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venerdì 14 marzo 2025

Ghepeu, l'uomo che faceva saltare i ponti

 

Sanremo (IM): un angolo di Via Romolo Moreno

"Ghepeu", al secolo Sergio Grignolio, nato a Vallecrosia (e già questa circostanza meriterebbe qualche approfondimento) il 2 luglio 1926, ma soprattutto fiero abitante di Sanremo, fu un partigiano che godette di una discreta letteratura, a cominciare dalla lunga intervista rilasciata a Mario Mascia per "L'epopea dell'esercito scalzo" (ed. ALIS, 1946), primo libro di storia sulla Resistenza Imperiese, e dalla coincidenza della sua figura - come ribadito in alcune occasioni con colorite sottolineature dallo stesso protagonista - con il personaggio di "Lupo Rosso" ne "Il sentiero dei nidi di ragno" di Italo Calvino. Del resto Calvino si era ritrovato incarcerato con Grignolio quando questi effettuò la prima delle sue due rocambolesche fughe da una prigione nazi-fascista. Mascia mise in evidenza "Ghepeu" come il “bridge blower”, cioè l'uomo che fa “saltare i ponti”, aspetto ripreso da diversi scrittori.
Non evoca, invece, nulla di avventuroso, a ben guardare, la denuncia presentata dallo stesso Grignolio a Liberazione avvenuta, precisamente il 28 agosto 1945, contro una ragazza di Sanremo, dove era nata il 28 marzo 1927, quindi, minorenne, la quale aveva, per timore - per sua ammissione - di essere ritenuta complice, aveva segnalato alle Brigate Nere che nell'abitazione di famiglia di Via Romolo Moreno (nel centro storico della Pigna), abbandonata dai componenti perché sinistrata a seguito dei bombardamenti, pernottavano saltuariamente, tra dicembre 1944 e gennaio 1945, alcuni partigiani, tra cui "Ghepeu". 
 
Copia della pagina qui citata del brogliaccio delle Brigate Nere di Sanremo

Le ispezioni dei militi repubblichini non avevano avuto esiti positivi, ma il loro brogliaccio individuava il comportamento dei garibaldini, che avrebbero utilizzato la casa quale base momentanea, senonché, questi saloini, da inguaribili guardoni, come si evince da altre pagine del loro diario, non potevano trattenersi da usare frasi pittoresche a loro care quali l'attribuire - aggiungendo solo "pare" - a questi patrioti - il "fare baldoria" in un appartamento della limitrofa Via Rivolte prima di passare al già citato rifugio.
Il documento qui richiamato, al pari di quelli quasi tutti menzionati qui di seguito, è una copia, frutto di una ricerca effettuata nell'Archivio di Stato di Genova da Paolo Bianchi di Sanremo.

A Vallecrosia avevano visto la luce anche alcuni collaborazionisti, dei quali si è già detto.

Tra le testimonianze che incrociano "Ghepeu" e Italo Calvino - Pietro Ferrua (in "Italo Calvino a San Remo", Famija Sanremasca, 1991): "Italo Calvino trascorre circa tre notti fra Villa Giulia o Villa Auberg e il carcere di Santa Tecla paventando una fucilazione che lo risparmierà ma mieterà altre vittime. Durante questa breve detenzione si imbatte in Sergio Grignolio..." -, ma anche i fratelli Sughi, Pietro (Pier delle Vigne o della Vigna) e Juares (Leone), partigiani che con il futuro scrittore e con Grignolio avevano condiviso diverse esperienze di vita alla macchia, compresa la breve permanenza nella grotta scavata dal padre di Calvino nella sua campagna di San Giovanni di Sanremo, ce ne sono, pertanto, alcune di Pietro Ferrua, notevole personalità del pacifismo, dell'anarchia libertaria e della cultura, che tuttavia a proposito di un certo O., a distanza di tanti anni dalla fine del conflitto, non si era ancora accorto che si era trattato di una spia fascista, come del resto messo in evidenza anche in un rapporto del 2 giugno 1947 redatto dall’OSS statunitense, contenente verbali degli interrogatori subiti da Ernest Schifferegger (altoatesino, interprete, ex sergente SS), ma quest'ultimo è un atto solo da poco desecretato, mentre altri avrebbero dovuto essere noti da tempo..

Da una fonte occasionale diversa si è di recente avuta la conferma dell'identità del commerciante di Ventimiglia - al quale si è già accennato in un precedente post - in forza con la sigla "VEN.38" - non è chiaro se come agente o se come confidente - all'U.P.I. (Ufficio Politico Investigativo) della G.N.R. (Guardia Nazionale Repubblicana) del regime di Salò.

Aveva la residenza a Bordighera la donna traduttrice (ed interprete) per gli occupanti tedeschi, per i quali lavorò prima a Sanremo, poi ad Ospedaletti: da quest'ultima località avrebbe fornito utili informazioni ad un resistente della città delle palme.

Adriano Maini

lunedì 9 dicembre 2024

Ombrellaio!!!

Ventimiglia (IM): il carro del Dopolavoro di Nervia transita davanti al Teatro Romano per l'edizione 1938 della Battaglia di Fiori. Fonte: Diego Pannoni

C'era una casa, a Nervia di Ventimiglia, più o meno insistente sull'attuale ingresso dell'antico Teatro Romano, demolita concluso il secondo conflitto mondiale, una costruzione che ospitava anche un panificio, dove diversi ragazzi dell'epoca impararono il mestiere. Si fermava spesso ai tempi in quell'operoso laboratorio un ferrivecchi, arrivato da non molto dalla lontana Calabria. Tra l'ospite e gli addetti al forno l'atmosfera era sempre gioiosa, le conversazioni erano sempre amichevoli, gli spuntini erano frequenti. Ma era anche irresistibile la tentazione per gli indigeni di giocare qualche tiro all'immigrato, mettendosi a parlare in dialetto stretto: il divertimento era comunque assicurato per tutti, trattandosi di persona di spirito, destinata di lì a breve a diventare un noto ristoratore della città di confine.

Arturo Viale nel suo "Punti Cardinali. Da capo Mortola a capo Sant'Ampelio" (Edizioni Zem, 2022) si sofferma su di sergente dei granatieri, alto un metro e novanta, il quale, per arrotondare la paga raccoglieva ferro ed ossa (di animali, si suppone!): "il ferro serviva per qualche fucina e le ossa tritate diventavano concime", ma, finita la guerra, riapprodato a Ventimiglia, "aveva deciso di sfruttare l’altezza e si era messo a costruire i pergolati di cannicci per coltivare il verde e le serre in legno".

In quel periodo operava nella zona intemelia di frontiera anche un guaritore, una figura su cui Odovindo Del Bona ha incentrato il suo romanzo "Il mago e le streghe. Vicende dell'estremo Ponente Ligure" (Youcanprint, 2019).
In effetti l'autore (un noto imprenditore del ponente ligure che per l'occasione ha inteso celarsi sotto un nome d'arte) ha innestato dei raccordi di fantasia sulla rievocazione di molte vicende reali della vita del nonno materno (e di questo ramo della sua famiglia): un'opera che merita, invero, qualche successiva specifica presentazione critica più dettagliata.
Qui preme sottolineare due situazioni, estrapolate dal contesto.
L'imposizione fatta al protagonista, nonché a sua moglie ed alla figlioletta, di sopportare la presenza forzata del "comandante Kasper" e di un drappello di soldati tedeschi al piano terra della propria abitazione, un casale parzialmente appena ristrutturato, situato non lungi dal cimitero di Vallecrosia, e di questi e di altri teutonici nel suo terreno adibito ad uso agricolo, ancorché in quei giorni tormentati praticamente abbandonato, un terreno ben presto devastato per l'allestimento di un'officina di riparazione di mezzi pesanti germanici.
E la richiesta del comandante garibaldino Vittò (al secolo Giuseppe Vittorio Guglielmo), quando Pigna era una zona libera partigiana, di curare un suo caro amico che versava colà in gravi condizioni. Il guaritore, che attraversava di continuo gli spazi di patrioti e di nazifascisti in quanto molto richiesto per le sue prestazioni, in quel caso si sentì sul serio incapace allo scopo, ma, con sua somma sorpresa, il suo tentativo ebbe successo: al ritorno fu molto attento a non fare accenni di questa vicenda all'uomo della Wehrmacht, che, anche se riconoscente per la terapia praticata alla sua sciatalgia, era sempre molto sospettoso circa gli spostamenti di chi malvolentieri lo ospitava.

In molti, specie donne, allora ed anche dopo, praticavano rimedi e medicamenti, per lo più con decotti di erbe, per malanni vari: ad esempio, si prestava attenzione ai bambini per i cosiddetti "vermi" (la tenia) ed ai più grandi per slogature, storte alle caviglie ed altri acciacchi muscolari, rispetto ai quali alcuni veri "maghi" sapevano ripristinare condizioni ottimali con la semplice (si fa per dire!), misteriosa imposizione delle mani.

Ma ambulavano, inoltre, da queste parti, come nel resto del Paese, chi sporadicamente, chi più sovente, zampognari (che la mentalità popolare individuava come nunzi di maltempo), arrotini, spazzacamini, pescivendoli (brutto termine ma di uso corrente). In genere si annunciavano con forti strilli in gergo. Un grido, forse, è rimasto più impresso in una certa memoria collettiva, quello di "Ombrellaio!!!". Mestieri in larga misura superati dalle tecniche moderne, comprese quelle che producono beni "usa e getta". Qua e là, tuttavia, si esibiscono ancora colleghi degli amici acrobati e ballerini di Mary Poppins, non del tutto sorpassati dal progresso.

E dalle spiagge si sente pure adesso qualche volta il quasi ancestrale, cantilenante annuncio "Cocco fresco, cocco bello!". Ma anche un più recente - così, almeno, sembra! - "Co! Co! Co! Cocco bello!".

Meriterebbero un capitolo a parte i carretti dei gelati, ma poche parole di una nota canzone intonata da Lucio Battisti hanno già fatto giustizia in merito.

Adriano Maini

sabato 23 novembre 2024

Un po' prima dei carri de "I Galli del Villaggio"


Capita di riprendere in mano un vecchio libro sulla Battaglia di Fiori di Ventimiglia per cercare almeno il nome della compagnia di carristi con la quale aveva collaborato nei primi anni Sessanta - addirittura potendo usufruire di una specifica licenza dal servizio militare di leva - un vecchio conoscente, smemorato, ma nostalgico. Si risolve parzialmente il quesito, individuando il gruppo, ma non - salvo due - i carristi. Ci si è arrivati anche incrociando i dati ricavati dalla lettura con quelli emersi da conversazioni con persone che ben conoscono la strada dove era ubicato il capannone.

A questo punto è doveroso citare il ponderoso volume "Battaglia dei Fiori" di Danilo Gnech, Franco Miseria e Renzo Villa (Dopolavoro Ferroviario di Ventimiglia, Cumpagnia d'i Ventemigliusi, Civica Biblioteca Aprosiana - 1987). Si tratta di una vera e propria miniera di informazioni, che non può, tuttavia, essere del tutto esauriente, proprio per la massa sterminata di notizie, concernenti le brevi analisi di decine di edizioni della manifestazione (dal 1921 al 1938; poi l'interruzione per la guerra; quindi, dal 1948 sino al 1969; poi, le due, una del 1984, l'altra del 1985) e la pubblicazione di centinaia di fotografie, desunte quasi tutte dallo storico archivio di Foto Mariani di Ventimiglia.

Accade che in occasione della mentovata ricerca, venga, altresì, in mente di tentare di appurare le specifiche di carri che, considerate le fotografie - focalizzate sulle persone ritratte, con inquadrature, dunque, solo parziali dei carri - portano a propendere per riferimenti a Bordighera e per una datazione talora risalente ai primi anni Cinquanta.


Ci si inizia, però, a distrarre. Sono troppi i particolari curiosi che si riscoprono nella grande mole di documentazione, solo sfogliata negli anni per parziali consultazioni, o che si notano per la prima volta.
Diventa irresistibile la tentazione di citare alla rinfusa, senza neppure risalire a prima dell'ultimo conflitto, periodo foriero di tanti altri eventi, partigiani e reduci della recente guerra impegnati in qualche modo con i carri; personaggi noti ed altri meno noti, ma caratteristici; carri non solo provenienti da Bordighera - ma questa circostanza è scontata - da Camporosso, da Vallecrosia, cittadine limitrofe della zona intemelia, ma anche, in almeno in un caso da Nizza - o costruito in loco per conto del capoluogo del dipartimento delle Alpi Marittime.
Viene spontanea una divagazione su Vallecrosia, suscitata dalla reminiscenza del racconto di una ex staffetta partigiana, che a suo tempo, per contribuire finanziariamente alla costruzione del carro del suo gruppo, aveva rinunciato a comprarsi l'agognato ciclomotore: i garofani per infiorare all'epoca erano gratuiti - congiuntura sulla quale qualcuno ha scritto pagine molto belle, che sarebbe d'uopo rivisitare - per cui era sufficiente andare a raccoglierli, ma qualche spesa pur sussisteva e, se non si vincevano premi, rimborsi pubblici, anche parziali, pare non sussistessero.
Anche a Vallecrosia si cimentarono sodalizi ispirati da riviste dell'area comunista; anche da Vallecrosia salirono sui carri belle ragazze e gagliardi giovanotti, compreso il negoziante più anarchico che comunista, fine intellettuale che conosceva tutti (tra questi Angelo Oliva, Francesco Biamonti, gli animatori dell'Unione Culturale Democratica di Bordighera). Nel libro "Battaglia dei Fiori" vengono poi citati i fratelli Tardito di Vallecrosia come gruppo carrista: in sostanza, una didascalia a corredo di uno scatto abbastanza buffo del quale basta dire che riprende un motociclo più o meno infiorato, con più persone a bordo, di cui una chiaramente è un uomo travestito (male!) da donna, il tutto per ricreare un soggetto da sfilata dal titolo emblematico (oggi lo si definirebbe molto scorretto) "Le zitelle". Quasi sicuramente gli autori hanno inteso menzionare Elio ed Ivo Tardito, i quali ben conoscevano il commerciante di cui si è già detto, ma di loro va anche rammentato il grande impegno successivamente profuso nel Cine-Foto Club di Vallecrosia, altra associazione che meriterebbe qualche appropriata rievocazione.

Tornando all'argomento dei carri di Bordighera ad inizio anni Cinquanta si sottolinea, a mero titolo indicativo, che nel 1948 avevano già partecipato alla Battaglia di Fiori l'opera "Omnibus dell'Ottocento" della compagnia - o gruppo - Anzio-Sasso, nel 1949 il carro "India" (Sicilia-Parmeggiani) e quello "Corbeille" (Azienda Autonoma Turismo), nel 1950 "Il sedile dei pensieri" (sempre Sicilia-Parmeggiani).  


Con "Tempio proibito" (Giuseppe Tomatis) del 1954 si è, forse, arrivati al primo riscontro positivo tra una fotografia e gli atti, per così dire, ufficiali della Battaglia di Fiori: nell'immagine si vede almeno un protagonista dei futuri trionfi (anni Sessanta) dei carri de "I Galli del Villaggio". Si fa notare di passaggio che si sono fatti scomodare nell'indagine alcuni interlocutori, autorevoli in materia, comunque, rimasti presi alla sprovvista.
Ai carristi de "I Galli del Villaggio" di Bordighera ha reso per lo meno onore Renato Ronco con l'articolo intitolato per l'appunto "I Galli del Villaggio", compreso in (a cura di) Pier Rossi, Racconti di Bordighera - 2, Alzani Editore, 2018.

Rimangono, rispetto ad immagini attinenti la Battaglia di Fiori e Bordighera, altri inediti da appurare, probabilmente, anche errori da rimediare.
Del resto, quello relativo alla desueta manifestazione popolare ventimigliese è un romanzo che ogni persona interessata scrive per conto suo.
Forse, per molti motivi, una storia irripetibile, ma sempre foriera, per chi interessato, di ulteriori spunti narrativi.
E, forse, è meglio che restino ancora nell'alone del mistero le prime due fotografie qui pubblicate, la prima delle quali potrebbe anche essere fuori lo stretto tema.

Adriano Maini

venerdì 4 ottobre 2024

... il Gruppo Sbarchi Vallecrosia

Vallecrosia (IM): la zona del rio Rattaconigli, al confine con Bordighera, teatro di molte operazioni del Gruppo Sbarchi

La conferenza di venerdì 10 maggio 2024 a Sanremo, di presentazione del libro di Giorgio Caudano (con Paolo Veziano), Dietro le linee nemiche. La guerra delle spie al confine italo-francese 1944-1945 (Regione Liguria - Consiglio Regionale, IsrecIm, Fusta editore, 2024), introdotta con un breve cenno alla figura del capitano Gino Punzi, ha focalizzato le complesse vicende - tristemente esemplari - di tre esponenti dei servizi segreti tedeschi di stanza nella città dei fiori, il Gruppo Sbarchi di Vallecrosia, i SIM (Servizio Informazioni Militare) dei partigiani del ponente ligure, l'avidità di spie e delatori, ma il lavoro in questione è di sicuro molto più esauriente.

Il milite della GNR G.B. Cotta, in permesso a Libri, Val Roia, aveva proceduto - come testimoniato in seguito dal maresciallo di finanza Efisio Loi e da due guardie, al fermo con sevizie di due ufficiali inglesi, arrivati da quelle parti perché fuggiti dal campo di concentramento di Fontanellato (PR) e trasferiti per tappe successive sino ad Imperia: con ogni probabilità i due britannici furono tra le tante persone scomparse nel nulla in quel tragico periodo, mentre al Cotta, imputato di altri reati, spettò un premio di 500 lire.

Alipio Amalberti era zio di Pietro Gerolamo Marcenaro, uno dei responsabili del Gruppo Sbarchi Vallecrosia, e fu in contatto con il gruppo di patrioti animato da Lina Meiffret e da Renato Brunati. A danno di Amalberti nel corso della perquisizione fattagli in casa a Vallecrosia il 24 maggio 1944 Giovanni Gallerini, altro milite della GNR, si impossessò "reato commesso con altri... di un marengo d'oro, di 2.950 lire in denaro, di una penna stilografica, di un orologio da tasca in metallo, marca Roscof, convertendo il frutto in proprio profitto". Gallerini partecipò a diversi altri misfatti compiuti dai fascisti repubblichini, ma qui adesso occorre sottolineare che condusse entro pochi giorni (il 5 giugno 1944) dal suo furto alla fucilazione in Badalucco Alipio Amalberti ed altri tre giovani partigiani, dopo averli seviziati, così come percosse brutalmente Meiffret (anzi, con lei fu particolarmente efferato) e Brunati in carcere ad Oneglia. Gallerini ebbe anche a che fare con il maggiore Enrico Rossi, arrestato dalla Guardia Nazionale Repubblicana il 5 giugno 1944 insieme al tenente Alfonso Testaverde ed al tenente Angelo Bellabarba perché tutti ritenuti complici di Meiffret e Brunati, mentre a quella data Brunati era già stato fucilato al Turchino. Il Gallerini risulta condannato all'ergastolo dalla Corte di Cassazione, ma non è dato sapere cosa gli successe dopo, se cioè, come quasi sempre, non vide ben presto ampiamente scontata la sua pena.

Si è fatto sin qui ampio riferimento a dispositivi di sentenze della Corte d'Assise Straordinaria di Sanremo (presidente Vincenzo Montulli), nelle copie di Paolo Bianchi di Sanremo di documenti depositati presso l'Archivio di Stato di Genova: è d'uopo aggiungere che colpisce in queste carte il notevole spazio dedicato a risibili motivazioni giuridiche, veri e propri esercizi da azzeccagarbugli.

Finita la guerra il padre di Bellabarba si rivolse tra gli altri (Emilio Biancheri e Tommaso Frontero di Bordighera) anche a Pietro Marcenaro per ottenere la certificazione di patriota del figlio, deceduto a Monaco di Baviera appena liberato dal lager.

Il 21 luglio 1945 il Gruppo Sbarchi, invero, la SAP di Vallecrosia, ed il CLN, sempre di Vallecrosia, a firma rispettivamente di Achille Lamberti (Andrea) e di Annibale Vedovati - come da attestazione conservata da Arturo Viale - annoverava tra i suoi collaboratori anche il tenente Mario Pecollo, che in precedenza aveva militato tra i partigiani autonomi del maggiore Enrico Martini (Mauri).

Adriano Maini

lunedì 16 settembre 2024

Camicie con la seta dei paracadute

 

Bordighera (IM): la spiaggia ai Piani di Borghetto

Un ex ragazzo dell'epoca, Giulio B., ricordava di come avesse contribuito in tempo di guerra a "fare il sale" con il sistema dell'ebollizione dell'acqua di mare. Si vantava del fatto che talvolta con un suo amico, compagno di avventura, riuscisse a produrre anche cinquanta chili al giorno del prezioso alimento, destinato, pertanto, anche ad essere rivenduto con evidente beneficio economico per le loro famiglie, dunque, non solo per stretto consumo casalingo. Questo capitava ai Piani di Borghetto di Bordighera, quasi al confine con Vallecrosia, e gli attori per andare in scena e procurarsi la materia prima attraversavano con pericolo evidente spiagge minate dai tedeschi. Di più: smontavano alcuni dei citati micidiali ordigni esplosivi - ed un altro pericolo incobente era quello di incappare nella sorveglianza - per estrarre la polvere pirica con cui avviavano al meglio le fiamme per i loro calderoni, in effetti rozzi vasconi fatti con metalli recuperati di fortuna.
Si trattava peraltro di una pratica molto diffusa, non solo nel ponente ligure. Altri racconti hanno fotografato come sede di produzione del sale il settore di sbocco a mare della Galleria degli Scoglietti di Ventimiglia.

Giulio parlava anche del riutilizzo - soprattutto per fare camicie - della seta di paracadute, raccolti frettolosamente, in questo caso non solo da lui, paracadute caduti in gran numero perché trasportavano bengala, quei bengala che in altri racconti ritornano come il terrore di tante persone, timorose di imminenti bombardamenti aerei che, in effetti, in quell'inizio di estate del 1944 - la notte dei bengala -, diversamente, purtroppo, dal prima e dal dopo, poi, stranamente, non ci furono.

Altri ex ragazzi hanno raccontato, rispetto al tormentato periodo bellico, di loro incontri con brigatisti neri della Repubblica Sociale di Salò.
Chi, maltrattato in casa a Vallecrosia, insieme ai genitori, da miliziani che cercavano il fratello maggiore impegnato nelle azioni della locale squadra di azione patriottica (Sap).
Chi, trovatosi con il padre ed il loro accompagnatore del luogo in altura - zona San Martino - tra Vallebona e Soldano alla raccolta di olive - copiose in quell'ultima stagione di guerra - venne fermato con i due adulti da una squadra di brigatisti neri alla ricerca di partigiani. I grandi furono sospettati di connivenza con i ribelli, sennonché un saloino, riconosciuto quel genitore, garantì per tutti, ponendo termine alla brutta disavventura.

Terminato il conflitto, Giulio lavorò anche allo sminamento, ormai logicamente praticato su larga scala e remunerato, impegno che gli venne prontamente inibito dalla madre appena ne venne a conoscenza, e l'ex milite fascista, che aveva tolto dai guai i raccoglitori di olive, trovò occupazione presso una nota distilleria di profumi della zona.

Adriano Maini

mercoledì 11 settembre 2024

C'era un bar...

Vallecrosia (IM): la zona del "Ponte"

C'era un bar sul "Ponte" di Vallecrosia, dapprima ubicato a settentrione, poi spostato dall'altra parte della Via Aurelia. Nell'ultima sistemazione aveva nel seminterrato una sala che a lungo rappresentò per quella cittadina l'unica occasione per riunioni di carattere politico, sociale e culturale, tanto è vero che è tuttora ben ricordata dagli animatori dell'Unione Culturale Democratica di Bordighera, che tra quelle mura mosse i suoi primi passi. Ma anche quell'esercizio ebbe tra i clienti più assidui alcuni protagonisti della più normale vita sociale della zona.

Via Dante a Ventimiglia, da molte persone ancora adesso chiamata Via Regina, fornisce talora l'occasione, in quanto pregresso sito di residenza, per fare ritrovare qualche vecchio amico, magari rientrato in vacanza da fuori regione. Più spesso questo appuntamento viene dato non proprio in loco, ma la motivazione scaturisce sempre dalla vecchia appartenenza a quella strada o alle sue immediate vicinanze. Come sovente capita in questi casi, un punto di riferimento per le pregresse frequentazioni era un pubblico esercizio, all'inizio una latteria, presto affiancata da un vero e proprio bar, gestito dalla famiglia di due dei nostri personaggi. Anche questi ultimi si esibirono nei gruppi musicali degli anni Sessanta, con altri giovani del posto o del comprensorio, in genere con buoni risultati di carattere locale, messi in evidenza, al pari di altri aspetti qui riferiti, ad esempio, da Gaspare Caramello in un suo scritto di quasi venti anni fa. Non poteva mancare, infatti, in Via Regina, né poco lontano, qualche capannone per la costruzione di carri per la Battaglia di Fiori, in cui si diedero da fare quasi tutti i richiamati ragazzi, mentre altri tra di loro preferirono affinare le competenze da carristi in altre parti della città.

C'era un bar a Nervia di Ventimiglia, l'unico bar in pratica della località sino agli inizi degli anni Sessanta, ma che aveva la singolarità di essere stato dotato da subito di un televisore. A detta di una persona della famiglia di quella proprietà fu proprio la presenza di quell'apparecchio a determinare notevole affluenza a quel locale. Vista la variegata composizione dei clienti, provenienti anche da Bordighera, viene da dubitare della serietà di quella affermazione, ma rimane il fatto che gli echi di quelle frequentazioni sono sparsi per tutto il comprensorio intemelio. Non mancavano tra quegli avventori gli ideatori di memorabili scherzi, giocati pure alle spalle di ignari vigili urbani, né gli animatori di una compagnia di carristi della Battaglia di Fiori. Quando per ripicca alle ennesime vibranti proteste della padrona per il chiasso prodotto da quelle allegre compagnie i capifila di una di queste decisero che era ora di aprire un nuovo esercizio dall'altra parte della Via Aurelia questo venne fatto: con il risultato che, come quasi sempre in casi del genere, qualcuno prese ad alternare la sua presenza tra i due locali, ma che il teatrino - non solo goliardico - si era definitivamente spostato.

C'era un bar ai Piani di Borghetto in Bordighera, la cui squadra di calcio - all'epoca composta rigorosamente da non tesserati alla Federazione, tra i quali un noto ristoratore, appassionato di musica melodica, un valente commercialista, diversi floricoltori, più o meno fortunati - vinse almeno un torneo estivo a metà degli anni Sessanta, un periodo in cui alcuni giovani frequentatori potevano già essere annoverati tra i carristi de I Galli del Villaggio.

Ci sono stati in questi luoghi di confine, come in tutte le parti del Paese, bar, osterie, bettole (e non sempre vere e proprie: il pregresso Premio - artistico e letterario - "Cinque Bettole" di Bordighera aveva un titolo alquanto autoironico). Oggi sempre meno, con prevalenza, forse, di pub e di semplici punti di ristoro. Resiste a Ventimiglia il caffè delle elites cittadine, ma da decenni è chiuso quello, posizionato a fianco del (ormai ex) Mercato dei Fiori e preferito da tanti operatori, tra i quali Libero Alborno, il Libero rivisitato in chiave di fantasia da Nico Orengo nel suo "La curva del Latte". Altri esercizi si sono trasformati nel senso sopra indicato. Non ci sono più - o quasi -  ritrovi di artisti e di letterati.

A tornare, in ogni caso sfiorandola, in una dimensione di cultura più popolare sono utili ulteriori esempi, che prescindono, tuttavia, da bar che sono stati semantici di sindacato e di politica progressista. Quando si tornò ad organizzare la Battaglia di Fiori di Ventimiglia - oggi di nuovo sospesa - si fece quasi vorticoso il passaggio di carristi, anche per la rapida chiusura di compagnie e per la formazione di nuove, da un gruppo all'altro. E qualcuno tornava da fuori, prese le ferie, per dare una mano, quella già affinata in gioventù. Ci sono pensionati che si emozionano a vedere fotografie ormai ingiallite che ritraggono in una tipica osteria di Bordighera, ormai scomparsa, persone vicine di casa o comunque un tempo note. Si possono citare - sempre a titolo indicativo - tra i tanti clienti dei bar indicati le persone che con il passare degli anni sono diventate chi collezionista di fumetti e chi di dischi, chi disegnatore di argute vignette satiriche, chi bravo coltivatore di orchidee, chi dirigente di circolo velico, chi scrittore di romanzi polizieschi, chi stimato storico, chi ricercatore di vicende locali con l'occhio attento all'individuazione di fotografie in tema.

Adriano Maini

lunedì 15 luglio 2024

A Vallecrosia c'è ancora la vecchia casetta...

A Vallecrosia c'è ancora la vecchia casetta da cui si proiettavano un tempo le pellicole di un cinema all'aperto: anzi, è ancora conservato il foro adattato allo scopo.


Gli spettacoli avevano luogo a ridosso dell'ormai demolito Mercato dei Fiori, situato in pratica sul confine con Camporosso.


A Ventimiglia una rinomata enoteca nello stesso posto esisteva già negli anni Trenta del secolo scorso, probabilmente meno elegante di oggi, perché allora era una semplice osteria o giù di lì, mentre adesso si presenta come un locale alla moda, molto alla moda: si raccontava di una mula che si fermava da sola davanti all'esercizio per consentire al conduttore - non proprietario - di bersi colà in santa pace un bel bicchiere di vino. Quanti avvenimenti sono accaduti e quante persone si sono avvicendate tra quelle mura! In proposito, Gaspare Caramello vi ha proprio ambientato gran parte di un suo racconto, molto interessante e assai divertente.


Sempre a Ventimiglia, il Mercato dei Fiori c'è ancora come denominazione - riportata con orgoglio sul frontone di ingresso - ma da tanto è un mercato annonario, anzi, un mercato coperto attrezzato: anche volendo, non vi si potrebbero più tenere le favolose serate danzanti di cui si tramanda ancora l'eco.
 

A Bordighera almeno una delle storiche fontane - quella di zona Villa Ortensia - è stata spostata, anche per più di cento metri, in prossimità di dove sorgeva il capannone per la costruzione dei carri, destinati a sfilare alla Battaglia di Fiori di Ventimiglia ed approntati dalla compagnia "I Galli del Villaggio": non ci sono più in loco - o non possono più aspirare ad essere tali - utenti alla ricerca di acqua fresca, forse sorgiva...
 

... sorgiva di sicuro nel caso della vecchia fontana - e già abbeveratoio per animali - di Via Romana, in prossimità della Civica Biblioteca Internazionale, sempre meta di appositi pellegrinaggi di squisiti intenditori del prezioso liquido.

Adriano Maini

venerdì 21 giugno 2024

Di aerei e di colline nella zona Ventimiglia-Bordighera durante l'ultima guerra

Bordighera (IM): uno scorcio di Piazza del Popolo

Un gruppo di bambini, mentre giocava vicino alle sponde del torrente Borghetto in prossimità della Via Romana di Bordighera, vide cadere un aereo in collina. Si affrettarono a salire, spinti dalla pericolosa curiosità, naturale in quella fase della vita umana, ma furono respinti dai soldati tedeschi accorsi ben prima sul sito dell'impatto. Riuscirono, tuttavia, a capire che il pilota era rimasto immolato con l'apparecchio; forse, addirittura, riuscirono a scorgerlo da lontano. Un recente articolo, apparso sulle pagine locali di un noto quotidiano nazionale, rispolvera la vicenda, fornendo diverse informazioni tecniche e storiche, reperite dal giornalista, ma non indica il punto preciso della conclusione di quel disastro. D'altronde, le scarse notizie reperibili sul Web sino a pochi giorni fa erano - e rimangono - contraddittorie. Fuori discussione  la data del tragico evento, 12 settembre 1944, il nome della vittima, Lewis K. Foster, il tipo di aereo, Republic P-47D-23-RA Thunderbolt, la nazionalità di entrambi, statunitense, la località di partenza, Poretta, Corsica, la squadriglia, il gruppo e così via. Una fonte sostiene che il caccia in questione - di questo tipo di apparecchi si trattava - "si schiantò mentre mitragliava il bersaglio ad un miglio a nord est di Bordighera"; un'altra, quella più ricca di dettagli, mentre conferma la precedente asserzione, aggiunge che l'aereo "era stato visto l'ultima volta ad un miglio, un miglio e mezzo a nord ovest di Bordighera". In effetti, nell'articolo citato ci sono ampi riferimenti al rapporto di un altro pilota, di cui si fa pure una breve storia di quella e di altre avventure di guerra, un pilota, il tenente John M. Lepry, che, mentre la squadriglia era in picchiata, aveva sentito dietro di sé l'esplosione del mezzo guidato da Foster, senza poterne capire le cause. Il giornalista fa ruotare il suo pezzo intorno al fatto che si sia persa la memoria di questo tragico evento. 

Eppure, qualcuno nella vicina Vallebona ancora ricorda che un compaesano parlò diverse volte di essere accorso, mentre lavorava in un appezzamento di terreno dalle parti della collina Mostaccini di Bordighera, sul luogo di un disastro aereo, riuscendo anche a vedere il cadavere straziato del pilota, di cui raccontava anche particolari raccapriccianti. Il Notiziario, invece, della fascistissima Guardia Nazionale Repubblicana (G.N.R.) aveva comunicato il 1° ottobre ai capoccia di Salò che il mezzo incursore 'precipitava in località "Camporosso". Un pilota caduto e l'altro, ferito gravemente, è stato catturato'. C'è da dubitare che sul singolo aereo i piloti fossero stati due. Millantato credito?

Anche Mario Armando, all'epoca del fatto quindicenne, visse più o meno l'episodio come i bambini di cui sopra. Nel suo racconto, pubblicato qualche anno fa in Paize Autu, Periodico dell’Associazione “U Risveiu Burdigotu”, appare anche un preciso riferimento ai colpi di mitraglia - forse quelli decisivi - sparati dalla torre di avvistamento (il Semaforo) approntata dai tedeschi in Piazza del Popolo nel centro storico (Paese Alto) di Bordighera. Armando quel giorno stava proprio lì a giocare con degli amici a pallone, un pallone messo a disposizione da una recluta austriaca di 17 anni, per combinazione addetto a quella postazione e che in quel frangente non poteva certo unirsi come d'abitudine ai compagni di calcio. Questi ultimi - dunque, partendo da levante - cercarono di arrivare sul luogo dell'impatto del caccia, ma vennero anche loro respinti dai soldati tedeschi.

In quel torno di tempo, più o meno, a distanza in direzione ovest di circa due chilometri lungo la linea di costa, sulla piccola collina di Collasgarba, divisa tra Ventimiglia e Camporosso, anche questa affacciata su di un torrente, in questo caso il Nervia, un gruppo di bersaglieri della repubblica fascista di Salò, capeggiati dal sergente Bertelli, stava maturando la convinzione di disertare, ma alcuni patrioti li convinsero a rimanere al loro posto per aderire in modo clandestino alla Resistenza: con la discesa al mare ad un presidio in Vallecrosia questa loro scelta si rivelò molto utile per il buon esito di diverse missioni di contatto dei partigiani con gli alleati insediati nella vicina Francia.

Non si sentiva molto sicuro - racconta il figlio Massimo - Stefano Leo Carabalona, mentre si trovava a bordo di un apparecchio a compiere una ricognizione su Pigna e dintorni, forse foriera dei bombardamenti di fine dicembre 1944 su questo centro della Val Nervia, che dovevano colpire obiettivi militari strategici - secondo lo storico Giorgio Caudano eliminare - uno scopo fallito - il generale Lieb, comandante della 34^ Divisione dell'esercito tedesco, quella di stanza nel ponente ligure -, ma che uccisero, invece, cinque donne ed una bimba di 21 mesi e causarono vari danni, pesanti per un piccolo paese. Non si sentiva sicuro Carabalona, non perché temesse la contraerea tedesca, probabilmente installata in seguito, ma per la fragilità del mezzo. Eppure Carabalona era stato coraggioso - e decorato con due medaglie di bronzo al valor militare - in guerra come ufficiale del Regio Esercito, un eroe partigiano nella difesa di Rocchetta Nervina, un protagonista delle battaglie di Pigna - e verso l'epilogo di queste riusciva a dare precise indicazioni alla Missione FLAP - battaglie che portarono alla costituzione della Libera Repubblica democratica dalla vita, purtroppo, breve, ed era appena sbarcato in Francia come responsabile del collegamento della V^ Brigata partigiana "Luigi Nuvoloni" con i comandi alleati di Nizza. Neppure immaginava che, appena rientrato in Italia, sarebbe stato gravemente ferito a febbraio 1945 in un agguato a Vallecrosia e che sarebbe occorso quasi un mese perché i sappisti del Gruppo Sbarchi Vallecrosia riuscissero via mare a portarlo definitivamente in salvo per avere infine le cure del caso a Nizza.

Del resto, la lunga strada per la Liberazione passò anche in provincia di Imperia, da un capo all'altro, per bombardamenti aerei e navali - anche con artiglierie di terra in prossimità del confine - , non sempre mirati su obiettivi militari, sempre con effetti devastanti sulla popolazione civile.

Adriano Maini

giovedì 4 gennaio 2024

Ufficiali garibaldini di Spagna a Vallecrosia

A destra, Cesare Menarini in Spagna. Fonte:  AICVAS

Giuseppe Mosca in Spagna. Fonte:  AICVAS

Di Cesare Menarini e di Giuseppe Mosca e della loro militanza come volontari delle Brigate Internazionali a difesa della Repubblica Spagnola si potevano rinvenire un tempo ampie citazioni non solo nel classico libro di Luigi Longo, ma anche in uno di Giorgio Amendola. Con l'avvento del Web si possono trovare su di loro ancora più notizie, come si riporta più avanti.

Menarini e Mosca hanno avuto la singolarità di avere vissuto a Vallecrosia; Mosca più a lungo, prima di tornare a Biella, sua zona natale;  Menarini, invece, per tanti anni rimase nel ponente ligure, prima a Sanremo, poi, come detto a Vallecrosia, infine a Ventimiglia.

Certo, nella Guerra Civile di Spagna furono una quarantina i combattenti antifascisti imperiesi, arruolati nelle Brigate Internazionali. Non ebbero, tuttavia, la notorietà di Menarini e di Mosca, a loro volta meno ricordati in provincia di Imperia rispetto a Lorenzo Musso (Sumi), che durante la lotta di Liberazione divenne Commissario Politico al Comando Operativo della I^ Zona Operativa Liguria, ma soprattutto a fronte di Giuseppe Vittorio Guglielmo (Vittò, Ivano), comandante della II^ gloriosa Divisione Garibaldi "Felice Cascione" e neppure in riguardo di Carlo Farini (Simon), anch'egli già in Spagna, vice comandante del Comando militare unificato ligure, in precedenza comandante della I^ Zona e della II^ Operativa Liguria, il quale in provincia di Imperia durante la Resistenza ci era arrivato, per così dire, da emigrato.

Menarini Cesare di Pietro e Malagoli Maria, 5/10/1907, Città  del Lussemburgo. Autista, comunista. Cittadino italiano nato in Lussemburgo, nel 1915 rientra a San Felice sul Panaro insieme alla famiglia, originaria del Modenese. Il 13 gennaio 1923 espatria con regolare passaporto in Francia, raggiungendo il padre, emigrato per lavoro l'anno precedente. Si stabilisce prima a Homécourt, nel dipartimento della Meurthe e Mosella, fino al 1926, poi a Le Plessis-Trévise, nel dipartimento della Valle della Marna, nella regione dell'Ile-de-France, dove nel 1926 entra nella Federazione giovanile del Partito comunista francese e poco dopo nei Gruppi di lingua italiana del PCF. Nel 1928 si trasferisce a Le Blanc-Mesnil, nel dipartimento della Senna-Saint-Denis, sempre nella regione dell'Ile-de-France, dove svolge un'intensa attività  antifascista tra l'emigrazione italiana fino all'ottobre 1936, quando decide di partire per difendere la Spagna repubblicana e si imbarca dal porto di Marsiglia sulla nave "Ciudad de Barcelona”. Sbarcato ad Alicante, raggiunge in treno Albacete, dove è arruolato nel battaglione Garibaldi, 1. compagnia, per poi passare alla 2. e alla 3. compagnia. A novembre combatte a Cerro de los Angeles e a Casa de Campo, dove il 20 novembre è ferito da una pallottola alla spalla sinistra. Dopo il ricovero negli ospedali di Madrid e di Valencia, nel gennaio 1937 torna al fronte e combatte alla Città  Universitaria, a Puente de Segovia, a Carabanchel, ad Arganda, sul Jarama, a Morata de Tajuna e a Guadalajara. Passato alla Brigata Garibaldi, il 31 maggio 1937 è promosso sergente e combatte a Huesca, a Brunete e in Catalogna. In seguito è al servizio della Delegazione della Brigate Internazionali a Valencia e poi, dal settembre 1937 al giugno 1938, alla Censura militare delle Brigate Internazionali, a Godella, in provincia di Valencia, e a Barcellona, nel quartiere di Sarrià. Il 10 novembre 1937 è promosso tenente e si reca alla base di Quintanar de la Republica, che lascia il 19 novembre per tornare in servizio. Nel febbraio 1938 è ferito al lato destro della testa da una scheggia durante un bombardamento aereo su Valencia ed è ricoverato all'ospedale militare cittadino. Il 4 aprile 1938 è promosso ancora e raggiunge il grado di capitano. In agosto si frattura il piede destro a causa di un bombardamento aereo su Barcellona ed è ricoverato in ospedale. Il 20 agosto 1938 esce dalla Spagna per infermità  e rientra nella sua abitazione a Le Blanc-Mesnil. Il 24 agosto gli viene tolto il gesso al piede all'ospedale di Versailles. Guarito, riprende il lavoro di operaio edile. Nel 1940 è responsabile del Partito comunista per il settore Parigi-Nord (Le Bourget, Le Blanc-Mesnil, Aubervilliers, Drouot, Bobignye e altri comuni) e durante il periodo dell'occupazione tedesca organizza un gruppo antinazista clandestino che distribuisce il bollettino ciclostilato "La Voce degli Italiani" e materiale di propaganda francese. Nel settembre 1940, la sua casa è perquisita dalla polizia, ma riesce a sfuggire l'arresto e viene ospitato per alcuni mesi da compagni di partito. Nell'agosto 1941 il Centro estero del Pcd'I lo invia in Italia con materiale di propaganda comunista nascosto in un baule con doppio fondo. Dopo un primo periodo presso dei parenti a Mirandola, il 7 marzo 1942 sposa Anna Polloni e si trasferisce a San Felice, dove lavora nel magazzino per l'ammasso della canapa, da dove diffonde materiale di propaganda comunista. Entrato nella Resistenza con il nome di battaglia "Andrea", è commissario politico di brigata della Divisione Modena Armando. Riconosciuto partigiano combattente dal 1 ottobre 1943 al 31 maggio 1945 (dal 1 ottobre 1943 al 24 febbraio 1944 con il grado di sergente maggiore, dal 16 marzo 1944 al 31 maggio 1945 con il grado di maggiore). Dal 1945 al 1948 è sindaco di San Felice sul Panaro. Successivamente impiegato comunale all'ufficio delle imposte di consumo, nel 1956 è licenziato per attività  sindacale e decide di tornare a lavorare all'estero, in Svizzera, Germania e Francia. Nel 1962 si stabilisce a Sanremo, poi si sposta a Vallecrosia e infine a Ventimiglia, dove muore l'11 aprile 2002.
Eventi a cui ha preso parte
[nella guerra civile spagnola]:
Battaglia di Cerro de los angeles (Cerro Rojo)
Battaglia di Casa de campo
Battaglia della Città  universitaria di Madrid
Battaglia di Arganda del Rey
Battaglia del Jarama
Battaglia di Morata de Tajuña
Battaglia di Guadalajara
Battaglia di Huesca
Battaglia di Brunete
Annotazioni: Secondo il "Dizionario storico dell'antifascismo modenese", vol. 2: "Biografie", nell'estate 1941 il gruppo antinazista organizzato da Menarini in Francia fu incorporato nel Front National clandestino.
Istituto Nazionale Ferruccio Parri

Mosca, Giuseppe
Di Giovanni e di Aurelia Cristianelli. Nato l'11 gennaio 1903 a Cossato, residente a Chiavazza (Biella) fin dall'infanzia, fonditore. Iscrittosi alla Camera del lavoro e successivamente alla gioventù comunista, fu un militante molto attivo. Costretto, dopo ripetuti scontri con i fascisti, alla vita clandestina, il 27 novembre 1927 fu arrestato a Torino con l'accusa di appartenenza al Partito comunista e diffusione di stampa sovversiva nelle fabbriche della città: deferito al Tribunale speciale, fu assolto in istruttoria il 6 luglio 1928 per insufficienza di prove. In seguito resse l'organizzazione del partito nel Biellese. In procinto d'essere arrestato, in seguito alla scoperta di un gruppo clandestino operante nel basso Biellese e nel Vercellese, cui aveva fornito materiale e direttive, nel novembre 1932 riuscì ad espatriare illegalmente in Francia, dove si stabilì a Villeurbanne. Fu iscritto nella "Rubrica di frontiera". Nel marzo 1934, in seguito ad indagini dell'Ovra che portarono all'arresto, in Piemonte e Lombardia, di ventisei comunisti, tra cui alcuni biellesi, fu denunciato al Tribunale speciale, in stato di latitanza, per attività comunista. Il 19 novembre 1936 si arruolò nel battaglione "Garibaldi". Combatté a Boadilla del Monte, Mirabueno, Arganda, Guadalajara, dove rimase ferito. Rientrato nella formazione, nel frattempo trasformatasi in brigata, fu inquadrato nella 2a compagnia del 2o battaglione, con il grado di sergente. Combatté ancora a Huesca, Brunete, Farlete, Belchite, Fuentes de Ebro, Caspe e, promosso tenente nell'aprile del 1938, in Estremadura e sul fronte dell'Ebro. Tornato in Francia nel febbraio del 1939, fu internato a Saint Cyprien, Gurs e Vernet d'Ariège. Rimpatriato il 23 settembre 1941 e tradotto, in stato di arresto, a Vercelli, il 19 novembre fu condannato a cinque anni di confino. Inviato a Ventotene (Lt), fu liberato dopo la caduta del fascismo. Partecipò alla Resistenza nella brigata Sap biellese "Graziola" come commissario di battaglione. Riportò una ferita. Dopo la Liberazione svolse attività sindacale nella Fiom e politica nella Federazione comunista di Biella. Morì il 18 luglio 1992 a Biella.  Fonti: Acs, Cpc, fascicolo personale; Acs, Confinati politici, fascicolo personale; Acs, Ps aaggrr, cat. K1b-45; Apci, I comunisti italiani nella guerra di Spagna, b. 7, vari elenchi; Anello Poma, Antifascisti piemontesi...; Quaderno Aicvas n. 7. Biografato anche nell'Enciclopedia dell'Antifascismo e della Resistenza e citato anche in: I comunisti biellesi nella lotta contro il fascismo; Giacomo Calandrone, La Spagna brucia; La Resistenza nel Biellese; Quaderno Aicvas n. 2; Quaderno Aicvas n. 3; 60 anni di vita della Federazione biellese e valsesiana del Pci... Si veda inoltre Autobiografia di una guerra civile. Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli 

Adriano Maini

sabato 23 dicembre 2023

Certe idee...


Viene risparmiata all'occasionale lettore la sequenza completa di fotografie di avvenimenti successi intorno alla rotonda dei Piani di Borghetto in Bordighera qualche mattina fa.
Si ritrovarono a districarsi a quel crocevia - in un caso con l'assistenza di un appartenente al corpo di polizia urbana - gli autisti di due pullman turistici, dei quali non è dato sapere se avessero ignorato il divieto di introdurre nella città delle palme automezzi pesanti dal casello autostradale, posto in collina e collegato al centro urbano da strade piene di curve (ed una anche molto stretta), o se fossero stati indotti in errore da qualche gps, che li aveva indirizzati a qualche giro tortuoso.


La gentile signorina su monopattino elettrico si era fermata per consentire al fotografo amatoriale (molto amatoriale!) di inquadrare un soggetto di sicuro da lei non identificato: non poteva immaginare che quel tipo non aspettava altro che riprenderla da tergo, là sul Lungomare Argentina di Bordighera!


Certe idee forse possono essere venute ritrovando e rivisitando scatti compiuti per distrazione in un'altra passeggiata a mare, quella di Vallecrosia.


Così, già ad ottobre scorso in regione Arziglia di Bordighera...


Per non dire di novembre, sugli scogli di Sant'Ampelio, sempre a Bordighera.


Tratto il dado, al mercatino di inizio dicembre, a Bordighera, lungomare...


Un angolo di una strada di campagna di San Biagio della Cima induce a pensare a qualche forma di composizione di arte moderna.


In una rassegna del genere non ci si può privare della visione di almeno una coppia di ciclisti amatoriali.


Poteva, poi, per parità di genere, mancare un altro monopattino?


Lavori in corso, invece, sulla Passeggiata Trento e Trieste a Ventimiglia.
 

 
 






Nelle vicinanze, per la precisione, in Lungomare Varaldo, quel tale giorno di due settimane fa ci si poteva anche imbattere in tarda mattinata in ragazze a spasso, ciclisti amatoriali e non, amabili conversari in riva al mare, confidenze tra vicini di quartiere (ancorché separati da una staccionata), convenevoli da pubblico esercizio.

Adriano Maini

lunedì 8 febbraio 2021

My God! Potevamo esplodere tutti!

Francesco Garini e Ampelio Bregliano, partigiani a Negi, Frazione di Perinaldo (IM) - Fonte: Fiorucci, Op. cit. infra

Nell'autunno del 1943 ricevetti la cartolina di arruolamento nell'esercito della RSI fascista. Proprio non mi andava di fare una guerra che si rivelava sempre più sbagliata.
Mi nascosi - io di Vallecrosia (IM) - in una casa di amici di famiglia a Rocchetta Nervina [in Val Nervia], dove incontrai il figlio del maestro Garibaldi, ufficiale dell'esercito con il quale andai a Carmo Langan ad arruolarmi nei partigiani.
Partecipai alla occupazione di Perinaldo [(IM)] dove sequestrai un... toro! La fame nel paese era tanta e di cavoli e rape ne avevo fin sopra ai capelli. Un fascista di Perinaldo possedeva un toro: glielo requisii. Fu macellato e diviso con la popolazione. Finalmente un po' di carne per tutti!
La fame è il ricordo indelebile di quel periodo.
Un giorno stavamo cuocendo qualcosa, quando si sentì urlare: "Allarme! Allarme! I tedeschi!".
Tutti scapparono e Girò [Pietro Girolamo Marcenaro] ordinò di salvare le armi: io salvai la pignatta che cuoceva sul fuoco!
 

Fonte: Fiorucci, Op. cit. infra

Un giorno mi fu ordinato di sorvegliare la strada per Pigna perché dovevano scendere dei partigiani, forse perché accompagnavano ufficiali alleati [primi di ottobre 1944]. Mi lasciarono sul ponte del Nervia al bivio per Rocchetta [Nervina (IM)] con due pecore e due  capre per fingermi pastore al pascolo. Tutto andò bene, solo che alla sera le bestie non volevano saperne di ritornare al paese.  Anche altre volte usai lo stesso stratagemma del pastore per visionare luoghi e sentieri e tracciare così percorsi alternativi per eludere i tanti posti di controllo fascisti.
Dopo quella avventura, Girò mi disse che occorreva mandare dei partigiani dagli alleati nella Francia liberata per stabilire rapporti e trasportare armi per i garibaldini. Come? Di notte, con un gozzo, remando da Vallecrosia a Monaco.
I Lilò [i Fratelli Biancheri di Bordighera (IM), Bertù Bartolomeo ed Ettore, martiri della Resistenza] avevano "agganciato" i bersaglieri che erano passati dalla nostra parte. Fregammo una barca dal deposito sottostrada vicino alla Casa Valdese [di Vallecrosia (IM)] e la portammo al mare. Con molta circospezione e furtivamente mettemmo in acqua la barca che ... affondò.
In attesa di poter fare qualcosa, la ancorammo sul fondo riempiendola di pietre per non farla portar via dalla corrente.
 

Il citato presidio dei bersaglieri e, al centro, il vecchio macello di Vallecrosia - Fonte: Fiorucci, Op. cit. infra

I due edifici prima citati, al giorno d'oggi

Intanto stava albeggiando e non potevo ritornare né in montagna né a casa, perché era in corso un vasto rastrellamento dei fascisti. Con Renzo [Gianni] Biancheri "u Longu" ci nascondemmo nel macello a fianco della ... caserma [invero, un semplice presidio] dei bersaglieri.
Passammo due giorni appollaiati e nascosti sulle travi del tetto tra le catene, le carrucole e i ganci.
Poi finalmente Girò e gli amici prepararono la barca e partimmo. Era dicembre [1944] e tra i compagni di viaggio ricordo sicuramente Luciano "Rosina" Mannini.

Ampelio "Elio" Bregliano, in Giuseppe Mac Fiorucci, Gruppo Sbarchi Vallecrosia <ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia - Comune di Vallecrosia (IM) - Provincia di Imperia - Associazione Culturale "Il Ponte" di Vallecrosia (IM)>, 2007  

Rosina (Luciano Mannini) racconta: “Il servizio di informazioni militari, esplicato dalla missione «Leo» in Italia con i comandi alleati, ebbe inizio alla fine del settembre 1944, con l’arrivo nella zona della V^ Brigata [d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” della II^ Divisione “Felice Cascione”] di ufficiali americani ed inglesi giunti attraverso i passi montani dal Piemonte, ove erano stati paracadutati. Il capitano Leo [Stefano Carabalona], attestato allora a Pigna, comandante del distaccamento che li ospitava e che provvide in seguito a farli condurre - parte attraverso i valichi alpini e parte via mare - in Francia, stabilì col capo della missione alleata [Missione Flap] i primi accordi che dovevano condurre alla formazione di un gruppo specializzato che collegasse, per mezzo di una rete segreta, la nostra zona a quella occupata dagli alleati e fungesse da centro di raccoglimento e di smistamento di notizie militari e politiche interessanti la lotta”. La missione Leo alla quale appartenevano Rosina, Lolli [Giuseppe Longo], Giulio [Corsaro/Caronte] Pedretti, ed alcuni altri giovani che si erano temprati nelle lotte di montagna, si portò a Nizza nel [il 10] dicembre 1944, dopo due mesi di utile lavoro preparatorio, per mezzo della leggendaria imbarcazione guidata dall’infaticabile «Caronte» Giulio Pedretti e da Pascalin [Pasquale Pirata Corradi, di Ventimiglia (IM), come Pedretti]. A Nizza, Leo si incontra con i responsabili dei servizi speciali alleati e prepara il piano definitivo di lavoro, che comportava, fra l’altro, l’uso di apparecchi radio trasmittenti, per i quali la missione aveva già predisposto gli operatori. Nel gennaio 1945 la missione rientra in Italia, dove il terreno era già stato preparato in anticipo. Si organizza e comincia a funzionare in pieno… 
Mario Mascia, L’Epopea dell’Esercito Scalzo, Ed. ALIS, 1946, ristampa del 1975 a cura dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia

In parallelo agli aviolanci alleati, ma con con maggiore assiduità, avevano luogo sbarchi di materiale bellico nella zona di Vallecrosia-Bordighera. I volontari che si occuparono di tali trasporti appartenevano al gruppo di “Leo“, che fungeva da tramite tra i garibaldini e la missione alleata in Francia. Giulio Pedretti fu il partigiano che più di ogni altro si impegnò in tali operazioni, al punto che alla fine della guerra aveva effettuato 27 traversate per recapitare armi e uomini attraverso il tratto di mare prospicente la zona di confine italo-francese.     Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945),  Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia,  Anno Accademico 1998-1999

Remammo a turno e sbarcammo a Monaco Principato bagnati fradici, perché durante il viaggio aveva cominciato a piovere. Tre o quattro volte alla settimana ci conducevano oltre Nizza, a Gattières, per addestrarci all'uso degli esplosivi al plastico e alla esecuzione di sabotaggi. In mezzo agli ulivi avevano anche costruito un breve tratto di ferrovia per insegnarci a far saltare i binari.
Alla fine del corso ci avvisarono che alla prossima lezione avremmo dovuto presentare una sintesi, un rapporto di quello che avevamo imparato.
Avevo imparato,  ma scrivere non è mai stato il mio forte. Con un panetto di plastico modellai un bel  portacenere che colorai di bianco con della farina. La mattina dell'esame lo posi sul tavolo in bella mostra con cenere e 4 o 5 mozziconi di sigarette.
Fumando una sigaretta dietro l'altra Lamb [ufficiale alleato] cominciò a esaminare i lavori dei miei compagni, poi mi chiese dove era il mio lavoro. "L'ho già consegnato!". Il maggiore [Lamb] sfogliò i fogli alla ricerca del mio scritto. Si inalberò e mi chiese duramente dove era. Indicando il portacenere ormai colmo delle sue  cicche, risposi che ce lo aveva proprio davanti.
"Ma questo è un portacenere!"
"Si! Però è fatto con esplosivo al plastico!"
Il self-control tipico degli inglesi non lo soccorse. Scattò dalla sedia balzando all'indietro: "My God! Potevamo esplodere tutti!"
"In questo caso, signor maggiore, sarebbe stata colpa sua, perché lei ci ha insegnato che il plastico esplode solo se innescato con un detonatore e non per contatto con la semplice fiamma."
Promosso a pieni voti!
 

Bregliano a Le Petit Rocher - Fonte: Fiorucci, Op. cit.

Vicino a Le Petit Rocher [a Villefranche-sur-Mer, Alpes-Maritimes] c'era un'altra villa disabitata, Villa Iberia. Dalle finestre vedevamo il salone spoglio di ogni mobilio con solo un grande pianoforte a coda al centro.
 


Quasi tutti i giorni veniva un signore. Secondo me era il Principe Ranieri di Monaco e se non era lui era il suo sosia! Suonava per ore il pianoforte.
Il giardino era pieno di alberi di mandarino colmi di frutti. Un giorno gli chiesi se potevo prenderne un po'. Faceva finta di non capire. Glielo ripetei in dialetto: "Te cunvegne dameli, senunca ti i fregu! ("Ti conviene darmeli, se no te li frego!")". Capì e acconsentì.
Chiamai Girò e gli proposi di raccogliere qualche borsa di mandarini e andare a venderli al mercato di Nizza con la jeep che lui aveva a disposizione. Subito rifiutò in nome degli ideali, poi si convinse.
Guadagnammo dei bei soldi, che spendemmo nei bistrot di Villafranca [Villefranche-sur-Mer].
Gli ufficiali inglesi erano divertiti della cosa, però non riuscivano a capire come gli alberi fossero spogli dei mandarini e le mine disseminate nella piantagione non fossero esplose.
Insieme agli altri miei compagni disinnescavamo le mine, lasciando i contenitori senza l'esplosivo, con il quale confezionavamo qualche piccola bomba che usavamo per... pescare.
Feci parecchi viaggi avanti ed indietro portando armi, radio, medicinali e altro materiale bellico.
Il motoscafo sul quale erano imbarcati due soldati inglesi si fermava a qualche centinaio di metri dalla riva, trasbordavamo il carico su canotti o piccole bettoline di legno (queste ultime erano collegate al motoscafo con una lunga fune), raggiungevamo pagaiando la riva e scaricavamo sulla costa di Vallecrosia. Dopodiché dalla barca recuperavano le bettoline con la fune.
Imbarcammo anche soldati alleati scappati dai campi di prigionia che ci venivano affidati dai partigiani piemontesi. Ricordo un francese di colore che patì il mare in maniera incredibile. Pensai: "questo qui non l'ha ammazzato la guerra e muore dal mal di mare".
Una volta che c'era da trasportare un carico di un cospicuo numero di casse, ci imbarcammo su un motoscafo più grosso, quasi un panfilo. Era più rumoroso dei soliti usati prima di allora; gli vennero adattati ai tubi di scarico due silenziatori grandi come angurie rendendolo abbastanza silenzioso. Era però più lento e non sarebbe riuscito a sfuggire se fosse stato intercettato dalla flottiglia che pattugliava la costa italiana, come invece riuscivano a fare gli altri motoscafi che solitamente erano pilotati da Giulio "Corsaro/Caronte" Pedretti.
Per fronteggiare l'eventualità di una intercettazione, fu sistemata a poppa una mitragliera pesante piazzata sul piedestallo sostenuto da due gambe di forza fissate al battello. Evidentemente il lavoro non fu collaudato, perché, appena preso il largo con i motori adeguatamente silenziati, la mitragliera cominciò a vibrare e sbattere sulla coperta del battello. Blan-Blen!Blen-Blan! I motori erano silenziosi, ma noi sembravamo un campanile che suonava le campane a festa accompagnato da un'orchestra di tamburi!
C'era una sola cosa da fare. Esaminai la mitragliera (l'addestramento a Gattières era servito a qualcosa!) e poi con fare concitato segnalai a Girò e ai due inglesi un punto della costa indicandolo con un dito.
"Laggiù! Guarda!"
Mentre loro scrutavano attentamente nel buio staccai la mitragliera dal piedistallo e la cacciai in mare.
Il concerto cessò. Uno dei soldati inglesi si arrabbiò non poco, minacciandomi di tutto.
Girò cercò di calmarlo. Di ritorno dalla missione, i soldati inglesi fecero rapporto e fui anche processato a Nizza davanti a una specie di corte marziale, composta da ufficiali inglesi e americani.
Quando descrissi loro l'accaduto scoppiarono quasi a ridere e mi assolsero.
 



Arrivammo salvi alla costa di Vallecrosia, dove sbarcammo tutte le casse che nelle notti successive, un po' alla volta, portammo a Negi. Anche a me toccò il compito di fare la staffetta con Negi a portare e prendere, avanti e indietro.
 

La Via Aurelia di levante, poco prima del "ponte" di Vallecrosia

Una delle ultime volte che fregammo una barca dal deposito vicino al ponte di Vallecrosia me la vidi proprio brutta. Con Achille ["Andrea" Lamberti] ed altri, che adesso non ricordo, caricammo su un carretto la barca per portarla al solito posto nella villa di via S. Vincenzo. La spingemmo su per la salitella che si innesta sulla via Aurelia e svoltammo a destra. Dopo pochi metri, scorgemmo al di là del ponte tre soldati tedeschi, all'altezza del "carruggio" di via Maonaira. Chi era con me fece in tempo a dileguarsi. Io rimasi con le stanghe del carretto in mano. Non potevo scappare e lasciare il carretto perché sarebbe scivolato all'indietro e avremmo combinato un disastro. Con il cuore in gola proseguii. Avvicinandomi mi accorsi che i tedeschi stavano mangiando, meglio: si stavano abbuffando di salame e formaggio. Erano anche un po' bevuti, un po' tanto. Intuii che avevano rubato tutto quel ben di Dio dal vicino magazzino del salumiere Giraudo. Quando mi intimarono l'alt! chiedendomi spiegazioni per la barca, un po' in dialetto, un po' in italiano e tanto con le mani, con fare severo, li accusai di aver rubato salame e formaggio, mentre per i civili non c'era niente, neanche la legna per accendere una stufa, tanto è vero che per scaldarci dovevamo usare il legname della barca. I crucchi accusarono il colpo, come bambini sorpresi con le dita nella marmellata. "Kamarade! Kamarade!" e mi lasciarono proseguire.
Belin! Avevo messo paura ai tedeschi!
Ampelio "Elio" Bregliano, in Giuseppe Mac Fiorucci, Op. cit.