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sabato 30 settembre 2023

Trentin viene visto da tutti come un capo naturale e un punto di riferimento stimolante soprattutto per i giovani

6 settembre 1943: Silvio Trentin accolto trionfalmente a San Donà di Piave. E' in seconda fila e al centro. (Centro studi e ricerca Silvio Trentin, Jesolo - N. della busta/raccoglitore:1 - N. della serie: 46 - Segnature: 10.1.161; 10.1.162; R.G.E. 1247; R.G.E. 1248. Fonte: Graziano Bertola, Op. cit. infra

Dopo la caduta di Mussolini Silvio Trentin decide di rientrare in Italia ed arriva nel Veneto nei primissimi giorni del settembre 1943 con la moglie Beppa e i due figli maschi, mentre la figlia Franca resta in Francia. Il 4 settembre arrivano a Mestre per abbracciare il grande amico Camillo Matter, il giorno dopo sono a Treviso dove Trentin è intervistato dal Gazzettino <94, il giorno 6 a San Donà di Piave dove Silvio è accolto trionfalmente, ma nella seconda visita al paese natale, dopo l'8 settembre, nessuno gli apre più le porte. Da qui in poi scatta per lui la clandestinità, userà nomi diversi, si sposterà spesso e cambierà più volte domicilio: ne consegue, purtroppo, che risulta non facile ricostruire questo periodo perché le fonti biografiche sono, come in quello francese, pochissime.
Anche se la documentazione storica è molto scarsa, quel che è certo è che Trentin viene visto da tutti come un capo naturale e un punto di riferimento stimolante soprattutto per i giovani <95. In questi primissimi giorni in Italia, aderisce al Partito d'Azione e verso il 10 di settembre si ritrova, parole sue, “già praticamente investito della direzione del partito di tutto il Veneto”. <96
A Padova con Concetto Marchesi ed Egidio Meneghetti, rispettivamente rettore e professore dell'università patavina, partecipa alle sedute del Comitato di liberazione nazionale per la regione veneta (CLNRV), ha contatti con alti ufficiali militari dell'esercito per convincerli a distribuire le armi alla popolazione <97, poi è, per un mese circa, ospite a Mira della famiglia di Guglielmo Fortuni <98. Seguono parecchi incontri nel trevigiano per unificare il comando militare dei resistenti e, fra i problemi emersi, c'è anche quello di stabilire se esso, così unificato, può o meno agire indipendentemente dal comando politico, ed alla fine vince la posizione di Meneghetti e Trentin che, per evitare pericolose e anomale guerriglie "private" con altre formazioni combattenti, vogliono un comando militare solo parzialmente “autonomo” <99. Il comandante scelto è un ufficiale della marina militare italiana, di famiglia polacca e nato in Italia, Jerszy Saskulcisky ("col. Sassi") [in effetti si trattava di Jerzi Sas Kulczycki]. Nelle prime settimane in Italia, Trentin rifiutò la richiesta di Lussu di recarsi a Roma a far parte della direzione centrale del CLN <100, sentiva che doveva combattere nel Veneto dove il suo ruolo era insostituibile, tutti avevano infatti bisogno del suo prezioso consiglio e, secondo lo storico della Resistenza nel Veneto, Teodolfo Tessari, l'impulso che lui dava al movimento partigiano era decisivo.
Il comando politico del CLNRV - che aveva la sua sede centrale fino al dicembre 1943 a Padova, e poi a Venezia - era composto da Alessandro Candido per il Partito socialista, da Trentin e Meneghetti <101 per il Partito d'azione, Saggin per il Partito democratico cristiano e Marchesi per il PCI <102.
L'organo ufficiale del Pd'A di Padova, ad uscita piuttosto irregolare, porta un nome storico, "Giustizia e Libertà", ed il 1° novembre 1943 esce con lo scritto di Trentin "Appello ai Veneti guardia avanzata della nazione italiana", un saggio che punta il dito contro il fascismo, la borghesia e la monarchia che sostengono Badoglio ed è, nello stesso tempo, un accorato invito all'azione rivoluzionaria: "Ora, non vi è oggi altro luogo dove possono essere chiamati a raccolta tutti coloro che rivendicano la loro propria appartenenza ad esso (il popolo italiano) che là dove ci si batte o ci si prepara a batterci, con tutte le armi, senza più esclusione di colpi, contro l'invasore straniero ed i bastardi indigeni che, in veste di indicatori, di carcerieri, di sicari, lavorano al suo servizio. La consegna è oggi di darsi alla macchia, di raggrupparsi, di ricominciare insieme nella fraternità di una libera federazione di pionieri della nuova Italia, di armarsi, di battersi e, se occorra di morire". <103
Ai primi di novembre, sotto il falso nome di prof. Ferrari si trasferisce da Mira a Padova in casa di amici, i coniugi Monici, in via del Santo (all'odierno numero civico 123), dove il 19 novembre viene arrestato con il figlio Bruno <104, interrogati per due giorni e poi detenuti alla prigione dei Paolotti. Non avendo trovato nulla a loro carico, agli inizi di dicembre vengono rilasciati, anche forse per i problemi cardiaci di Silvio, che il 6 dicembre viene ricoverato all'ospedale "Elena di Savoia" di Treviso fino all'11 febbraio 1944 quando, a causa dei bombardamenti aerei sulla città, è trasferito in una clinica a Monastier, un comune della stessa provincia <105.
Trentin ha da poco tempo finito di stendere un abbozzo di Costituzione per l'Italia del dopoguerra, modellata su quella francese da lui stesa l'anno precedente <106. Nell'ultimo scritto "Ai lavoratori delle Venezie" - un appello in cui si ribadisce che la rivoluzione socialista e federalista sarà su scala planetaria <107 - li arringa parlando loro a nome del Partito d'azione, alla vigilia della Liberazione, affinché prendano il loro posto di combattimento nella battaglia decisiva.
Dice Trentin: "A quest'effetto il Partito d'azione pone in testa alle sue rivendicazioni rivoluzionarie lo smantellamento dello stato autoritario e monocentrico e la restituzione alla vita sociale di tutte le sue fonti pluralistiche, mediante l'attribuzione alla compagine della nazione di una assise integralmente federalistica". <108
Ma, in questo scritto, forse, il passo ideologicamente più importante sta dove Trentin afferma che con il Partito comunista c'è la stessa solidarietà e la stessa comunanza di temi e vedute che esso aveva con Giustizia e Libertà in Francia, ma, nel contempo, sottolinea anche molto fermamente le distanze ideologiche, facendone addirittura l'elenco. Nel frattempo porta avanti le relazioni iniziate in Francia con De Gaulle per raggiungere un accordo di collaborazione nella Resistenza fra Francia e Italia. <109
L'11 marzo 1944 Camillo Matter, tornato il giorno prima da Roma dov'era stato a chiedere fondi per la resistenza veneta, va a trovarlo in clinica e durante la conversazione Trentin ha una grave crisi cardiaca. Silvio morì il giorno dopo, con al capezzale la moglie Beppa e il figlio Giorgio <110. Prima di morire rifiutò i conforti religiosi. Fu sepolto due giorni dopo a San Donà di Piave, di sera, con un corteo funebre composto dalla moglie Beppa, i figli Giorgio e Bruno e l'amico Camillo Matter. Non c'era nessun altro. La polizia fascista, in un'atmosfera di sospetto, sorvegliava e, come da ordini ricevuti, non fece passare il carretto con la bara per il centro di San Donà. <111
[NOTE]
94 IL GAZZETTINO, Visita all'on. Trentin tornato in Italia dopo vent'anni, Venezia, 7 settembre 1943, p.2.
95 TRENTIN, Antifascismo e rivoluzione, p. XXXI.
96 DE LUNA G., L'esperienza di Silvio Trentin nel Partito d'azione, in AA.VV., Silvio Trentin e la Francia, p. 38.
97 Ivi, p. 41.
98 VERRI, I Trentin a Mira nella Resistenza, p. 12.
99 TESSARI T., Sulle origini della resistenza militare nel Veneto. Settembre 1943-aprile 1944, Neri Pozza, Venezia, 1959, p. 17.
100 TESSARI T., Sulle origini della resistenza militare nel Veneto. Settembre 1943-aprile 1944, Neri Pozza, Venezia, 1959, p. 17.
101 VERRI, I Trentin a Mira nella Resistenza, p. 13.
102 ROSENGARTEN, Silvio Trentin dall'interventismo alla resistenza, pp. 204-206.
103 TRENTIN, Appello ai veneti, guardia avanzata della nazione italiana, a cura di Paladini G., Antifascismo e rivoluzione, pp. 532-533.
104 FELTRIN FRANCESCO, Nuovi documenti su Silvio Trentin, CLEUP, Padova, 2000, pp. 7-84. L'autore espone i particolari dell'arresto e di tutto il periodo di detenzione dal 19 novembre al 2 dicembre 1943, sulla base di documenti rinvenuti presso l'Archivio di Stato di Padova.
105 VERRI, I Trentin a Mira nella Resistenza, p. 14.
106 Centro studi Trentin, Jesolo, Abbozzo di un piano tendente a delineare la figura costituzionale dell'Italia, Busta 1C, Fasc.3.
107 VERRI, I Trentin a Mira nella Resistenza, p. 37.
108 TRENTIN, Ai lavoratori delle Venezie, a cura di Paladini G., Antifascismo e rivoluzione, pp. 535-538.
109 VERRI, I Trentin a Mira nella Resistenza, p.40.
110 Ivi, pp. 134-136.
111 ROSENGARTEN, Silvio Trentin dall'interventismo alla resistenza, pp. 211-213.
Graziano Bertola, Silvio Trentin ed i Patti Lateranensi, Tesi di laurea magistrale, Università degli Studi di Padova, Anno Accademico 2013-2014
 
Quando Silvio Trentin <1 rientrò in Italia agli inizi di settembre del 1943 il Partito d’Azione veneto aveva quasi un anno di vita <2, essendo stato costituito nell’ottobre dell’anno precedente a Treviso nello studio dell’avvocato Leopoldo Ramanzini <3, con la presenza dei maggiori esponenti veneti (ad eccezione di Egidio Meneghetti) <4, e aveva tenuto una seconda riunione collegiale il 23 agosto, sempre del 1943, a Venezia in casa di Ranieri Da Mosto <5, con la partecipazione di rappresentanti di tutte le province venete <6. Fu costituita in quell’occasione la prima direzione regionale del partito: ne era segretario il veneziano Agostino Zanon Dal Bo <7, affiancato dall’udinese Fermo Solari <8, dal vicentino Mario Dal Pra <9, , dal padovano Giuseppe Zwirner <10, dai veneziani Luigi Martignoni <11 e Armando Gavagnin <12, dal trevigiano Bruno Visentini <13. Sul rientro di Trentin molto è stato scritto e non ritengo il caso di ritornarci <14. Quello che voglio evidenziare non è tanto il ruolo di Trentin, quanto il rapporto tra il Partito d’Azione veneto e il suo capo carismatico, rapporto durato solamente pochi mesi per la prematura morte del sandonatese. La prima riunione di azionisti veneti con la presenza di Silvio Trentin si tenne a Padova agli inizi di ottobre 1943 nell’istituto di filosofia del diritto, dove insegnava Norberto Bobbio <15. Fu affidata la segreteria regionale a Leopoldo Ramanzini <16. La parte più rilevante dell’incontro fu costituita però dall’intervento di Trentin, che espose alcune sue idee, che il resoconto di Agostino Zanon Dal Bo non esplicita (egli si limita ad annotare: «Trentin pose la proposta di dare un carattere “rivoluzionario” (era la sua espressione), al programma e all’azione del partito» <17), ma che si può supporre fossero quelle maturate nel soggiorno francese e che si possono ritrovare, tra l’altro, nei suoi interventi sul giornale «Libérer et Fédérer» <18, ma anche nei testi manoscritti da lui portati dalla Francia: "Stato Nazione Federalismo" e "Libérer et fédérer", che furono letti dagli azionisti veneti e suscitarono ampie discussioni. Ricorda Mario Dal Pra che «A Padova […] il suo manoscritto [di "Stato Nazione Federalismo"] fu oggetto di vivaci discussioni fra i compagni di fede; destò molto interesse e si pensò di stamparlo. Trentin allora lo affidò a me» <19.
Trentin, rendendosi probabilmente conto dell’impatto creato dalle sue idee, non propose, nel corso della riunione, come scrive Zanon Dal Bo, una discussione immediata su di esse, ma la nomina di un gruppo di studio, formato da Bobbio, Dal Pra e Zanon Dal Bo, per approfondirle. Purtroppo, come racconta il veneziano, esso non riuscì a lavorare, perché Mario Dal Pra fu costretto poco tempo dopo a lasciare precipitosamente Vicenza e il Veneto, per sfuggire all’arresto, rifugiandosi a Milano <20, e Zanon Dal Bo dovette allontanarsi da Venezia, riparando a Vittorio Veneto, sua città natale; non va dimenticato poi che Trentin fu arrestato il 19 novembre e Bobbio il 6 dicembre.
[NOTE]
1 Su Silvio Trentin (1885-1944) la biografia più completa è F. Rosengarten, Silvio Trentin dall’interventismo alla Resistenza, Feltrinelli, Milano 1980. La bibliografia su Trentin è troppo ampia per presumere di offrirne una sintesi. Mi limito a P. Arrighi, Silvio Trentin. Un Européen en Résistence (1919-1943), Loubatières, Porter-sur-Garonne 2007; M. Guerrato, Silvio Trentin, un democratico all’opposizione, Vangelista, Milano 1981; G. Paladini, Silvio Trentin dalla democrazia radicale al socialismo federalista (1924-1944), «Archivio veneto», CXVI, 1981, pp. 59-83; Id., “Figlio del Veneto”. Colloqui parigini su Trentin fra esilio e Resistenza, «Venetica», 3, 1985, pp. 77-92; V. Ronchi, Silvio Trentin, ricordi e pensieri 1911-1926, Canova, Treviso 1975; C. Verri, Guerra e libertà. Silvio Trentin e l’antifascismo italiano (1936-1939), XL edizioni, Roma 2011, oltre agli interventi di Norberto Bobbio: Ricordo di Silvo Trentin. Commemorazione nel decennale della liberazione, Artigrafiche Sorteni, Venezia 1955, poi come Silvio Trentin, «Il Ponte», X, 1954, pp. 702-713, poi in Italia civile. Ritratti e testimonianze, Passigli, Firenze 1986, pp. 249-266; Commemorazione di Silvio Trentin, in Atti del Convegno di studi su Silvio Trentin (Jesolo, 20 aprile 1975), Neri Pozza, Vicenza 1976, pp. 109-123. Per l’elenco dei suoi scritti rimando a S. Trentin, Scritti inediti. Testimonianze e studi, Guanda, Parma 1972, pp. 321-333.
2 Sul Partito d’azione veneto rimando a G.A. Cisotto, “Solo uomini di buona volontà”. Il Partito d’azione veneto (1942-1947), Viella, Roma 2014.
3 Leopoldo Ramanzini (1903-1987), avvocato trevigiano, nel 1945 fu nominato dal CLN prefetto di Treviso. Su di lui si vedano R. Binotto, Personaggi illustri della Marca Trevigiana. Dizionario bio-bibliografico dalle origini al 1996, Cassamarca, Treviso 1996, p. 468, e l’affettuoso ricordo di E. Opocher, Ramanzini, una vita per la libertà, «Lettera ai compagni,» XIX (7-10), 1987, p. 12.
4 Erano presenti Antonio Giuriolo da Vicenza, Luigi Martignoni e Agostino Zanon Dal Bo da Venezia, Flavio Dalle Mule da Belluno, Fermo Solari e Luigi Cosattini da Udine, Norberto Bobbio e Walter Dolcini da Padova, Leopoldo Ramanzini, Bruno Visentini, Enrico Opocher, Elio Gallina, Romolo Pellizzari da Treviso (Cisotto, “Solo uomini di buona volontà”, cit., pp. 16-18, al quale rimando anche per i riferimenti biobibliografici sui singoli esponenti). Il nazionale era rappresentato da Ugo La Malfa da Milano e da Sergio Fenoaltea da Roma (G. De Luna, Storia del Partito d’Azione 1942-1947, Editori Riuniti, Roma 1997, p. 34). Si vedano pure L. Ramanzini, I partiti politici nel Trevigiano durante il 1943, in Archivio dell’Istituto veneto per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea (d’ora in avanti: Aivsrec), b. 13. Relazioni al Convegno di studi sulle origini della Resistenza nel Veneto. Padova, maggio 1955; poi in R. Biondo, M. Borghi (a cura di), Giustizia e Libertà e Partito d’Azione. A Venezia e dintorni, Edizioni Nuova Dimensione, FIAP, Iveser, Portogruaro 2005, pp. 174-175; B. Visentini, Ugo La Malfa. Commemorazione tenuta a Treviso il 21 maggio 1979, s.n., Milano 1980, pp. 5-6; A. Zanon Dal Bo, Il Partito d’azione a Venezia dalle origini all’inizio della resistenza armata, in Il Partito d’Azione dalle origini all’inizio della Resistenza armata, Archivio trimestrale, Roma 1985, p. 741.
5 Ranieri Da Mosto, nato a Venezia nel 1924, è stato giornalista e responsabile della redazione veneziana della RAI (1943-1945. Venezia nella Resistenza. Testimonianze, a cura di G. Turcato, A. Zanon Dal Bo, Comune di Venezia, Venezia 1976, p. 551).
6 Parteciparono alla riunione: per Padova Ugo Morin, Giuseppe Zwirner Francesco Cingano, Egidio Meneghetti; per Treviso Bruno Visentini, Enrico Opocher, Leopoldo Ramanzini; per Udine Fermo Solari, Carlo Comessatti, Luciano Comessatti, Alberto Cosattini; per Vicenza Antonio Giuriolo, Mario Dal Pra, Licisco Magagnato; per Belluno Flavio Dalle Mule, Giuseppe Gerardis; per Rovigo Lino Rizzieri, Mario Degan; per Verona Giovanni Dean, Giovanni Zorzi. Venezia era «naturalmente molto rappresentata», ma Zanon Dal Bo non indica i nomi, salvo il suo e quello di Ranieri Da Mosto. Scrive sempre Zanon Dal Bo: «La riunione si concluse dando al sottoscritto l’incarico di Segretario regionale affiancato da alcuni compagni (un incarico che non sarebbe durato molto perché l’8 settembre rese problematica la mia stessa permanenza a Venezia)» (Zanon Dal Bo, Il Partito d’azione a Venezia, cit., pp. 744-745). Si veda Cisotto, “Solo uomini di buona volontà”, cit., pp. 22-23, con bio-bibliografia dei partecipanti.
7 Agostino Zanon Dal Bo (1902-1993), nato a Vittorio Veneto, fu insegnante di lettere a Venezia dal 1934 nel liceo Foscarini. Si vedano 1943-1945. Venezia nella Resistenza, cit., pp. 559-560; Zanon Dal Bo Agostino, in Enciclopedia dell’antifascismo e della Resistenza, VI, La Pietra Milano, 1989, p. 447; M. Isnenghi, Allievi e maestri, in Memoria resistente. La lotta partigiana a Venezia e provincia nel ricordo dei protagonisti, a cura di G. Albanese, M. Borghi, Nuova dimensione, Iveser, Portogruaro 2005, pp. 109-121.
8 Fermo Solari (1900-1988), nato a Prato Carnico (Udine), imprenditore, fu esponente di primo piano del Partito d’azione e della Resistenza. Successivamente aderì al Partito socialista, per il quale fu eletto in Parlamento. Su di lui rimando a N. Del Bianco, Fermo Solari, Edizioni Studio Tesi, Pordenone 1991; Fermo Solari, dirigente della resistenza, uomo politico, industriale friulano, a cura di M. Tosoni, In uaite, Udine 1988; C. Rinaldi, I deputati del Friuli-Venezia Giulia a Montecitorio dal 1919 alla Costituente, Regione autonoma Friuli Venezia Giulia, Trieste 1983, pp. 649-654; M. Lizzero, Fermo Solari “Somma”, «Storia contemporanea in Friuli», XVIII (19), 1988, pp. 265-270; T. Sguazzero, Le ragioni della sinistra nella prospettiva politica di Fermo Solari. Dalla Liberazione alla crisi politica degli anni Settanta, Storia contemporanea in Friuli», XXV (26), 1995, pp. 27-62; M Robiony, Solari Fermo, in Nuovo Liruti. Dizionario biografico dei friulani, 3. L’età contemporanea, a cura di C. Scalon, C. Griggio, G. Bergamini, Forum, Udine 2011, cit., pp. 2187-2190; M. Puppini, Solari, Fermo, in Dizionario della Resistenza, II. Luoghi, formazioni, protagonisti, a cura di E. Collotti, R. Sandri, F. Sessi, Einaudi, Torino 2000, pp. 645-646. Di lui ricordo in particolare L’armonia discutibile della Resistenza. Confronto tra generazioni a Udine, estate autunno 1978, La Pietra, Milano 1979.
9 Mario Dal Pra (1914-1992), vicentino, fu filosofo e storico della filosofia. Insegnò al liceo classico di Vicenza, dove ebbe come allievi Luigi Meneghello, Mario Mirri, Enrico Melen e altri giovani poi divenuti azionisti. Fuggito a Milano alla fine del 1943 per sottrarsi all’arresto, divenne uno dei dirigenti del CLNAI. Dopo la guerra rimase a Milano, dove passò ad insegnare all’Università statale. Su di lui rimando a M. Dal Pra, F. Minazzi, Ragione e storia, Rusconi, Milano 1992; F. Minazzi, Mario Dal Pra filosofo e partigiano. Sulla genesi etico-culturale di una scelta civile antifascista, «Odeo olimpico», XXV (2002-2004), Vicenza 2008, pp. 233-349; D. Borso, Uno storico militante, in M. Dal Pra, La guerra partigiana in Italia. Settembre 1943-maggio 1944, a cura di D. Borso, Giunti, Firenze 2009, pp. 21-33.
10 Giuseppe Zwirner (1904-1979), professore di matematica all’università di Padova, fu vice sindaco nell’amministrazione patavina insediata dal CLN nel 1945.
11 Luigi Martignoni (1890-1965) come ufficiale del genio navale fece la guerra di Libia e la Prima guerra mondiale, dimettendosi nel 1920. Aderì al Pd’A nel 1942; fece parte del comitato interprovinciale di Venezia dopo il 25 luglio 1943; il 14 settembre il comando tedesco di Venezia ne ordinava l’arresto e fuggì a Roma sotto falso nome; lì «si dedicò allo studio dei problemi del dopoguerra ed alla organizzazione della resistenza locale». Il 27 dicembre 1943 fu arrestato e rinchiuso nel carcere di via Tasso, da dove riuscì a fuggire il 4 gennaio dell’anno successivo (si veda [Ing. Martignoni], Roma-Via Tasso 155. Storia di una evasione, in Aivsrec, b. 13); fu membro del Comando militare regionale veneto dall’agosto 1944 fino al 7 gennaio 1945, quando fu arrestato. Dopo la guerra fu in Consiglio comunale a Venezia nelle liste del PSI.
12 Armando Gavagnin (1905-1978) fu arrestato nel 1928 per attività antifascista. Nel dopoguerra fu direttore de «Il gazzettino», consigliere comunale dal 1946 e più volte assessore del comune di Venezia. Di lui ricordo Vent’anni di resistenza al fascismo, Ricordi e testimonianze, Einaudi, Torino 1957.
13 Bruno Visentini (1914-1995), di Treviso, avvocato e docente universitario, fu esponente politico prima azionista e poi 2005; Per Bruno Visentini, a cura di C. Toria, R. Zorzi, Venezia, Marsilio 2001; F. Cingano, Bruno Visentini, «Belfagor», 2, 1999, pp. 194-202; Il gran borghese in Parlamento. Ricordo di Bruno Visentini, Fondazione della Camera dei deputati, Roma 2004.
14 Sul rientro di Trentin Rosengarten, Silvio Trentin, cit., pp. 200-203; Zanon Dal Bo, Il Partito d’azione a Venezia, cit., pp. 745-746; ora anche C. Verri (a cura di), I Trentin a Mira nella Resistenza, ANPI, Sezione di Mirano (Venezia), Mirano 2013. Un giornalista de «Il gazzettino» di Venezia si affrettava ad incontrarlo a Treviso: Visita all’on. Trentin tornato in Italia dopo vent’anni, «Il gazzettino», 7 settembre 1943.
15 Norberto Bobbio (1909-2004) era arrivato a Padova come docente di filosofia del diritto alla fine del 1940. Sul periodo padovano del filosofo torinese rimando a Norberto Bobbio. Gli anni padovani, a cura di B. Pastore, G. Zaccaria, Padova University Press, Padova 2010 e in particolare D. Fiorot, Il mio ricordo di Norberto Bobbio negli anni 1943-46, pp. 39-52 e A. Ventura, Bobbio nella Resistenza nel Veneto, pp. 27-38; D. Fiorot, Norberto Bobbio e l’Università di Padova: 1940-48, «Foedus», 8, 2004, pp. 3-11.
16 Erano presenti Silvio Trentin, Agostino Zanon Dal Bo, Norberto Bobbio, Mario Dal Pra, Leopoldo Ramanzini, Enrico Opocher ed altri, di cui non è riportato il nome (Zanon Dal Bo, Il Partito d’azione a Venezia, cit., p. 747).
17 Ibidem.
18 Si vedano ad esempio Les 3 problèmes fondamentaux de la liberté dans le monde de demain, s.d. [1942]; L’Italie à la veille de l’effondrement du fascisme, febbraio-marzo 1943; Vive la révolution italienne!, agosto 1943 (Fac similé de Libérer & Fédérer. 14 Juillet 1942-Avril-Mai 1944, Centre d’Etudes et de Documentation sur l’Emigration Italienne, Paris 1985).
19 M. Dal Pra, Prefazione, in S. Trentin, Stato - Nazione - Federalismo, La Fiaccola, Milano 1945, p. VIII.
20 Nel novembre del 1943 però Dal Pra dovette fuggire da Vicenza perché ricercato dalla polizia e si trasferì a Milano (Dal Pra, Minazzi, Ragione e storia, cit., p. 122). A Milano, a fianco di Valiani e Lombardi, con il nome di “Procopio” fu responsabile della stampa del Pd’A fino al 25 aprile 1945.
Gianni A. Cisotto, Il Partito d'Azione Veneto e Silvio Trentin in (a cura di) Fulvio Cortese, Liberare e federare. L’eredità intellettuale di Silvio Trentin, Firenze University Press, 2016
 

sabato 6 agosto 2022

La Resistenza prese le mosse in Friuli nel marzo 1943


L’organizzazione di un movimento di opposizione armata all’occupante nazista e politicamente antagonista al regime fascista prese le mosse in Friuli sei mesi prima che nel resto d’Italia, cioè sei mesi prima dell’8 settembre 1943, col formarsi del 1° distaccamento Garibaldi nel marzo 1943. Si trattò di un piccolo reparto armato che ebbe da 12 a 25 uomini a seconda dei momenti.
Questa significativa specificità, come del resto la maggior parte dei caratteri distintivi assunti dal movimento resistenziale nella regione, deve la propria origine alla particolare posizione geografica del Friuli, terra di confine tra Italia, Jugoslavia e Austria e al fatto che fin dal 1942 comparvero sul nostro territorio i reparti partigiani sloveni. <4 Fu proprio questa presenza partigiana slovena sulle montagne del Friuli, con cui le formazioni comuniste presero contatti e accordi fin dal 1942, a determinare l’esigenza dell’insorgere di una formazione partigiana italiana prima dell’8 settembre 43. <5
Questa vicinanza territoriale e la collaborazione basata su una certa affinità ideologica riproponeva, però, anche antichi e irrisolti problemi di convivenza tra etnie diverse, rivendicazioni territoriali e rivalità nazionali che si esacerbarono verso la fine del conflitto.
In principio, in seguito ai fatti dell’8 settembre, il movimento partigiano friulano si andò allargando. L’originale distaccamento Garibaldi si trasformò in battaglione e contemporaneamente si costituì ex novo, presso Faedis, sulle Prealpi Giulie, il battaglione Friuli.
Accanto a queste formazioni, a prevalente direzione comunista, sorsero nello stesso lasso di tempo altri due gruppi di combattenti: uno di Giustizia e Libertà, creato dagli uomini del Partito d’Azione, organizzato da Fermo Solari (Somma-Sergio) e Carlo Comessatti (Spartaco) a Subìt, una frazione del comune di Attimis, e uno, a prevalenza democristiana e costituito in gran parte da ex militari, organizzato sempre nella zona di Attimis da Manlio Cencig (Mario).
Il gruppo di Giustizia e Libertà entrò subito in contatto, tramite il commissario Solari, con Mario Lizzero (Andrea), commissario della formazione Garibaldi Friuli e le due unità operative instaurarono una stretta collaborazione tattica militare, pur non riuscendo a rimuovere gli ostacoli che le separavano dalla realizzazione di un’effettiva unificazione dei comandi.
Quello del comando unico delle formazioni partigiane fu anche uno dei primi problemi ad essere affrontato, benché senza successo, dal neocostituito CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) di Udine. Esso era composto da Giovanni Cosattini per il Partito Socialista, don Aldo Moretti (Lino) per la Democrazia Cristiana, Carlo Comessatti per il Partito d’Azione ed Emilio Beltrame per il Partito Comunista. La controversia tra le varie componenti del comitato traeva origine da proposte mal conciliabili, in base alle quali si sarebbe dovuto scegliere il criterio da usare per l’indicazione del comandante. Azionisti e democristiani desideravano che la designazione del comandante unico venisse effettuata, per selezione, nella ristretta cerchia dei militari di carriera, mentre i comunisti, inclini a dare più valore alle azioni effettivamente svolte nell’ambito della lotta partigiana piuttosto che ai gradi conseguiti nell’esercito, si rifiutavano di accettare un comandante rigidamente imposto dall’alto.
In ogni caso, nonostante queste prime diatribe, gli accordi militari tra garibaldini e giellisti restarono operanti fino ai grandi rastrellamenti tedeschi dell’ottobre-novembre 1943, in occasione dei quali le due formazioni furono costrette a separarsi. Successivamente il Partito d’Azione avrebbe svolto una parte importante nella costituzione delle formazioni Osoppo, in totale antitesi rispetto a quanto avvenne nel resto dell’Italia, in cui le brigate di Giustizia e Libertà rimasero sempre al fianco delle Garibaldi. <6
I feroci rastrellamenti tedeschi dell’autunno 1943, misero a dura prova non solo le giovani formazioni italiane, ma anche le più solide formazioni slovene. I partigiani in parte scesero in pianura mantenendo l’attività, in parte si dispersero, tutti comunque furono costretti a ripiegare. Da quella terribile esperienza, le forze della Resistenza italiana uscirono estremamente provate. Rimasero in tutto, sui monti, una cinquantina di uomini delle formazioni Garibaldi Friuli, che si erano ritirati, almeno la maggior parte, in una zona sicura a occidente del Tagliamento, sul monte Ciaurlec, mentre a est, sul Collio, restò il battaglione Mazzini, con una decina di uomini in tutto.
Un’altra importante formazione italiana prese le mosse in questo tempestoso periodo: il 24 dicembre 1943 il CLN di Udine, vista l’impossibilità di giungere ad un accordo sul problema del comando unificato delle formazioni di montagna, autorizzò la costituzione di un altro gruppo partigiano, che avrebbe dovuto impegnarsi a combattere a fianco delle Garibaldi, ma in modo autonomo.
La nuova formazione, che avrebbe in seguito adottato il nome di Osoppo <7, era destinata ad assumere un ruolo particolarmente importante nella società rurale friulana. A differenza delle unità garibaldine, più unite dal punto di vista ideologico, nelle Osoppo confluirono forze varie, spesso distanti le une dalle altre per posizioni, sentimenti e propositi. Intorno al partigianesimo “politico” del PdA e della DC, si muovevano un generico sentimento socialisteggiante delle masse popolari che invocava giustizia sociale, il modernismo cattolico e del clero friulano, il patriottismo degli ex militari, soprattutto degli ufficiali, fedeli al giuramento e, in genere, l’apporto degli apolitici, civili o militari che fossero.
Un ruolo fondamentale nell’aggregazione delle spinte potenzialmente antagoniste al nuovo ordine nazifascista fu svolto dal clero friulano, che vedeva nelle nascenti formazioni osovane un argine al dilagare del comunismo. Numerose furono le parrocchie che si occuparono dall’assistenza ai partigiani sbandati, ai militari e agli ex prigionieri, dell’attività di informazione e di sostegno materiale alle bande armate, nonché della diffusione, all’interno della società contadina friulana, della quale spesso rappresentavano l’unico centro di coesione e partecipazione, di sentimenti antinazisti e patriottici che esortavano ed incoraggiavano la popolazione alla resistenza passiva. Alcune parrocchie e istituti religiosi friulani divennero, inoltre, veri e propri centri di reclutamento del personale da inviare in montagna, in particolare, ovviamente, presso le formazioni Osoppo. Numerosi anche i preti “patrioti”, schierati in prima linea nelle file dell’antifascismo militante: si trattò perfino, a volte, di veri e propri preti combattenti, come fu ad esempio don Ascanio De Luca (Aurelio).
Ma è a don Aldo Moretti, figura decisamente più moderata, che deve tributarsi il merito di aver contribuito al superamento di tutte quelle remore di carattere etico e religioso che rendevano difficoltosa per qualunque cattolico l’ammissione della necessità e del dovere, in determinati frangenti, di aderire alla lotta armata. Per il clero infatti l’adesione alla guerriglia presuppose una serie di approfondimenti e di premesse, senza le quali esso sentiva di non poter agire. <8
Le discussioni che ebbero luogo a Udine, nel “Cenacolo di Studi Sociali per sacerdoti”, tra il 10 novembre 1943 e il 29 marzo 1944, furono in tal senso decisive, in quanto finirono per riconoscere la legittimità della resistenza non solo passiva ma anche militarmente attiva.
Quest’ultima tuttavia, seppur imposta dalle tragiche circostanze del momento, doveva essere praticata il meno possibile e, salvo il caso di legittima difesa, solo quando tutti gli altri mezzi di dissuasione avessero dimostrato la loro inefficacia. La Resistenza, inoltre, si configurava come emanazione della volontà del governo nazionale, espressione di tutto il popolo e dopo la dichiarazione di guerra alla Germania, proclamata dal re il 13 ottobre 1943, non poteva più configurarsi come guerriglia anarcoide o rivoluzionaria.
Tale impostazione era ben diversa da quella del partigianato comunista, e ciò suscitò non pochi attriti. I cattolici vennero accusati di "attendismo", soprattutto nella prima fase della Resistenza, mentre ai comunisti veniva spesso rimproverato di non tener conto, nelle loro azioni, dei costi umani pagati dalle popolazioni. <9
Le distanze tra le posizioni osovane e quelle garibaldine risultarono piuttosto evidenti anche su altri temi. Se i garibaldini ritenevano che la lotta contro il nemico dovesse puntare ad una partecipazione quanto mai estesa e popolare, gli osovani cercavano invece di limitare il ricorso alle armi e tendevano a privilegiare il reclutamento, soprattutto ai livelli di comando, di personale specializzato, generalmente ex ufficiali dell’esercito.
Oltre a ciò, a dividere e differenziare le due organizzazioni della Resistenza c’era la questione dei rapporti con gli sloveni. I garibaldini sostenevano e avrebbero continuato a sostenere, che nonostante le ripetute ed intransigenti prese di posizione jugoslave sulla questione territoriale, sarebbe stato impensabile combattere da rivali una stessa guerra contro lo stesso nemico e che del resto il modo migliore per lavare l’onta del fascismo, che macchiava il nome del popolo italiano, era quello di mostrare attraverso il combattimento comune il volto diverso e umano dello stesso popolo. La linea adottata dai comunisti friulani fin dalle prime trattative con gli sloveni, si fondò sul rifiuto di dibattere questioni che riguardassero la futura sistemazione del territorio, e sul rinvio a fine guerra e alle trattative dei futuri governi, del problema dei nuovi confini. Da parte osovana si registrava, invece, una maggiore diffidenza alla collaborazione con l’esercito di Tito e la netta ripulsa delle rivendicazioni territoriali slovene. <10
Dopo una stasi invernale, con la primavera del 1944 le formazioni di montagna ripresero ad aumentare in numero e dimensioni.
[NOTE]
4 In Jugoslavia, infatti, la Resistenza iniziò già nel 1941, dopo che il 6 aprile fu invasa da Germania e Italia (con l’appoggio di Bulgaria e Ungheria) e occupata nel giro di soli 11 giorni.
5 M. Lizzero, Considerazione sui reparti partigiani e sui gruppi di resistenza passiva nel ‘43 in Friuli, in “Storia Contemporanea in Friuli” n°10, anno IX, 1979, pp.255-256. Per una panoramica generale sulla Resistenza in Friuli vedi G.C. Bertuzzi, La Resistenza in Friuli e Venezia Giulia, in “Storia del ‘900”, IRSML-LEG, Gorizia 1997, pp.371-382, cui si rinvia anche per l’ampia bibliografia.
6 M. Lizzero, Origini e peculiarità della Resistenza in Friuli, in “Storia Contemporanea in Friuli”, n°2/3, anno II, 1972, pp.221-223
7 Il nome fu tratto dall’omonima località friulana dove nel 1848 i patrioti resistettero all’assedio austriaco.
8 R. Mascialino, La Resistenza dei cattolici in Friuli (1943-1945), Udine 1978, pp.70-71
9 M. Lizzero, Considerazione sui reparti partigiani e sui gruppi di resistenza passiva nel ‘43 in Friuli, in “Storia Contemporanea in Friuli” n°10, anno IX, 1979, pp.249-250
10 D. Franceschini, Porzûs. La Resistenza lacerata, IRSML, Trieste, pp.1-12
Eleonora Buzziolo, Partigiane in Friuli: storia e memoria, Tesi di laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 2003/2004

venerdì 8 luglio 2022

I primi rastrellamenti in grande stile evidenziarono la debolezza del movimento partigiano piemontese


Un capitolo particolarmente significativo dell'esperienza umana e politica di Edoardo Martino è rappresentato dalla partecipazione alla guerra di liberazione come comandante di una divisione partigiana, la divisione autonoma Patria, formazione militare associata dalla storiografia alla Democrazia Cristiana e alla resistenza “bianca” piemontese. <81 Si tratta a tutti gli effetti dell'esperienza che segnò il punto di svolta, la trasformazione da comandante “Malerba” a parte viva della nascente Democrazia Cristiana alessandrina (anche se non mancano testimonianze della proverbiale ritrosia di Martino nei confronti della politica, come emerge da alcune corrispondenze private). <82
I documenti conservati presso l'abitazione privata di Edoardo Martino e descritti in appendice permettono di ricostruire le caratteristiche e le modalità con cui questo gruppo partecipò alla guerra di liberazione nella provincia di Alessandria, delineando la storia di un gruppo partigiano la cui azione non può essere circoscritta alle azioni militari messe in atto durante la guerra di liberazione.
Mi propongo quindi di tratteggiare un profilo ideologico della divisione Patria che integra, rendendo ragione dell'avvicinamento di Martino alla Democrazia Cristiana e la definizione del suo profilo politico, concentrandomi sulle tre caratteristiche indicative che definiscono l’ideologia che animò l’azione della divisione Patria e del suo comandante. Non prima, però, di aver individuato le caratteristiche salienti del movimento resistenziale in Piemonte e in provincia di Alessandria, per meglio contestualizzare l'azione della formazione partigiana guidata da Martino.
1. La Resistenza in Piemonte
La continuità tra la dissoluzione del Regio Esercito e l’inizio del movimento partigiano è sicuramente un tratto peculiare della resistenza piemontese. Roberto Battaglia coglie tale peculiarità nella pronta risposta dei militari in un processo di maturazione culminato nel momento in cui «aggiungendo alla “guerra” e alla “patria” quell’aggettivo di “fascista”, lo stesso regime aveva contribuito a vanificarne il significato, distruggendo l’idea di una collettività nazionale con obiettivi ed esigenze superiori anteposte a quelli di una singola fazione politica, sicché la guerra si era ridotta a un fatto individuale, in cui l’elemento determinante dell’impegno era l’adesione personale e convinta al fascismo». <83 A ciò va aggiunto un fattore contingente: la IV armata che si stava ritirando dalla Francia rimase sorpresa dall’armistizio ai piedi delle Alpi, ragione per cui quando venne sciolta dal generale Vercellino i suoi componenti che compresero la situazione che si stava delineando si disseminarono nei paesi di fondovalle per poi risalire verso i passi alpini. Rispetto all’attesismo degli ufficiali più alti in grado è doverosa una sottolineatura sulla condotta coraggiosa di molti altri soldati, ufficiali effettivi e di complemento che imbracciarono le armi contro l’occupante tedesco nonostante le reazioni scomposte e incomprensibili dei loro comandanti. <84
L’esperienza della guerra fascista ha accomunato una intera generazione, ragione per cui è legittimo interrogarsi rispetto ai militari e alla «misura» della loro adesione, potremmo dire la «quantità» del loro fascismo, per determinare la qualità del loro successivo impegno antifascista.
[...] Tuttavia, nonostante questo tratto «militare» della resistenza piemontese, la prima formazione che troviamo costituita e stanziata fin dal 12 settembre 1943 fra Valle Gesso e Valle Stura è Italia Libera, composta da una dozzina di civili, azionisti, capeggiati da Duccio Galimberti. Anche loro iniziano la loro avventura partigiana dopo essersi rivolti ad alcuni ufficiali effettivi, e di fronte al rifiuto di guidare la spedizione si pongono come primo obiettivo di organizzarsi solidamente e adeguatamente alla vita in montagna, costituendo il primo nucleo di quelle che saranno le divisioni Giustizia e Libertà del Cuneese.
Nel torinese ebbero immediato successo le iniziative del tenente Pompeo Colajanni (Barbato) <89 con un’ottantina di ex militari quasi tutti di origine meridionale. In val Chisone si insediò la banda Sestriere, composta esclusivamente di militari o graduati del corpo degli alpini, comandati dal sergente Maggiorino Marcellin (Bluter) <90. In Valsesia, spostandosi verso la parte orientale della regione, Cino Moscatelli <91 con un gruppo di ventidue ribelli costituì il primo nucleo delle future formazioni garibaldine della zona, mentre e nella val d’Ossola spicca tra i primi organizzatori Filippo Beltrami <92, che trasforma gli sbandati della zona in una formazione efficiente.
Gli sbandati della IV Armata si concentrano invece nella zona di Boves, presso Cuneo; spesso sono ancora in divisa. Fra loro troviamo un buon numero di ufficiali effettivi, si favoleggia di un imminente sbarco alleato in Liguria e di divisioni alpine ancora intatte e attestate sui monti; ma il 19 settembre di fronte all’attacco tedesco ogni illusione svanisce, la resistenza resta affidata a un pugno di uomini capeggiati da pochi ufficiali subalterni, tra cui si distingue il sergente Ignazio Vian <93; i tedeschi, sorpresi dal contrattacco, sfogano la loro rabbia sulla popolazione di Boves, incendiando l’intero paese e uccidendo 24 persone.
Questa prima fase si può definire «ribellistica», e consiste in un periodo di assestamento e di chiarificazione che perdura fino al dicembre del 1943, favorita dall’inerzia delle truppe nazifasciste. La reazione contro i primi nuclei partigiani è infatti particolarmente lenta, nella convinzione che si sarebbe dileguata ben presto «questa assurda velleità di voler combattere senza armi e senza mezzi contro il più potente esercito del mondo» <94. Questi primi sparuti gruppi di resistenti «in divisa» invece diedero origine alle prime formazioni autonome piemontesi, subendo massicce operazioni di rastrellamento tra l’8 settembre 1943 e la primavera del 1944: i tedeschi miravano infatti «a ripulire dai partigiani le vallate piemontesi» <95, segno che erano diventata una minaccia da neutralizzare.
I primi rastrellamenti in grande stile evidenziarono la debolezza del movimento partigiano piemontese, basate su forme elementari di resistenza delle bande, abbarbicate sulle posizioni di montagna e incapaci di manovra. Pareva impossibile dare vita a un esercito partigiano, ritenendo necessario limitarsi a un’opera organizzativa dei suoi quadri futuri e sciogliendo momentaneamente le formazioni e privilegiando la guerriglia con piccole squadre di sabotatori.
Questa tesi venne esposta nel convegno di Valle Pesio, alla fine di gennaio 1944:
"Là un ufficiale che era stato fra i più brillanti esponenti della banda di Boves sosteneva che, visti i risultati del primo esperimento, bisognava abbandonare l’idea di costruire o mantenere delle formazioni numerose, composte in prevalenza da «uomini»: secondo lui la miglior cosa sarebbe stata formare dei piccoli nuclei di sabotatori e di terroristi, composti esclusivamente di ufficiali, con al massimo qualche uomo per i bassi servizi. Questa idea (condivisa del resto da molti anche altrove, specie fra i «militari») trovò largo seguito fra i presenti al convegno, ma i politici la contrastarono decisamente: la guerra partigiana doveva essere la guerra del popolo italiano; per quanto possibile essa doveva essere impostata e mantenuta su basi e in termini tali da interessare e coinvolgere il maggior numero di persone". <96
I primi difficoltosi passi nella guerra di liberazione evidenziano una prima differenziazione nel fronte dei «ribelli»: da una parte vi sono gli ufficiali effettivi che pur avendo intrapreso la guerriglia continuavano ad essere legati a una concezione legalitaria della guerra, convinti che occorresse affrontare la problematica della preparazione delle «reclute» <97 nella convinzione che ogni azione, se poteva ottenere risultati bellici irrisori, rischiava soprattutto di mettere a repentaglio la sicurezza delle popolazioni. Dall’altra parte invece vi era l’ala politica dei sostenitori della «guerra per bande», dei ribelli il cui nome «corrisponde alla realtà di fatto, indica la funzione ancora polemica o di eversione violenta di ogni struttura tradizionale che i primi partigiani si sono assunta» <98.
La primavera del 1944 portò con sé anche una nuova consapevolezza da parte nemica: la ribellione andava stroncata sul nascere con un’offensiva a vasto raggio, caratterizzata dal contemporaneo sfondamento frontale e dall’aggiramento sulle ali, al fine di non lasciare scampo all’avversario. Al 7 marzo l’operazione investì le valli di Lanzo, al 13 si spostò in Val Casotto, successivamente in Val Varaita. Nella Val Casotto, dove era stata adottata la tattica della difesa rigida frontale, i volontari subirono un rovescio senza precedenti, perdendo i due terzi degli uomini, e solo una esigua schiera di superstiti al comando del capitano Enrico Martini Mauri riuscì a rompere l’accerchiamento e a riparare nelle Langhe. In Val Varaita e in Val di Lanzo le perdite furono minori, ma le bande uscirono dagli scontri disarticolate e scosse.
Nonostante la «batosta» primaverile, l’attività di organizzazione andava via via migliorando, le formazioni e le bande andavano adottando strutture di comando più vicine a quella profilata dal Comitato, pur mantenendo alcuni caratteri originali. Il Comitato Militare gettò le basi, tra il gennaio e il marzo del 1944, del Corpo dei Volontari della Libertà piemontese, nonostante si profilasse all’orizzonte una ulteriore battuta di arresto per l’attività cospirativa: la mattina del 1 aprile il comitato doveva riunirsi nella sacrestia del Duomo di Torino, ma forze imponenti di polizia e di agenti circondarono i dintorni e i cospiratori furono fermati uno ad uno. A seguito di un processo la cui sentenza era evidentemente già scritta la mattina del 5 aprile otto membri del Comitato vennero fucilati, e con la loro morte segnarono la dispersione di un patrimonio di contatti e piani intessuti in quei mesi.
Tuttavia il movimento partigiano si riprese prontamente, il comitato fu ricostituito, anche se ritoccato sulla base della rappresentanza delle varie correnti politiche <99, ereditando dal comitato del generale Perotti una situazione di maggiore concordia e unità d'intenti.
Nonostante colonne di migliaia di uomini avessero battuto le valli alpine e martellato le formazioni garibaldine e Giustizia e Libertà del cuneese non le avevano fiaccate; le bande della Val di Lanzo, temporaneamente ricacciate in alto, ritornavano ad assalire convogli e presidi nemici; quelle delle valli Pellice e Chisone e del Biellese si ingrossavano spostandosi verso la pianura; i volontari di Mauri operavano e crescevano nelle Langhe; in valle Maira, valle Stura e val di Gesso le formazioni GL avevano resistito asserragliate sulle cime tra Italia e Francia.
Stava spuntando «l’estate partigiana», e la caduta di Roma diede un’ulteriore accelerazione al processo di espansione delle formazioni partigiane e all’evolversi dell’organizzazione militare dei resistenti dell’Alta Italia.
[NOTE]
81 In merito alla partecipazione cattolica alla guerra di liberazione, in cui è ricompresa l'azione della divisione e delle brigate “Patria” si veda ad esempio S. TRAMONTIN, La Democrazia cristiana e la Resistenza, in Storia della Democrazia Cristiana, a cura di Francesco Malgeri, vol. 1, 1943-1948. Le origini: la DC dalla Resistenza alla Repubblica, Roma, Cinque Lune, 1987, pp. 66 e ss.; R. BATTAGLIA, Storia della Resistenza italiana, Torino, Einaudi, 1974; PERONA G., Formazioni autonome nella Resistenza, Milano, Franco Angeli, 1996. In merito alla resistenza in Piemonte e in provincia di Alessandria si ricordano in questa sede B. GARIGLIO, I cattolici piemontesi nella guerra e nella Resistenza, in Cattolici e Resistenza nell’Italia settentrionale, Atti del convegno, Torino 8-9 giugno 1995, Bologna, Il Mulino, 1997, pp. 15-32; G. PANSA, Guerra partigiana tra Genova e Po, Bari, Laterza, 1967; W. VALSESIA - F. GAMBERA, La Resistenza in provincia di Alessandria, Alessandria, ANPI 1976; M. GIOVANA, La Resistenza in Piemonte. Storia del CLN regionale, Milano, Feltrinelli, 1962.
82 In merito si veda la lettera di Luigi Manfredi a Martino del 25 agosto 1950, in Appendice, Per una descrizione del fondo Martino, Corrispondenza, fasc. 3.
83 R. BATTAGLIA, Storia della Resisenza italiana, cit., p. 39.
84 Ci viene ancora in aiuto un episodio raccontato da Nuto Revelli: «Penso al tenente colonnello Palazzi, e ne parlo a Piero. Palazzi con il suo prestigio, il suo coraggio, potrebbe ancora organizzare una resistenza contro i tedeschi. Palazzi è rientrato dalla Russia prima della ritirata, perché malato; non ha vissuto il disastro, ma ha conosciuto i tedeschi. In Grecia, in Albania ha dato il meglio di se stesso, non piegava la schiena di fronte ai comandi; si è fatto perdonare dai suoi ufficiali la scorza dura, il tratto da soldato terribile, esigentissimo. Corriamo da Palazzi, sono le 21. palazzi appare, in pigiama. Ha tardato ad aprire. Sull’uscio di casa ci sbarra l’entrata. Non parla, ci guarda di brutto. Con il pigiama a righe sembra un carcerato. “Colonnello, - gli dico - in caserma tutti scappano. Abbiamo fiducia in lei, venga in caserma. Con lei saremo in molti a sparare…”.Esplode “Fuori dai ciglioni, grida - via, non voglio sapere niente. Tutti pidocchi, tutti pidocchi, fuori dai coglioni”. Scendiamo a testa bassa, mentre continua a urlare, e ogni insulto è una staffilata. Abbraccio Piero. Piangiamo come due bambini.» Cfr. N. REVELLI, La guerra dei poveri, cit., p. 123.
89 Pompeo Colajanni, comandante Nicola Barbato 1906-1987. Già negli anni Venti, giovane comunista, si adoperò per la costituzione di un fronte unitario antifascista del quale facevano parte giovani repubblicani, socialisti, anarchici e comunisti e che per quest’attività subì arresti e perquisizioni. Ufficiale di complemento di cavalleria durante la seconda guerra mondiale, subito dopo l’8 settembre del 1943 organizzò in Val Po, presso Borgo San Dalmazzo, con i suoi soldati, altri ufficiali e civili, una delle prime bande partigiane (il distaccamento garibaldino "Pisacane"), da cui si sarebbero poi sviluppate, brigate, divisioni e raggruppamenti di divisioni. Il nome di "Barbato", divenuto comandante della VIII Zona (Monferrato) e vicecomandante del Comando militare regionale piemontese, divenne presto leggendario per le imprese delle formazioni al suo comando e per la competenza militare. Nell’approssimarsi dell’insurrezione generale ebbe il compito di investire e liberare Torino, coordinando le formazioni Garibaldi, GL, Matteotti e Autonome. Il mattino del 28 aprile Torino era completamente liberata e Colajanni veniva designato vicequestore. Pochi mesi dopo "Barbato" era sottosegretario alla Difesa nel governo Parri e lo fu anche nel primo governo De Gasperi. Sino alla sua scomparsa Colajanni non cessò mai l’attività politica: consultore nazionale, membro della Camera dei deputati, membro del Comitato centrale del PCI, deputato regionale in Sicilia, vice presidente dell’Assemblea siciliana, segretario delle federazioni comuniste di Enna e di Palermo, consigliere nazionale dell’ANPI, attivo nel Consiglio nazionale della pace.
90 Maggiorino Marcellin, nato a Pragelato (Torino) il 16 luglio 1914, deceduto a Sestriere (Torino) nel 2001, maestro di sci, Medaglia d’argento al valor militare. Di umili origini - montanari poverissimi, padre di antica militanza socialista - aveva dovuto emigrare in Francia durante il regime fascista, dovendo presto abbandonare la scuola per cogliere le occasioni d’occupazione che gli si offrivano. Allorché i suoi tornarono in Italia, Maggiorino trovò prima lavoro negli alberghi del Sestriere poi, quando nella località turistica si costituì la scuola di sci che sarebbe diventata famosa, divenne maestro di sci. Questo non gli impedì di tornare spesso, clandestinamente, in Francia, dove - a Cannes e a Lione - aveva mantenuto contatti con i circoli degli emigrati antifascisti. Al ritorno da uno di questi viaggi, Marcellin fu arrestato e, per evitare guai maggiori, si risolse ad arruolarsi negli Alpini. Tra richiami e punizioni per le sue posizioni antifasciste riuscì, soprattutto per la sua abilità di sciatore, a diventare sottufficiale. Partecipò con il 3° Alpini alle operazioni belliche in Francia e in Grecia. Rimpatriato per una ferita, Marcellin fu denunciato e arrestato per propaganda antifascista. Non fu processato perché intervennero i suoi superiori, che non volevano privarsi di un sergente maggiore così bravo a insegnare a sciare agli alpini. Sopraggiunto l’armistizio, Marcellin, diventato "Bluter", riuscì subito a raccogliere nuclei partigiani locali e poi a svilupparli, dando vita alla I Divisione autonoma "Val Chisone". Questa sarebbe poi diventata, al comando di "Bluter", la 44a Divisione Alpina Autonoma "Adolfo Serafino”. Ferito due volte in scontri con i nazifascisti, "Bluter" è stato decorato, oltre che con la Medaglia d’argento, anche della Bronze Star alleata. Dopo la Liberazione ha continuato, per molti anni, a fare il maestro di sci al Sestriere.
91 Vincenzo Moscatelli (Cino) nacque a Novara il 3 febbraio 1908. Comunista e antifascista, continuò la sua attività nel partito durante il regime. Il 26 luglio 1943, giorno successivo alla caduta del fascismo, improvvisò a Borgosesia una manifestazione popolare e, nei quarantacinque giorni del governo Badoglio, riprese a dirigere il movimento antifascista in Valsesia, ristabilendo i contatti con le fila dell'organizzazione. Dopo l'8 settembre fu tra i promotori del Comitato valsesiano di Resistenza (il futuro Cln) e svolse subito, impegnando tutti i suoi risparmi, un'intensa attività per l'organizzazione degli sbandati e della guerriglia, contro le forze che la Repubblica di Salò andava riorganizzando, a fianco dell'esercito di occupazione. Per i meriti acquisiti nella lotta partigiana, Moscatelli fu congedato con il grado di tenente colonnello e gli vennero conferite la medaglia d'argento al valor militare e due croci al merito di guerra. Dopo la Liberazione venne designato sindaco di Novara dal Cln. In seguito, dopo essere stato membro della Consulta nazionale, che doveva preparare l'elezione dell'Assemblea Costituente, e fu parlamentare in più occasioni. Morì a Borgosesia il 31 ottobre 1981. Per la biografia completa si veda il sito web dell’Istituto per la Storia della Resistenza di Biella e Vercelli, www.storia900bivc.it
92 Filippo Beltrami, nato a Cireggio (Novara) nel 1908, caduto a Megolo (Novara) il 13 febbraio 1944, architetto, Medaglia d’oro al Valor Militare alla memoria. Il primo riconoscimento, in qualche modo ufficiale, dell’esistenza nell’Italia occupata di un movimento partigiano, che preoccupava i nazifascisti, è comparso il 29 dicembre 1943 su La Stampa. In un articolo intitolato "I cavalieri della macchia" firmato da Concetto Pettinato, sul giornale torinese si ironizzava a proposito di un "artista lombardo" e di sua moglie, scorrazzanti in Val d'Ossola. Quell’"artista lombardo" era Filippo Beltrami, che sarebbe morto in combattimento un mese e mezzo dopo, cadendo con altri dodici compagni, tra i quali Gianni Citterio, Antonio Di Dio e Gaspare Pajetta. All’epoca capitano d’artiglieria, l’8 settembre del 1943 Beltrami si era trasferito, con moglie e figli, da Milano a Cireggio, in una villa di famiglia. Noto nella zona per le sue idee antifasciste, l’architetto fu ben presto avvicinato da alcuni giovani comunisti che, con un gruppetto di militari sbandati, avevano costituito una formazione partigiana sopra Quarna. Gli offrirono di comandare la piccola banda e il capitano accettò. A dicembre il gruppo contava già oltre duecento effettivi le cui azioni, come dimostrò indirettamente l’articolo su La Stampa, cominciarono a diventare un serio problema per le forze d’occupazione. Per questa ragione il Comando tedesco di stanza a Meina, approfittando del fatto che, nel corso delle ultime azioni, i partigiani di Beltrami erano stati duramente provati, decise di proporgli una sorta di salvacondotto per sgombrare dalla zona. Un colloquio tra il comandante partigiano e quello tedesco, Simon, si concluse con una frase di Beltrami, sferzante come quelle della lettera che aveva spedito a Pettinato dopo la pubblicazione dell’articolo: "…qui siamo a casa nostra, siete voi che dovete andarvene". Il giorno dopo l’incontro, i tedeschi attaccarono di sorpresa e con forze soverchianti la base partigiana di Megolo, che fu occupata soltanto quando i partigiani di Beltrami caddero ad uno ad uno o finirono le munizioni.
93 Ignazio Vian, nato a Venezia nel 1917, impiccato a Torino il 22 luglio 1944, maestro elementare e studente in Magistero, Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria. Tenente di complemento della Guardia alla Frontiera, l’8 settembre 1943 Vian era in servizio a Boves. All’annuncio dell’armistizio, fu tra i primi ad attestarsi sulla Bisalta, la montagna che sovrasta l’intera zona, per apprestarsi a rispondere con le armi all’incombente minaccia tedesca. Raccolti attorno a sé circa 150 uomini, ne assunse il comando costituendo una delle prime formazioni partigiane e, contrariamente ad altri gruppi che avevano scelto di attendere, cominciò subito la guerriglia. Il 19 settembre la formazione di Vian venne duramente impegnata in combattimento dalle SS del maggiore Joachim Peiper, che avrebbe poi perpetrato la strage di Boves (uccisi 32 paesani inermi e incolpevoli, rase al suolo 44 case, nonostante Peiper si fosse impegnato a non effettuare rappresaglie dopo la restituzione di due SS catturate dai partigiani). Per oltre dodici ore i patrioti resistettero all’attacco nemico, condotto con l’appoggio dell’artiglieria. Mentre Boves bruciava e vi veniva commesso l’eccidio, Vian raggiunse la Val Corvaglia. Alla sua banda affluirono altri volontari, così da raggiungere la forza di una Brigata che continuò, senza tregua, la guerriglia. Nel marzo del 1944, i partigiani di Vian si unirono alle formazioni di Martini Mauri e il giovane tenente assunse la responsabilità di comandante in seconda del 1° Gruppo Divisioni alpine degli "Autonomi". In missione a Torino, il 19 aprile del 1944, il comandante partigiano cadde in mano dei nazifascisti. Venne ripetutamente torturato perché rivelasse nomi e luoghi della Resistenza, ma non cedette. Nel timore di non poter più resistere, dopo settimane di torture, si svenò nel carcere. Fu curato e tre mesi dopo l’arresto, quando a malapena riusciva a reggersi in piedi, i nazifascisti lo impiccarono a un albero nel centro di Torino.
94 R. BATTAGLIA, Storia della Resistenza italiana, cit, p. 190.
95 Ibid, pp.204-205.
96 D. L. BIANCO, Venti mesi di guerra partigiana nel cuneese, Cuneo, Panfilo, 1946, p. 63.
97 R. BATTAGLIA, Storia della Resistenza italiana, cit., p. 190. Questo tratto è comune alla preoccupazione che sembra emergere dalla bozza dell’ordine scritto dal comandante Malerba in merito all’arruolamento, in Appendice, Per una descrizione del fondo Martino, Resistenza, fasc. 10.
98 R. BATTAGLIA, Storia della Resistenza italiana, cit, p. 188.
99 Facevano parte del ricostituito Comitato militare il maggiore Gonella e Carlo Marsaglia per il PLI, Maurizio Fracassi per la DC, Pittavino per il PSI, Galimberti per il Pd’A, Pratolongo per il PCI. Inoltre vi erano, in qualità di consulenti militari, il generale Alessandro Trabucchi (Alessandri), il generale Carlo Drago (Nito), il maggiore Creonti e il colonnello Contini (Elle). Cfr M. GIOVANA, La Resistenza in Piemonte. Storia del CLN regionale, cit., p. 100.
Lodovico Como, Dall'Italia all'Europa. Biografia politica di Edoardo Martino (1910-1999), Tesi di Dottorato, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Anno Accademico 2009/2010