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giovedì 28 febbraio 2013

L'Aprosio e la sua terra























Posso immaginare che abbia visti ruderi simili a questi della fotografia, che sono, invero, ormai in qualche modo sistemati, ruderi che affioravano appena dalle sabbie accumulatesi con il tempo a Nervia di Ventimiglia (IM), il religioso ed erudito Aprosio a metà 1600, che trasse dalla sua scoperta non solo la convinzione di avere individuato la sepolta città romana, ma anche, con l'enfasi tipica della sua epoca barocca, l'ispirazione di paragonare quegli scomparsi antenati alla dimensione mitica di antichi troiani.























Ci fu chi, considerato allora insigne dotto da quelle - queste mie! - parti, contestò simili affermazioni di un Aprosio appena tornato in zona dopo decenni passati altrove - importante, ad esempio, il periodo di Venezia per le conoscenze là maturate -, rinfacciandogli che la presenza quirite si era, invece, affermata sul promontorio del successivo sviluppo medievale di Ventimiglia. Passarono più di due secoli perché si desse ragione al Nostro.

Già una riflessione di questa natura rende interessante, a mio avviso, la figura di Aprosio (al secolo Ludovico; Angelico come eremitano di S. Agostino; nato a Ventimiglia nel 1607 e ivi morto nel 1681). Io stesso ho considerato a lungo il fondatore della prima Biblioteca Pubblica della Liguria, che da lui prende il nome, solo un collezionista di libri, che si dilettava di artifici letterari barocchi, per l'appunto. Man mano che leggo della sua vita, dei suoi contatti con un certo mondo intellettuale, non solo italiano, ed anche di certe sue opere, la figura dell'Aprosio assume ai miei occhi una nuova dimensione, di uomo che ardeva dal desiderio di conoscere e che talora fu pavido per non soccombere a facili, ai suoi giorni, accuse di eresia. Per dire, fu anche Vicario dell'Inquisizione, ma molti indizi fanno supporre che avesse cercato quella carica soprattutto per poter leggere, in funzione della sua insaziabile curiosità, libri messi all'Indice. 
Conobbe Gian Domenico Cassini, il futuro grande astronomo.























Cassini che fece i primi studi, quelli di base, nella parrocchia di Vallebona.























E del quale mi piace, aprendo una divagazione, pensare che dalla natia Perinaldo passasse spesso da questo crinale, che comunque incombe su Vallebona e sulla Valle del Borghetto.

Fu l'Aprosio a mettere in contatto Cassini con un nobile di Genova, che per il giovane rappresentò una sorta di trampolino di lancio verso la successiva, luminosa attività.

C'é un particolare, tipico in quel secolo, che sottolinea il rapporto tra l'anziano agostiniano e l'astronomo, di lì a poco amico di Cristina di Svezia, ma soprattutto in seguito beniamino del Re Sole: il Cassini ormai emigrato mandò all'anziano religioso in dono un quadro che lo ritraeva, un segno preciso, nel simbolismo di quella società, di stima e di considerazione.

In quello che era ormai il suo eremo in Ventimiglia - il Convento nella piana tra il fiume e il torrente, che ospitava, mercé anche qualche accorgimento rispetto alle regole vigenti, quale dichiararla aperta al pubblico, la sua poderosa "Libraria" -, l'Aprosio aveva anche l'animo di sollevare lo sguardo da sue residuali incombenze e ancor più dalla sua fitta corrispondenza epistolare con il mondo della cultura a lui contemporaneo per accorgersi di dolenti aspetti di umanità intorno a lui, come la povertà dei pescatori di Bordighera, costretti a vendere il frutto delle loro dure fatiche a prezzi imposti su piazza a Ventimiglia...



venerdì 22 febbraio 2013

Via Due Camini






















Certe mie emozioni acquisiscono dimensioni particolari nel caso di racconti o romanzi, che delineano anche sommariamente, quasi per inciso, affidandosi alla cifra della memoria, certi angoli o certo vissuto di Ventimiglia (IM) e del Ponente Ligure. Soprattutto se scritti da un amico finalmente ritrovato o da chi non incontro più praticamente dai tempi della scuola. E, forse, il mio coinvolgimento è ancora più forte, perché sono libri da me scoperti e, quindi, letti, come mio solito, quasi trasognato, in ritardo.























Chi scrive di Ventimiglia di solito non può prescindere dal mare. Dalle piccole baie, dalle calette, dalle rocce, sempre più numerose verso la frontiera. E c'è, tra gli autori cui ho qui solo accennato, chi sottolinea che, a esplorare e vivere questi paesaggi, e questo ambiente, una vera barriera con la Francia non vi sia mai stata.






















Ho anche rinvenuto una intrigante scansione, alla quale si affida un personaggio, di nomi di monti ben visibili dalla costa del Ponente Ligure.
In questa fotografia, scattata verso la confluenza di Via Due Camini con la Frazione di San Bernardo di Ventimiglia, si può notare una scarna selezione di cime e di colline. Una zona densa di trasformazioni, ormai, e di riferimenti di vario ordine, che mi porterebbero in ogni caso fuori discorso.

Sarebbe in tema la vecchia trattoria più indietro, verso il mare, di Via Due Camini, semplicemente detta, appunto, "Due Camini", meta tradizionale per tanti anni di gite fuori porta, rimaste nel vissuto popolare, anche perché quell'esercizio da tempo è chiuso. Per varie associazioni di idee è riemersa viva nella mia mente una giovanile serata di fine estate, fatta quasi di niente, se non del discorrere allegramente in compagnia salendo e ridiscendendo, dopo breve ristoro lassù, in città: ero ancora inconsapevole che l'età della spensieratezza stava finendo.


Qualcuno, per un'altra comitiva, almeno una foto l'aveva, invece, pur fatta, ai Due Camini.























Più sotto ancora il Roia apre la sua foce. Su quella parte di lungofiume la Battaglia di Fiori, cui ho accennato nel mio ultimo post, si é sempre svolta. Un altro libro mi porta a rammentare un aspetto di quella manifestazione che ho trascurato, quello dei balli popolari conclusivi, in questo caso quelli di una volta nel Mercato dei Fiori. Il romanzo in parola venne scritto circa sessant'anni fa da persona appena trasferitasi con la famiglia nella città di confine: l'entusiasmo con cui vengono descritti gli aspetti salienti di questa kermesse - a ben guardare anche altro, come la zona di mare di confine - nella trama del racconto appare molto genuino e spontaneo. 
E Ventimiglia, intesa come insieme di fattori qui solo adombrati, continua - al netto dell'effettiva resa artistica dei singoli - a suscitare di queste impressioni...



sabato 16 febbraio 2013

Verso la Battaglia di Fiori

Mi induce a entrare sul tema Battaglia di Fiori di Ventimiglia, su cui mi ero sinora trattenuto, perché non sono competente, ma solo semplice appassionato e discontinuo spettatore, una recente notarella su Facebook dell'amico Gianfranco Raimondo, che, una volta tornato dalla vacanza nelle Filippine, ha dato avvio alla preannunciata serie di memorie locali, vieppiù sollecitate da altri suoi corrispondenti. 
Gianfranco é stato carrista e da spettatore non hai mai perso un'edizione - quelle del dopoguerra - della Battaglia. 
In un'occasione, nel 1961, fu anche - per il solito, ricorrente discorso di carenze finanziarie - il presentatore ufficiale dell'iniziativa, che in quegli anni poteva contare, per fattori di simpatia o di amicizia, su collaboratori e ospiti di grande richiamo, tra cui vado adesso a evidenziare solo Cary Grant e Walter Chiari. A Gianfranco nell'occasione toccò in sorte di avere come collaboratrice Elke Sommer, attrice all'epoca molto famosa. E di fare i classici salti mortali per sopperire ad un'esigenza sollevata dal segretario - in seguito mio caro, indimenticabile amico - del Comitato Organizzatore, che lo aveva pregato di tirare in lungo con considerazioni varie quanto comunicava per altoparlanti al pubblico assiepato, per consentire l'ingresso sul corso di sfilata di un carro in ritardo per pregressa avaria.
Non mi é facile tirare le fila di questo argomento, la Battaglia di Fiori, neppure consultando alcune fonti scritte, perché sono troppi gli aspetti singolari che emergono. 
Tento qualche sintesi. 
Già in pieno sviluppo negli anni '30 del secolo scorso, la Battaglia, interrotta nella sua sequenza dalla guerra, conobbe in seguito il massimo fulgore sino alla forzata interruzione nel 1969, a causa soprattutto del pesante costo dei garofani, componente essenziale dell'addobbo dei carri e sino ad una certa data reperibili gratuitamente allo stadio della loro ultima fioritura (se ricordo bene, la cosiddetta terza), in quanto ancora ampiamente diffusa in zona la loro coltivazione. Per molte persone si tratta del periodo dei carri più belli e imponenti: anzi, diversi vennero messi fuori concorso, perché eccedenti le misure limite, stabilite dal regolamento. 
In quella fase i carri, soggetti - come ancora adesso - alla cosiddetta infioratura a mosaico (garofani infissi con chiodi molto lunghi) -, quasi completa sino ad abbracciare le fiancate dei carri, con l'esclusione di minime percentuali di semprevivi, in genere per i volti delle raffigurazioni - , avevano una base di muschio, stretta con rete metallica su un minimo di supporti metallici sino a formare le sagome, previste dai progetti. Racconti sentiti ancora di recente mi parlano del muschio raccolto nei boschi in funzione di provvista già in inverno, anche da ragazzini. O, nell'esempio di un quartierino di Bordighera, a me caro nell'infanzia per motivi familiari e che diede il nome ad una compagnia molto spesso vincitrice, tutte le vasche da bucato dei giardinetti occupate per giorni a tenere freschi nell'acqua i garofani - migliaia e migliaia! - necessari per il carro di quel gruppo.
Tornando alla storia della manifestazione, aggiungo che la medesima venne ripresa, con contributi pubblici ormai sostanziosi, negli anni '80 e che, dopo breve interruzione a due anni dalla ripresa, si svolge tuttora, magari incappando come l'anno scorso per le solite difficoltà finanziarie nel dover effettuare un'edizione striminzita, vale a dire con carri mini.
Dovrei aggiungere delle origini della Battaglia. Degli antichi riferimenti all'economia locale. Della passione popolare, ancora cospicua, ma una volta degna del Palio di Siena. Dei conseguenti aneddoti che la circondano. Della sua grande risonanza fuori zona degli anni '50 e '60. Delle inevitabili, vive memorie di carattere personale. Del fatto che oggi la cosiddetta anima dei carri é in polistirolo e che si é abbastanza ridotta la superficie ricoperta a garofani, quelli ormai pagati cari e importati. Che con la progressiva scomparsa di spazi utili i capannoni dove costruire i carri non vengono più eretti in modo disseminato sul territorio, ma sono raggruppati in pochi siti, per cui é andata di fatto fuorigioco la copertura d'antan di certi segreti professionali. Che ci sono in archivi, gelosamente custoditi, ma anche in circolazione sul Web, tante immagini: io stesso mi sono ritrovato in casa fotografie che non pensavo di avere...




domenica 10 febbraio 2013

Qualcosa ancora su Perinaldo


La storia di Perinaldo ha un particolare fascino. Il Santuario di Nostra Signora della Visitazione, una chiesa campestre, ad esempio, sarebbe stato eretto nel Seicento sulla linea del meridiano, suggerita dal grande astronomo Gian Domenico Cassini, nativo di quel borgo. E quella definizione, Madonna del Poggio del Rei, che talora riaffiora, riporta ai secoli bui del diritto intermedio, prima della Rivoluzione Francese, quando i condannati da un diritto crudele dovevano sfilare in corteo intorno a questa costruzione, indossando infamanti abiti da penitenti.


Qui sopra il cosiddetto Castello Maraldi, lato meridionale dell'edificio dove vide la luce il Cassini. Vi soggiornò anche Napoleone, lasciando vivida traccia nella memoria locale.

Una parte della Zona del Giuncheo, importante a livello agricolo nel Medio Evo. Là anche Santa Giusta, dove sostavano in antico viandanti e pellegrini. Dietro le colline, Negi, che é ancora Perinaldo. 


E poi, Cristiai-Peverei.























Il "Convento" dovrebbe essere facilmente identificabile in questo scatto dalla Chiesa di S. Antonio da Padova.


Prossimi a questo edificio sacro anche la nuova sede del Municipio e l'Osservatorio Astronomico Comunale "Gian Domenico Cassini".

Ma penso a tante persone - molte non ci sono più -, alla loro ospitalità, ai loro litigi di paese, da cui in buona misura mi tennero fuori, ai loro racconti di allora, soprattutto sugli sforzi di lunga data per forme di cooperazione solidale. Un borgo di sinistra, a lungo solida roccaforte del vecchio P.C.I. Lo stesso sindaco per più di quarant'anni, a partire dal dopoguerra. Salivano personaggi importanti a trovarlo. Alcuni si fermavano per vacanze più o meno lunghe, come altre volte ho già accennato. Fece installare - così mi dicevano gli anziani - una sirena perché le ore canoniche venissero scandite a chi lavorava nei campi da un segnale acustico laico, del Comune, non solo dalle campane. Sul piano umano ricordo il suo giusto orgoglio per essere stato in gioventù un valido ciclista sulle strade in particolare della Costa Azzurra. Si chiamava Emilio Croesi. Un documentato cultore delle testimonianze, come ho appreso meglio tardi, dopo la sua scomparsa, della storia recente del paese, dalla costruzione della strada carrozzabile al commercio - agli inizi del 1900 - del legname di quei boschi, che aveva come destinazione finale l'imbarco da un pontile ormai scomparso di Vallecrosia.
Dovrei dire, andando in ordine cronologico e in modo approssimativo, dei Conti di Ventimiglia per quanto attiene l'Alto Medio Evo, dei Doria di Dolceacqua, del Ducato di Savoia e del Regno di Sardegna, dei benefattori di fine 1800 che finanziarono scuole pubbliche, della Resistenza. Sul piano delle bellezze naturali della superba chiostra delle Alpi Marittime, visibili a nord di Perinaldo nelle giornate di buona luce. Ed altro su monumenti, case, caruggi.
Solo che scrivere di Perinaldo mi procura sempre qualche emozione, che mi porta a intraprendere la via dei ricordi personali.


giovedì 7 febbraio 2013

Il pallido abissino

Fonte: www.grosvenorprints.com
Fu un lord Halifax, a quanto pare, che propose allo scozzese James Bruce (1730-1794) di andare alla scoperta delle sorgenti del Nilo. Lo sbarco a Massaua in Mar Rosso avvenne il 19 settembre 1769.  Ma Bruce sarebbe stato trattenuto in territorio arabo se non avesse avuto l'accortezza di farsi rilasciare un firmano del sultano e lettere del bey del Cairo e dello sceriffo della Mecca. Ad Adua Bruce vide i resti di un convento di gesuiti, che sembrava piuttosto un forte. Ammirò ad Axum quelli che oggi sono obelischi famosi in tutto il mondo. Reputò di aver notato in alture tutte di marmo rosso più di un centinaia di tracce lasciate dagli scavi di colossali statue dell'Antico Egitto. Giunto a febbraio 1770 a Gondar, allora capitale dell'Etiopia, le sue prestazioni di medico contro il dilagare di una febbre tifoidea gli furono di grande aiuto per perfezionare il conseguimento del massimo appoggio del Negus e della corte per la sua spedizione. Nei mesi trascorsi a Gondar (anche dopo aver raggiunto la meta tanto agognata) raccolse informazioni preziose sul paese, anche circa la storia, pressoché uniche al momento della pubblicazione del resoconto di viaggio di Bruce. Il 4 novembre 1770 pensò di avere scoperto, con l'aiuto di guide locali, ma con sua decisione per il rilevamento del sito preciso, le sorgenti del Nilo, nelle vicinanze della chiesa di San Michele Geesh. Scrisse in proposito Bruce: "Certamente é più facile immaginare che descrivere ciò che provai allora. Rimasi ritto davanti a quelle sorgenti dove da 3000 anni il genio e il coraggio degli uomini più celebri avevano tentato invano di giungere". 
Tornato in patria, dopo un itinerario avventuroso, su cui é opportuno poi soffermarsi brevemente, l'esito delle sue ricerche venne accolto con molta incredulità. 
Ai nostri giorni gli si accredita in genere la mera scoperta di un affluente del Nilo Azzurro. Accennavo poc'anzi al viaggio di ritorno, iniziato nel dicembre 1771: arrestato in un Sultanato dell'attuale Sudan, riuscì ad avere salva la vita e a riottenere la libertà combinando le sue doti diplomatiche con i buoni uffici - all'insegna degli ottimi rapporti maturati da lui in quelle contrade - di un governatore etiope; e arrivare al Cairo nel gennaio 1773, a Londra nel 1774, dopo un soggiorno in Francia.

Fonte: libweb5.princeton.edu

Questa mappa dell'Abissinia (nome a lungo usato, per lo meno in Europa, per definire l'Etiopia), stesa nel 1809-1810 da Henry Salt, altro grande esploratore, sulla base di osservazioni dirette sul terreno, ma anche di informazioni raccolte sul posto, certifica in una dicitura di essere tributaria per il Nilo e zone circostanti (ad ovest del Samen) delle mappe di Bruce.
Di recente le esperienze di Bruce, a lungo dimenticato anche in Inghilterra, sono state narrate da Miles Bredin in un libro - non mi risulta ancora tradotto in Italia - dal titolo evocativo, "The Pale Abyssinian", che spero si possa tradurre adeguatamente in italiano come "il pallido abissino". Bredin sottolinea opportunamente che David Livingstone riteneva Bruce "un viaggiatore più grande di ciascuno di noi". E che Bruce aveva vissute avventure così grandi - tra queste, accoglienze favolose da parte di principi africani ignoti in Europa, le scalate delle tremende montagne dell'Abissinia, la traversata del terribile deserto della Nubia -, avventure tali da farlo ritenere un bugiardo negli ambienti ufficiali britannici. Bredin, se ho capito bene una recensione del suo libro, si spinge sino ad insinuare una ricerca... dell'Arca Perduta, che in effetti una tradizione della Chiesa Ortodossa Etiopica reputa tuttora conservata ad Axum.
Credo che la grandezza di Bruce risieda soprattutto nell'avere osservato, e tramandato, con grande attenzione quanto il suo coraggio temerario lo portò ad esplorare. Forse ancora adesso si insinua talvolta che il vero scopritore, europeo, delle sorgenti del Nilo Azzurro verso il 1604 sia stato Pedro Páez Jaramillo, gesuita e missionario spagnolo, che scrisse anche una Historia de Etiopia (1622) e,  a quanto pare, primo europeo ad assaggiare il caffè. Affermazione che, vedo su Google Libri - qui il link -, faceva sua nel 1850  anche l'italiano l'italiano Giulio Ferrario in una sua corposa opera. Páez cui si attribuisce la frase "Confesso che mi rallegra vedere quello che avrebbero voluto vedere il re Ciro, Alessandro il Grande e Giulio Cesare". Ma  questa scoperta da molti, compreso a suo tempo lo stesso Bruce, viene ritenuta un'invenzione di Athanasius Kircher (1602–1680),  noto gesuita, filosofo e storico tedesco, che invero molto sentiva il senso di appartenenza.
A prescindere dal fatto che le scoperte sono tali, quando ne derivano effetti concreti, credo che a Bruce la sorte abbia riservato diverse  beffe: avendo lui descritto molte bene il Lago Tana, la più grossa é quella che oggi si ritiene - aspetto a lui ignoto! - che il Nilo Azzurro sia un emissario del Lago in questione.
Sono ricorso per l'immagine, di cui all'inizio, ad una stampa, di tutta evidenza, italiana (del 1820, disegno di Bramati, incisione di Rados; e la voce di catalogo attribuisce la scoperta delle sorgenti del Nilo a Bruce) per una sorta di omaggio a questo affascinante viaggiatore, che anche per sue pregresse esperienze nel Mediterraneo, specie in Algeria, non mancò, inoltre, di tramandare - altro capitolo importante!- le sue acute osservazioni sui resti materiali delle antiche civiltà egizia e romana.



martedì 29 gennaio 2013

Cartoline d'epoca...

Parenzo, oggi Poreč, Istria, Croazia. Cartolina spedita nel 1901, quando quel territorio era ancora sotto l'impero austriaco.

Un'immagine di Trieste del medesimo periodo.

Aiguille de Bionnasay (sul Web questo nome lo trovo scritto oggi con due enne), Monte Bianco. 4.052 metri, in ogni caso. Una fotografia quasi d'epoca come le prime due. Non facile a realizzarsi, insomma.


Santa Margherita Ligure. Anche questa - come si potrà notare - "viaggiata" nel 1901.


Tunisia, Gafsa. Oasi. Gli anni di riferimento sono, più o meno, gli stessi.


Saint-Raphael.



Tram a Nizza in Piazza Massena, ai primi del 1900. Da qualche anno quel mezzo pubblico é di nuovo in funzione nella città e in quel sito in particolare.


domenica 27 gennaio 2013

Per la Giornata della Memoria

Per la Giornata della Memoria, l'Associazione culturale intemelia XXV Aprile/Arci ha organizzato nel Chiostro di S. Agostino-Biblioteca Civica di Via Cavour a Ventimiglia una mostra fotografica e documentaria sulla Shoah, su campi di concentramento e di sterminio nazi-fascisti e sulle deportazioni in provincia di Imperia.

Composta da pannelli e manifesti fotografici e documentari, la mostra è una ulteriore testimonianza di come il nazismo e il fascismo sconvolsero tutto il mondo e in particolare modo l’Europa.

Con un breve e documentato excursus storico, l’esposizione ripercorre il succedersi dei drammatici eventi: dall'origine, alle leggi razziali, alle persecuzioni, alle deportazioni, alle barbarie dei campi di concentramento e di sterminio  fascisti e nazisti.

Specifica documentazione è dedicata ai campi di concentramento ubicati in Liguria (Cairo Montenotte, Celle Ligure, Careglio Ligure)  e in particolare  nella nostra provincia (Vallecrosia)  e  in Val Roia, nella vicina  Sospel (durante l'occupazione militare italiana).

Una mostra per ricordare, riflettere e rafforzare  i valori della giustizia, dell'uguaglianza e della pacifica convivenza tra i popoli.

Resterà aperta dalle 9 alle 19 di tutti i giorni fino a sabato 2 febbraio prossimo.

Col patrocinio dell’Associazione Nazionale ex Deportati.

L’ingresso è libero e gratuito.


Associazione culturale  intemelia XXV Aprile/Arci
info 3407359368


mercoledì 23 gennaio 2013

Antonio Rubino e il Morgana di Sanremo

Ripensandoci, una fotografia decente del Morgana di Sanremo ce l'ho, per cui la pubblico, in modo da dare ora una estemporanea risposta ad un recente commento di @DIANA.BRUNA.

Non così estemporanea come l'ho pensata in un primo momento, suscettibile di diverse divagazioni.

Perché mi è tornato in mente che qualche anno fa avevo visto nella stazione ferroviaria della città dei fiori una bella ristampa del manifesto promozionale dedicato al Morgana (i vecchi omonimi Bagni, per la precisione) da Antonio Rubino, nato a Sanremo nel 1880 e morto nel 1964 a Baiardo, paesino (con importanti vestigia del terremoto del 1887) su in montagna a pochi chilometri dietro Sanremo. 
 
Fonte: fumetti.org
Antonio Rubino è, invero, noto soprattutto per essere stato uno dei più importanti autori del "Corriere dei Piccoli" dei primi anni (ma torna a collaborare a questa testata nel 1955 e, per quello che vale, ricordo bene sue strisce per averle lette in tempo reale)  e direttore di "Topolino" dal 1935 al 1940.
















 Riporto qui il link di Google Libri dov'è possibile visionare l'immagine cui ho già fatto cenno, che in quel contesto perde molto del fascino della riproduzione, immagine che mi colpì anche per il taglio secondo me moderno (nel 1922!), lasciandomi intuire la bellezza dell'originale. Mi sono accinto a questa soluzione perché non ho rinvenuto sul Web altre copie di quella icona.

Già questo fattore mi ha comportato di sorvolare sul fatto di compiere una sorta di pubblicità per un esercizio ancora in funzione con denominazione solo integrata (ma i Bagni dovrebbero ancora chiamarsi semplicemente Morgana). Ma il collegamento in questione mette, inoltre, in evidenza, che  dal 1991 è diventato monumento nazionale: del resto, balza evidente agli occhi non dal mio scatto, ma dalle fotografie di quel link, lo stile inconfondibile di un'epoca, quello, per non dire del Ventennio, alla Piacentini.

Aveva una  bella mano, insomma, Antonio Rubino. Anche una bella fantasia. Aggiungo per chi non si addentrasse nel mentovato link esterno che il nome Morgana l'aveva scelto lui, per una costruzione antecedente (come quella pubblicità) in loco a quella attuale. 

Fonte: sanremonews.it

Nel secondo dopoguerra Rubino si dedicò anche al cinema di animazione, per "Il paese dei ranocchi" e "Crescendo rossiniano". Scrisse libri e poesie. Fu anche pittore. Fu un personaggio importante, insomma, discretamente ricordato, a differenza di altri uomini degni di queste parti, nella nostra provincia. Del resto, a parte quello che cercavo io in primis, sul Web su di lui c'è abbastanza.
Personalmente ritengo superbi i suoi lavori pubblicitari, anche se il suo stile liberty, che a un certo punto perse i favori del pubblico anche nel campo delle strisce (non uso il termine fumetti perché, se non vado errato, Rubino non abbandonò mai nei suoi disegni per i ragazzi il sistema delle didascalie) a rigor di termini potrebbe apparire da tempo desueto.




mercoledì 16 gennaio 2013

Mi é capitato

Ieri mattina incontro dopo anni in questa zona di Dolceacqua I., già mia collega. Questo paesino della Val Nervia meriterebbe molta più attenzione da parte mia. Solo che ci sono siti e blogger che lo fanno meglio di me. Intanto, mi torna in mente un aspetto, che ho sempre rinviato di trattare, quello della ospitalità, selezionata, ma infine calda, degli abitanti dei nostri paesi verso i foresti. Ma I. mi ha anche parlato di concreta solidarietà sua e della sua famiglia verso giovani di Addis Abeba. E forse per questa sua testimonianza mi sono dimenticato, prima di salutarci, di dirle come un certo vino Rossese, sempre della sua famiglia, fatto conoscere in una certa pregressa occasione professionale, facesse parlare di sé in toni elogiativi in ambienti ufficiali ancora tanto tempo dopo. 
Fatti due passi, mi è, poi, capitato con un altro amico di vecchia data di fare saltare fuori il discorso di vecchie fotografie da riportare alla luce...

La mattina della scorsa Epifania mi era successo di partecipare, anzi, di organizzare, una sorta di rimpatriata, più larga di quella dell'anno scorso, sempre sul lungomare di Bordighera. Attesta una forte simpatia umana, scattata immediatamente anche tra chi si conosceva prima solo di vista e si é ritrovato nell'occasione solo per caso. Un tema che vorrei approfondire, insieme ad altri che i ricordi e le esperienze dei vari presenti inducono per possibili trattazioni, forse a fare principio da come mi ci sono ritrovato in mezzo io.


Un po' come mi accade per Nervia, quel rione di Ventimiglia cui faccio spesso riferimento. Nel mezzo di una lunga, impegnata discussione F., per fare un paragone, dice che in una certa zona ci si sente oggi "paese" come si era noi un tempo a Nervia. Dati il suo "monologo", che non intendevo interrompere, e l'espressione da lui scelta per definire una sensazione, confermata da altri, che mi porto dietro, non gli ho obiettato che forse a Nervia allora eravamo un unicum, forse riscontrabile in termini di solidarietà popolare, al netto delle "stravaganze" (qualche allegro episodio di goliardia, tutt'al più, come di recente mi é stato rammentato) indotte da esigenze sceniche,  anche per sincronismo in alcune delle prime commedie all'italiana di un Monicelli: una cosa proprio che mi ero un po' ripromesso di dipanare, ma che, come altre, ho lasciato, per motivi di tempo, addietro.

All'epoca di Nervia avevo conosciuto Gianfranco. Pubblico qui a fianco un'immagine dell'ex-chiesa di S. Giovanni nel centro storico di Ventimiglia, perché in quella sede avevo assistito per la prima volta, bambino, accompagnato, per giunta, com mio fratello, da sua madre, alla sua presentazione di uno spettacolo dilettantesco. Negli anni ha fatto tante cose Gianfranco: fece, ad esempio, esordire, o quasi, nella nostra Riviera, cantanti divenuti di lì a poco famosi. A suoi ricordi significativi ho già attinto. In vacanza - oggi quasi terminata - nelle Filippine, con il portatile, che gli doveva dapprima solo servire per seguire via Web notizie dall'Italia e dal mondo, si é affacciato anche sul noto socialnetwork per lanciare intanto ad amici e conoscenti di questa zona l'idea di raccogliere al meglio memorie di carattere locale: sarà difficile competere con la mole delle sue conoscenze, ma di sicuro, come é già stato avvertito, in molti si cercherà di utilizzare le sue...


domenica 13 gennaio 2013

Da Imperia a La Turbie, ancora una volta...

La Torre di Prarola di Imperia, subito a levante della città. Protetta alla base dalla furia dei marosi con il cemento spalmato decenni e decenni fa' e costruzione ben visibile dal treno, meriterebbe ben più di uno scarso cenno, ma oggi, come sottolineo alla fine di questo post, ho altro su cui concludere.
Taggia, dalla storia superba e dai tanti miei ricordi personali.
La Parrocchia di San Marco a Camporosso, quella Camporosso di cui riscopro di continuo angoli interessanti.
Porta Canarda a Ventimiglia fa parte, si può dire, del paesaggio.
Ampie vestigia medievali a La Turbie, dove non sussiste solo l'imponente, noto monumento augusteo.

Ho qui proceduto ad una estemporanea, affrettata selezione di fotografie, perché, perdurando una certa mia latitanza da Blogger, non solo segnalo che cercherò di essere più presente, ma anche che tento di farmi perdonare un po'...



venerdì 4 gennaio 2013

L'Angst a Bordighera


Ieri mi si é offerta in modo del tutto casuale la possibilità di riprodurre immagini d'epoca dell'Hotel Angst di Bordighera, a lungo uno dei vanti della città. Ne appaiono diverse sul Web. Per la prima volta ne tocco alcune in veste originale. Man mano che le esamino tramonta in me, tanto le trovo interessanti, l'impulso di trattare il tema con il tono - inizialmente ispiratomi anche dal ricadere per l'ennesima volta in un discorso relativo a cartoline e a Bordighera - della celia, tono che eventualmente potrò tentare di adottare altra volta.









Mi é stato fornito in visione anche un depliant in lingua russa di quella magnifica struttura turistica, di tutta evidenza antecedente alla prima guerra mondiale.










Opuscolo che si apre con note illustrative di Bordighera, tra le quali non poteva mancare una fotografia della Chiesetta di S. Ampelio.









Ho selezionato qualche pagina.



















Sono immagini che, credo, non hanno necessità di particolari commenti.














Si tratta - ripeto - di cartoline e di una sorta di catalogo originali.













Sono, tuttavia, in possesso da tempo di pubblicazioni abbastanza recenti, cui potrei attingere per provare a sintetizzare i fasti lontani dell'Angst.
Preferisco che parlino da sole le immagini che qui pubblico.










Che portano, soprattutto, alla Belle Epoque, quando nella sottostante Via Romana sostavano eleganti carrozze a cavallo per servire i clienti di quel superbo esercizio. E con tutta probabilità un anello di ferro ancora infisso nel muro di una villetta là vicino riporta con il pensiero ai tempi lontani di aitanti quadrupedi legati in attesa di prendere servizio.



























Ma oggi l'Angst é nelle condizioni riscontrabili in questa fotografia. 
Adibito durante l'ultimo conflitto ad ospitare famiglie sfollate in genere dalla costa, non più lontana di qualche centinaio di metri, ma maggiormente colpita dai bombardamenti via mare, non riprese in seguito l'attività, per avviarsi ad inesorabile degrado.

Quando ho fatto gli scatti circa il presente stato dell'arte pensavo a un mio uso personale, tanti sono i ricordi, confusi, di famiglia, anche intesa in senso largo, che mi affollano la mente. Non essendomi documentato in merito, riferisco con il condizionale, tanto é fallace la mia memoria, che probabilmente l'albergo, come, ad esempio il vicino Continentale, durante la fase finale dell'ultima guerra ha visto la presenza di un distaccamento o di ufficiali tedeschi, il che potrebbe spiegare gli evidenti segni degli eventi bellici.
Bloccata per decenni per vincoli prettamente turistici l'aspirazione di proprietà, credo, succedutesi nel tempo, di realizzare una ristrutturazione a residence, una volta sbloccata la situazione qualche anno fa' con il solito squillante annuncio tipico dei grandi investimenti immobiliari, appena avviati dei lavori nel parco, questi si sono presto interrotti senza, per quanto ne sappia io, spiegazioni ufficiali, anche se penso possano avere anche influito parte delle vicende che hanno portato allo scioglimento - per infiltrazioni mafiose - del consiglio comunale di Bordighera.
In ogni caso, mi spiace vedere nel degrado un edificio una volta così imponente, anche se nato per soddisfare le esigenze di ricche persone. Il che mi fa, inoltre, tralasciare il ricordo dell'unica escursione abusiva colà condotta, poco più che adolescente, con compagni di giochi di quella lontana estate. Mi pare che "angst" in tedesco voglia dire paura: forse ci fu qualcosa di profetico nel cognome del proprietario eponimo dell'albergo.

P.S.
Ringrazio tutti degli auguri di Buon Anno, che contraccambio di cuore ed estendo a chi non fossi riuscito, in queste mie giornate di latitanza, a salutare!