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venerdì 15 giugno 2012

Sfogliando qualche vecchio "Albo dell'Intrepido"


Non credo, visto che é riportata sulla copertina, che sia necessario trascriva la data di questo "Albo dell'Intrepido".


Il medesimo nella quarta riporta esempi di comicità dell'epoca. Di "Pedrito El Drito" ho trovato qualche tempo fa una sorta di antologia in ristampa anastatica. "Arturo e Zoe" comparivano negli anni '50 anche su "Il Monello". Forse - ma la mia memoria in merito difetta - queste vignette, ed altre dello stesso tenore - penso a "Tarzanetto" - si alternavano anche sul fumetto gemello più famoso, "intrepido", cui altre volte ho fatto cenno.


Riporto a titolo di esempio qualche illustrazione di un'avventura nei Caraibi, comparsa nel numero del 14 aprile 1953 del periodico in questione.

Ho parlato più volte di fumetti, sostanzialmente di quel periodo, che coincide con la mia infanzia. Specie di "intrepido", come ricordavo prima. Mi arrivano in proposito ancora commenti, a volte via email. L'argomento, dunque, interessa. Personalmente, mi capita di riscontrarlo anche in conversazioni con amici e conoscenti.



Da ultimo, come possono attestare le immagini da me selezionate in "Albo dell'Intrepido" del 9 luglio 1963, la rivista, arricchendosi oltrettutto - al pari di "intrepido" e "Il Monello" - di altre rubriche, aveva abbandonato il criterio dell'avventura, iniziata e conclusa nel singolo numero. Giova anche ricordare che l'uso del colore era l'eccezione e non la regola.

Anche l'"Albo dell'Intrepido" faceva parte di quella schiera di fumetti anni '50, che rimandano alla storia del costume, per via dei contenuti interessanti e spesso di rilievo informativo, nonché dei bei disegni, ma anche perché per tante famiglie rappresentavano un costo non sostenibile, per altre fattori diseducativi. Ne conseguiva, del resto, la diffusa pratica di prestiti e scambi, tutti aspetti, insieme ad altri, che talora tornano alla memoria di chi ha vissuto quei periodi.

Le immagini sopra pubblicate derivano dalla collezione dell'amico Bruno Calatroni di Vallecrosia (IM).

lunedì 11 giugno 2012

La novella Zenobia


Lady Hesther Lucy Stanhope (1776-1839) è stata una nobile viaggiatrice e avventuriera britannica, divenuta famosa per le incredibili vicende della sua vita in Medio Oriente. Una terra straordinaria che da fine '700 e primi '800 cominciò a rivelare ai suoi primi esploratori scientifici  il suo fascino leggendario e lo splendore dei suoi reperti archeologici. 

Fonte: Wikimedia

Lady Stanhope, infatti, fu proclamata - novella Zenobia -  regina di Palmira, l'antica Tadmor, da alcune tribù di beduini e divenne una sorta di profetessa tra le comunità druse. 

La "Revue des Deux Mondes" nel 1845 la descrisse come "regina di Tadmor, maga, profetessa, patriarca, capo arabo, morta nel 1839 sotto il tetto del suo palazzo sgangherato e in rovina a Djîhoun, in Libano". 

Era figlia dello scienziato Charles Stanhope, III conte di Stanhope, e di Hester Pitt, sorella del primo ministro britannico, William Pitt il giovane, grande nemico di Napoleone. Fu a capo - usanze dell'epoca! - della casata dello zio, scapolo: già questo capitolo della sua esistenza sarebbe significativo e da esplorare bene in sede storica. 

"Giovane, bella e ricca", secondo la descrizione di Lamartine in "Le Voyage en Orient", che riportò con linguaggio icastico anche gli episodi più incredibili di devozione alla donna da parte di tribù del Medio Oriente, Lady Stanhope viaggiò in Europa a partire dal 1806, prima di visitare il Medio Oriente. Qualche fonte insinua a seguito di una delusione d'amore. E partì con un amante. In genere si pensa che non contrasse matrimonio - d'altronde l'età l'aveva superata! - per spirito ribelle. 



In Asia, dove pervenne dopo avere attraversato un Egitto ancora in rovina per la guerra condotta poco prima da Bonaparte, ebbe come tappe principali Gerusalemme, Damasco, Aleppo, Homs ( vale a dire l'antica Emesa in Siria, celebre per il culto solare del Dio El Gabal) e in particolare Baalbeck (l'antica Eliopoli o "città del sole"), siti dei quali in quel periodo altri viaggiatori, tra cui il Robinson, lasciarono inusitate testimonianze. E forse fu la prima persona a essere autorizzata dai pubblici poteri turchi a compiere scavi archeologici.

Lady Stanhope fu in corrispondenza con Lamartine, al quale raccontò della sua fede, una miscela di cristianesimo e di tradizioni orientali. Questa sorta di sincretismo venne poi dibattuto dal famoso poeta con un celebre visitatore della donna, il Visconte di Marcellus che le dedicò un intero capitolo delle sue "Rimembranze intorno all'Oriente". 

Ha ispirato produzioni letterarie, tra cui il personaggio di Althestane Orlof nel romanzo di Pierre Benoît La Châtelaine du Liban (1924). 

Scrisse le sue memorie, pubblicate in inglese poco dopo la sua morte: meriterebbero invero una edizione critica in italiano, per comprendere meglio lo spirito di libertà e di avventura di questa donna, che seppe resistere alle feroci reprimende del mondo perbene del suo tempo.


giovedì 7 giugno 2012

Quella Bordighera di Guido Seborga


Le linee più generali dei ricordi cui tra breve pervengo mi erano già state tratteggiate da alcuni amici più di quarant'anni fa, ma non rammento di aver raccolto in quel periodo testimonianze in proposito, rese dai protagonisti, quelli che allora conoscevo. Capita di recente che, da una mia curiosità su di un aspetto, in diversi mi facciano un quadro più preciso di quegli eventi. Soprattutto, avviene che io vada a leggere una testimonianza del nipote di Guido Seborga, Claudio Panella, da cui, intanto, attingo, per stralci:
Fin dagli anni '50 Bordighera è stato un centro culturale decisamente animato, e Guido Seborga passava spesso le sue giornate nei caffè del centro, intrattenendosi con coloro che diverranno i suoi compagni di una vita. Nei locali ormai scomparsi del Gran Caffè della Stazione, o del Caffè Giglio sull'Aurelia, poi del bar Chez Louis di C.so Italia (davanti all'allora sede del P.S.I), si è incontrata e formata più di una generazione di artisti liguri: oltre a quella di Seborga e dei pittori Balbo e Maiolino, che all'inizio degli anni '50 fondarono i premi delle "Cinque Bettole" per la pittura e per la letteratura, passando libri e stimoli a scrittori come Sanguineti e Biamonti, quella più giovane di Giorgio Loreti e Angelo Oliva, che insieme a Seborga scoprirono i poeti francesi, i surrealisti, gli esistenzialisti e la politica. Tutti i nomi sopra citati, e non solo, furono variamente influenzati dall'azione continua di formazione e incitamento all'organizzazione giovanile che Seborga portò avanti nella Bordighera di quegli anni. Nel 1956 Seborga, che già conosceva Francesco Biamonti e faceva parte della giuria delle "Cinque Bettole", lo indusse a parteciparvi con la speranza che si mettesse in luce ... Seborga citava "le pagine scritte da certi giovani come Oliva, Lanteri, Loreti, per non dire del romanzo "Colpo di grazia" di Biamonti, dimostrano ampiamente che un clima di ricerca intellettuale i migliori giovani hanno saputo creare"
E di Guido Seborga, forse, in questa occasione, può essere sufficiente citare, dalla stessa fonte cui sono partito, Edoardo Sanguineti:
Bordighera è legata al mio entrare nella conoscenza della scrittura, per esempio. Ecco, mi sedevo in un caffè, la mattina, e lì, lontano dalla confusione di oggi, leggevo, imparavo. Vi conobbi Guido Hess, un romanziere torinese … il quale aveva pubblicato qualcosa col proprio nome e, in seguito, con quello di Guido Seborga. Ebbe un momento di fama e poi fu ingiustamente dimenticato. Di lui ricordo un primo romanzo (si era nei primi anni '50) e un altro in versi. Era un personaggio singolare, una sorta di sperimentalista "ante litteram". Passeggiavamo sul lungomare di Bordighera e chiacchieravamo. Fu uno dei miei primi punti di riferimento culturale e mi fece conoscere Antonin Artaud, di cui mi prestò "Héliogabale".
Il racconto di Claudio Panella, va da sé, é maggiormente articolato e complesso. Cercherò di darne ancora conto, confidando di procedere, allora, a integrazioni augurabilmente suggeritemi dagli amici, che hanno vissuto quei momenti.

Fotografia di Bordighera.Amore.Mio/Facebook



martedì 5 giugno 2012

Perinaldo, tante storie da raccontare


A Perinaldo vi sono monumenti di grande rilievo artistico e storico.


Come anche la casa natale del grande astronomo Gian Domenico Cassini.


Quello soprastante é uno scorcio del paese, che si allunga ancora in altura a destra per chi guarda, così come può apparire per chi vi arriva dal mare, una volta inoltratosi da Vallecrosia per la valle del torrente Verbone. Dall'altra parte del poggio sono visibili, se non incombono nuvole o foschia, alcune belle cime delle Alpi Marittime, che si affacciano sulla provincia di Imperia, e oltre.
Perinaldo mi pare emblematico di tante vicende che riguardano centri dell'entroterra. Forse é un'impressione molto soggettiva, dovuta a miei repentini ritorni di memoria.
Trame risalenti al Medio Evo sono molto comuni man mano che ci si allontana dal litorale della Riviera dei Fiori. E Perinaldo rientra in pieno in questo schema. Avvicinandosi ai giorni nostri, spiccano nel mio vissuto, anche grazie a cose udite nel tempo da abitanti del posto, cooperazione sociale, intenso commercio di legname ai primi del secolo scorso, suonatori d'antan, antifascismo, notevole emigrazione nella vicina Francia (con persone che non vollero perdere la cittadinanza nel borgo, cui tornavano puntualmente per le elezioni e al culmine dell'estate, quando rendevano caratteristiche le conversazioni all'ombra dei platani o assistendo alle sagre popolari), squisito olio d'oliva, altre leccornie, cui si aggiunge oggi l'attenzione prestata a un particolare tipo di carciofo, la coltivazione dei fiori, specie, anni fa, gran belle rose. E tanto altro ancora, tra cui un soggiorno di Napoleone.
Tante storie da raccontare, allora. Meglio selezionare, se l'ispirazione assiste, e renderne, in prosieguo, conto, una alla volta.




venerdì 1 giugno 2012

Suor Juana Inés de la Cruz


Come recita anche Wikipedia, da cui ho tratto la presente fotografia di un suo ritratto fatto nel 1750 da Miguel Cabrera, Juana Inés de la Cruz, nata Juana Inés de Asbaje y Ramírez de Santillana (San Miguel Nepantla, 2 dicembre 1648 o, secondo altri, 12 novembre 1651 - Città del Messico, 17 aprile 1695), è stata una religiosa e una famosa poetessa messicana.
Figlia illeggittima di un nobile spagnolo e di una donna analfabeta, la quale é, però, in grado di dirigere una masseria e che nel 1655 vive con un altro uomo, Juana già a tre anni, con la complicità di una sorella maggiore e di una maestra, impara a leggere all'insaputa della madre.
Vorrebbe tentare di proseguire gli studi, sino all'Università, travestita da ragazzo, cosa impossibile e molto pericolosa a quel tempo. La madre, ormai ben convinta della bontà delle aspirazioni della figlia, la manda dalla sorella a Città del Messico, dove la fornita biblioteca del defunto nonno svolge una funzione fondamentale nella preparazione di Juana.
Risulta difficile, da qui in avanti, riassumere la sua pur breve vita, tanto ricca di avvenimenti importanti quanto é straordinaria la sua personalità, nella quale prevale un temerario, per l'epoca e l'ambiente, spirito libero.
Sostanzialmente autodidatta, presentata nel 1664 alla nuova Corte dalla zia, entra nel gruppo delle dame della Viceregina, dove viene accreditata del titolo di "amatissima". Compone versi, dedicati alla grande nobile, molto apprezzati anche dal Viceré, che riconosce in varie occasioni il talento della fanciulla.
Nel 1667, tuttavia, Juana abbandona la Corte ed entra in convento. Da parte degli studiosi si ritiene prevalente in questa scelta una motivazione di ordine pratico, perché imminente un possibile cambio di Viceré. Senonché, Juana, che pur in quel Messico potrebbe, ancorché figlia illeggittima, contrarre, come fanno invero due sue sorelle, matrimonio, lascia scritto che non sente attrazione per tale istituto, ma, anzi, cerca con l'opzione messa in atto la tranquillità necessaria per dedicarsi alla sua intensa attività intellettuale.
Sarebbe interessante entrare in molti particolari, quali aspetti del costume e del diritto, specifici allora in quell'area geografica. Ancor più la corposa produzione lirica di Juana, che le assicura subito grande fama. Intenso anche il suo rapporto con una nuova Viceregina. Siamo nel Barocco. Juana si occupa anche di teatro, ma il vescovo, memore dell'avversione pontificia di quegli anni per qualsivoglia forma di coinvolgimento femminile in materia, già da questo presupposto inizia a covare rancore verso Juana.
Il fatto é che Juana difende, come può, senza giri di parole e non celandosi dietro pseudonimi, la dignità della donna, soprattutto rivendicando il diritto ad un'istruzione paritetica a quella maschile. 
Molto significativi, allora, i seguenti versi di Juana:

"Stolti uomini che accusate
la donna senza ragione,
ignari di esser cagione
delle colpe che le date;
(...)
Io molti argomenti fondo
contro le vostre arroganze,
ché unite in promessa e istanze
l’inferno, la carne e il mondo".

Infine, quel vescovo, sfruttando diversi fattori, non ultimo l'ennesimo avvicendamento di governatori, e taluni inevitabili errori della donna, riduce, anche mediante umiliante confessione, Juana al silenzio e alla rinuncia ai suoi amatissimi studi, non senza aver prima espropriato e venduto suoi beni, come biblioteca e strumenti musicali: era stata, infatti, agitata l'accusa di eresia, a quel tempo sul serio temibile.
Juana muore di peste il 17 aprile 1695, dopo essersi prodigata per altre consorelle colpite dallo stesso morbo.
Mi sembra, infine, molto significativo che Octavio Paz, in "Suor Juana Inés de la Cruz o le insidie della fede", abbia voluto dedicare la sua meditata attenzione alla figura di questa donna, su cui, forse é opportuno tornare.



domenica 27 maggio 2012

Qualcosa su una Sanremo d'antan



Sì, anche a Sanremo c'era il tram. Nè poteva essere diversamente, dato il rilievo turistico della cittadina. Visto che il trolley c'era a quei tempi anche più a Ponente. La soprastante immagine risale al 1915. L'ho "carpita", al pari delle seguenti d'antan, a un vecchio compagno di scuola.



Il fatto curioso, a titolo personale, é che in fondo a quella strada, quale si vede oggi, ho lavorato per più di vent'anni.



Dall'altra parte, a poche decine di metri dal precedente punto, in direzione Francia, Piazza Colombo.
Che nello scatto, faccio per dire, di maggiore attualità, lascia intravvedere anche un'ala del Teatro Ariston.
Tutto questo per sottolineare che in genere a chi non é di queste parti può risultare più usuale abbinare il nome della Città dei Fiori al Festival della Canzone. Il quale nel suo ormai lungo scorrere ha avuto anche qualche merito. Non é materia, tuttavia, da affrontare senza specifica preparazione.


Altro saliente turistico (o presunto tale!) di Sanremo, negli anni, é il Casinò (di rilievo, quantomeno, per l'anno di costruzione: 1905): ulteriore tema che lascio a sè stante.

Con questa immagine, che rapprenta uno scorcio dell'ex Forte di Santa Tecla sfiora un momento della storia di Sanremo.





Che presenta tanti aspetti.


Ivi compresi gli scavi dell'antica, romana, Villa Matutia. Solo a fare un esempio.


Tornando a considerazioni più correnti, ecco lo stato attuale del Porto Vecchio.



Lo stesso approdo anni fa.



Risulta usuale spostarsi a Sanremo, che dista quindici chilometri circa da Bordighera, poco di più da Ventimiglia, per il disbrigo di faccende. La contemporaneità del rinvenimento di cartoline d'epoca mi ha dettato intanto queste brevi note. Mentre da tempo meditavo di affrontare temi in merito più importanti, per i quali mi ero già dotato di un certo corredo di immagini. A parte la necessità di comprendere meglio quanto sostenuto da specialisti (specie di quelli che, meritevoli, come mi é stato messo in evidenza in un recente commento, compulsano con fatica polverosi archivi), mi rendo conto una volta di più che una cittadina come questa offre molteplici spunti di narrazione. Un risvolto tanto più singolare per me che dalla lunga permanenza di carattere professionale in Sanremo non avevo tratto in tempo reale tanta curiosità. Il che mi riporta per eventuali riprese in parola su un piano strettamente di costume sociale, tutt'al più di elementare divulgazione di carattere storico.


martedì 22 maggio 2012

Curiosando nel Web e... dintorni

Nell'arco di poco tempo, direi di poco più di una giornata, sul Web ho visto, invero, cose interessanti, ma anche, per alcuni aspetti, singolari.

Da un suo commento, apprendo che un mio conoscente é pro-nipote della persona che in Ventimiglia aiutò il patriota e romanziere Giovanni Ruffini nella sua fuga verso la salvezza in Francia: sull'inquadramento della vicenda qualcosa io avevo appena accennato qui.

Capito per caso su una sorta di dibattito su Twitter tra quelli che presumo siano dei giovanotti di Nizza. O, comunque, a modo loro interessati al capoluogo delle Alpi Marittime. Se riesco minimamente a rendere le forme dirette del "dialogo", i punti toccati che mi rammento sono i seguenti: I Nizzardi non sono né francesi né italiani. No, i nizzardi sono di origine italiana. Nizza si é liberata della Provenza già nel 1388. La Provenza si ferma al fiume Varo (ad ovest di Nizza: n.d.r.). Garibaldi era nizzardo. Sì, ma ha fatto l'Italia. Pepin (sarebbe Garibaldi: n.d.r.) ... 
A modo loro, appunto...

Rinvengo di continuo fotografie e cartoline d'antan, concernenti un po' tutto l'arco del Ponente Ligure. Nella pubblicazione di immagini di questo tipo mi sono ripromesso, per ovvii motivi, una pausa. Ma se non fosse sufficiente il Web, la realtà circostante sembra congiurare anch'essa. Non più tardi di questo pomeriggio in un pubblico esercizio scorgo istantanee storiche che, per la nostra zona, sono di assoluto rilievo: e magari queste, che meritano più di altre, sarà difficile che possa averle in formato digitale. Uscendo, incontro un amico che dice di avere visto scatti d'epoca postati da me ...

Sbircio un locale portale on line e vengo a sapere che le richieste di collaborazione per le ricognizioni da effettuare in loco da parte del cartografo (il colonnello!) Matteo Vinzoni fecero conflagrare la sommossa di Sanremo del 1753, subito duramente repressa dalla Serenissima Repubblica di Genova. Chiedo lumi all'autore di Cultura-Barocca. Ne ottengo in risposta che la menzione dell'episodio in questione me la sono smarrita io nel mare magnum della documentazione di quel sito.

E, ancora, su Cultura-Barocca vado a conoscere la, sinora inedita per me, straordinaria figura di un gesuita portoghese, molto celebre nel suo tempo, il Seicento, già confessore di Maria Cristina di Svezia: difensore di ebrei e di indios. Si tratta di Antonio Vieira. Forse vale la pena che mi diffonda un po' altra volta sul suo operato. Intanto, a questo link sussiste una bibliografia molto completa di questo personaggio.