal benestare dell’ambasciatrice statunitense in Italia Claire Booth Luce; gli americani ritenevano che un uomo come De Lorenzo avrebbe potuto sorvegliare l’operato del neoeletto presidente della Repubblica Gronchi, “in odore di sinistrismo”. A conferma della reputazione che il generale aveva in seno agli apparati di difesa statunitensi, c’è il fatto che il primo ordine che gli viene impartito, una volta alla guida del Sifar, dal comando generale delle forze armate statunitensi è quello di rispettare gli obiettivi del piano permanente di offensiva anticomunista chiamato 'Demagnetize', che aveva come obbiettivo prioritario quello di limitare “forze, risorse, influenza, nei governi e nei sindacati italiani e francesi” e del quale “i governi italiano e francese non devono essere a conoscenza, essendo evidente che esso può interferire con la loro rispettiva sovranità nazionale” <19.
Ad ogni modo, l’irresistibile scalata del generale ai vertici occulti dello Stato comincia proprio durante i suoi anni al Sifar, ma prenderà una svolta decisiva negli anni a seguire. L’argomento verrà approfondito nel cap. 2.3, I dossier di De Lorenzo.
[NOTE]
7 Cfr. Giuseppe De Lutiis, storia dei servizi segreti in Italia, Editori riuniti cap. Lo scandalo Sim
8 Cfr. Giuseppe De Lutiis, op. cit., cap. Gli esordi
9 Giuseppe De Lutiis, op. cit., pg. 38
10 Ibidem, pg. 39
11 Ibidem, pg. 40
12 Ibidem, pg. 41
13 Citata in G. De Lutiis, op. cit., pg. 41
14 Per Gladio, tra la vasta letteratura in proposito, rimandiamo a …
15 Citato in G. De Lutiis, op. cit., pg 42
16 Cfr. Marco Sassano, SID e partito americano, Padova, Marsilio, 1975, p. 47; Citato in G. De Lutiis, op. cit., pg .43
17 Cfr G. De Lutiis, op. cit., cap. De Lorenzo, la schedatura generalizzata
18 G. De Lutiis, op. cit., pg. 54
19 Joint Chief of Staff, Memorandum, 14 maggio 1952. documento citato in R. Faenza, Il Malaffare, p. 313
Claudio Molinari, I servizi segreti in Italia verso la strategia della tensione (1948-1969), Tesi di laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 2020/2021

sabato 19 febbraio 2022

Gli agenti furono lanciati quaranta miglia a meridione del punto stabilito

Tirli, Frazione di Castiglione della Pescaia (Grosseto) - Foto: Danilo93 su Mapio.net

Il 22 gennaio 1944 le truppe anglo-americane sbarcarono ad Anzio per forzare il fianco della X Armata tedesca e superare, così, lo stallo che si era creato sul fronte di Cassino.
Sennonché il maggiore generale John P. Lucas, Comandante del VI Corpo d’Armata, non seppe approfittare delle quasi inesistenti linee di difesa tedesche e decise di fermarsi predisponendo uno schema di difesa della testa di ponte: l’offensiva frontale della V Armata si arenò a Cassino e la testa di ponte di Anzio, anziché serrare i tedeschi in una manovra a tenaglia, diventò un rischio per l’Allied Forces Headquarters (AFHQ) e la stessa V Armata.
Con quest’ultima sbarcò ad Anzio anche un‘unità dell’Office of Strategic Services (d’ora in poi OSS) che, tuttavia, non aveva un predefinito piano operativo. Il distaccamento dell’OSS ad Anzio inviò numerose missioni oltre le linee ma, in assenza di coordinamento con gli agenti infiltrati a Roma, raccolse informazioni strategiche militari di valore tattico limitato rispetto all’avanzata della V Armata <1.
A decorrere dal gennaio 1944, una parte del lavoro dell’OSS consistette nella raccolta d’informazioni strategiche concernenti la dislocazione delle bande partigiane nell’Italia occupata dai tedeschi, che si tradusse nella redazione di rapporti mensili, con allegate mappe dettagliate, inviati, poi, al direttore dell’OSS a Washington e, attraverso quest’ultimo, alla Casa Bianca.
Inizialmente questi rapporti furono redatti dal SIM, giusta la collaborazione tra i ricostituiti servizi segreti italiani del colonnello Agrifoglio e quelli americani, quale formalizzata nell’accordo del settembre 1943 con la Sezione italiana della Secret Intelligence Branch (SI) di Scamporino e Corvo, di cui sopra si è detto. In seguito, man mano che s’incrementò l’entità dell’infiltrazione degli agenti dell’OSS oltre le linee nemiche e s’intensificarono, così, le relazioni di questi ultimi con i patrioti italiani, tali rapporti furono sempre più densi di dettagli, concernenti sia gli uomini sia gli armamenti e consentirono, così, di ponderare la forza sia locale sia regionale e generale di queste organizzazioni irregolari <2.
Gli agenti che Bourgoin aveva reclutato a Napoli furono inviati in missioni di lungo raggio e raccolsero informazioni che si rivelarono molto utili alle tormentate forze militari alleate che combattevano ad Anzio. Nel suo rapporto riservato sulle attività dell’OSS dal 20 settembre 1943 al 26 gennaio 1945, Bourgoin ha celebrato, tra gli altri, l’agente “Cervo”, alias Maurizio Giglio, che, allo scopo di facilitare la missione d’intelligence di cui era stato investito, riuscì a introdursi nella polizia segreta fascista in veste di ufficiale di collegamento (Liaison Officer) con le autorità tedesche. Egli fu molto abile nel raccogliere una gran quantità d’informazioni militari segrete, trasmetterle via radio al Quartier Generale di Caserta e, altresì, preparare basi sulla costa tirrenica e, in particolare, nell’area di Capalbio, per consentire lo sbarco di altre missioni dell’OSS in Italia e, soprattutto, dalla Corsica. Stabilì contatti con alcuni esponenti dei partiti antifascisti che, clandestinamente, stavano organizzando la Resistenza nella Roma occupata dai tedeschi, tra i quali spiccavano Franco Malfatti, membro del Partito Socialista Italiano (PSI) e braccio destro del rappresentante socialista nella giunta militare del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), Giuliano Vassalli che collaborò, in particolare, con Peter Tompkins <3.
Accadde, infine, che, nella prima parte di marzo ’44, il radiotelegrafista Vincenzo Converti fu denunciato alla Gestapo: il fatto di per sé di rilevante gravità assunse una notevole importanza anche per i suoi inquietanti risvolti con riguardo alla sorte dell’agente “Cervo”, il quale, il 17 marzo 1944, fu arrestato dalle SS e, quindi, fucilato alle Fosse Ardeatine. Così Bourgoin raccontava la drammatica fine del suo agente:
"Il tenente Giglio, nel tentativo di salvare le attrezzature radio, su ordine di Mr. Tompkins, fu arrestato dalle SS tedesche e, dopo alcuni giorni di orribili torture, fu infine fucilato alle Fosse Ardeatine il 24 marzo insieme con i trecentoventi ostaggi italiani. Con la persona del tenente Giglio, perdemmo uno straordinario e capace agente e uno dei migliori patrioti italiani che avessi avuto l’onore di conoscere durante il mio servizio in Italia. Nonostante le torture inflittegli nei sette giorni di prigionia, egli rifiutò sempre di confessare e mantenne al sicuro i nomi e gli indirizzi di tutti i nostri agenti, compreso Mr. Peter Tompkins e così, con il sacrificio della sua vita, salvò tutta la nostra organizzazione" <4.
Fallito il tentativo di prelevare il figlio del maresciallo Badoglio durante la citata missione Richmond II, si decise di porre in essere una nuova operazione anche allo scopo di stabilire contatti con alcuni nuovi gruppi di partigiani sparpagliati in Toscana e, in particolare, tra Tarquinia e Follonica. Tale missione fu compiuta dall’ufficiale dell’aviazione italiana, Piergiorgio Menichetti, il quale si offrì volontario e dal radiotelegrafista, tale Mummolo, nome in codice “Barone”. Entrambi furono paracadutati nella parte sud-orientale di Orbetello. L’operazione, secondo la testimonianza di Bourgoin, fu condotta dall’aviazione britannica che, però, nonostante che l’OSS avesse impartito istruzioni molto precise e corredate di mappa a grande scala nonché fotografie aeree del punto di lancio, paracadutò i due uomini a dieci miglia più a nord del punto stabilito. Questi furono, così, lanciati nel mezzo di una fattoria occupata dalle truppe nemiche e, solo grazie al loro coraggio e abilità, riuscirono a scappare. Come se non bastasse, l’attrezzatura radio, gli effetti personali e le mappe militari furono lanciate a venti miglia dal punto in cui gli uomini erano stati paracadutati. Pertanto, la missione fu assolutamente inutile in quanto gli agenti, privi come furono delle necessarie attrezzature, furono impossibilitati a mettersi in contatto via radio con la base. Menichetti tentò, invano, di collegarsi con gli altri agenti segreti alleati, soprattutto britannici, che si trovavano nella vicina regione di Viterbo, ma i messaggi furono trasmessi al Quartiere Generale con un mese di ritardo. L’inarrestabile Menichetti, non potendo lavorare, decise, quindi, con l’aiuto del capitano Fantappié che possedeva una piccola imbarcazione lunga quindici piedi, di raggiungere con questo mezzo qualche isola occupata dagli Alleati. La loro avventurosa spedizione non fu vana perché fornì importanti informazioni strategiche concernenti tutte le fortificazioni costiere, i presidi e i movimenti delle truppe tedesche sulla costa tirrenica tra Civitavecchia e Piombino e consentì di redigerne mappe molto dettagliate che giovarono alle operazioni speciali dell’OSS che si dipartirono soprattutto dalla base di Bastia in Corsica. L’impresa fu descritta con enfasi ancora da Bourgoin che celebrava il raro coraggio dei due uomini con queste parole:
"Il 14 marzo, essi salparono da Castiglion della Pescaia diretti a Bastia, Corsica. A loro si aggiunsero due patrioti italiani desiderosi di unirsi alle forze armate italiane che combattevano dalla nostra parte. La prima parte del viaggio verso l’isola di Monte Cristo fu facile ma nel mezzo della notte furono colti da vento molto forte che lacerò la vela e fece scoppiare l’albero maestro dell’imbarcazione, sicché invece di arrivare in Corsica come programmato, essi approdarono esausti, dopo settantadue ore di navigazione su un mare molto mosso, su una piccola roccia a largo della costa della Sardegna vicino all’isola della Maddalena. Individuati dalla Marina Britannica, arrivarono quindi a Napoli con un volo il 16 marzo ‘44. Menichetti e il capitano Fantapie [sic] fornirono informazioni utilissime concernenti tutte le fortificazioni costiere, i presidi e i movimenti delle truppe dei tedeschi sulla costa tra Civitavecchia e
Piombino e contribuirono a redigere mappe molto dettagliate delle quali una copia fu inviata anche al colonnello Livermore, Commanding Officer dell’OSS in Corsica" <5.
Anche una seconda missione intentata dal medesimo agente Menichetti rischiò di essere compromessa a causa di un grave errore di lancio da parte dell’Aviazione britannica, sebbene questa volta fosse stata adottata una serie di precauzioni, compresa, in particolare, in una dettagliatissima mappa della zona di lancio e, pur tuttavia, il coraggio e l’iniziativa di Menichetti e i suoi uomini supplì la carenza militare e consentì di compiere un’eccellente missione. Menichetti si arruolò volontario per una seconda missione nella quale fu accompagnato dal radio operatore Bormida. I due agenti dovettero essere lanciati a Tirli, a est di Follonica, per unirsi a un potente gruppo di patrioti il cui comandante, tale Vanucci, fu convocato da Bourgoin con l’intermediazione del generale Accame. Le forze aeree britanniche furono dotate di una mappa dettagliata del punto per evitare di commettere il medesimo errore in cui erano incorse nella prima missione. Nonostante tutte le precauzioni adottate, però, gli agenti furono lanciati quaranta miglia a meridione del punto stabilito, mentre le attrezzature radio, le batterie e i generatori elettrici non furono paracadutati tutti insieme, tanto che, mentre le batterie e i generatori furono individuati, le radio, invece, finirono in un posto assolutamente sconosciuto e, infine, andarono perdute. A dispetto delle circostanze, Menichetti riuscì a mettersi in contatto con un’altra stazione radio operante nella regione e si dovette organizzare, quindi, un’altra operazione di aviolancio volta a rifornire gli agenti del necessario equipaggiamento.
I messaggi inviati da Menichetti furono molto importanti perché contennero informazioni militari di grande valore che permisero all’aviazione alleata di distruggere il più grande deposito tedesco di munizioni in Italia a Tombolo di Feniglia vicino a Orbetello. Pertanto, quando gli Alleati arrivarono sul posto a metà giugno, centinaia di barili di gasolio erano stati dati alle fiamme, immensi rifornimenti distrutti e un gran numero di tedeschi uccisi.
Inoltre, grazie a questa missione, il comando di tutti i gruppi di partigiani della regione fu fortificato e ingaggiata una dura battaglia che distrusse una gran quantità di armamenti nemici, spianando, così, la strada all’avanzata della V Armata. E’ ancora Bourgoin che, così, ricordava l’agente da lui reclutato:
"Egli compì una meravigliosa missione grazie alla quale furono inviate noi informazioni militari d’immenso valore che permisero all’Air Force di distruggere il più grande deposito di munizioni tedesco in Italia. Centoquaranta Flying Fortressess bombardarono il posto sito a Tombolo di Feniglia vicino a Orbetello. Il deposito fu interamente distrutto, tre navi affondate e quando gli Alleati arrivarono sul posto a metà giugno, centinaia di barili di gasolio furono dati alle fiamme, immensi rifornimenti distrutti e un gran numero di tedeschi uccisi. Grazie alla capacità di Menichetti, il comando di tutti i gruppi di partigiani della regione fu fortificato e fu ingaggiata una battaglia che distrusse una gran quantità di armamenti tedeschi, uccidendo in una sola volta centosessanta tedeschi e aprendo la strada alla V Armata che trovò le posizioni abbandonate dal nemico. Menichetti catturò due batterie tedesche, quattro mitragliatrici e venti carri armati che furono consegnati agli americani della V Armata. I due radiotelegrafisti all’ultimo minuto abbandonarono le loro attrezzature radio e combatterono con i partigiani italiani e il loro ufficiale comandante" <6.
Nello stesso periodo dalla base dell’OSS di Bastia in Corsica si dipartirono altre importanti missioni d’intelligence, a lungo raggio, aventi come destinazione l’Italia occupata dal nemico. L’operazione denominata Richmond II, che, come avanti enunciato, approdò sulla spiaggia di Fosso Tafone nella notte tra il 17 e il 18 gennaio ‘44 e si svolse tra la Liguria e la Toscana, fu affidata alla squadra composta dei seguenti agenti: Vera Vassallo; Sergio Tavernari e Salvatore Piazza, nome in codice “Turi”, oltre ai radiotelegrafisti Alberto Fabbri e Mario Rebello. Vera Vassallo, che si era formata nei servizi d’intelligence della Marina Militare Italiana, compì la missione affidatale con encomiabile determinazione, permettendo ai servizi segreti americani di mettersi in contatto con le principali bande partigiane italiani operanti nel distretto delle Alpi Apuane, La Spezia e la Toscana nonché con il CLN di Firenze. Si narra di ben sessantacinque operazioni di aviolancio alleate per il rifornimento di armi e munizioni in favore dei partigiani di quell’area [...]
[NOTE]
1 M. Corvo, La campagna d’Italia dei servizi segreti americani cit., pp. 206 e 207.
2 Si veda, a tal proposito, il citato rapporto del SIM sulle bande partigiane nell’Italia del nord, con allegata mappa, che fotografa la situazione nel periodo dal 1° maggio al 31 luglio 1944 con riferimento alle regioni di: Toscana, Emilia, Marche, Piemonte e Liguria, Lombardia e Veneto. Il rapporto analizza sia l’organizzazione sia le attività delle formazioni di partigiani le quali ‹‹a prescindere dai partiti politici di riferimento, sono controllate dal Comitato di Liberazione Alta Italia (CLNAI) che ha fatto tutto il possibile per coordinare le attività di tutti i gruppi di patrioti nella comune guerra contro il nemico›› nonché l’esatta posizione per area geografica con l’indicazione della forza in uomini e arsenale delle bande organizzate. SIM Reports. Armed Bands in Northern Italy cit.
3 A. Bourgoin, From 20th September 1943 to 26th January 1945 cit., p. 55.
4 ‹‹Lt. Giglio, trying to save the radio sets on orders given to him by Mr. Tompkins, was captured by the Germans and during several days of horrible torture, he finally was shot at Fosse Ardeatine on the 24th of March with 320 Italian hostages. We lost, in the person of Lt. Giglio, an extraordinary and capable agent and one of the best Italian patriots I had the honor to know while serving in Italy. In spite of the tortures which had been inflicted on him during the seven days, he always refused to give the names and safe addresses of all of our Agents including Mr. Peter Tompkins, and by the sacrifice of his life, he thus saved all of our organization›› A. Bourgoin, From 20th September 1943 to 26th January 1945 cit., p. 56.
5‹‹On the 14th of March they sailed from Castiglione della Pescaia to Bastia, Corsica. They took with them two Italian patriots who were willing to join the regular Italian Army fighting on our side. The first part of the trip to the Island of Monte Cristo was easy, but in the middle of the night they were caught bay a very heavy gale which tore the sail , blow off the mast of the ship and instead of arriving in Corsica as planned, they landed exhausted after seventy-two hours of navigation on a very rough sea, on a little rock off the Sardinian Coast near Maddalena [sic]. Rescued by the British Navy, they arrived in Naples with a plane on the 16th of March. Menichetti and Capt. Fantapie [sic] supplied us with the most useful information about all coastal fortifications, German garrisons and troop movements on the coast between Civitavecchia and Piombino. Detailed maps were established and a copy sent to Col. Livermore who was the Commanding Officer in OSS Corsica.›› A. Bourgoin, From 20th September 1943 to 26th January 1945 cit., pp. 66 e 67.
6 ‹‹He accomplished a wonderful mission sending us the most valuable military information and allowing the Air Force to destroy the biggest German dump in Italy. One hundred and forty Flying Fortresses bombed the place at Tombolo di Feniglia near Orbetello. The dump was entirely destroyed, three boats sunk, and when the Allied Armies arrived on the spot in the middle of June, thousands of gasoline barrels had been burned; enormous supplies destroyed, and a great number of Germans killed. Due to ability of Menichetti, he secured the command of all resistance groups of the Region and put up a fight destroying a great quantity of German equipment killing in one battle one hundred and sixty Germans and opening the way to the Army which found the positions abandoned by the enemy. Menichetti captured two Germans batteries; four machine guns and twenty trucks were given to the American 5Th Army. The two radio operators at the last minute abandoned their radio sets and fought with the patriots and their Commanding Officer.›› A. Bourgoin, From 20th September 1943 to 26th January 1945 cit., pp. 68 e 69.
Michaela Sapio, Servizi e segreti in Italia (1943-1945). Lo spionaggio americano dalla caduta di Mussolini alla liberazione, Tesi di Dottorato, Università degli Studi del Molise, 2012 


giovedì 23 settembre 2021

Sulla Missione Argo tra i partigiani del Veneto

In primo piano, secondo da sinistra, il ten. vasc. Vittorio Patrelli Campagnano, comandante del sommergibile Platino, fra gli uomini del suo equipaggio - Fonte: Giuliano Manzari, op. cit. infra

San Donà di Piave, 1 settembre 1943, Silvio Trentin rientra in Italia dopo quasi vent’anni di esilio (Archivio Centro Studi “Silvio Trentin” - Jesolo) - immagine qui ripresa da Memoria Resistente... op. cit. infra

A pochi giorni dall’inizio dell’occupazione, nell'abitazione dello stesso Marchesi a Palazzo Papafava a Padova (dove tra l’altro aveva sede il Ministero della pubblica istruzione di Salò e lo stesso ministro Biggini) veniva costituito il Comitato di Liberazione Nazionale regionale veneto, soprattutto su impulso di Marchesi e Meneghetti: composto dallo stesso Concetto Marchesi per il Pci e da Egidio Meneghetti, esso comprenderà tra i membri fondatori anche Mario Saggin (Dc), i socialisti Cesare Lombroso e Alessandro Candido, il cristiano sociale Italico Cappellotto, e l’azionista Silvio Trentin, quest’ultimo tra i maggiori fondatori.
[...] All’indomani della sconfitta francese del ‘40 Silvio Trentin divenne l’anima della Resistenza a Tolosa come uno dei capi e organizzatori delle formazioni partigiane. Dopo la caduta del fascismo rientrò clandestinamente in Italia, arrivando a Treviso il 3 settembre: subito dopo l’8 settembre tentò di convincere i comandi militari di Treviso e Feltre a distribuire armi per organizzare fin da subito la Resistenza popolare contro l’occupazione tedesca, ma invano. Si trasferì dunque a Padova - centro propulsore della Resistenza nel Veneto - inserendosi subito nella cerchia degli esponenti antifascisti dell'Università, nella quale aveva pure insegnato per breve tempo <162.
Alla riunione clandestina di Palazzo Papafava - oltre a Trentin, Marchesi, Meneghetti, Saggin, Lombroso, Candido e Cappellotto - fu presente anche Giancarlo Tonolo, studente di Lettere e Filosofia, antifascista di matrice azionista già dal 1941-42, che avrebbe fatto da segretario a Trentin e si sarebbe rivelato essenziale nell’esecuzione della “missione Argo”, partita il 4 febbraio ‘44 e costituita dall’italiano SIM (“Servizio Informazioni Militari”) in collaborazione con l’inglese SOE (“Special Operation Executive”) a loro volta in contatto con il Comando Militare Regionale Veneto.
Durante la missione Tonolo ospitò Giovanni Bruno Rossoni (capitano dell’Aviazione entrato dopo l’8 settembre al servizio del SIM) e il marconista Veglia, che sbarcati sul litorale adriatico dal sottomarino “Platino” con l’incarico di raccogliere informazioni sulle forze armate tedesche in Veneto e di stabilire un collegamento tra i comandi militari partigiani e il comando alleato, si erano stabiliti a Venezia. Tonolo fece anche da tramite tra Rossoni e il Comando Militare del CLN regionale e provinciale. Dopo importanti operazioni d'intelligence, la missione terminò l’8 agosto 1944 quando Rossoni venne catturato, deportato in Germania e fucilato a Mauthausen poco prima della fine della guerra, e quando Tonolo ormai braccato e condannato a morte fu costretto a riparare in Svizzera.
162 Cfr. scheda biografica dell’A.N.P.I.: http://www.anpi.it/donne-e-uomini/silvio-trentin/
Giacomo Graziuso, Gioventù e Università italiana tra fascismo e Resistenza: l’attribuzione delle lauree Honoris Causa nell’Archivio del Novecento dell’Università di Padova (1926- 1956), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Padova, Dipartimento di Storia, Corso di Laurea in Scienze Storiche, Anno Accademico 2013/2014

Il Tonolo, che abitava a Mirano, era studente di Lettere e Filosofia presso l’Università Patavina, aveva maturato il suo antifascismo di matrice azionista già nel 1941-’42, sotto l’influenza dei corsi di Marchesi su Sallustio e Catullo, il quale, attraverso la letteratura latina, aveva potuto parlare liberamente di politica, e di Norberto Bobbio, il cui assistente era Opocher, che allora insegnava filosofia del diritto.
Grazie a questa vicinanza col gruppo dirigente della Resistenza veneta gli furono dati due importanti incarichi: fare da segretario a Silvio Trentin, quando questi era nascosto a Mira insieme al giovanissimo figlio Bruno, e il suo coinvolgimento nella missione Argo.
La missione Argo era una missione costituita dall’italiano SIM (Servizio Informazioni Militari) in collaborazione con l’inglese SOE (Special Operation Executive) che era in contatto con il Comando Militare Regionale Veneto. Meneghetti aveva dato l’incarico a Tonolo di accogliere Giovanni Bruno Rossoni, un capitano dell’Aviazione che dopo l’8 settembre era entrato in servizio al SIM.
Queste missioni svolsero un ruolo molto importante di collegamento tra le autorità alleate e le bande partigiane e di coordinamento tra le forze regolari e gli effettivi della Resistenza. In particolare lo scopo della Argo era di raccogliere informazioni sulle forze armate tedesche in Veneto e stabilire un collegamento tra i comandi militari partigiani e il comando alleato.
La missione era iniziata il 4 febbraio del ’44, quando dal sottomarino “Platino”, proveniente da Taranto, erano sbarcati Rossoni con il marconista Veglia sul litorale adriatico, vicino a Chioggia, dirigendosi poi a Venezia a casa Ferrari. Qui collocarono la ricetrasmittente, i cui fili si confondevano con quelli della biancheria. Grazie alla collaborazione dei ferrovieri fu possibile controllare il traffico militare tedesco, fornire notizie dettagliate sugli impianti delle stazioni d’interesse militare e dei lavori lungo la ferrovia; il servizio informativo si occupava anche dei porti e aeroporti e delle principali arterie stradali delle Venezie.
Il Tonolo faceva da tramite tra il Rossoni e il Comando Militare del CLN regionale e provinciale, favorito dal fatto che aveva la fidanzata a Venezia e poteva fare frequenti viaggi senza destare sospetti. La missione terminò l’8 agosto del ’44. Il Rossoni, però, dopo essere stato catturato, fu deportato in Germania e fucilato a Mauthausen poco prima della fine della guerra.
Il Tonolo braccato e condannato a morte fu fatto fuggire in Svizzera con documenti falsi e riparò presso dei parenti della fidanzata.
Maria Luciana Granzotto, Nel Miranese la lunga e difficile lotta della Resistenza di pianura, Patria Indipendente, 22 gennaio 2012

Il 26 gennaio [1944] partì da Brindisi il sommergibile Platino (ten. vasc. Vittorio Patrelli Campagnano), che sbarcò, poco dopo la mezzanotte del 30, cinque agenti dell’OSS vicino alla foce dell’Adige, nel Golfo di Venezia. La missione PEAR (piano radio Argo) era formata da due agenti della Regia Aeronautica: il capitano Bruno Rossoni, di Padova, e il sottufficiale Gaetano Neglia, di Palermo. Sbarcata il 31 alle foci del Po, operò nel Veneto raggiungendo Venezia il 4 febbraio e prendendo contatto con l’Esecutivo Militare, poi Comando Militare Provinciale Veneto. Dedicò particolare cura al controllo del traffico militare tedesco da e per la Germania sulle tre principali linee ferroviarie di comunicazione con l’Italia: Verona-Brennero, Mestre-Udine-Tarvisio, Mestre-Portogruaro-Trieste. Oltre a indicare gli obiettivi che le forze aeree alleate dovevano colpire, controllavano i risultati delle azioni. Le informazioni riguardarono ogni argomento d’interesse militare: numero e tipo delle locomotive, dei carri ferroviari, del materiale rotabile e fisso. Furono costituiti punti di controllo sulle grandi vie di comunicazione stradale con l’Austria (ponti di Vidor, della Priula, di Fagaré e di San Donà sul fiume Piave. Fu anche controllato il traffico costiero e lagunare fra Grado e Chioggia, fino al Po. Furono inoltre controllate e tenute sotto osservazione: - le fortificazioni alle foci del Piave (Jesolo, Marina di Cortellazzo), il dispositivo antisbarco fra Grado e la foce del Po, e i dispositivi per la distruzione degli impianti idrovori della stessa zona; - gli aeroporti di Aviano, Casarsa, Villorba e Campoformido; - il deposito di materiale del Genio (fra cui le travate metalliche necessarie al ripristino di tutti i ponti ferroviari del Veneto) della Comina (Pordenone); - il deposito autoparco di Casarsa; - il deposito munizioni di Campalto, Venezia; - i depositi combustibili sotterranei di Rovere sul Po e Roveredo in piano (Pordenone). L’8 agosto i due componenti furono arrestati, torturati e portati in Germania, dove furono fucilati dai tedeschi. <55
55 Riferimenti: Giuseppe Turcato e Agostino Zanon Dal Bo (a cura di), 1943-1945, Venezia nella Resistenza, Comune di Venezia, 1976, p. 208.
Giuliano Manzari, I sommergibili italiani dal settembre 1943 al dicembre 1945, Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare, Dicembre 2011

Attilio Rizzo nacque a Villadose (Rovigo) nel 1891. Fatto prigioniero dall'esercito austro-ungarico durante la Prima guerra mondiale, fu rinchiuso prima nel campo di concentramento di Braunau am Inn, e poi in quello di Mauthausen.
Nel 1919 si trasferì a San Donà di Piave (VE), dove, dopo aver lavorato per un breve periodo come geometra comunale, aprì uno studio privato. In quegli anni ricoprì ruoli di responsabilità nell'associazionismo locale di stampo cattolico e progettò vari edifici sacri a San Donà (la chiesa di Calvecchia, la chiesa del Piccolo Rifugio, la cappella Rubinato in Via Aquileia, la chiesa Ancillotto in Via Noventa) e a Musile (la chiesa delle Millepertiche, allora in frazione Croce).
Nel 1940 organizzò un primo incontro per creare una rete di contatti tra alcuni personaggi locali che condividevano con lui sentimenti antifascisti. Nel 1943 aderì alla Democrazia Cristiana. Dopo l'armistizio dell'8 settembre, partecipò a diverse riunioni volte all'organizzazione della Resistenza veneta, adoperandosi per stabilire contatti e collegamenti con Venezia e Treviso. Attraverso l'operato di staffette creò una rete di solidarietà nel territorio del Basso Piave e diede vita alla Brigata Eraclea della quale diventò il comandante. Nel dicembre 1943 fu arrestato a Venezia e condotto a Padova, dove fu incarcerato fino al 28 gennaio 1944.
Uscito dal carcere, riprese i collegamenti con le dirigenze provinciali e regionali della Resistenza veneta occupandosi della propaganda. Partecipò alla "Missione Argo", grazie alla quale i partigiani di San Donà ottennero un importante lancio da parte degli Alleati nei primi giorni di luglio del 1944. A causa di questo suo coinvolgimento, nell'agosto del 1944 fu nuovamente arrestato e detenuto nel carcere di Santa Maria Maggiore di Venezia fino al 5 ottobre. In seguito fu trasferito nel campo di concentramento di Bolzano e, infine, a Mauthausen.
Morì a Gusen il 5 gennaio 1945 [...]
Redazione, Attilio Rizzo, ElevaMente al cubo  

Giancarlo Tonolo. “Giancarlo Tonolo, giovane studente in Lettere e Filosofia [all’università di Padova frequenta i corsi di Marchesi e Bobbio] (…) e ne importa le idee in apese, dove ha modo di discuterle di nascosto con altri giovani amici. Giancarlo Tonolo ha anche la possibilità di prendere parte a quella riunione di fine settembre 1943 (tenutasi a Padova, in casa di Concetto Marchesi) dalla quale prenderà vita il Comitato di Liberazione Nazionale Regionale. Grazie a questa importante esperienza padovana e all’apporto degli altri giovani miranesi (…) inizia l’attività del Comitato di Mirano. (…) Collabora a livello provinciale alla realizzazione della “Missione Argo” (M. Lazzari, Mirano 1938-1946, p. 7). È sindaco di Mirano dal 1970 al 1980.
(a cura di) Giulia Albanese, Giulio Babbo, Marco Borghi, Elena Carano, Memoria resistente. La Lotta partigiana a Venezia e provincia nel ricordo dei protagonisti, Istituto veneziano per la storia della Resistenza e della società contemporanea con il patrocinio del Comune di Venezia in collaborazione con la Presidenza del Consiglio comunale Provincia di Venezia - Assessorato all'Educazione, 2005