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mercoledì 4 ottobre 2023

All'inizio dei tentativi di epurazione dei fascisti in Italia



Da ultimo, le nuove autorità politiche avrebbero dovuto far luce, anche attorno ai numerosi episodi di violenza realizzati nel periodo della guerra civile (8 settembre 1943- maggio 1945): con particolare riferimento alle feroci rappresaglie naziste realizzate nel centro-nord della Penisola <4, al trasferimento di civili e militari italiani nei campi di prigionia nazista (c.d. I.M.I. Internati Militari Italiani), alla sorte dei soldati del Regio Esercito, abbandonati senz'ordini alla vendetta dell'ex “fratello d'arme” tedesco <5. Numerosi aspetti oscuri riguardavano anche la lotta partigiana, nelle cui maglie vennero sovente ad innestarsi, regolamenti privati tra cittadini e scontri tra bande ideologicamente rivali, nonché l'opera di liberazione condotta dagli eserciti alleati, nel corso delle cui azioni non mancarono episodi di violenza e aggressione ai danni delle popolazioni civili dei territori di volta in volta liberati <6. Si trattava, come è evidente di incombenze imbarazzanti che difficilmente la giovane ed inesperta democrazia italiana avrebbe potuto realizzare nel breve periodo, specie se si consideri che essa era, in pari tempo, chiamata ad affrontare ulteriori prioritarie questioni: la ricostruzione del Paese distrutto dai bombardamenti, la crisi economica post-bellica, la riconversione dell'industria militare agli usi civili, la riorganizzazione, infine, dopo un vuoto durato vent'anni del pluralismo politico e culturale, operazioni alle quali avrebbe dovuto procedersi, peraltro, sotto le spinte di una popolazione che ampiamente rivendicava una maggiore giustizia sociale ed una più incisiva partecipazione alle scelte politiche del Paese.
In un simile quadro, i primi sforzi del Governo Badoglio furono indirizzati alla “defascistizzazione” dello Stato, divenuto nel corso del ventennio quasi un unicum con il Partito di Mussolini <7: con R.d.l. n. 668/1943 venne disposta, infatti, la soppressione del Tribunale speciale per la difesa dello Stato, con R.d.l. n. 706/1943 si provvide allo scioglimento del Gran Consiglio del fascismo, infine, con R.d.l. n. 704/1943 venne liquidato il P.N.F. e le sue organizzazioni. Ulteriori provvedimenti diedero luogo all'abolizione dell'ordine corporativo e alla Camera dei Fasci e delle corporazioni. Una volta demolite le strutture del vecchio regime, con l'insediamento dei Governi ciellenisti Bonomi e Parri furono riattivate le regole del gioco democratico: vennero soppresse le antiche limitazioni alla libertà di stampa, si ristabilirono le libertà politiche e sindacali (d.lg.lgt. n. 369/1944), fu convocata (nell'attesa dell'insediamento di un nuovo Parlamento) una Consulta Nazionale, incaricata di formulare pareri sui problemi generali e i provvedimenti legislativi sottoposti dal Governo <8.
Per quanto concerne gli aspetti più dichiaratamente discriminatori del passato, con R.d.l. n. 25/1944 si provvide all'abolizione di tutti i decreti, le leggi e le singole disposizioni regolamentari in cui era fatto esplicito riferimento “all'accertamento o alla menzione della razza”, reintegrando al contempo tutti i cittadini di fede ebraica nel pieno godimento dei diritti civili e politici. Con riferimento specifico alle loro sofferenze economiche, il R.d.l. n. 26/1944 precisò, inoltre, la reintegrazione dei suddetti nei loro precedenti diritti patrimoniali <9.
Una corretta gestione del passato, non poteva prescindere, tuttavia, dalla realizzazione di una significativa opera di epurazione del personale dell'esercito, dell'amministrazione pubblica e degli organi di giustizia, nonché dalla persecuzione dei c.d. «delitti collaborazionisti» e dei più efferati crimini perpetrati durante la lunga vigenza del regime, specie nei primi tumultuosi anni della sua affermazione con la marcia del 1922. Tale ufficio rappresentava, peraltro, una delle condizioni (art. 30) specificamente imposte dai rappresentanti dell'esercito anglo-americano al momento della concessione dell'armistizio lungo dell'3 settembre 1943.
Assumendosi detto impegno, il Governo provvide, già il 28 dicembre successivo, durante il c.d. Regno del Sud, all'emanazione del D.l. n. 28/1943, per mezzo del quale si dispose l'assoggettamento a giudizio di chiunque si trovasse, al momento dell'emanazione, insignito della qualifica di squadrista, marcia su Roma, gerarca o sciarpa littorio, o avesse, in ogni caso rivestito in passato ruoli dirigenziali nel quadro organizzativo del Partito nazionale fascista, attribuendo al Consiglio dei ministri, ai consigli di amministrazione o di disciplina degli enti nazionali, nonché a commissioni di nomina prefettizia appositamente istituite, il compito di emettere la decisione e comminare la relativa sanzione. Al di là delle categorie su richiamate furono ad ogni modo considerati colpevoli gli autori di episodi configurabili come “attentato alla libertà individuale” dei cittadini.
Era evidente, in ogni caso, che, stante la divisione del Paese in due Stati in conflitto e la perdurante lotta tra bande partigiane e milizie repubblichine del Governo saloino, il provvedimento in argomento non poté conoscere puntuale attuazione, dando origine a risultati significativamente distanti da quelli auspicati.
Sulla questione dovettero intervenire, perciò, numerose ulteriori disposizioni. Sotto la vigenza dell'Esecutivo Bonomi fu adottato, in particolare il d.lg.lgt. n. 159/1944, per mezzo del quale furono inasprite le pene comminate dal precedente intervento, venne fornita più esatta indicazione dei soggetti destinatari della sanzione, si provvide ad istituire, quali organi di giudizio nelle operazioni, l'Alta Corte di giustizia, le Corti d'assise e i Tribunali militari, integrati questi ultimi, con giudici non togati appartenenti agli ambienti resistenziali. A garanzia del corretto svolgimento delle operazioni venne istituito, altresì, l'Alto Commissario per le sanzioni contro il fascismo, organo destinato ad essere successivamente assistito da quattro Alti Commissari aggiunti, ciascuno dei quali incaricato alla supervisione di uno dei settori di intervento: punizione dei delitti, epurazione dell'amministrazione, avocazione dei profitti del regime, liquidazione dei beni fascisti <10. Il provvedimento in esame stabilì, altresì, che, avverso le sentenze, le ordinanze e i provvedimenti emessi dell'Alta Corte di giustizia non avrebbe potuto proporsi gravame in appello, ma solo il giudizio in Cassazione la valutazione dei vizi di legittimità nell'applicazione di esso. Secondo dette disposizioni si procedette all'epurazione del Senato <11, dei dipendenti militari e civili dello Stato in posizione apicale, dei vertici delle aziende di Stato e delle imprese private, specie se titolari di rapporti di fornitura o di appalto con le amministrazioni pubbliche.
Il sistema predisposto, stando al parere della più recente storiografia <12, conobbe nel complesso, un apprezzabile avvio, tale da consentire - nel caso in cui fosse stato portato effettivamente a compimento - un effettivo rinnovamento del sistema amministrativo centrale e periferico dello Stato (prefetti, podestà, dirigenti della burocrazia ministeriale), nonché una più facile rielaborazione del problematico passato da parte della generalità dei consociati.
Le operazioni in tal modo avviate dovettero subire, però, un radicale mutamento con l'approvazione del d.lg.lgt. n. 625/1945, per mezzo del quale fu disposta la soppressione dell'Alta Corte di giustizia ed il trasferimento di tutti i procedimenti allora pendenti ad una sezione speciale (rectius specializzata) delle Corti d'assise.
La magistratura ordinaria (che era riuscita nel complesso a sottrarsi alle misure di epurazione) si trovò, così, investita del non facile compito di “defascistizzare” la Pubblica amministrazione, assumendo su di sé l'incarico di comminare sanzioni penali e disciplinari a funzionari e dirigenti rei di aver assunto, nel corso della propria carriera, atteggiamenti non dissimili da quelli posti in essere da essi stessi durante il lungo interregno della dittatura fascista <13.
Nell'esercizio di tale attività, fu evidente, quindi, che i magistrati presero ad assumere atteggiamenti di maggior indulgenza rispetto a quelli fatti propri dai componenti delle precedenti commissioni d'epurazione governative, i quali, nel passato, avevano generalmente rivestito ruoli di primo piano nelle file dell'antifascismo e della guerra di liberazione partigiana.
Il frequente ricorso da parte del legislatore a clausole interpretative quali “delitto per motivi fascisti”, “atto rilevante”, “dolo”, “faziosità” consentì ai medesimi, infatti, di procedere ad interpretazioni giurisprudenziali salvifiche delle condotte poste in essere dai dirigenti e dagli impiegati della struttura amministrativa dello Stato e delle sue articolazioni, assicurando ai medesimi una generalizzata e pressoché totale impunità ogniqualvolta non fosse incontrovertibilmente dimostrato - sulla base delle risultanze istruttorie contro di essi prodotte - il ricorso ad atteggiamenti settari o faziosi (requisito esso stesso, come è evidente, suscettibile di ampia interpretazione) nell'esercizio delle funzioni per le quali erano preposti.
[NOTE]
4 L'occupazione dell'Italia da parte delle truppe naziste nel periodo compreso tra l'8 settembre 1943 ed il 2 maggio 1945 (data della resa tedesca in Italia), provocò più di diecimila vittime tra la popolazione civile. Tra l'8 settembre 1943 e l'aprile del 1945 in tutto il centro-nord si registrarono oltre 400 stragi, tra le quali gli eccidi delle Fosse Ardeatine (335 vittime) e di Marzabotto (770 vittime) furono solamente gli episodi più conosciuti. L'area dell'Appennino tosco-emiliano, data la sua posizione strategica lungo la linea Gotica, conobbe, il maggior numero di violenze: tra l'aprile e l'agosto del 1944 le stragi furono 280 e 83 i comuni interessati (tra cui Sant'Anna di Stazzema, Bardine S. Terenzo, Fivizzano, Fosdinovo, Padule di Fucecchio). Le stime più attendibili sono al momento quelle avanzate da Gerhard Schreiber secondo il quale i militari italiani giustiziati nel settembre-ottobre 1943 furono 6.800 tra Balcani, Grecia ed Egeo; 22.720 furono, invece, i partigiani “uccisi nel disprezzo delle disposizioni internazionali” e 9.180 civili i sterminati. Autori di tali esecuzioni collettive non furono soltanto i nazisti delle SS, ma anche i soldati della Wermacht e della Luftwaffe - l'aviazione militare tedesca - nonché le milizie regolari e irregolari del partito fascista inquadrate sotto le insegne della Repubblica sociale italiana. Alla base di tali stragi vi furono sicuramente: il pregiudizio nei confronti degli italiani per reazione psicologica al “tradimento” dell'8 settembre; la decisione del comando supremo della Wermacht e del feldmaresciallo Kesserling (Capo supremo delle forze armate tedesche in Italia) di difendere ad ogni costo il territorio italiano in un momento in cui la guerra all'Est era ormai perduta, il timore di un'attività partigiana che si faceva sempre più efficace e che intimoriva i giovani ed inesperti soldati provenienti direttamente dalla Hitlerjugend; la volontà di ricorrere a dimostrazioni di forza e di superiorità, legittimata con la serie di misure repressive adottate dalle autorità di occupazione.
5 L'esempio più emblematico è senza dubbio l'eccidio di Cefalonia, ma episodi analoghi ebbero a realizzarsi anche nelle altre isole greche: Lero, Coo, Rodi. Con la resa del Governo Badoglio agli anglo-americani, i soldati italiani della 33ª Divisione fanteria "Acqui" si trovarono ad assumere il ruolo di “traditori” agli occhi del co-occupante tedesco. Di fronte alla sua richiesta di disarmo, e senza più conoscere ordini dallo Stato maggiore, le truppe di stanza si trovarono a dover affrontare l'ex alleato, intenzionato a ridurli in prigionia e trasferirli in Germania. La guarnigione comandata dal generale Gandin si oppose ed aprì le ostilità contro quello che ora era diventato il nemico della fazione alleata. Ebbe inizio una sanguinosa battaglia (13-22 settembre) alla quale, in spregio a qualsiasi norma di diritto internazionale militare, l'esercito tedesco vincitore fece seguire il massacro di 4750 soldati e 341 ufficiali. Migliaia di militari furono, invece deportati su navi poi fatte saltare nell'Adriatico.
6 Tra le violenze alleate, emerse nel corso degli ultimi decenni, l'episodio certamente più emblematico è quello delle c.d. “marocchinate”, documentato in letteratura già nel 1957 dall'opera “La ciociara” di Alberto Moravia (e a cui fece seguito il più noto adattamento cinematografico di De Sica). Con tale espressione ci si riferisce all'insieme di stupri e sevizie realizzate nel basso Lazio - all'indomani della battaglia di Montecassino - dalle truppe coloniali franco-marocchine comandate dal generale Juin (c.d. Goumiers). Le vittime furono circa diecimila tra donne, uomini, bambini, anziani e religiosi. All'origine di tali violenze, delle quali era a conoscenza lo stesso generale de Gaulle, vi era un forte sentimento di rancore da parte dei francesi nei confronti degli italiani, considerati colpevoli del “coup de pugnace dans le dos” del giugno 1940. Casi di violenza analoghi si registrano anche in Sicilia, in Toscana ed in altre zone del Meridione.
7 Per un'analisi approfondita della trasformazione dello Stato italiano in senso autoritario successivamente all'affermazione del movimento fascista si rinvia all'ormai classico A. ACQUARONE, L'organizzazione dello Stato totalitario, Torino, 1965.
8 Per maggiori approfondimenti sul tema della transizione italiana si rinvia a U. DE SIERVO, La transizione costituzionale (1943-1946), in Diritto Pubblico, 1996; V. ONIDA, (a cura di), L'ordinamento costituzionale italiano dalla caduta del fascismo all'avvento della Costituzione repubblicana, 1991; A. SACCOMANNO, La transizione italiana: le costituzioni provvisorie, in L. GARLATI, T. VETTOR (a cura di), Il diritto di fronte all'infamia del diritto, cit., 397-414.
Per un quadro sulla riaffermazione dei diritti civili e politici nella neonata democrazia italiana si cfr. P. CARETTI, I diritti fondamentali. Libertà e diritti sociali, Torino, 2005
9 Come giustamente sottolinea Falconieri, la reintegrazione dei cittadini di fede ebraica nel pieno possesso dei diritti si iscrive «a pieno titolo nel percorso di rielaborazione e edificazione di una memoria condivisa che avrebbe dovuto
coinvolgere tanto le élites politiche e intellettuali quanto la popolazione italiana del dopoguerra». Cfr. S. FALCONIERI, Riparare e ricordare la legislazione antiebraica. La reviviscenza dell'istituto della discriminazione (1944-1950) in G. RESTA, V. ZENO-ZENCOVICH, Riparare Risarcire Ricordare. Un dialogo tra storici e giuristi, cit., p. 141.
10 Alto Commissario per le sanzioni contro il fascismo venne nominato il liberale Carlo Sforza. Ad esso si affiancarono il comunista Mauro Scoccimarro (epurazione nella Pubblica Amministrazione), il liberal-democratico Stangone (sequestro delle proprietà fasciste), il democristiano Cingolani (illeciti profitti del regime) e Mario Berlinguer del Partito Demo-laburista (persecuzione dei crimini fascisti). Le quattro commissioni per l'epurazione furono istituite,
invece, con d.lg.lgt. 198/1944 e 238/44. Per l'intera ricostruzione del processo di epurazione in Italia si rinvia ai dettagliati e completi: A. DI GREGORIO, Epurazioni e protezione della democrazia. Esperienze e modelli di “giustizia post-autoritaria”, cit., 2012, pp. 72-92; P. BARILE., U. DE SIERVO, Sanzioni contro il fascismo e il neofascismo, in Novissimo digesto italiano, Torino, 1969, pp. 541-564 e in sede storiografica a H. WOLLER, I conti con il fascismo. L'epurazione in Italia (1943-1946), Bologna, 1997, C. PAVONE, La continuità dello Stato. Istituzioni e uomini, in AA. VV., Italia 1945-1948. Le origini della Repubblica, Torino, 1974 e M. FLORES, L'epurazione, in L'Italia dalla liberazione alla Repubblica. Atti del Convegno internazionale organizzato a Firenze il 26-28 marzo 1976 con il concorso della Regione Toscana, Milano, 1977, pp. 413-467, infine M. SALVATI, Amnistia e amnesia nell'Italia del 1946, in M. FLORES, Storia, verità, giustizia. I crimini del XX secolo, Milano, 2001, pp. 141-161.
11 L'art. 8 del d.lg.lgt. 159/1944 prevedeva all'ultimo comma la decadenza dalla loro carica vitalizia per i senatori che «con i loro voti o atti contribuirono al mantenimento del regime fascista ed a rendere possibile la guerra». Furono deferiti all'Alta Corte di giustizia 394 senatori su 408, di questi 275 furono dichiarati decaduti dalla carica. I senatori sanzionati appellandosi alla Corte di Cassazione (che riconobbe l'assoluto difetto di giurisdizione dell'Alta Corte) riuscirono ad ottenere l'annullamento dei provvedimenti irrogati. Alla fine del processo di epurazione, solo 51 furono dichiarati decaduti. Su questi punti si rinvia ancora a A. DI GREGORIO, Epurazioni e protezione della democrazia. Esperienze e modelli di “giustizia post-autoritaria”, cit., 82.
12 Il giudizio sull'epurazione in Italia da parte della storiografia tradizionale è stato nel complesso negativo. Secondo la terminologia più corrente esso è stato definito una «farsa legale», un processo al termine del quale le élite fasciste mantennero le funzioni pubbliche tradizionali. Tale valutazione, seppur in sostanza non inveritiera, è stata però rivisitata e sfumata negli ultimi anni da magistrati come Canosa e storici come Woller, Minetti e Argenio. A parere di questi ultimi, infatti, gli sforzi per realizzare un'effettiva epurazione vi furono ed anche considerevoli. Ad una prima intensa attività delle commissioni seguì, però, un esito deludente causato dall'adozione dell'amnistia e da un'opera di interpretazione salvifica degli ex fascisti da parte della magistratura. Per un'interpretazione tradizionale del processo di epurazione si rinvia a Z. ALGARDI, Processi ai fascisti, Firenze, 1973, per le più recenti interpretazioni si veda ancora H. WOLLER, I conti con il fascismo. L'epurazione in Italia (1943-1946), cit.
13 La magistratura, come qualsiasi altro potere dello Stato aveva subito nel corso del ventennio una significativa opera di fascistizzazione, che si era compiuta per gradi attraverso il progressivo allontanamento degli elementi togati non allineati al regime. Nel 1925 i giudici ostili alla dittatura furono dispensati dal servizio e l'Associazione generale magistrati sciolta di diritto. I vecchi togati furono rimpiazzati con elementi più favorevoli alla dittatura, mentre i più giovani furono crebbero in un clima che finì per plasmarli completamente alle direttive del duce. Il fascismo creò anche una singolare commistione tra apparato politico-amministrativo dello Stato e funzione giudicante: il Procuratore del Re divenne, infatti, membro delle commissioni per la disposizione del confino politico ai cittadini accusati di antifascismo. Come ha sottolineato Franzinelli, infine, «molti magistrati andarono molto in discesa sul versante dell'autorità, in parte per fanatismo o per senilismo, ma soprattutto per la troppo facile convinzione che la legalità corrispondesse all'autorità: chi aveva a cuore la legalità doveva favorire l'autorità, senza star troppo a sottilizzare la qualità e la legittimazione sostanziale di chi rappresentava l'autorità». La completa fascistizzazione della magistratura trovò conferma in ogni caso nella legge sull'ordinamento giudiziario deliberata nel 1941, con cui si riservò l'accesso ai ruoli requirenti e giudicanti ai cittadini di «razza italiana», di sesso maschile, iscritti al Partito nazionale fascista.
Mirko Della Malva, Diritto e memoria storica nell'esperienza giuridica comparata: il difficile bilanciamento tra tutela della dignità delle vittime, libertà di manifestazione del pensiero, protezione della democrazia, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Milano, Anno Accademico 2013-2014

martedì 13 settembre 2022

Si giunse così a dare nuovo impulso alla persecuzione dei criminali fascisti grazie all’istituzione delle Corti di assise straordinarie, le Cas



Con il 25 luglio del 1943, in Italia, si apre una nuova fase politica dopo un ventennio di dittatura. Il Gran Consiglio del Fascismo, in una seduta estremamente tesa, sfiducia a maggioranza il Duce, Benito Mussolini. Hans Woeller, bene racconta il clima di quei momenti <3, quando alle 22:45 di sera, ora in cui viene ufficializzata pubblicamente la sfiducia a Mussolini, scoppia un vero e proprio “terremoto”: la gente per le strade è festante e aggredisce i simboli tangibili del regime (i monumenti e altri manufatti), anche se in alcune città, come a Milano, si procede all’aggressione caotica ai rappresentanti del regime che arrivano sotto tiro. Mussolini si presenta dal re per rassegnare nelle sue mani, come dal vigente Statuto Albertino, le proprie dimissioni e da questi viene fatto arrestare. Il Generale Badoglio è il nuovo Primo Ministro che già il 27 luglio decreta lo scioglimento del partito fascista e la soppressione del Gran Consiglio del Fascismo. Ma di perseguitare gli ex fascisti ancora non se ne parla. In realtà, l’obiettivo principale di Badoglio è di uscire da una guerra tanto rovinosa quanto violenta a fianco degli alleati tedeschi senza preoccuparsi eccessivamente delle epurazioni, anche se qualcosa venne fatto, come l’arresto avvenuto a fine agosto 1943 di alcuni esponenti di spicco del partito fascista al fine di evitare un complotto antigovernativo; ma questa è un’altra cosa rispetto all’epurazione per aver commesso crimini fascisti o per aver collaborato con essi. I primi veri interventi sono svolti in Sicilia dall’Amgot (Allied Military Government of Occupaid Territory) che altro non è che un organismo amministrativo espressione del governo alleato che intanto si estende alla Sicilia e che, nelle intenzioni di Churchill, avrebbe dovuto fare piazza pulita del regime mussoliniano e dell’alleanza dell’Asse, ma seppur occupandosi dell’epurazione non era assolutamente diretto a licenziamenti indiscriminati e di massa. Per gli alleati, insomma, era necessario cacciare i responsabili della grave situazione italiana e tutto si sarebbe ricomposto.
Il Governo Militare Alleato procedette così allo scioglimento del PNF e dei sindacati ad esso collegati, proibendo qualsiasi forma di manifestazione di natura fascista; parallelamente si procedette all’arresto dei fascisti considerati pericolosi. Si proseguì poi, non senza difficoltà, alla sostituzione di amministratori e funzionari collusi con il vecchio regime.
L’8 settembre del 1943 veniva firmato l’armistizio tra il governo italiano, rappresentato da Badoglio, e gli alleati anglo-americani. I tedeschi invadono Roma e il re scappa a Brindisi, creando le premesse di quello che sarà il Regno del Sud. Mussolini, il 12 settembre, viene liberato dai tedeschi presso il Gran Sasso, dove era detenuto, e di lì a poco darà vita nel nord Italia alla Repubblica Sociale Italiana che durerà fino all’aprile del 1945 e farà “epurazione” a modo suo, quando, a ottobre del 1943, creerà un Tribunale Speciale Straordinario per punire con pene capitali chi aveva votato contro il dittatore nella seduta del 25 luglio (vittime illustri saranno il generale de Bono e Galeazzo Ciano, fucilati di lì a poco a Verona).
Intanto, al Sud, con l’estendersi del controllo anglo-americano a Napoli, la defascistizzazione prosegue con l’epurazione delle istituzioni scolastiche e delle università e con l’epurazione degli enti locali; anzi, per garantire una maggiore efficacia alle politiche alleate viene creata la Allied Control Commission (Acc) con funzioni operative. Invece nelle zone sotto il controllo del governo Badoglio, molto frequentemente, i fascisti erano tornati al potere o perlomeno esercitavano poteri ufficiosi ancora rilevanti senza che il legittimo governo potesse operare se non per sedare le rivolte di cittadini disperati dal ritorno ad una sorta di status quo. Così si dovette ripartire quasi da zero nel campo dell’epurazione. Nonostante non ritenesse il problema di prioritaria importanza, Badoglio, provvide con un ordinanza ad epurare le forze dell’ordine (ottobre 1943) anche se non pensò mai di estendere l’epurazione alla pubblica amministrazione. Nel novembre del 1944, Badoglio, giunge a catalogare, dopo molteplici pressioni politiche, quattro tipi di fascisti: “Del primo gruppo, considerato relativamente inoffensivo, facevano parte gli iscritti al partito da lungo tempo e magari di alto rango che tuttavia si erano sempre comportati abbastanza degnamente e che quindi non andavano annoverati tra i profittatori e gli sfruttatori di regime; certo, dovevano perdere i loro privilegi ma non era necessario sottoporli a misure coercitive. Un analogo riguardo, invece, non bisognava dimostrare nei confronti dei componenti il secondo gruppo, nei confronti, cioè, di quei fascisti che non solo avevano ricoperto cariche pubbliche, ma “sono stati fautori di favoritismi, scorrettezze amministrative, abusi, violenze contro non fascisti ecc…” e che quindi andavano arrestati come del resto gli appartenenti al terzo gruppo, vale a dire gli attivisti e i fascisti della prima ora. Badoglio, infine, considerava particolarmente pericolosi i fascisti del quarto gruppo, cioè quegli “individui che, pur non appartenendo in primo piano alla vita politica, hanno sempre aiutato sottomano i gerarchi con tutti i mezzi specialmente illeciti, per ottenere protezione e favori”; essi sono - continuava Badoglio - “i vermi più luridi del letamaio fascista (…) che occorre ricercare, scoprire e colpire inflessibilmente”. <4 Quest’ultimi, i più deleteri per il paese, andavano perseguiti. Il risultato di questa valutazione sarebbe stato un Regio Decreto del 9 dicembre 1943, “Defascistizzazione delle amministrazioni dello Stato degli enti locali e parastatali, degli enti comunque sottoposti a vigilanza e tutela dello Stato e delle aziende private esercenti pubblici servizi o di interesse nazionale”, sintesi di tutte le direttive in materia emanate fino a quel momento. Lo scopo della defascistizzazione degli enti statali era evidente.
All’atto dell’applicazione però tale decreto non si mostrò particolarmente gradito a coloro che dovevano applicarlo, poiché non chiariva i molti dubbi procedurali legati alla sua applicazione; fu così che venne rallentato e boicottato. Questa situazione si sarebbe protratta fino all’aprile 1944, quando il governo sostenuto da una nuova coalizione di partiti, tra cui socialisti e azionisti, diede vita ad un nuovo esecutivo che nel maggio 1944 allargò grazie a un nuovo decreto, la platea dei punibili anche a coloro che avevano organizzato e diretto la marcia su Roma, gli squadristi autori di violenze, gli autori del colpo di stato del 3 gennaio 1925 e a chi aveva mantenuto in vita il fascismo con atti rilevanti. Per la prima volta si prendeva in considerazione la “lesione della fedeltà e dell’onore militare per fatti commessi dopo l’8 settembre 1943”. Il ministro Sforza, appena insediato, dovette agire in materia di epurazione colpendo anche banchieri ed ex prefetti.
E ci avviciniamo alla liberazione di Roma. Il Mercuri <5 sottolinea moltissimo le responsabilità della figura del maresciallo Badoglio che più di ogni altra cosa si sarebbe preoccupato di smantellare le strutture politiche del defunto regime con lo scopo solamente che queste non collidessero con il nuovo corso italiano e non per senso di giustizia verso il popolo italiano, indicando con i primi provvedimenti del suo Governo le direttrici di un colpo di stato regio che nel regno del Sud. Infatti, al crollo del fascismo, in assenza di tentativi di rivolta, accadde lo scioglimento del PNF, del Grande Consiglio del Fascismo, del Tribunale Speciale per la difesa dello Stato, della Camera dei fasci e delle Corporazioni, all’incorporamento della MVSN nel Regio esercito e all’arresto di alcuni gerarchi come misura di sicurezza. Chi non fuggì in Germania si affrettò a professarsi leale al nuovo corso politico e manifestando fiducia nel Re si mise a disposizione della patria.
E così si giunge alla liberazione di Roma avvenuta ad opera delle forze alleate il 4 giugno 1944 che, come era avvenuto dieci mesi prima, passa da una esplosione di gioia, all’accanimento esasperato contro i simboli del regime. Si forma un nuovo governo che scalza quello reazionario di Badoglio, presieduto da Ivanoe Bonomi, figura di spicco dell’antifascismo italiano. Il passo, rispetto al governo precedente, cambia poiché ora la compagine parlamentare è composta da azionisti, socialisti, comunisti e dai partiti moderati borghesi, molto poco disposti ad entrare a compromessi con gli ex fascisti. Il 27 luglio 1944 viene controfirmato dal Luogotenente del Regno ritornato a Roma, Umberto di Savoia, dopo la provvida abdicazione di Vittorio Emanuele III, il Decreto Luogotenenziale 159: potremmo definirlo come fa il Woeller la Magna Charta dell’epurazione politica <6. In esso furono accorpate tutte le precedenti “sanzioni contro il fascismo”. In materia penale si prevedeva una responsabilità di livello costituzionale per gli atti che avevano favorito l’avvento del regime fascista compromettendo la sicurezza e l’ordinamento dello stato. Per i membri del governo fascista e i gerarchi “colpevoli di annullare le garanzie costituzionali, distrutte le libertà popolari, creato il regime fascista, compromesse e tradite le sorti del paese” si prevedevano pene dall’ergastolo alla pena di morte. I giudizi sulla colpevolezza erano demandati ad un’Alta Corte di Giustizia presieduta da un presidente e composta da otto membri di nomina del Consiglio dei Ministri tra gli alti magistrati dello stato (nomine difficilissime da fare, perché o i magistrati erano compromessi col precedente regime, o erano prossimi alla pensione, o proprio non volevano saperne di addossarsi responsabilità così grandi <7). Inoltre, erano considerati colpevoli di altri delitti commessi “per motivi fascisti o valendosi della situazione politica creata dal fascismo” gli organizzatori di squadre fasciste colpevoli di violenze e devastazioni, coloro che avevano diretto la insurrezione del 28 ottobre 1922, coloro che avevano promosso e diretto il colpo di stato del 3 gennaio 1925, e chiunque avesse contribuito con atti delittuosi commessi “per motivi fascisti o valendosi della situazione politica creata dal fascismo”.
Questi casi appena citati erano sottoposti al giudizio della magistratura ordinaria. Era inoltre prevista la sospensione temporanea dai pubblici uffici o dall’esercizio dei diritti politici nonché l’assegnazione a colonie agricole o a case di lavoro fino a dieci anni per coloro che, avvalendosi della situazione politica creata dal fascismo o per motivi fascisti avevano compiuto fatti di particolare gravità che, pur non configurando gli estremi di reato, fossero apparsi “contrari a norme di rettitudine o di probità politica”. Accanto alle norme penali che colpivano le responsabilità nell’avvento e nel sostegno del regime fascista, si introdusse anche il concetto di collaborazionismo con l’occupante tedesco. In materia di epurazione si prevedeva la dispensa del servizio in ragione della qualifica ricoperta; questo valeva per gli squadristi, per i partecipanti alla marcia su Roma, per gli insigniti di sciarpa littorio, per i sansepolcristi e per i fascisti ante marcia e gli ufficiali della Milizia Volontari Sicurezza Nazionale, con la possibilità di applicare misure disciplinari meno gravi per chi non si era comportato in modo settario o intemperante. In caso di indebiti avanzamenti di carriera per titoli fascisti, era prevista la retrocessione alla posizione precedente anziché procedere al licenziamento.
Vi era poi un titolo che si occupava dell’avocazione dei profitti di regime che prevedeva che gli arricchimenti patrimoniali avvenuti dopo il 28 ottobre del 1922 da chi aveva ricoperto cariche pubbliche o politiche fasciste avrebbero dovuto essere stati avocati.
Nel complesso per la prima volta ci si trovava di fronte ad una legge organica ed esaustiva, almeno nelle intenzioni.
E qui si potrebbe aprire una riflessione su un fenomeno che Claudio Pavone affronta nel saggio sulla “continuità dello Stato nell’Italia 1943-‘45” <8. Molto sinteticamente l’autore pone l’accento su due piani distinti ai quali, a mio parere, ne va aggiunto un terzo. Vi è infatti un tema della continuità inteso in senso ristretto e formale, come rottura o meno della legalità costituzionale e di una legalità nell’ambito del Regno, ancora esistente, della Repubblica, che vi sarà tra pochissimo. Un secondo livello è poi quello legato all’apparato e organizzazione e il complesso di istituzioni che il fascismo chiamò “parastato” e che venne lasciata in eredità al postfascismo. Aggiungiamo qui un terzo elemento di discontinuità che andrà a rallentare significativamente la macchina burocratica e altri non è se non ciò che consegue alla suddivisione italiana in tre zone di influenza: legislazione in materia di epurazione efficace nelle zone amministrate dagli alleati, inefficienza della legislazione epurativa nella zona in mano alla monarchia nel regno del sud, per finire con la zona corrispondente alla ex RSI che vedrà un accavallarsi di normative, con prevalenza di quelle alleate, se non altro più pratiche.
Vi è poi il tema dell’epurazione spontanea che si cerca di soppiantare con questa normativa [...]
Infine, l’epurazione giudiziaria, concentrata più che altro tra l’estate e l’autunno 1944. Questa la situazione al momento della pubblicazione della nuova legge. E l’attività dell’Alto Commissariato diede i suoi frutti: all’inizio di ottobre del 1944 l’organismo in questione aveva sottoposto ad indagine 6000 persone con 3500 deferimenti alle 61 commissioni costituite e 650 proposte di sospensione con 167 licenziamenti effettivi <10 solo nei Ministeri e nelle altre amministrazioni centrali dello Stato. E alla fine dell’anno, con le dimissioni dell’Alto Commissario, Scoccimarro, i numeri erano ancora più importanti: l’Alto Commissario e la stessa amministrazione pubblica avevano segnalato ben 16000 persone e per 3600 di questi si era finalmente giunti a un giudizio di primo grado da parte delle commissioni con 600 rimozioni e 1400 sanzioni meno pesanti <11. Vi è una rinnovata spinta a procedere contro i rei di atti criminali e di collaborazionismo durante il regime. Un esempio per tutti è il processo che si svolge a Roma il 20-21 settembre 1944 contro l’ex capo della polizia Pietro Caruso: l’accusa mossa era quella di aver preso parte ai rastrellamenti tedeschi o di averli personalmente organizzati, di collaborazione con la Gestapo e le SS. Ma l’accusa di maggior peso lo vedeva responsabile della collaborazione con i tedeschi nel redigere la lista di 335 persone detenute che verranno poi massacrate, nella primavera del 1944, alle Fosse Ardeatine, per rappresaglia contro l’attentato di via Rasella a Roma, che era costato la vita a 35 soldati tedeschi. La corte, nell’applicazione del decreto del 27 luglio, comminò una pena capitale che sembrò più un verdetto “contro l’intero fenomeno del collaborazionismo” <12.
Il contesto politico, nel frattempo, stava mutando nuovamente con la virata dei partiti moderati verso destra e con la convinzione sempre più forte di democristiani e liberali di un effettivo pericolo di rivoluzione socialista in Italia. Era il momento, per i politici, di cambiare registro. A suffragare quanto detto arriva un’inaspettata svolta del comunista Togliatti che già verso la fine del 1944, pur rimanendo fermo nella sua convinzione di una epurazione politica severa, passa a più miti consigli rispetto alla epurazione giudiziaria, constatando una parziale paralisi del paese che non poteva durare ancora per molto senza creare danni irreparabili. Nella primavera del 1945 questo era il sentimento prevalente nella classe politica italiana anche se nessuno pensava di rendere pubbliche queste riflessioni. Di fatto, però, la tendenza a un disimpegno dal terreno si faceva sentire in seno all’Alto Commissariato che a dicembre del 1944 aveva visto i suoi componenti dimissionari. L’Istituzione perse progressivamente significato fino a svuotarsene, e nei primi mesi del 1945 non si ebbero eventi significativi sul fronte epurazione. Poi, nella notte del 5 marzo 1945 fuggì dal carcere un criminale di guerra, il Generale Mario Roatta; questo evento sollevò indignazione generale e sospetti, da parte dei partiti della sinistra, di complicità tra governativi di destra, forze dell’ordine ed ex fascisti. Si giunse così a dare nuovo impulso alla persecuzione dei criminali fascisti grazie all’istituzione delle Corti di assise straordinarie, le CAS, che, con D. Lgs. L. 22 aprile 1945 n. 142, vennero istituite presso i capoluoghi di provincia con competenza a giudicare chi, dopo l’8 settembre 1943, si fosse macchiato di delitti contro la fedeltà e la difesa militare dello Stato con qualunque forma di intelligenza o corrispondenza o collaborazione con i tedeschi e di aiuto o assistenza ad essi prestato. Era considerato pertanto colpevole: 1) chi avesse ricoperto cariche di ministro o sottosegretario di stato o cariche direttive del PFR; 2) Presidenti o membri del tribunale speciale per la difesa dello stato o altri tribunali straordinari istituiti dal governo fascista repubblicano; 3) capi di provincia o segretari o commissari federali o cariche equivalenti; 4) direttori di giornali politici; 5) ufficiali superiori in formazioni di camicie nere con funzioni politiche o militari. In parallelo, inoltre, vengono emanati il D. Lgs. Lgt. 26 aprile del 1945 n. 195 che stabilisce sanzioni penali per l’attività fascista nell’Italia liberata (il 25 aprile il CLNAI aveva proclamato la insurrezione del nord Italia contro i tedeschi occupanti), e il D. Lgs. Lgt. 26 aprile 1945 n. 149 che stabiliva sanzioni a carico dei fascisti particolarmente pericolosi e prevedeva interdizioni dai pubblici uffici e privazione dei diritti politici per chi aveva compiuto atti particolarmente gravi mosso da motivi fascisti pur non essendo configurabili come reati. Le sanzioni erano applicate da commissioni provinciali presiedute da tre membri. Molto spesso però nell’Italia liberata al Nord, venivano applicate le Ordinanze generali dell’American Military Government (in particolare la 35) che prevedeva una autodichiarazione scritta, su modelli predisposti dall’AMG, del proprio passato politico e militare e che le Commissioni di epurazione aziendali applicavano regolarmente. Tale ordinanza agiva similmente alle leggi italiane, colpendo le varie categorie di fascisti (sciarpa littorio, marcia su Roma…), trasferendo alle commissioni di epurazione provinciali il potere, dopo avere visionato le schede personali e le prove accusatorie, di sospendere dal lavoro il soggetto sotto giudizio. Era previsto anche un ricorso da effettuarsi da parte dell’epurato nel termine perentorio di 10 giorni dalla comunicazione della sentenza. Dunque, come si evince da questa ultima normativa, erano previsti provvedimenti penali per i crimini, e sanzioni amministrative per le “colpe minori”: due aspetti, il penale e l’amministrativo, che viaggiavano su binari differenti se pure paralleli. Le CAS durano poco.
[NOTE]
3 Hans Woeller, I conti con il fascismo - l’epurazione in Italia. 1943-1948, Bologna, Il Mulino, 1977, pagg. 19 e seguenti.
4 Hans Woeller, op. cit, pag 111.
5 Lamberto Mercuri, l’epurazione in Italia. 1943-1948, Cuneo, ed. l'Arciere, 1988, pagg.9 e segg.
6 Hans Woeller, op. cit. pag. 193.
7 Cfr., a cura di Giovanni Focardi e Cecilia Nubola, Nei Tribunali - Pratiche e protagonisti della giustizia di transizione nell’Italia repubblicana, Bologna, Il Mulino, 2016.
8 Claudio Pavone, Rivista di Storia Contemporanea, Sulla continuità dello Stato, fascicolo 2 anno 1974, Torino, Loescher, pagg. 172-205.
10 Dalla relazione di Upjhon davanti all’Advisory Council for Italy, 6 ottobre 1944.
11 Rapporto conclusivo di Scoccimarro, 3 gennaio 1945.
12 Hans Woeller, op. cit. pag 255.

Fabio Fignani, L’epurazione in Veneto. Alcuni casi di studio, Tesi di laurea, Università Ca' Foscari Venezia, Anno Accademico 2015/2016