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martedì 16 febbraio 2021

Caporali tanti, uomini pochissimi

Una scena di "Destinazione Piovarolo" - Fonte: Wikipedia

Antonio Focas Flavio Angelo Ducas Comneno di Bisanzio De Curtis Gagliardi - in arte Totò - nacque nel cuore di Napoli (rione Sanità), dalla relazione clandestina tra Anna Clemente e il marchese Giuseppe De Curtis, il 15 Febbraio 1898.
Interprete magistrale di un'italianità dolente, ma capace di riscattarsi - anche moralmente - pur quando ogni diversa possibilità sembra preclusa, mi limiterò a ricordarne uno dei suoi film meno conosciuti, ma secondo me particolarmente indicativo della sua arte, ovvero "Destinazione Piovarolo" (1955, regia Domenico Paolella - in visione integrale su Youtube).
In esso, Totò esprime una maschera malinconica, che suscita anche un senso di autentica e umana compassione.
La storia lo attraversa per trent'anni, con ogni sorta di avvenimenti, in mezzo a faccendieri di ogni tipo, segretari arrivisti, onorevoli opportunisti, ministri incompetenti e distratti, ma lui è sempre lì, a Piovarolo, in un'attesa kafkiana di avere una promozione che non arriverà mai.
Semplice capostazione, arrivato ultimo al concorso in ferrovia, sarà costretto a rimanere tutta la vita in una stazioncina sperduta della provincia, dimenticato da tutti anche se - magari inconsapevolmente, o controvoglia - ogni volta farà la cosa giusta.
Totò ha saputo dare a questo personaggio tutte le sfumature dell'uomo sfortunato, senza però mai cadere nel patetico.
Qui sta la sua enorme forza, perchè esprime in chiave ironica il tratto di "anarchismo utilitaristico" che caratterizza l'italiano medio.
Non vi è nulla di fuori posto in una recitazione sempre piana, garbata e costruita su un realismo d'insieme gradevole e godibile.
Anche questo ritratto di Antonio La Quaglia (il protagonista del film) deve essere collocato tra tutti quelli già interpretati nei film precedenti e tra quelli dei film successivi, e che costituiscono uno dei punti forza sia della maschera di Totò che del volto di de Curtis: l'uomo che deve arrangiarsi in un mondo di "caporali" e di prepotenti.

A tal riguardo, ricordo la recente uscita del libro di Emilio Gentile: "Caporali tanti, uomini pochissimi. La storia secondo Totò", Editore Laterza.
Infine, nel film Achille Togliani canta la canzone "Abbracciato cu' te", che è di de Curtis, e di cui trascrivo il testo:

"Quanno te veco
for' 'o balcone
mme vene a mente
cchisà pecchè;
quanno 'e rimpetto
stevo 'o puntone
appuntunato pe te vedè .
E mmo ca si dda mia pe tutta a vita
nun cerco niente cchiù, mo tengo a te.
Quando int' 'e bbraccia forte t'astregno a mme
sento 'o profumo da vocca toia che dè
na primmavera ca 'mbriaca 'o core
na smania e te vasà , chest' è ll 'amore.
Capille 'e seta, uocchie 'e velluto, tu,
si 'a vita mia, tu si ll'amore,
tu solamente tu.
Te voglio bbene,
songo felice
quando abbracciata
tu staie cu mme.
'O core 'mpietto
me parla e dice
ca sbatte forte
sulo pe tte.
Sunnanete me sceto 'a dint' 'o suonno
e canto 'o sole mio sta 'nfronte a tte"


Eraldo Bigi

lunedì 15 febbraio 2021

Convegno dedicato a Francesco Biamonti ad ottobre 2021

Francesco Biamonti e Guido Seborga

Francesco Biamonti è considerato uno degli scrittori più significativi della letteratura italiana di fine Novecento. I suoi quattro romanzi pubblicati in vita tra il 1983 e il 1998 (L’angelo di Avrigue, Vento largo, Attesa sul mare e Le parole la notte, a cui vanno aggiunti le pagine postume del Silenzio e il recente recupero, a cura di Simona Morando, del cosiddetto Romanzo di Gregorio), sono testimoni di un lavoro intorno alla parola che ha pochi eguali nella letteratura coeva. Nato nel 1928 a San Biagio della Cima, piccolo paese nell’entroterra di Ventimiglia, Biamonti ebbe una formazione prevalentemente da autodidatta, sospesa tra lo studio della grande poesia, soprattutto italiana e francese, e quello della filosofia fenomenologica ed esistenzialista. Fondamentale fu per lui anche la riflessione sulla pittura, portata avanti attraverso alcune importanti frequentazioni, a partire da quella con Ennio Morlotti. Tutte queste esperienze si sedimentarono, nel corso di decenni, in una prosa dal chiaro respiro lirico, ma capace di raccontare con grande forza e concretezza il mondo contemporaneo allo scrittore.
Profondamente radicati nel territorio dell’estremo Ponente ligure, i romanzi di Biamonti attirarono fin da subito l’attenzione della critica per il trattamento particolare riservato al paesaggio, il quale pone lo scrittore in continuità con la tradizione ligure (da Boine a Montale, da Calvino a Caproni). Non a caso, grande spazio fu riservato al tema paesaggistico nel primo Convegno Francesco Biamonti: le parole, il silenzio, organizzato nel 2003 dall’Associazione degli “Amici di Francesco Biamonti”, nata dopo la morte dello scrittore, e dall’Università di Genova. Negli anni successivi la critica ha portato avanti la lettura dell’opera biamontiana anche sotto altri punti di vista, in un percorso interpretativo che ha trovato fondamentali riscontri nella pubblicazione, nel 2008, dell’antologia Scritti e parlati, a cura di Gian Luca Picconi e di Federica Cappelletti. Tuttavia, ancora oggi molti aspetti dell’opera di Biamonti, con particolare riferimento al peso avuto da alcuni incontri (reali e intellettuali) sulla sua scrittura e sulla sua visione del mondo, restano inesplorati o comunque meritevoli di approfondimento.
Per questa ragione e per ricordare l’autore a vent’anni dalla scomparsa, l’Associazione “Amici di Francesco Biamonti” ha deciso di organizzare, insieme ai suoi diversi partner universitari, un secondo convegno che si terrà il 15-16 ottobre 2021 al centro Polivalente “Le Rose” di San Biagio della Cima e alla Biblioteca Aprosiana di Ventimiglia. Seguirà la pubblicazione degli atti.
Sono invitate comunicazioni che affrontino le peculiarità della scrittura e della poetica biamontiana, evidenziando i rapporti tra l’opera dello scrittore ligure e quella di altri autori a lui cari: poeti, romanzieri, filosofi, artisti, critici. In particolare, risulta urgente l’approfondimento dei legami tra biografia e opera, oltreché l’analisi dei plurimi nodi intertestuali presenti nei suoi scritti, al fine di tracciare un disegno complessivo delle voci e degli incontri che abitano le pagine di questo autore.
Saranno perciò graditi gli interventi di specialisti di autori e contesti (si veda l’elenco seguente) che, intrecciando le loro conoscenze con l’opera di Biamonti, possano portare un contributo originale, un nuovo sguardo allo studio dello scrittore.
Saranno altresì graditi gli interventi mirati alla ricostruzione storico-biografica dei rapporti personali di Biamonti con altri personaggi della cultura che svolsero un ruolo importante nella sua formazione o nel suo percorso di scrittore (come editori e traduttori).
Per un primo orientamento, si propone qui di seguito una lista indicativa di autori, che tiene presente il tema delle affinità intellettuali, dell’intertestualità, degli incontri:
1) Scrittori italiani: Dante, Petrarca, Leopardi, Manzoni, Verga, Pascoli, D’Annunzio, Tozzi, Novaro, Boine, Sbarbaro, Seborga, Vittorini, Montale, D’Arzo, Fenoglio, Pavese, Calvino, Zanzotto, Lalla Romano, Orengo, Rigoni Stern;
2) Scrittori stranieri: poesia provenzale delle origini, Mistral; Verlaine, Baudelaire, Rimbaud, Mallarmé, Céline, Éluard, Char, Michaux, Valéry, Perse, Malraux, Gracq, Camus, Giono, Duras, Blanchot; Machado, Lorca; Rulfo; Hemingway, Faulkner; Tolstoj;
3) Filosofi: Freud, Jung, Marx, Bergson, Husserl, Croce, Heidegger, Camus, Sartre, Jaspers, Benjamin, Merleau-Ponty, Bachelard, Foucault, Lyotard;
4) Artisti e critici d’arte: de La Tour, Cézanne, De Staël, Morlotti, Cazzaniga, Sutherland, Dondero; Longhi, Arcangeli;
5) Editori e traduttori: Maspero, Simeone, Bobilier, Einaudi.
Le proposte di partecipazione al convegno vanno inviate, in italiano o in francese, all’indirizzo convegno.biamonti2021@gmail.com entro il 15 marzo 2021, allegando un pdf che contenga, oltre ai dati del/la proponente, il titolo e un riassunto dell’intervento, di lunghezza non superiore alle 500 parole (bibliografia inclusa).
Entro il 15 maggio il Comitato Scientifico informerà per e-mail sull’accettazione delle proposte di comunicazione.
Il Comitato scientifico e organizzativo
Andrea Aveto (Università di Genova)
Matteo Grassano (Università di Bergamo)
Simona Morando (Università di Genova)
Claudio Panella (Università di Torino)
Gian Luca Picconi (Amici di Francesco Biamonti)
Corrado Ramella (Amici di Francesco Biamonti)
Paolo Zublena (Università di Genova)
Modlet, Francesco Biamonti: le carte, le voci, gli incontri - Call for papers - Convegno biamontiano, 15-16 ottobre 2021, San Biagio della Cima / Ventimiglia

 

lunedì 8 febbraio 2021

My God! Potevamo esplodere tutti!

Francesco Garini e Ampelio Bregliano, partigiani a Negi, Frazione di Perinaldo (IM) - Fonte: Fiorucci, Op. cit. infra

Nell'autunno del 1943 ricevetti la cartolina di arruolamento nell'esercito della RSI fascista. Proprio non mi andava di fare una guerra che si rivelava sempre più sbagliata.
Mi nascosi - io di Vallecrosia (IM) - in una casa di amici di famiglia a Rocchetta Nervina [in Val Nervia], dove incontrai il figlio del maestro Garibaldi, ufficiale dell'esercito con il quale andai a Carmo Langan ad arruolarmi nei partigiani.
Partecipai alla occupazione di Perinaldo [(IM)] dove sequestrai un... toro! La fame nel paese era tanta e di cavoli e rape ne avevo fin sopra ai capelli. Un fascista di Perinaldo possedeva un toro: glielo requisii. Fu macellato e diviso con la popolazione. Finalmente un po' di carne per tutti!
La fame è il ricordo indelebile di quel periodo.
Un giorno stavamo cuocendo qualcosa, quando si sentì urlare: "Allarme! Allarme! I tedeschi!".
Tutti scapparono e Girò [Pietro Girolamo Marcenaro] ordinò di salvare le armi: io salvai la pignatta che cuoceva sul fuoco!
 

Fonte: Fiorucci, Op. cit. infra

Un giorno mi fu ordinato di sorvegliare la strada per Pigna perché dovevano scendere dei partigiani, forse perché accompagnavano ufficiali alleati [primi di ottobre 1944]. Mi lasciarono sul ponte del Nervia al bivio per Rocchetta [Nervina (IM)] con due pecore e due  capre per fingermi pastore al pascolo. Tutto andò bene, solo che alla sera le bestie non volevano saperne di ritornare al paese.  Anche altre volte usai lo stesso stratagemma del pastore per visionare luoghi e sentieri e tracciare così percorsi alternativi per eludere i tanti posti di controllo fascisti.
Dopo quella avventura, Girò mi disse che occorreva mandare dei partigiani dagli alleati nella Francia liberata per stabilire rapporti e trasportare armi per i garibaldini. Come? Di notte, con un gozzo, remando da Vallecrosia a Monaco.
I Lilò [i Fratelli Biancheri di Bordighera (IM), Bertù Bartolomeo ed Ettore, martiri della Resistenza] avevano "agganciato" i bersaglieri che erano passati dalla nostra parte. Fregammo una barca dal deposito sottostrada vicino alla Casa Valdese [di Vallecrosia (IM)] e la portammo al mare. Con molta circospezione e furtivamente mettemmo in acqua la barca che ... affondò.
In attesa di poter fare qualcosa, la ancorammo sul fondo riempiendola di pietre per non farla portar via dalla corrente.
 

Il citato presidio dei bersaglieri e, al centro, il vecchio macello di Vallecrosia - Fonte: Fiorucci, Op. cit. infra

I due edifici prima citati, al giorno d'oggi

Intanto stava albeggiando e non potevo ritornare né in montagna né a casa, perché era in corso un vasto rastrellamento dei fascisti. Con Renzo [Gianni] Biancheri "u Longu" ci nascondemmo nel macello a fianco della ... caserma [invero, un semplice presidio] dei bersaglieri.
Passammo due giorni appollaiati e nascosti sulle travi del tetto tra le catene, le carrucole e i ganci.
Poi finalmente Girò e gli amici prepararono la barca e partimmo. Era dicembre [1944] e tra i compagni di viaggio ricordo sicuramente Luciano "Rosina" Mannini.

Ampelio "Elio" Bregliano, in Giuseppe Mac Fiorucci, Gruppo Sbarchi Vallecrosia <ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia - Comune di Vallecrosia (IM) - Provincia di Imperia - Associazione Culturale "Il Ponte" di Vallecrosia (IM)>, 2007  

Rosina (Luciano Mannini) racconta: “Il servizio di informazioni militari, esplicato dalla missione «Leo» in Italia con i comandi alleati, ebbe inizio alla fine del settembre 1944, con l’arrivo nella zona della V^ Brigata [d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” della II^ Divisione “Felice Cascione”] di ufficiali americani ed inglesi giunti attraverso i passi montani dal Piemonte, ove erano stati paracadutati. Il capitano Leo [Stefano Carabalona], attestato allora a Pigna, comandante del distaccamento che li ospitava e che provvide in seguito a farli condurre - parte attraverso i valichi alpini e parte via mare - in Francia, stabilì col capo della missione alleata [Missione Flap] i primi accordi che dovevano condurre alla formazione di un gruppo specializzato che collegasse, per mezzo di una rete segreta, la nostra zona a quella occupata dagli alleati e fungesse da centro di raccoglimento e di smistamento di notizie militari e politiche interessanti la lotta”. La missione Leo alla quale appartenevano Rosina, Lolli [Giuseppe Longo], Giulio [Corsaro/Caronte] Pedretti, ed alcuni altri giovani che si erano temprati nelle lotte di montagna, si portò a Nizza nel [il 10] dicembre 1944, dopo due mesi di utile lavoro preparatorio, per mezzo della leggendaria imbarcazione guidata dall’infaticabile «Caronte» Giulio Pedretti e da Pascalin [Pasquale Pirata Corradi, di Ventimiglia (IM), come Pedretti]. A Nizza, Leo si incontra con i responsabili dei servizi speciali alleati e prepara il piano definitivo di lavoro, che comportava, fra l’altro, l’uso di apparecchi radio trasmittenti, per i quali la missione aveva già predisposto gli operatori. Nel gennaio 1945 la missione rientra in Italia, dove il terreno era già stato preparato in anticipo. Si organizza e comincia a funzionare in pieno… 
Mario Mascia, L’Epopea dell’Esercito Scalzo, Ed. ALIS, 1946, ristampa del 1975 a cura dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia

In parallelo agli aviolanci alleati, ma con con maggiore assiduità, avevano luogo sbarchi di materiale bellico nella zona di Vallecrosia-Bordighera. I volontari che si occuparono di tali trasporti appartenevano al gruppo di “Leo“, che fungeva da tramite tra i garibaldini e la missione alleata in Francia. Giulio Pedretti fu il partigiano che più di ogni altro si impegnò in tali operazioni, al punto che alla fine della guerra aveva effettuato 27 traversate per recapitare armi e uomini attraverso il tratto di mare prospicente la zona di confine italo-francese.     Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945),  Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia,  Anno Accademico 1998-1999

Remammo a turno e sbarcammo a Monaco Principato bagnati fradici, perché durante il viaggio aveva cominciato a piovere. Tre o quattro volte alla settimana ci conducevano oltre Nizza, a Gattières, per addestrarci all'uso degli esplosivi al plastico e alla esecuzione di sabotaggi. In mezzo agli ulivi avevano anche costruito un breve tratto di ferrovia per insegnarci a far saltare i binari.
Alla fine del corso ci avvisarono che alla prossima lezione avremmo dovuto presentare una sintesi, un rapporto di quello che avevamo imparato.
Avevo imparato,  ma scrivere non è mai stato il mio forte. Con un panetto di plastico modellai un bel  portacenere che colorai di bianco con della farina. La mattina dell'esame lo posi sul tavolo in bella mostra con cenere e 4 o 5 mozziconi di sigarette.
Fumando una sigaretta dietro l'altra Lamb [ufficiale alleato] cominciò a esaminare i lavori dei miei compagni, poi mi chiese dove era il mio lavoro. "L'ho già consegnato!". Il maggiore [Lamb] sfogliò i fogli alla ricerca del mio scritto. Si inalberò e mi chiese duramente dove era. Indicando il portacenere ormai colmo delle sue  cicche, risposi che ce lo aveva proprio davanti.
"Ma questo è un portacenere!"
"Si! Però è fatto con esplosivo al plastico!"
Il self-control tipico degli inglesi non lo soccorse. Scattò dalla sedia balzando all'indietro: "My God! Potevamo esplodere tutti!"
"In questo caso, signor maggiore, sarebbe stata colpa sua, perché lei ci ha insegnato che il plastico esplode solo se innescato con un detonatore e non per contatto con la semplice fiamma."
Promosso a pieni voti!
 

Bregliano a Le Petit Rocher - Fonte: Fiorucci, Op. cit.

Vicino a Le Petit Rocher [a Villefranche-sur-Mer, Alpes-Maritimes] c'era un'altra villa disabitata, Villa Iberia. Dalle finestre vedevamo il salone spoglio di ogni mobilio con solo un grande pianoforte a coda al centro.
 


Quasi tutti i giorni veniva un signore. Secondo me era il Principe Ranieri di Monaco e se non era lui era il suo sosia! Suonava per ore il pianoforte.
Il giardino era pieno di alberi di mandarino colmi di frutti. Un giorno gli chiesi se potevo prenderne un po'. Faceva finta di non capire. Glielo ripetei in dialetto: "Te cunvegne dameli, senunca ti i fregu! ("Ti conviene darmeli, se no te li frego!")". Capì e acconsentì.
Chiamai Girò e gli proposi di raccogliere qualche borsa di mandarini e andare a venderli al mercato di Nizza con la jeep che lui aveva a disposizione. Subito rifiutò in nome degli ideali, poi si convinse.
Guadagnammo dei bei soldi, che spendemmo nei bistrot di Villafranca [Villefranche-sur-Mer].
Gli ufficiali inglesi erano divertiti della cosa, però non riuscivano a capire come gli alberi fossero spogli dei mandarini e le mine disseminate nella piantagione non fossero esplose.
Insieme agli altri miei compagni disinnescavamo le mine, lasciando i contenitori senza l'esplosivo, con il quale confezionavamo qualche piccola bomba che usavamo per... pescare.
Feci parecchi viaggi avanti ed indietro portando armi, radio, medicinali e altro materiale bellico.
Il motoscafo sul quale erano imbarcati due soldati inglesi si fermava a qualche centinaio di metri dalla riva, trasbordavamo il carico su canotti o piccole bettoline di legno (queste ultime erano collegate al motoscafo con una lunga fune), raggiungevamo pagaiando la riva e scaricavamo sulla costa di Vallecrosia. Dopodiché dalla barca recuperavano le bettoline con la fune.
Imbarcammo anche soldati alleati scappati dai campi di prigionia che ci venivano affidati dai partigiani piemontesi. Ricordo un francese di colore che patì il mare in maniera incredibile. Pensai: "questo qui non l'ha ammazzato la guerra e muore dal mal di mare".
Una volta che c'era da trasportare un carico di un cospicuo numero di casse, ci imbarcammo su un motoscafo più grosso, quasi un panfilo. Era più rumoroso dei soliti usati prima di allora; gli vennero adattati ai tubi di scarico due silenziatori grandi come angurie rendendolo abbastanza silenzioso. Era però più lento e non sarebbe riuscito a sfuggire se fosse stato intercettato dalla flottiglia che pattugliava la costa italiana, come invece riuscivano a fare gli altri motoscafi che solitamente erano pilotati da Giulio "Corsaro/Caronte" Pedretti.
Per fronteggiare l'eventualità di una intercettazione, fu sistemata a poppa una mitragliera pesante piazzata sul piedestallo sostenuto da due gambe di forza fissate al battello. Evidentemente il lavoro non fu collaudato, perché, appena preso il largo con i motori adeguatamente silenziati, la mitragliera cominciò a vibrare e sbattere sulla coperta del battello. Blan-Blen!Blen-Blan! I motori erano silenziosi, ma noi sembravamo un campanile che suonava le campane a festa accompagnato da un'orchestra di tamburi!
C'era una sola cosa da fare. Esaminai la mitragliera (l'addestramento a Gattières era servito a qualcosa!) e poi con fare concitato segnalai a Girò e ai due inglesi un punto della costa indicandolo con un dito.
"Laggiù! Guarda!"
Mentre loro scrutavano attentamente nel buio staccai la mitragliera dal piedistallo e la cacciai in mare.
Il concerto cessò. Uno dei soldati inglesi si arrabbiò non poco, minacciandomi di tutto.
Girò cercò di calmarlo. Di ritorno dalla missione, i soldati inglesi fecero rapporto e fui anche processato a Nizza davanti a una specie di corte marziale, composta da ufficiali inglesi e americani.
Quando descrissi loro l'accaduto scoppiarono quasi a ridere e mi assolsero.
 



Arrivammo salvi alla costa di Vallecrosia, dove sbarcammo tutte le casse che nelle notti successive, un po' alla volta, portammo a Negi. Anche a me toccò il compito di fare la staffetta con Negi a portare e prendere, avanti e indietro.
 

La Via Aurelia di levante, poco prima del "ponte" di Vallecrosia

Una delle ultime volte che fregammo una barca dal deposito vicino al ponte di Vallecrosia me la vidi proprio brutta. Con Achille ["Andrea" Lamberti] ed altri, che adesso non ricordo, caricammo su un carretto la barca per portarla al solito posto nella villa di via S. Vincenzo. La spingemmo su per la salitella che si innesta sulla via Aurelia e svoltammo a destra. Dopo pochi metri, scorgemmo al di là del ponte tre soldati tedeschi, all'altezza del "carruggio" di via Maonaira. Chi era con me fece in tempo a dileguarsi. Io rimasi con le stanghe del carretto in mano. Non potevo scappare e lasciare il carretto perché sarebbe scivolato all'indietro e avremmo combinato un disastro. Con il cuore in gola proseguii. Avvicinandomi mi accorsi che i tedeschi stavano mangiando, meglio: si stavano abbuffando di salame e formaggio. Erano anche un po' bevuti, un po' tanto. Intuii che avevano rubato tutto quel ben di Dio dal vicino magazzino del salumiere Giraudo. Quando mi intimarono l'alt! chiedendomi spiegazioni per la barca, un po' in dialetto, un po' in italiano e tanto con le mani, con fare severo, li accusai di aver rubato salame e formaggio, mentre per i civili non c'era niente, neanche la legna per accendere una stufa, tanto è vero che per scaldarci dovevamo usare il legname della barca. I crucchi accusarono il colpo, come bambini sorpresi con le dita nella marmellata. "Kamarade! Kamarade!" e mi lasciarono proseguire.
Belin! Avevo messo paura ai tedeschi!
Ampelio "Elio" Bregliano, in Giuseppe Mac Fiorucci, Op. cit.