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giovedì 14 aprile 2011

Alla sera andavamo a Montecarlo

Credo che il Principato di Monaco sia sin troppo noto sotto il profilo mondano, affaristico, sociale e politico, perché debba aggiungere considerazioni in merito.

Per tanta gente di frontiera rappresenta anche occasioni di lavoro, magari solo di amici, o di semplice curiosità più o meno turistica, che vanno, a mio avviso, ad intersecarsi con i primi aspetti di cui ho detto. Non sono certo immune da questi fattori.

Mi ha sempre attratto la storia di questo lembo di terra, per intenderci quella antecedente all'ormai famoso insediamento dell'attuale dinastia. In effetti ha dei lati fascinosi, se solo si pensa alla presenza dei Focesi di Marsiglia. Ho in animo di documentarmi meglio in proposito.

Sul piano personale rappresenta tanti ricordi - non fosse altro che allora la stazione ferroviaria rappresentava di fatto un nodo di interscambio - che risalgono nel tempo, attinenti l'ambito familiare: altre volte ne ho accennato.

Ben prima, dunque, di quando si tentava, senza saperne il nome, di fare parte della "meglio gioventù". Al riguardo, grazie @Tina per avermelo fatto riaffiorare alla mente!

Poteva allora capitare che, finito un impegno, si facesse un salto in auto sino a Montecarlo come per esorcizzare il pericolo di fare americanate e si tornasse indietro senza neanche fermarsi, comunque tutti presi dalle discussioni del momento.

Messa su un piano diverso Monaco rappresenta anche altro, di cui farò solo il seguente esempio. Solo non molti anni fa mi imbattei, appena entrato, perché non sempre era facile capire dove ci si trovava, nella limitrofa Cap d'Ail, sormontata dalla caratteristica collina che un po' ricorda il Far West, nella villa che fu dei Fratelli Lumiere, che sinora ho riscontrato ignota ai più.

Cap d'Ail, 1960
Se torno sull'argomento, vedrò di fornirmi di immagini riprese tutte in giornate di sole, però!



venerdì 27 agosto 2010

Quando giocava Kopa

Ritorna il campionato di calcio, con il suo pesante carico di problemi e di tensioni, ben noto anche a chi non segue questo sport. Non sempre è stato così o, per lo meno, non compiutamente così.

Nel 1960, credo, ci recammo io, papà, fratellino e zio materno a vedere una partita Monaco-Reims nel vicino Principato, nel vecchio stadio a dimensione quasi familiare. Eravamo vicini ad una linea laterale prossima ad una porta, ma un gruppo di spettatori sulla nostra sinistra era ancora più affacciato di noi sul rettangolo (come si suol dire) di gioco. Anzi, ad un certo momento, si consentì agli stessi di avanzare ancora, sino a portarsi a ridosso del portiere: in questo movimento rivedo ancora la fulminea mossa di una signora a riprendersi trafelata il fiaschetto di vino scordato indietro per potersi poi finire beata il suo bel picnic nella nuova agognata posizione.

Finita la partita, dobbiamo avere indugiato un po' da qualche parte, perché altrimenti non mi spiego la scena seguente. Su due sedie malandate, davanti ad un baretto qualsiasi (come oggi a Montecarlo non ce ne sono più), lo zio riconobbe per primo un calciatore, io un attimo dopo il secondo. Si trattava rispettivamente di Kopa, migliore giocatore europeo del 1958, e di Fontaine, tuttora recordman con 13 reti (1958, in Svezia) di un singolo mondiale, quella volta con una gamba ingessata (e, quindi, non era sceso in campo, ma aveva accompagnato la squadra) come avevo già letto in uno dei miei prediletti giornalini dell'epoca: entrambi del Reims e nazionali (i galletti) di Francia, il primo oriundo polacco, il secondo a suo tempo esordiente in Marocco. Si avviò un'amabile conversazione tra adulti, di cui ora io ricordo solo i continui complimenti fatti anche in spagnolo (aveva appena finito di militare nel Real Madrid), rivolti da Kopa al mio fratellino.

Lo stesso anno alla riapertura si andò a Marassi di Genova per un Genoa in serie B. Anche lì all'epoca si poteva stare molto vicini al campo, tanto é vero che in occasione di rimesse laterali o altre pause tecniche di gioco Pesaola (O' Petisso) contraccambiava spesso i saluti dei tifosi rossoblu e Bean (allora il mio adorato Bean, come ne spiegherò un'altra volta la motivazione, se ne troverò lo spunto) mi parve rivolgesse addirittura un amichevole cenno diretto a me che lo chiamavo.

Potrei riferire altri episodi similari, attinti sia alla memoria che alle letture, molti degni di un libro "Cuore", alcuni anche emblematici del mio amato ciclismo di una volta. Non che tutto fosse perfetto, anzi, ma si rinvenivano almeno un maggior numero di storie esemplari. Spero di trovare prima o poi l'occasione opportuna per parlarne.