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mercoledì 24 aprile 2013

Sui militari e la Resistenza
























Questa cartolina postale del novembre 1943, scritta alla famiglia da un detenuto in un lager tedesco, porta con il pensiero ai 600.000 soldati italiani che, avendo detto no all'invasore nazista dopo l'8 settembre, scrissero una gloriosa pagina di storia, fatta di tormenti e privazioni di ogni genere, una pagina di Resistenza troppo poco esplorata e rammentata.
Mi sembra un aspetto importante per sottolineare il valore imperituro del 25 Aprile. E della Costituzione Repubblicana, che ne é diretta emanazione.
Solo poco più note sono - mi pare - le vicende tragiche dell'opposizione, al momento dell'Armistizio, di reparti italiani a Porta S. Paolo di Roma, nelle isole dello Ionio, a Rodi. 
Se aggiungo, ancorché brevi, riferimenti a Livio Duce, nato a Ventimiglia nel 1897, fucilato nell'Attica (Grecia) il 24 settembre 1943, ufficiale dei carabinieri, Medaglia d'Oro al Valor Militare alla memoria, e ad Antonio Valgoi, nato a Vallecrosia nel 1907, fucilato dai tedeschi ad Argostoli (Cefalonia) il 22 settembre 1943, ufficiale medico, Medaglia d'Oro al Valor militare alla memoria, introduco esempi ricondotti a uomini nati sulla Riviera Ligure e almeno un'integrazione di carattere geografico al quadro già mentovato.
Si tratta di alcuni esempi, riscontrati nella storia della mia zona, cui ricorro per fornire il mio modesto contributo al XXV Aprile.
E sull'apporto, anche tecnico, di ex-soldati del Regio Esercito ai raggruppamenti di partigiani di questo territorio, sui monti e nella clandestinità sulla costa, cercherò di scrivere in prossime occasioni.



martedì 16 aprile 2013

Tra Bevera e Torri























Scorre tra la seminascosta - a sinistra - Varase, alla quale dedicai tempo fa un piccolo ritratto, e Porra, Frazioni di Ventimiglia (IM), il fiume Roia ancora a qualche chilometro dalla foce.























Poco dopo il precedente punto, prima, dunque, del suo arrivo al mare, riceve il torrente Bevera, di cui riporto un'immagine relativa al tratto terminale.

 Succede a Bevera, frazione di Ventimiglia. Qui sopra l'antico Oratorio.























Compaiono qua e là nel territorio interessato da questo discorso ruderi dimenticati.























Per questa malandata costruzione, sita a Torri, altra frazione di Ventimiglia, dove cerco di pervenire con il mio itinerario, uno studioso formula l'ipotesi di antica cappella viaria.























Sussiste, invece, documentazione sicura che attesta in quella zona l'incrocio di antiche vie commerciali, battute da viandanti e pellegrini, lontano dalla costa, a lungo, comunque, pericolosa per scorrerie varie, costa su cui l'antica viabilità romana verrà ristabilita, dopo iniziale impulso di Napoleone che riuscì a completarla solo nell'attuale territorio francese, poco meno di due secoli fa'.
E poco lungi si trova il Gramondo, dove partigiani italiani e francesi vennero sconfitti, combattendo uniti: i superstiti vennero torturati selvaggiamente e, poi, massacrati a Sospel.























A Torri, snodo essenziale, perché il Bevera e la sua valle sono già ben lontane dalla sorgente, di quelle vecchie strade, la furia nazifascista colpì spietatamente civili inermi.























Andando idealmente a ritroso, per lunghi tratti, se non per tutto il percorso, tramite sentieri ormai impervi, si passa sotto Collabassa di Airole (IM) - qui un ponte medievale, non ben visibile dall'alto -   e a fianco di Olivetta, centro di Olivetta San Michele (IM), dove si costeggiano altre sue case sparse, per arrivare a Sospel, che nella storia, più che per la bella tavola dell'Atlante dei Savoia di fine Seicento o per i Templari e simili aspetti, deve rimanere come monito contro la ferocia dell'uomo.























Ma all'inizio di questa escursione, nelle vicinanze della confluenza del Bevera con il Roia, appaiono segni di trascuratezza, insiti in un malinteso senso del progresso, ancora più evidenti, come tema a parte, a sud e a levante di questo sito.



martedì 9 aprile 2013

Se viene scritto un libro sui fumetti d'antan


I fumetti comparsi in Italia dalla fine della seconda guerra, come mi sembra di capire da una recensione, sono sotto il riflettore del recente "La storia dei miei fumetti" di Antonio Faeti, edito per Donzelli - pagg. 425 -.
Dall'articolo emerge che la passione dello scrittore - che pur costella di ponderose note critiche il suo lavoro - rimane intatta per le letture, in tema, dell'adolescenza e degli anni in cui é stato maestro di scuola elementare, prima di diventare titolare di cattedra di Letteratura per l'infanzia all'Università di Bologna. 
Avendo io in precedenti post compiuto qualche asserzione sui fumetti, sostanzialmente su quelli degli anni '50 o primi anni '60, di quando ero piccolo, cioé, ho trovato nel giornale qualche conferma di mie pregresse impressioni e qualche coincidenza.
Questo libro presenta un ricco corredo di immagini originali: la copertina - se ho visto bene - riproduce quella di un Pecos Bill, su cui mi sono già espresso e di cui posso qui esibire, come si vede, un'altra copia.
Riprendendo in mano le vecchie riviste il Faeti avrebbe avuto l'impressione di rileggerle come se fosse passato solo qualche giorno: curiosamente la stessa cosa é capitata, per le poche occasioni che ho avuto, anche a me, pur riscontrando - come ho già qui affermato - l'inesorabile - oggi, alla mia età! - ingenuità di fumetti ampiamente datati. 
Oso, poi, io, aggiungere, fumetti - quelli di matrice italiana, non quelli tradotti dall'estero! - cadenzati più sui contemporanei modesti film d'avventura italiani, che - eccezione fatta per i primi Tex, che in conseguenza di una certa ristampa di qualche anno addietro ho riletto, apprezzandoli ancora - sui grandi western americani.


In effetti, nel blog avevo iniziato ad occuparmi di fumetti, partendo da "intrepido", di cui qui sopra la riproduzione di una copertina del 1952.
Trovo "intrepido", ad esempio, tra le riviste più citate nelle discussioni con amici e conoscenti, se si sfiora l'argomento fumetti d'antan. 
I fumetti - come avevo già messo in evidenza - sono stati, tuttavia, a lungo ufficialmente criticati perché considerati diseducativi: anche Faeti riporta quella nomea, ma la ritiene sbagliata, come, immodestamente, penso - e ripeto - anch'io.
Sono incorso, fidandomi della mia memoria, in alcuni errori ed omissioni. Se scrivo ancora di fumetti, altri probabilmente ne farò. Ricordo solo ora  - ma altre persone mi hanno raccontato qualcosa di analogo - che nella mia esperienza "intrepido" (e "Tex" per chi se lo poteva permettere) veniva acquistato da genitori operai, che oggi considero lungimiranti, per essere letto da tutti in famiglia; capitava che i loro figli lo imprestassero, dopo, ad amici, fattispecie in cui mi sono spesso ritrovato, atteso che in casa mia entravano altre pubblicazioni, ritenute più formative. Ribadisco, infatti, che in quell'epoca, invece, la maggior parte dei giornalini d'avventura, oltre che essere un'occasione di svago ed anche di stimolo per la fantasia, svolgeva una buona funzione divulgativa, sia per adulti, che la scuola l'avevano dovuta abbandonare presto, che per bambini e ragazzi, che la scuola la stavano frequentando.



C'erano, inoltre - e ci sono in parte tuttora, credo - fumetti che si possono definire comici. "Tiramolla", ancor più che il famoso "Topolino", al pari con il gemello "Cucciolo", era nel genere il più quotato nei "circoli" della mia infanzia. Un genere, comunque, che meriterebbe una rivisitazione, che sarebbe anch'essa indicativa di una storia del costume, ma che, per quel che mi concerne, presuppone una ricerca di fonti, perché rammento qualche figura, ma ben pochi nomi.

Nell'occasione, ringrazio una volta di più per le immagini l'amico Bruno Calatroni, collezionista di Vallecrosia.


sabato 6 aprile 2013

Qualche giorno fa' a Ventimiglia...























Qualche giorno fa girando per Ventimiglia (IM) in attesa di vedere Gianfranco, di cui conosco, come ho già riferito, abitudini e orari di passeggiata, mi sono messo, approfittando di uno dei rari pomeriggi di sole di questo periodo, a scattare qualche fotografia.
Sono tornato anche a Marina San Giuseppe, soggetto del mio ultimo post. Mi sono deciso a riprendere per la prima volta il Monumento ai Marinai. Il pensiero per forza di cose mi é andato ai 50.000 italiani - tanti i ventimigliesi - caduti in mare nell'ultima guerra. Ed alla nota tragedia della corazzata Roma in cui perì anche il giovane, cui é intitolata la locale Associazione Marinai, che era intimo della mia famiglia.























Ritornando in centro, passando per la passerella pedonale, incontro di nuovo Vito.























Lo avevo già fotografato, quasi per celia, davanti al Municipio.
Vito, ormai anch'egli pensionato, é molto impegnato in lodevoli attività di carattere profondamente sociale.
Mi ha confermato nell'occasione che nella immagine della vecchia Marcia della Pace, di cui ho già parlato, compare proprio lui... e mi suggerisce scorribande fotografiche sulle colline in sponda sinistra orografica del Roia...























Sempre in quella Piazza mi era capitato poc'anzi di compiere con E. un excursus, da me invero sollecitato, su antiche torri e ville delle colline, nonché su sottese vicende storiche, con una parte del discorso proiettato - per connessioni inestricabili in poche righe - su Giuseppe Biancheri, il ventimigliese che fu a lungo Presidente della Camera nei primi Parlamenti del Regno d'Italia.























Infine, è stata la volta di scambiare qualche parola con Gianfranco Raimondo. Ho constatato che mi segue con regolarità - e con tanta indulgenza, dato che spesso lo tiro in ballo! - sul blog, per cui abbiamo potuto sorridere insieme delle nostre dimenticanze sui corridori ciclisti dei nostri luoghi - o almeno su di uno! - di anteguerra. Parlando, gli ho riscontrato a voce le impressioni, suggestive, che qualche persona mi ha comunicato circa alcuni suoi racconti, in particolare sulle Pasquette d'antan a Ventimiglia, che, benché all'epoca fossi molto piccolo, ben ricordo, anche perché ne posseggo qualche documentazione fotografica. Il dialogo con Gianfranco offre sempre alla mia attenzione una grande varietà di temi da sviluppare e da divulgare...




giovedì 28 marzo 2013

Marina San Giuseppe























Marina San Giuseppe a Ventimiglia (IM), Riviera dei Fiori.























Una zona molto nota e frequentata, per le spiagge, per gli stabilimenti balneari, per gli esercizi pubblici, per la passeggiata, per altro ancora.























Ormai chiusa a ponente dal costruendo porto turistico, che ha interrato lo scoglio della Margunaira, come qui ho già annunciato.

Un luogo, mediatamente, di tanti ricordi e di tanti momenti di vita di relazione per molti abitanti e per molti turisti, ma, anche se personalmente conservo memoria di avere visto per la prima volta il mare e le barche a remi (gozzi, di sicuro) a Marina San Giuseppe, mi preme ora mettere in evidenza altri aspetti.

 Uno sguardo a Porta Marina sarebbe già anticipatore.























Poco più in là del primo, girando l'angolo di una casa che porta ancora i segni della guerra (anche a questa avevo accennato mesi fa)...























la Chiesa di San Giuseppe.

Tra questa e scogli ormai scomparsi sorgeva, come sottolineano atti notarili del 1263, una casa ospedaliera, un ricovero gestito da religiosi per viandanti dell'epoca, presso la quale facevano sosta pellegrini diretti in Oriente in massime via mare. Una tappa saltata dal Petrarca che in un suo viaggio da Avignone a Roma dovette anticipare, causa maltempo, la sua sosta a Monaco, da cui ripartì in barca direttamente per Porto Maurizio. 

In anni più vicini a noi in Marina San Giuseppe ebbero anche base o da lì talora partirono pescatori per missioni clandestine della Resistenza: al quadro cui si inserivano queste attività avevo dedicato un blog specifico, purtroppo sparito con la chiusura della piattaforma ospitante, ma ho in mente di riprendere al più presto la pubblicazione di queste informazioni a questo link.

Sono piccole note di storia - altre, al pari di alcune di carattere geografico, ne ho tralasciate - che presento con una certa, anche se forse poco evidente, autoironia perché, pur disattendendo una sorta di impegno che qui una volta avevo preso circa il non cimentarmi in riscritture di annali locali e trascurando fortemente, in questo caso, di esplorare quel microcosmo di rapporti sociali che da lungo tempo è Marina San Giuseppe, non riesco a resistere alla mia ricorrente tentazione di parlare di cose a me vicine.



sabato 23 marzo 2013

Sasso


Sasso, Frazione di Bordighera.
























A poca distanza dal centro cittadino.























L'ho rimirato tante volte dal basso, ai Gallinai dove abitava la nonna materna con lo zio, da bambino e da adolescente, perché ero più attento a cercare di scoprire il mondo. .























La Parrocchia di S. Pietro e di S. Paolo.























A metà 1500 Sasso - ritenuta sede più sicura - accolse le famiglie degli eroici difensori della finitima Vallebona, i quali, asserragliati nella chiesa fortificata di S. Lorenzo, riuscirono a mettere in fuga i pirati turcheschi di Ulugh-Alì (detto anche Occhialì), sbarcati ai Piani di Vallecrosia, ma i cui piani di razzia erano stati nell'occasione fortunosamente svelati per tempo.

Perché Sasso era una delle "Ville" (le altre, in approssimativo ordine geografico, da levante, Bordighera, Vallebona, Borghetto S. Nicolò, Vallecrosia, S. Biagio della Cima, Soldano, Camporosso; nelle denominazioni moderne, perché all'epoca alcuni di questi fonemi differivano) che diedero vita alla "Magnifica Comunità degli Otto Luoghi", sorta nel 1686 dopo sforzi di lunga lena dietro concessione della Repubblica di Genova a configurare un distacco - nel complicato quadro del diritto di quel periodo - amministrativo - subire meno balzelli! - dal Capitanato di Ventimiglia. Una esperienza di breve durata, travolta dalla conquista - in questo caso - della Liguria da parte della Francia Rivoluzionaria, ma molto significativa, sulla quale a questo link si possono rinvenire maggiori informazioni.























Sasso ha dato i natali, nel tempo, a personaggi importanti o alle loro famiglie, ma vado per il momento a ricordare solo la giornalista e scrittrice Irene Brin, figura in ripresa di attenzione anche critica, la quale nel borgo, dove è deceduta, ha lasciato un giardino, curato tuttora da eredi, che coltiva la vocazione di galleria d'arte a cielo aperto.



Un amico mi ha raccontato di vecchie partite, penso a livello amatoriale, di "balùn", il pallone elastico o, ancora, palla pugno, che si facevano un tempo nel paese: preso dalla sua conferma di coloriti trasporti popolari, a me già noti, per questo sport e dal racconto di episodi, come quello di un giocatore del posto in grado, alla battuta, di squarciare la palla, mi sono dimenticato di chiedere quante reti di protezione, data la conformazione di Sasso, usassero allora stendere...



domenica 17 marzo 2013

Il Torrione























Il Torrione a Vallecrosia risulta incastrato, più che incastonato, tra la massicciata della ferrovia e le costruzioni di un istituto scolastico religioso. Certo, quelle suore sono più che disponibili a consentire scatti di fotografie a quell'antico bastione anti-turchesco, ma occorre ricordarsi di andare a suonare alla loro porta. 
Quando ero adolescente si diceva ancora andare al Torrione per definire la frequentazione della scuola dei Salesiani, posizionata poco più oltre, o per tentare di giocare nel campo cementato di calcio di quell'oratorio o per la visione di un film al cinema annesso, ancora funzionante oggi.























Poco più a destra - a levante - di quel balaurdo, lungo il mare, linea di confine con Bordighera, Via Rattaconigli, il cui nome da bambino mi sembrava tratto da una favola, mentre corrisponde alla tombinatura di un piccolo rio, che a monte qualche anno fa con la sua esondazione si é dimostrato alquanto pericoloso. 
Il relativo sottopassaggio vedeva spesso sul finire dell'ultima guerra muoversi in ore antelucane uomini del Gruppo Sbarchi della Resistenza, che conoscevano una strettoia sicura tra le mine disseminate sulle spiagge.























Talora agivano più a ovest, potendo contare sulla patriottica, clandestina collaborazione di alcuni bersaglieri, incaricati a turno della vigilanza di quel tratto di costa. 
Con barche a remi, attese al largo - nel proseguire delle missioni - da mezzi a motore degli alleati, quei partigiani trasportavano verso e dalla vicina Francia ormai liberata ex-prigionieri, agenti speciali, compagni feriti, armi. Tante azioni furono, comunque, condotte a forza di braccia.























Uno di questi eroi, ormai scomparso, era uso sostenere, quando ero giovane, che Vallecrosia era una mera città dormitorio. In effetti, tante furono in breve le costruzioni erette in una piana, quasi tutta destinata prima alla floricoltura.


Il centro storico sorge, invero, a qualche chilometro dal litorale, nella valle che porta a Perinaldo. Anche questo borgo fu interessato, quantomeno come base logistica, da talune attività dei prodi che si battevano per la Liberazione.
Vallecrosia credo abbia, intanto, finalmente assunto, anche per i nuovi residenti, una sua identità, che affonda  le radici nella storia locale.