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lunedì 5 agosto 2024

Studenti di Ventimiglia e di Sanremo a cavallo della seconda guerra mondiale

Sanremo (IM): l'edificio (già Monastero delle Monache Turchine) che fu sede del Liceo Classico frequentato da Italo Calvino

Qualche anno prima dell'ultimo conflitto mondiale un giovane orfano di Ventimiglia per completare il curriculum scolastico antecedente l'Università, alla quale non sapeva ancora se sarebbe stato in grado di iscriversi, fu costretto a entrare in Seminario a Bordighera: era per lui lungi da venire una non facile esperienza - cattedra ricoperta come supplente di un titolare in distacco perché a lungo parlamentare - di insegnante di lettere alle superiori, di esperto di latino e di Pirandello, di preside - quest'ultimo un incarico in posizione infine stabile -.

In quel torno di tempo scendevano a piedi a Ventimiglia per le richiamate esigenze di frequenza scolastica due ragazzi di paeselli vicini di Val Roia, uno destinato a diventare avvocato di nome e sindaco della città di confine, l'altro vocato, prima di accedere all'insegnamento, ad essere capitano di mare.

Si trovava nella stessa classe liceale di Italo Calvino a Sanremo la futura insegnante, la quale, appena finita la guerra, impartiva ripetizioni al ragazzo destinato a ripercorrere con onore una strada di famiglia diventando un celebre fotografo. La ragazza non poteva vaticinare che avrebbe insegnato alle medie inferiori di Ventimiglia né che tornata nella sua vecchia scuola anche lì avrebbe svolto il suo ruolo, ma in una sede che ormai fisicamente era di Ragioneria: meno che mai che in tempi ancora più recenti certi suoi metodi autoritari sarebbero stati aspramente criticati su libello dal colto e brillante divulgatore, ma anche severo fustigatore di costumi, che si chiama Marco Innocenti.

Con Calvino e la non avvenente fanciulla - ed Eugenio Scalfari ed altri nomi risonanti nella storia della Sanremo bene, certo - c'era anche, come attesta una non del tutto nota fotografia, il futuro ingegnere - con radici in Bordighera - di Ventimiglia, che ben prima di poter esercitare dovette, arrestato quale patriota antifascista, passare per le forche caudine di un campo di concentramento nazista.

Appena finiti gli eventi bellici, per affrontare al meglio il liceo classico a Sanremo, dopo la forzata interruzione degli studi, prendeva lezioni da un personaggio qui già citato, che all'epoca era appena entrato nella vita politica, un giovanotto destinato a diventare un illustre giurista e poi, anche lui, un reggitore a livello centrale della cosa pubblica.
Tra i tanti meriti del suo mentore, tuttavia, si è ritrovata - per via di uno strano caso di quelli che a volte capitano - almeno una nota stonata: la copia di una lettera con cui nel 1958 aveva cercato - invano, si può aggiungere, con il senno di poi - di impedire l'assegnazione di una casa popolare ad un attivista comunista, già partigiano, come sottolineava proprio lo scrivente, a quel punto del tutto dimentico di aver fatto parte di un C.L.N. locale. 

Rimane indeterminato il periodo nel quale un maestro di Ventimiglia, sposata una collega di Apricale - un borgo natio di intellettuali, nonostante vecchie dicerie - venne convinto dalla moglie a perfezionare gli studi, così da diventare, da laureato e da docente, anche un esperto della lingua dell'antica Roma e, successivamente, preside del latinista già menzionato.

Ed altri passi ancora si sono incrociati, anche se non per tutti, tra politica, docenze, relazioni sociali.

Adriano Maini

domenica 3 ottobre 2021

L’80% dei partenti verso destinazioni americane negli anni venti preferì l’Argentina


L’inizio della prima guerra mondiale provocò una drastica diminuzione dell’immigrazione in Argentina. Se nel 1913 arrivarono 215.871 persone, nel 1914 gli ingressi furono solamente 76.217. Il calo riguardò gli immigrati di tutte le nazionalità, compresi gli italiani, che scesero negli stessi anni da 114.252 a 36.122. Anche se il conflitto scoppiò nel settembre e l’Italia vi entrò solo nel maggio del 1915, quando le forze neutraliste, il clima era già tale da scoraggiare le partenze.
[...] D’altro canto, prima ancora che scoppiasse il conflitto, l’Italia come misura precauzionale aveva sospeso provvisoriamente il rilascio dei nulla osta per l’espatrio ai riservisti (peraltro erano previste delle deroghe su sollecitazione degli interessati). Così, già nel 1914, il saldo migratorio degli italiani in Argentina diventò negativo e i rientri per la prima volta dal 1891 superarono gli arrivi (- 24.480). L’anno seguente, nel 1915, con l’Italia ormai in guerra contro l’Austria-Ungheria, il saldo negativo aumentò e sbarcarono appena 11.309 italiani a fronte di 55.775 ritorni. Fino al 1919 i saldi rimarranno negativi.
Tuttavia, se confrontiamo il flusso dall’Italia al Plata con quello diretto negli Stati Uniti notiamo alcune interessanti differenze. Verso gli Usa ancora nel 1914 furono registrati saldi ampiamente positivi (quasi 300.000 arrivi con 85.000 partenze) e solo a partire dal 1915 il movimento si invertì, mantenendo il segno meno anche negli anni successivi, con l’eccezione del 1917 <64.
Tutto ciò suggerisce che, oltre che con gli effetti della guerra, la brusca caduta dell’immigrazione in Argentina vada messa in relazione con l’evoluzione economica del Paese sudamericano. Le prime difficoltà si fecero sentire già nel 1914, quando ancora il conflitto, che poi avrebbe aggravato la situazione, non era scoppiato. Se la guerra creò alcune possibilità di sviluppo per l’industria argentina, che era chiamata a sostituire quei prodotti importati che non si potevano più comprare in Europa, per altri versi ne rese drammaticamente evidenti i ritardi sul piano tecnologico in molti settori, che non erano in grado di produrre localmente i beni alternativi. Soffrirono anche le esportazioni argentine, che videro cambiare la loro composizione, dato che aumentarono quelle della carne e calarono quelle dei cereali, di cui gli italiani erano tra i principali produttori <65.
Qui incideva la caduta dei prezzi dovuta agli abbondanti raccolti nordamericani e all’aumento dei costi di trasporto, per il rialzo delle tariffe dei noli sulle tratte dell’Atlantico meridionale rispetto a quelle praticate sulle rotte settentrionali.
La guerra da molteplici punti di vista colpiva l’immigrazione e favoriva i ritorni.
Per i contadini in particolare, che costituivano la stragrande maggioranza degli emigranti, il conflitto era certamente una sciagura in più. Obbligati a servire al fronte, dovevano lasciare la famiglia e abbandonare le coltivazioni in mano agli anziani, alle donne e ai bambini.
Terminato il conflitto, l’emigrazione italiana riprese molto lentamente e l’economia argentina pure.
Uno degli effetti della guerra era stata la brusca caduta del Pbi (il prodotto interno lordo), che si combinò con il drastico aumento della disoccupazione. Solo nel 1920 il Pbi argentino, in crescita per il secondo anno consecutivo, superò i livelli del 1913. Da lì in avanti ci fu un nuovo periodo di espansione fino al crack del 1930 <66. Parallelamente il flusso migratorio tornò a essere leggermente positivo nel 1920 e confermò la tendenza nel 1921. Il processo conobbe una significativa accelerazione l’anno dopo, per il concorso di due fattori: il forte recupero dell’economia argentina per un verso e la nuova legislazione statunitense per l’altro.
Introducendo il sistema delle quote nel 1921, il governo nordamericano penalizzò fortemente gli italiani e gli altri gruppi della cosiddetta «new emigration».
[...] L’immigrazione italiana in Argentina continuò a crescere fino a toccare nel 1923 i 91.992 ingressi, il picco del decennio. Nei tre anni successivi si mantenne su livelli elevati, anche se in diminuzione, raggiungendo il secondo valore più alto della decade nel 1927 (75.000), per poi cominciare a calare, stabilizzandosi intorno ai 35.000 nel 1931. Si potrebbe collegare questo declino alle nuove disposizioni restrittive. Misure e controlli furono tra l’altro intensificati a partire dal 1923, sia sul piano normativo che della prassi.
Le fluttuazioni del movimento verso l’Argentina seguirono il ritmo dell’emigrazione italiana nel suo complesso verso tutte le destinazioni: sebbene esse fossero condizionate dalle restrizioni applicate negli Stati Uniti, il calo che si verificò al Plata fu parallelo a quello registrato in Europa <67.
Invece è possibile che la diminuzione del flusso italiano in generale sia da collegare più strettamente, dal 1927 in poi per quanto concerne l’Argentina, alle disposizioni che l’Italia fascista, al pari di altri paesi di emigrazione, introdusse per limitare il numero delle partenze. Tra queste c’era l’obbligo di essere in possesso di un contratto di lavoro per ottenere l’autorizzazione a lasciare la penisola. Le norme per scoraggiare gli espatri rispondevano alla logica fascista, che considerava il numero degli abitanti di un Paese sinonimo di potenza.
In ogni caso, l’emigrazione al Plata nel complesso continuava a riguardare in larga misura il Mezzogiorno, con una partecipazione non indifferente di altre zone da cui tradizionalmente si partiva per l’Argentina, come il Piemonte e le Marche <68.
Una componente nuova (che anticipava in qualche modo la distribuzione regionale del flusso del secondo dopoguerra) era costituita dall’’immigrazione proveniente dalla neonata regione del Friuli Venezia Giulia: l’80% dei partenti verso destinazioni americane negli anni venti preferì l’Argentina.
In questi anni meridionali e friulani si orientarono infatti prevalentemente verso le città, mentre i piemontesi continuarono a dividersi: in buona parte optarono ancora per la pampa gringa, una percentuale minore scelse le aree urbane. Per altri versi, ci fu una penetrazione in zone nuove, in particolare la valle del Rio Negro e altri luoghi della Patagonia.
La crisi mondiale del 1930 causò una brusca interruzione delle migrazioni internazionali in generale e di quelle italiane in particolare. Nel caso argentino alla diminuzione degli arrivi si sommò l’aumento dei rientri, così che il saldo risultò negativo nel 1932 e nel 1933, gli anni di maggior impatto della depressione mondiale. Anche se per l’economia argentina le cose migliorarono già a partire dal 1933, il flusso italiano non recuperò, attestandosi intorno ai 15.000 ingressi annuali, con saldi positivi che oscillarono tra i 3.000 e i 5.000 immigrati a seconda degli anni. Con l’ingresso dell’Italia nella Seconda Guerra Mondiale immigrazione ed emigrazione da e verso l’Argentina cessarono quasi completamente, con un saldo in pratica pari a zero negli anni compresi tra il 1940 e il 1945. Dunque si verificò un’interruzione di quasi quindici anni, tra 1932 e 1946, durante i quali gli italiani smisero di alimentare la società e l’economia argentina e però anche le loro stesse comunità nel Paese, con conseguenze di grande portata.
Le ragioni di questo nuovo calo migratorio possono nuovamente essere collegate all’introduzione di ulteriori misure restrittive in Argentina: nel 1930 (aumento sostanziale del costo del visto consolare per i certificati imposti dal regolamento del 1923), nel 1932 (obbligo per l’immigrato di avere un contratto di lavoro per entrare nel Paese) e nel 1938, quando diventò necessario anche un permesso di «libero sbarco», che oltre a complicare ulteriormente la trafila burocratica, lasciava ampia discrezionalità ai funzionari consolari e di immigrazione argentini, rimettendo a loro la decisione su chi poteva sbarcare <69.
Tuttavia le nuove disposizioni non puntavano a bloccare gli italiani (con l’eccezione non secondaria degli ebrei italiani e degli altri esuli che scelsero l’Argentina come destinazione dopo l’introduzione da parte di Mussolini delle leggi razziali, nel 1938). Al contrario gli italiani erano tra i gruppi chiaramente preferiti, in base al principio della maggiore loro compatibilità con la società argentina, e per effetto anche delle teorie razziste sempre più in voga in quegli anni.
[NOTE]
64 Ferenezi I.- Willcox W., International Migration, NBER, New York. 1929, vol I pp.465 e 496
65 Incisa di Camerana L., L’Argentina, gli italiani, l’Italia , SPAI, Milano, 1998, pp. 387-9.
66 Bertello U., Argentina, il sogno… e la realtà, L’Artistica Editrice, Cuneo, 2003, p.86.
67 Rosoli G., Un secolo…, p. 346.
68 Ivi, p. 351.
69 Devoto Fernando, Historia…, p. 382.
Andrea Ferrari, Aspetti socio-culturali dell’emigrazione italiana in Argentina: il caso di Santa Fe, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Torino, Anno Accademico 2007/2008