La BBC, con Radio Londra fu un’importante voce fuori dal coro nel panorama italiano a causa della privazione della libertà di espressione; è innegabile che essa divenne un sostegno per il morale degli italiani.
Tuttavia, la grande differenza rispetto ai primi anni di guerra è che non fu più l’unica fonte alternativa di informazioni per i civili italiani, considerato che esistevano altre radio antifasciste clandestine.
Fra i primi effetti concreti dello sbarco degli alleati in Sicilia si ebbe, infatti, l’apparizione della prima voce dell’Italia liberata: Radio Palermo, che trasmise prevalentemente comunicati dei comandi alleati. Dopo di essa ebbe subito successo Radio Bari, una vera e propria fonte di controinformazione, in concorrenza con Radio Londra.
«L’Italia combatte! Questa trasmissione è dedicata ai patrioti italiani che lottano contro i tedeschi».
Un altro esempio fu quello di Radio Libertà, un canale radio italiano (Biella) gestito dai partigiani a partire dal 1944, solamente rivolto al pubblico, quindi con una funzione non direttamente militare. L’inizio delle trasmissioni era scandito dalle prime dieci note del canto popolare Fischia il vento, eseguite alla chitarra, seguito dalla voce del annunciatore:
«Radio libertà, libera voce dei volontari della libertà».
Le trasmissioni comprendevano una gamma abbastanza differenziata di testi: editoriali su argomenti vari, bollettini di guerra partigiani, lettere di familiari o partigiani, brani musicali.
Particolare fu, infine, il caso di Radio Sardegna, un’altra delle prime stazioni liberate e in assoluto la prima ad aver annunciato la fine della guerra: il 7 maggio 1945. Alle 14/14.15, uno dei marconisti della radio, Quintino Ralli, intercettò la trasmissione di una radio militare di Algeri nella quale si parlava della resa dei tedeschi.
Chiamò il direttore Amerigo Gomez, il quale, sentito anche lui l’annuncio, corse nella cabina di trasmissione assieme all’annunciatore Antonello Muroni e annunciò:
«La guerra è finita… la guerra è finita! A voi che ascoltate, la guerra è finita!».
Quell’annuncio non era stato ancora diramato da nessun’altra radio; Radio Londra ne darà testimonianza solo venti minuti più tardi.
Amanda Antonini, Il potere della comunicazione tra regime e resistenza, Tesi di laurea magistrale, Università di Pisa, 2018
Alla prima esperienza di Radio Palermo, con un palinsesto tripartito fra americani, inglesi e italiani, in grado di coprire nove ore e mezza di trasmissioni libere - benché sottoposte al
controllo alleato - era infatti seguita l’esperienza di Radio Bari, ancor più autonoma della stazione precedente. Le trasmissioni baresi erano in parte debitrici dell’innovativo apporto di Radio Palermo e del suo direttore Mikhail Kamenetzky, un ebreo russo già noto come
Ugo Stille, fuggito negli Stati Uniti e rientrato in Italia come sergente del PWB, dopo aver maturato esperienze giornalistiche al di là dell’Atlantico: <15 "Alla radio - avrebbe detto il direttore - usate sempre frasi semplici e chiare. Ripetete il soggetto. Le ripetizioni sono noiose sulla carta stampata, ma agli ascoltatori radiofonici non importa che tu ti ripeta, e le ripetizioni gli impediscono di perdere il filo". <16
Ancor più indicativo del suo metodo di lavoro è però un altro singolare episodio, riportato dal figlio Alexander Stille. Informato direttamente da Salvatore Riotta, uno degli ex redattori di Radio Palermo personalmente assunti dal padre, Alexander scrive che in una fase del conflitto in cui per gli alleati ogni cosa stava andando a gonfie vele, Kamenetzky avrebbe ordinato a Riotta di trovargli qualche brutta notizia. Alle perplessità del giovane sottoposto, che disse timidamente di essere certo che stesse andando tutto bene, pare che il direttore avesse risposto così: "Per vent’anni gli italiani sono stati immersi fino al collo nella propaganda, sentendosi dire ogni giorno che tutto andava a meraviglia. Se adesso gli diciamo che stiamo vincendo su tutti i fronti, non ci crederanno. Se invece cominciamo con qualche brutta notizia, forse riusciranno a credere a qualcosa di ciò che viene dopo".
Resosi conto della profonda sensibilità giornalistica del suo superiore, a Riotta non restò che scovare un «dispaccio d’agenzia» che parlasse di un sottomarino americano affondato, chissà come, in qualche angolo remoto del Pacifico. <17
IV. IL RADIODRAMMA
Se la direzione palermitana di Kamenetzky si era dimostrata piuttosto attenta alle esigenze e alla psicologia dei radioascoltatori, facendo scuola per chi, come La Capria, avrebbe tratto ispirazione dal suo intuito giornalistico, la direzione barese del già citato Greenlees si sarebbe spinta ben oltre questo segno, dando finalmente voce al popolo italiano e valorizzandone il contributo alla lotta di liberazione nazionale, come si evince anche da alcune dichiarazioni dello stesso Greenlees: "Come direttore della radio io credetti fosse mio dovere di insistere che i programmi fossero obbiettivi ed accurati, e che i commenti politici potessero essere l’espressione libera di uomini politici antifascisti. La guerra che stavano combattendo era una guerra contro il fascismo e quindi, dopo un ventennio di censura politica spietata, era importante creare, nei limiti del possibile, una piattaforma libera alla radio […]. Avevamo incoraggiato, per esempio, la trasmissione del programma «L’Italia combatte», che fu originariamente una mia idea, e che fu preparato per la maggior parte dall’ufficio stampa e diretto da Alba De Cespedes; fu un programma eccellente al fine di incoraggiare i partigiani a combattere contro gli occupanti tedeschi". <18
Accanto al notiziario di guerra che spalleggiava la Resistenza, va citato un altro programma utile alla lotta partigiana dall’inequivocabile titolo di "Spie al muro", nel quale si smascheravano pubblicamente gli agenti assoldati dall’Organizzazione per la Vigilanza e la Repressione dell’Antifascismo. <19
Oltre a Piccone Stella e alla De Cespedes (nota agli ascoltatori come “Clorinda”), fra gli assistenti di Greenlees, duramente apostrofati dai colleghi dell’EIAR come i «venduti» di Radio Vergogna, spicca la figura del regista Anton Giulio Majano (nome di battaglia “Zollo”), per cui La Capria avrebbe scritto, in seguito, diversi radiodrammi e che già allora incominciava a sperimentare l’innovativa arte del fonomontaggio, destinata a ricevere, anni dopo, le attenzioni della rivista «Filodrammatica»: "Molti radioamatori scrivevano chiedendo stupiti come fosse stata possibile la realizzazione di simili trasmissioni in cui si moltiplicavano dozzine di voci, risonanze ambientali differenti, in cui prendevano parte vari complessi orchestrali, cori cantati, ritmati o parlati, in cui si destavano rumori ed effetti acustici mai uditi precedentemente. Il fatto è più semplice di quanto sembri: la sera di gala, in cui venivano effettuate queste trasmissioni, si montava il film radiofonico in cabina di regia; numerosissime incisioni originali si alternavano con precisione cronometrica e col ritmo voluto alle voci dirette degli attori presenti in auditorio". <20
Un lavoro del genere, la cui riuscita dipendeva dalla perfetta combinazione fra registrazioni e recitazione dal vivo, necessitava evidentemente di un accurato lavoro di sceneggiatura e richiedeva altresì una certa padronanza del mezzo:
"Il testo veniva innanzitutto ridotto per la radio (se non era già di per se stesso un lavoro scritto in funzione del mezzo radiofonico) e poi suddiviso in tante “inquadrature”, “scene”, “sottofondi”; ogni battuta, poi, a sua volta, veniva postillata con segni che ne specificavano il valore spaziale ed espressivo (risonanza, echi, piano fonico, ecc.)". <21
Solo le scene che presentavano maggiori difficoltà di esecuzione venivano registrate anzitempo, così che, al momento del missaggio, il regista potesse scegliere quali mandare in onda, non senza il puntiglio di catalogare i dischi di vetro a 33 giri su cui tali scene erano state riversate. Tanto dispendio di energie poteva essere sostenuto con una frequenza che oscillava dalle tre alle sei volte al mese, in occasione di appositi eventi radiofonici noti con il prestigioso nome di «serate di gala», antesignane di una formula vincente che non mancherà di essere trasmessa ai successori di Radio Bari e, in seguito, anche in Rai, dove un ascoltatore attento di nome La Capria avrebbe riproposto quelle serate speciali in chiave letteraria.
V. RADIO NAPOLI
Quando, nel febbraio del ’44, l’avanzata delle truppe angloamericane renderà necessario l’abbandono del capoluogo pugliese, il «centro di gravità» della propaganda antifascista avanzerà insieme a quei soldati, spingendo molti dei collaboratori di Radio Bari a seguirli nel loro trasferimento a Napoli. <22
In anticipo sul loro arrivo in città, dopo una breve fuga a Tramonti, sulla costiera amalfitana, per entrare tra le fila degli alleati, Ghirelli - che da questi era stato respinto - torna in città per accudire la madre, sola ed affamata, consapevole di essere diventato «amaramente estraneo all’epopea» della Storia. <23 Dopo aver lavorato come manovale al porto della Submarine Base inglese, un incontro fortuito con un ingegnere conosciuto ai tempi dell’Umberto I gli procura un posto alla Royal Navy Barracks, la caserma della Marina dove egli imparerà a fare i conti con il sistema inglese, destreggiandosi fra once, pence, libbre, galloni e pollici.
Con l’arrivo della primavera, tra il mese di febbraio e il mese di marzo, il suo nome viene segnalato ad Edoardo Antòn, uno scrittore romano di teatro che, sorpreso dall’armistizio sull’Isola di Capri, si era messo a dirigere le trasmissioni culturali di Radio Napoli insieme ad Ettore Giannini, un giovane regista affermatosi grazie a uno «scoop radiofonico» paragonabile a quello famoso di Welles «sullo sbarco dei marziani»: <24 "Parecchi di noi furono reclutati individualmente ma, lavorando gomito a gomito, finimmo per creare un ufficio di trasmissioni propagandistiche e artistiche […]". <25
Inizialmente assunto come interprete, Ghirelli sarà uno dei primi candidati ad aver risposto al persuasivo richiamo della radio, un polo culturale insolito e in cerca di voci fresche e brillanti per le sue trasmissioni, non solo fra i napoletani ma pure fra gli esuli ebrei e i confinati politici: "Antòn mi imbarcò - scriverà Ghirelli - l’8 maggio del 1944 a Radio Napoli insieme con quattro miei carissimi amici di cui in seguito si è sentito parecchio parlare: Giuseppe Patroni Griffi, Francesco Rosi, Maurizio Barendson e Achille Millo, ai quali poco dopo se ne unì qualcun altro come Raffaele La Capria, Luigi Compagnone ed Enrico Cernia". <26
Quel gruppo, con «molte lacune e molte integrazioni», avrebbe lavorato alla radio per un periodo di appena «diciotto mesi», anche se alcuni di loro - fra cui Giglio e lo stesso Ghirelli - si sarebbero allontanati già in inverno. <27
Non sarà sfuggita l’eccezionalità del «compromesso» al quale giunse il mezzo radiofonico (non solo a Napoli), che chiamava a raccolta davanti ai suoi microfoni «comunisti ed ex ragazzi del Guf», alcuni dei quali, alla caduta del Duce, si erano ritrovati a combattere insieme dallo stesso lato della barricata. <28
Quella mancanza di uniformità non riguardò, tuttavia, soltanto il lignaggio politico. Secondo la divertita ricostruzione di Arnoldo Foà, l’attore a cui venne affidata l’edizione napoletana de "L’Italia combatte", che tenne a battesimo - peraltro - anche Moravia e la Morante, le prime voci della radio furono scrupolosamente selezionate con il «metodo più empirico» che si potesse immaginare, giungendo ad esiti alquanto curiosi: "Mister Rehm, un giornalista americano, preposto alla direzione della radio sorgente, si mise a contatto con i giornalisti dei già defunti ed immobilizzati organi della stampa locale; li convocò un pomeriggio a Egiziaca a Pizzofalcone assieme ad altri elementi profughi, studenti o altro, e fece leggere un pezzo di giornale a ciascuno di loro. Non capiva quasi una parola di italiano, ma si sentì in grado di giudicare le migliori pronunce. Fu così che aleggiò sul golfo per diverso tempo la più bella raccolta di dialetti che mai antenna avesse trasmesso". <29
La varietà di accenti non fu l’unica nota fuori posto a dare un respiro amatoriale a quelle prime trasmissioni, perché accanto alla “esse” sibilante dell’ultimo venuto e all’improvvisa raucedine del consumato veterano, non poteva mancare il tragicomico inciampo linguistico che non avrebbe risparmiato - assicura Foà, nemmeno in seguito, al tempo della Rai - alcun tipo di annunciatore: "Qualche volta le papere chiamano le papere. È capitato a me, sempre a Napoli, dire: «Non fiù pù», invece di «non fu più». Correggendomi scandii: «Non fu pù». Credo che la più bella sia quella che Corrado Mantoni (da tutti conosciuto solo come Corrado) disse alla presentazione di un concerto alla Rai: «Ascolterete ora la valcacata delle Walkirie» - si corresse immediatamente con: «Pardon, la cavalcacata delle Walkirie!». <30
VI. SEZIONE PROSA
Quelle voci imperfette ma piene di entusiasmo, fra cui quella ancora silenziosa di La Capria, si troveranno quotidianamente in un caotico appartamento di corso Umberto I, all’angolo con piazza Borsa, al terzo piano del palazzo della Singer. Per quanto neppure la luce di mezzogiorno riuscisse a riabilitare «la limitatezza e la povertà degli arredi», sempre invasi da un armamentario di «telescriventi, ciclostili, registratori e dictaphones», sarà sufficiente il cestello delle notizie, in «sali-scendi» dal Centro informazioni del PWB al piano di sotto, a dare vita ai nuovi uffici di Radio Napoli, dove albergava - avrebbe scritto Longanesi nel suo diario - anche «molta agitazione e indolenza, molto apparente tecnicismo americano e arruffio napoletano». <31 Accanto alla stanzetta in cui sostavano indistintamente annunciatori, dattilografe, collaboratori e passanti incuriositi dalla luce rossa della messa in onda, si apriva un monolocale con un tavolo, due sedie e perfino un «tavolino da manicure», che chissà come era capitato da quelle parti. Sull’unica porta che dava accesso a quel luogo era affisso un «cartone bianco», della misura di una «scatola da scarpe», che diceva semplicemente “Sezione Prosa”. <32
Riguardo al nome che i curatori delle trasmissioni culturali si erano dati per distinguersi dai colleghi del Giornale radio, ormai raggiunti anche da Piccone Stella, ci resta una vecchia dichiarazione che Ghirelli consegnò alle pagine di «Qui Radio Napoli», un numero unico scritto con un linguaggio tanto «sulfureo» quanto significativo: "Sezione Prosa, veramente è un nome recente. È il nome che si è deciso di dare ai programmi artistici o come diavolo si possono chiamare i programmi in cui ci sono parole - non però di notiziario o di commento - parole in una certa armonia, cioè appunto prosa. Il lavoro, qui, si è organizzato solo col tempo. Il primo vero titolare dei programmi artistici è stato lo spirito democratico, la fiducia avventurosa e cosciente di pochi intellettuali italiani e di alcuni soldati americani e inglesi". <33
Lo stile acerbo e sfrontato di Ghirelli non nasconde la soddisfazione di essere riuscito a dare una svolta decisiva alla propria carriera, saltando dal grigiore opaco del registro contabile alle tinte cromate dell’apparecchio radiofonico, con la stupefatta rapidità che di norma accompagna solo una favolosa storia di riscatto: "Io sbucai dall’oscura tetraggine della caserma al Mandracchio, entro le stanze illuminate del palazzo Singer, al Rettifilo, dove la Radio alleata era in gran parte trasferita dal primo studio di Pizzofalcone. Ci arrivai sporco e stordito come un topo ma, dopo poche settimane, avevo riacquistato già quasi per intero la spavalda sicurezza dei miei vent’anni, la duttilità del mio ceto sociale, la fredda determinazione di un successo che mi era dovuto per tutti gli anni di pena durati prima". <34
Anche se quello a Radio Napoli fu per La Capria un periodo di mezzo, durante il quale imparare quanto più possibile dagli amici maggiormente coinvolti, per Ghirelli si trattò di una vera e propria rinascita, con la quale incominceranno - nella memoria del giornalista - «i mesi più belli» della sua vita, animati dalle «illusioni più impetuose» e soprattutto dalla «sbalorditiva coincidenza» tra sogni e realtà: "Fu un delirio, impastato di ideali soldi sesso intelligenza libertà potere, come se di colpo - al posto della vecchia macchina dello Stato, sgangherata e corrotta - ci fosse un congegno nuovo, lucente, lubrificato sul quale, finalmente, noi giovani potessimo mettere le mani, non per abusarne o per accumulare ricchezza, ma per diffondere intorno a noi - nella città, nelle strade, nel Sud, tra i poveri e i dannati - una speranza luminosa come l’aurora boreale". <35
VII. PROVE TECNICHE DI TRASMISSIONE
A irradiare speranza fra i vicoli di Napoli era stata la prima rudimentale trasmittente di Monte di Dio, una radio da campo messa a punto dal direttore George Rehm per sopperire alla perdita della stazione di Villanova, sulla collina di Posillipo, completamente distrutta dal sabotaggio dei tedeschi: "L’uccellino della radio tornò così a cinguettare il 15 ottobre del ’43 e fu quello davvero un gran giorno per i napoletani che appresero le più recenti notizie finalmente da accenti di casa propria, quasi si trattasse di amici andati a bussare alla porta della loro dimora per una familiare chiacchierata". <36
Per essere precisi, l’intervento di Rehm dovrà attendere qualche giorno prima di consentire un’adeguata ricezione delle onde di via Egiziaca, perché nonostante gli impianti fossero stati ripristinati da quel sergente venuto dal Connecticut, la nuova emittente «non fu subito captabile nella città, ancora priva di energia elettrica»: "Sapevo - scriverà una redattrice - che la relativa potenza della emittente napoletana e soprattutto l’ostacolo delle montagne non avrebbero consentito alle trasmissioni di toccare la mia città; nondimeno, […] credevo davvero nel potere della voce, nella forza delle parole. Ora me le figuravo come fili sottili capaci di raggiungere e di mitigare solitudini e sofferenze; me le auguravo così forti da infondere fiducia e coraggio ai lontani, da trasmettere loro il senso di solidarietà che poteva venire da una città ferita dalle più dure violenze della guerra". <37
L’inaugurazione delle trasmissioni di Radio Napoli, introdotte dalle prime note dell’Inno di Mameli (non ancora eletto inno nazionale), verrà così ricordata da Grazia Rattazzi Gambelli, una delle poche voci femminili all’interno di una redazione stupita che una madre di famiglia preferisse affannarsi dietro un mestiere “da uomo”, invece di abbracciare docilmente un «più normale destino di donna»: "A volte, in anticipo sull’ora della trasmissione, mi fermavo volentieri sulla soglia della Sezione Prosa, dove era possibile gratificarsi delle conversazioni puntuali e delle divagazioni eclettiche di Compagnone, Ghirelli, e compagni in quel loro tono, caustico e fervido insieme, che rigenerava i dati dell’esperienza e della cultura in fulminante antiretorica e in ipotesi costruttive per il vacuum economico che ci fronteggiava «fuori». Mi piaceva ascoltarli, ammiravo la loro preparazione, mi stupiva la loro sicurezza; e un poco li invidiavo […]. Avevo altri problemi pressanti oltre quelli della collettività! modesti, certo, ma non per questo meno urgenti e vitali". <38
Al di là dell’iniziale penuria di elettricità menzionata dalla Gambelli, anche altrove permarranno alcuni limiti di ordine tecnico. Per dimostrare che la radio non era più il mezzo di comunicazione di massa sdoganato dal fascismo, basterà fornire qualche dato: nel ’42, l’Italia disponeva di 34 trasmettitori a onda media e di 11 trasmettitori a onda corta, mentre all’atto della liberazione soltanto 13 di questi risultavano effettivamente funzionanti, con una dislocazione tale da impedire una copertura adeguata alle esigenze del Paese. <39 Simili restrizioni non riusciranno però a spegnere la «vitalità animalesca» di un apparecchio sul quale si erano riversati i desideri e le aspettative di ascoltatori sempre più partecipi e incuriositi. <40
Inoltre, la ricezione di Radio Napoli migliorerà sensibilmente non appena le sue emissioni si appoggeranno agli «impianti mastodontici» di Radio Bari, concepiti da Mussolini per diffondere la propaganda «anti-inglese» nei paesi arabi, ma impiegati dalle autorità del PWB e dai democratici italiani per portare la «voce della libertà» fino alle Alpi: <41 "Era la prima volta che - scriverà Ghirelli - a Napoli si levava sulle onde della radio una voce libera che chiamava a raccolta i giovani, i lavoratori, le donne, i sindacalisti per mobilitarli contro il nazifascismo, come dicevamo allora un po’ enfaticamente, ma soprattutto per indurli a partecipare alla vita pubblica, sociale, culturale, alla ricostruzione della città dilaniata dalla guerra, al recupero delle sue straordinarie tradizioni". <42
VIII. PALINSESTO
Al culmine della sua attività, non solo Radio Napoli informava gli italiani continuando ad offrire trasmissioni già collaudate dall’emittente barese, come il Giornale radio, "L’Italia combatte" o "Spie al muro", ma inaugurava rubriche inedite, appositamente studiate dalla nuova redazione, alle quali lavorarono anche La Capria, Ghirelli e molti dei vecchi amici del periodo pre-bellico: "Preparavamo trasmissioni che, adesso, forse ci farebbero sorridere ma che allora ci parevano, forse erano, belle come un discorso di Lincoln o una poesia di Majakowski. Alla sera aiutavamo Arnoldo Foà a leggere il giornale radio e «Italia combatte» […]; ma di giorno inventavamo cento rubriche divertenti, stimolanti, provocatorie, chiamando a raccolta tutta la gente onesta di Napoli e del Sud per proporre una revisione integrale di tutto il nostro modo di vita: matrimonio, famiglia, scuola, esercito, proprietà, codice". <43
Fra queste, restano nella memoria: il "Programma per la donna italiana", a cura della Gambelli, che sollecitava la partecipazione delle ascoltatrici per corrispondenza; "Colpevoli", in cui si processavano virtualmente tutti i profittatori dell’umanità, inclusi i responsabili della guerra fascista; "Pionieri", una specie di excursus da Socrate a De Gaulle, dedicato - stando al ricordo di Compagnone - ai grandi interpreti della libertà e della democrazia; "Stella bianca", una rivista satirica firmata da Longanesi e diretta da Soldati, che affidava all’eclettico Steno il compito di scimmiottare la voce militaresca del Duce con il tono scanzonato dell’improvvisazione; la rubrica "Frasi di scrittori", alla quale era riservato uno spazio il venerdì; gli appuntamenti con il «radio-teatro», assegnati puntualmente alla domenica sera; e infine gli speciali di "Conosciamo le Nazioni Unite", trasmissioni deputate a favorire l’avvicinamento fra italiani e alleati, a cui deve aver contribuito anche La Capria, dando «un respiro più drammatico» alle sue puntate. <44 Si noti che con l’espressione “Nazioni Unite” non si intendeva quella che poi sarebbe stata l’ONU, ma l’alleanza angloamericana. Compito della rubrica era infatti quello di far conoscere il mondo anglo-americano agli italiani, al di là delle barriere linguistiche e dell’influenza della propaganda anti-britannica e anti-americana a lungo condotta dal fascismo. Un mondo che La Capria aveva imparato a conoscere in guerra, leggendo e traducendo testi dall’inglese, e che ora offriva con entusiasmo agli altri domandando, come già fece Vittorini: «Che ve ne sembra?». <45
Di fatto, la ricchezza delle nuove rubriche è il risultato della proficua riorganizzazione editoriale conosciuta da Radio Napoli sotto la direzione di Elvio Sadun, un biologo ebreo livornese fuggito dall’Italia nel ’38 per salvarsi dalla «minaccia delle leggi razziali», combattendo accanto agli americani fino a riscoprirsi, infine, quale energico successore alla poltrona di Rehm: <46 "È giunto dall’Algeria il nuovo direttore, un italiano, ora cittadino e soldato americano. Occhi patetici, naso aquilino, capelli ricciuti e unti. Stringe la mano con due dita, finge di aver molto da fare e parla dei problemi della radio come di questioni teologiche". <47
Sulle tavole della legge del nuovo direttore - che Longanesi si diletterà a prendere di mira nel suo diario - figurava l’impiego di un linguaggio asciutto e immediato, in grado di essere compreso, senza fraintendimenti, da qualunque ascoltatore. Una lezione che gli era stata impartita dagli anchormen del giornalismo statunitense, e alla quale i suoi redattori più zelanti proveranno ad attingere in seconda battuta: "C’era ovviamente molta retorica, molta ingenuità (ancora e sempre) in quell’atteggiamento, ma la passione civile era autentica e insieme all’impegno politico si accendeva in noi l’entusiasmo per un lavoro che non era rassegnato o burocratico, coinvolgendoci giorno per giorno e mettendo alla prova il nostro talento. La sorte ci stava offrendo la preziosa occasione di imparare il mestiere dagli americani, maestri dell’arte di comunicare notizie, idee, fantasie con la più essenziale chiarezza". <48
La redazione di Radio Napoli rappresentò quindi un eccezionale «laboratorio» dove a ciascun autore è stata offerta la possibilità di coltivare per sé un peculiare talento, che avrebbe fornito a tutti - a detta di Ghirelli - la spinta necessaria per emergere professionalmente dagli abissi dell’anonimato: <49 "I miei articoli di giornale, i romanzi di La Capria, i film di Rosi, le commedie di Patroni Griffi nacquero allora, in quegli uffici, in quelle discussioni, in quei programmi. Ci sprofondavamo dentro come l’equipaggio di un sommergibile, in un’atmosfera surriscaldata, artificiale, pazzesca, in una tensione che ci faceva perdere il sonno e ci esaltava, isolandoci anche dalla pena atroce della città". <50
La direzione di Sadun contribuì indubbiamente ad apportare «una visione ottimistica dell’America» senza i trucchi della propaganda, ma scegliendo casomai di applicare i «metodi del positive Thinking» al mezzo radiofonico, allo stesso modo con cui si percorreva, ogni giorno, la strada dissestata che portava agli uffici della Sezione Prosa: <51 "Camminavo molto in quel periodo ma ciò, se inaspriva l’appetito, mi facilitava la concentrazione […]. Era comunque una lunga strada, anche per le frequenti deviazioni dovute ai cumuli di macerie, alle demolizioni e alle minacce di crolli".
È chiaro che la Gambelli guardasse a quel percorso accidentato come all’unica via per raggiungere la felicità, a dispetto del rumore della «sfabbricatura» sotto i piedi che, al contrario, avrebbe scoraggiato anche il sognatore più ottimista, costringendolo ad allontanare dalla mente un pensiero tanto «enfatico» e propositivo. <52
IX. PARTENZA
Presto, i redattori di Radio Napoli avrebbero imboccato una deviazione che li avrebbe condotti al di là del territorio campano, perché il fronte di guerra si sarebbe spostato più a nord, dopo la liberazione della capitale da parte alleata: "Tutti gli intellettuali scappati al Sud tornavano a Roma, lasciando noi ragazzi soli con i burocrati della vecchia EIAR e con i prefetti di Bonomi. Fui assalito dal terrore di ripiombare nella Napoli perbene di prima della guerra, in piena restaurazione, con tutti i dottori, gli ingegneri, gli avvocati tornati al loro posto, i salotti di via dei Mille riaperti, le sale da concerto gremite di sordi, le pasticcerie affollate alla domenica, i generali del Re a palazzo Salerno, i principi e i baroni al Casino dell’Unione, i figli di papà al Circolo del Tennis". <53
Nella «melanconica prospettiva» di assistere al ritorno della vecchia guardia dell’EIAR, decisa a riappropriarsi dei posti occupati fino all’epurazione antifascista, Giglio e Ghirelli decidono di evadere dalla città per «respirare un po’ di aria pulita». <54
Dopo aver chiesto agli americani di essere trasferiti ad Altopascio, una zona di operazioni in Toscana, i due si uniscono all’Unità Mobile Radiofonica 15: "Mentre io e Tommaso seguivamo la Quinta Armata del generale Clark, alcuni amici come La Capria e Patroni Griffi si trasferivano a Roma liberata e altri, come Rosi e Compagna, tornavano a Napoli dalle regioni dove erano stati sorpresi dall’armistizio. I ragazzi di via Chiaia erano cresciuti e seguivano ciascuno il proprio destino, sempre accomunati tuttavia da una illimitata fiducia nella vita, un solare ottimismo che si è tradotto in una notevole capacità creativa, più forte naturalmente in alcuni di noi […]". <55
La parentesi campestre di Giglio e Ghirelli si concluderà nel mese di aprile, con lo sfondamento della linea Gotica che avrebbe permesso loro di insediarsi al Nord, come giornalisti della redazione milanese de «l’Unità». <56
Prima di raggiungere il capoluogo lombardo, in occasione di una breve permanenza a Bologna, Ghirelli avrebbe ancora documentato ai microfoni di piazza San Martino la «drammatica fucilazione» di Mussolini e la fine della seconda guerra mondiale, affiancato da un giovane e sconosciuto Enzo Biagi. <57
Due notizie di indiscutibile rilevanza storica che dovettero sembrargli relativamente importanti, se rapportate alle vicende della sua febbrile esistenza.
Ma ormai il destino di Radio Bari era segnato: l'avanzata angloamericana rendeva necessario abbandonare il capoluogo pugliese e spostare in avanti il centro di gravità della propaganda radiofonica verso Radio Napoli. Ma mentre Radio Bari era giunta praticamente intatta in mano agli alleati, quest'ultima stazione aveva subito forti danni dai tedeschi in ritirata, che avevano fatto saltare buona parte delle apparecchiature e il traliccio metallico dell'antenna. Fortunatamente, alcuni tecnici avevano fatto in tempo a nascondere il materiale di scorta e a disinnescare il tritolo posto sotto i gruppi generatori di corrente continua. Su questa base esigua era stato possibile già il 15 ottobre 1943 riprendere le trasmissioni come Radio Napoli Nazioni Unite dalle 19 alle 22.30, grazie agli americani del maggiore George Rehm, primo direttore della sede, che misero a disposizione una radio da campo <44; le trasmissioni, introdotte dalle prime note dell'Inno di Mameli, non giunsero però nelle case napoletane, perché quella sera mancava in città proprio l'energia elettrica. Per migliorare la struttura tecnica, fu poi approntato un ripetitore di un solo kw di potenza a Monte di Dio, che ampliò il raggio d'ascolto. Piano piano l'orario di trasmissione venne anticipato alle 12 e quindi, definitivamente dalle 6 del mattino alle 24. Radio Napoli, che in un primo tempo aveva affiancato, rilanciando nell'etere i programmi di Radio Bari, era ormai pronta ad accogliere quel gruppo. L'ordine di trasferirsi nel capoluogo partenopeo giunse a Greenlees nel febbraio 1944: a Napoli, sotto il diretto controllo degli Americani della V armata agli ordini del generale Clark, già operava un gruppo nutrito di antifascisti fra cui spiccavano Rosellina Balbi, Maurizio Barendson, Carlo Criscio, Luigi Compagnone, Vincenzo Dattilo, Clara Falconi, Antonio Ghirelli, Ettore Giannini, Tommaso Giglio, Vezio Murialdi, Carlo Pennetti, Michele Prisco, Domenico Rea, Paolo Ricci, Ruggiero Romano, Francesco Rosi, Giuseppe Vorluni e Stefano Vanzina (Steno), da poco arrivato da Roma con Leo Longanesi e Mario Soldati <45. In tempi successivi a questi si aggiunsero Aldo Giuffré e Samy Fayad con funzioni di annunciatori, mentre nella sezione prosa, oltre ai già ricordati Steno e Longanesi, operavano il commediografo Edoardo Anton e Mino Maccari. A Napoli, si trovava anche Ugo Stille, proveniente da Palermo: ma il vero animatore di quella breve esperienza fu il successore di Rehm, il livornese Elvio H. Sadun, un ebreo fuggito nel 1938 negli Usa, dove aveva maturato solide esperienze di giornalismo radiofonico in una stazione newyorkese.
«È giunto dall'Algeria - avrebbe appuntato nel suo diario Longanesi - il nuovo direttore, un italiano, ora cittadino e soldato americano. Occhi patetici, naso aquilino, capelli ricciuti e unti. Stringe la mano con due dita, finge di aver molto da fare e parla dei problemi della radio come di questioni teologiche» <46.
Il salveminiano Sadun condivideva la responsabilità con l'ufficiale americano di origine siciliana Ravotto e con Harry Fornari, in un'atmosfera fortemente spoliticizzata rispetto a Radio Bari. La sede era stata spo stata da Pizzofalcone a Palazzo Singer in Corso Umberto, al cui terzo piano una diecina di apparecchi radio erano in continuo contatto con le stazioni radio più importanti: a queste prime apparecchiature si aggiunsero ben presto telescriventi, ciclostili, registratori e dictaphones in un clima molto particolare: «Negli uffici - è sempre Longanesi la fonte - molta agitazione e indolenza, molto apparente tecnicismo americano e arruffio napoletano» <41. Ciò permise di prolungare sino alla liberazione di Roma (4 giugno 1944) la vita di Italia combatte, a cui si aggiunsero altre trasmissioni come I pionieri, Stella bianca e I colpevoli. Quest'ultima ripeteva la denuncia di Spie al muro, allargata ai ritratti dei maggiori gerarchi fascisti, mentre I pionieri disegnavano il profilo biografico di personaggi della democrazia italiana prefascista. Il carattere educativo e didascalico di queste due trasmissioni segnalava il cambiamento verificatosi da Bari a Napoli e il diverso grado di autonomia goduto dalle due redazioni, nel quadro di un sempre più accentuato positive thinking imposto dagli Americani.
Stella bianca - secondo Monteleone dovuta principalmente alla penna di Longanesi e di Soldati <48 - era invece una rivista satirica, che divenne in breve assai popolare: vi recitavano, fra gli altri, Carlo Giuffré, Peppino Patroni Griffi, Achille Millo e lo stesso Rosi, tutti personaggi destinati ad un ruolo di primo piano nel mondo dello spettacolo. Fra scenette e couplets, si inneggiava all'american way of life e alla rinata democrazia: Steno imitava la voce di Mussolini. Era una risposta umoristica e anche un po' qualunquista alle ristrettezze del momento, ma fu il veicolo di penetrazione dei nuovi concetti in strati popolari poco propensi alla seriosità dei conversatori (Alberto Moravia ebbe il suo battesimo radiofonico in quest'ambito) o di trasmissioni come Conosciamo le Nazioni Unite, esplicitamente destinate a favorire l'avvicinamento e la conoscenza fra italiani e alleati. Non mancava una trasmissione femminile, Programma per la donna italiana, condotta da Grazia Rattazzi Gambelli, dal dicembre 1943 annunciatrice della stazione di Pizzofalcone con lo pseudonimo Grazia di Torino. Nonostante le difficoltà del momento la magia del microfono permise
«subito» il saldarsi di forme immediate di collaborazione fra la giovane e inesperta conduttrice e il pubblico più vasto: «mi aiutarono le ascoltatrici con la loro partecipazione attraverso la corrispondenza, proponendomi argomenti, interessi, curiosità e problemi. Si instaurò così abbastanza rapidamente un rapporto corale a coinvolgere le ascoltatrici anche tra loro in iniziative concrete di carattere umano e sociale e culturale, e nel contempo arricchendo il nostro programma di riflessi e notizie di momenti associativi femminili, concretamente interessati alla vasta e complessa problematica napoletana». <49
In una realtà urbana dominata dal contraddittorio e «vorace riappropriarsi umano dei sapori elementari della vita», la radio non si sottrasse all'impegno di intervenire sui problemi più scottanti del vivere quotidiano: primo fra tutti quello dell'igiene pubblica. Nella Napoli «terra di conquista», offesa e degradata, di cui Malaparte ha disegnato un affresco drammatico e penetrante nella Pelle, il colonnello Charles Poletti, governatore alleato di Napoli, tenne, ad esempio, una serie di lezioni sul grave problema dell'igiene pubblica.
Le trasmissioni musicali accoppiavano le melodie napoletane delle orchestre Colonnese e Capese o dei complessi Calace, Michele Parise e Amedeo Pariante (un vero divo popolare, vincitore di un concorso nazionale Eiar nel 1941), allo swing dei complessi più in voga oltreoceano come Nelson Eddy, Larry Adler, Oscar Levante John Healy. Ribalta preferita fu il programma La Voce dei giovani, che aveva subito alcune interessanti trasformazioni nel clima di generale depoliticizzazione delle rubriche, giungendo appunto a proporre per la prima volta al pubblico italiano saggi di una produzione culturale nuova e strettamente legata alla moderna industria del divertimento e del consumo. <50
Fu anche pubblicato il foglio settimanale Qui, radio Napoli per rafforzare il rapporto quotidiano con il pubblico più vasto. Tuttavia, questa eccitante esperienza fu assai breve: per Radio Napoli e per i Napoletani fu una parentesi di poco meno di sei mesi, ma assai importante, prima di ripiombare in una posizione di seconda fila all'indomani della riattivazione di Radio Roma e della trasformazione dell'Eiar in Rai, quando gli americani avrebbero riaffidato ai vecchi tecnici fascisti la direzione delle sedi liberate. Un gruppo di questi giovani rimase a Napoli e continuò a collaborare alle produzioni locali, ma in clima di sempre più sottolineata restaurazione, che giunse a chiamare alla direzione di Radio Napoli il ben noto radiocronista fascista Franco Cremascoli. È tuttavia assai difficile stabilire una forma di gerarchia fra queste prime voci nazionali e le emittenti internazionali, che la sera facevano raccogliere attorno ai più diversi apparecchi interessati e curiosi, magari con una coperta addosso per attutire i rumori udibili dall'esterno e evitare la curiosità, quella sì pericolosa, del capocaseggiato nell'Italia ancora occupata. Com'è naturale non è possibile disporre di dati statistici riguardanti l'ascolto durante la Resistenza; anche le informazioni desumibili dalla stampa circa gli arresti per ascolto clandestino non specificano mai l'emittente incriminata. <51
[NOTE]
44 Su Radio Napoli in generale le notizie sono disperse nella bibliografia generale già citata e non è sufficiente il tentativo di sintesi di Umberto Franzese, La Radio a Napoli dalle origini alle emittenti libere, Napoli, [1984], passim.
45 Utile la memoria di Grazia Rattazzi Gambelli, Una donna a Radio Napoli, in Alle radici del nostro presente. Napoli e la Campania dal fascismo alla Repubblica (1943-1946), Napoli, 1986, p. 281-300.
46 Cfr. Leo Longanesi, Parliamo dell'elefante. Frammenti di un diario, Milano, 1947, p. 218.
47 Ivi, p. 219.
48 V. Franco Monteleone, Storia della radio e della televisione..., cit., p. 180.
49 Cfr. Grazia Rattazzi Gambelli, Una donna a Radio Napoli..., cit., p. 287. Una serie di testi pronunciati da uno dei collaboratori di Radio Napoli in Carlo Criscio, Un cuore alla radio 1943-44, Napoli, 1954.
50 Per un'idea della grande articolazione dei programmi presentati basta riprodurre il palinsesto di una giornata radiofonica tipo: «Notizie : ore 7-8-10-12-13-14- 16-17-20-23.30-24 Notiziario napoletano: ore 11 Notiziario Italia liberata: ore 16 Ritrasmissioni: Radio Londra ore 8.30-9.30-20.30 Voce dell'America: ore 13.15-21.30 Commenti : ore 10.10-13.15-16.10-20.15-00.15 Programmi musicale e di varietà: Ore 7.15 Musica mattutina - 7.30 Buongiorno - 7.45 Dolci melodie - 8.15 Canzoni d'Italia - 8.45 Musica operettistica - 9.00 Orchestra Esperia - 9.45 Cantante della strada - 10.15 Musiche e canti delle Nazioni Unite - 10.30 Musica sinfonica - 11.15 Racconti e novelle celebri - 11.30 L'Ora del soldato - 12.15 Musica per tutti - 12.30 Programma della donna italiana - 12.45 Personaggi del jazz - 13.30 Serenate e valzer - 14.10 Artisti celebri - 14.25 Andiamo al concerto - 16.15 Marciando - 16.30 Concerto vocale e strumentale: Ciucci-Miranda-Adami - 17.15 Musica varia - 17.30 Programma per i piccoli - 17.45 Il libro della danza - 18.15 Programma per i prigionieri da New York - 18.30 Mandolinista Maria Calace - 18.45 Notiziario in lingua francese - 19.00 Il quarto d'ora dei lavoratori - 19.15 Lezione d'inglese - 19.30 Balliamo - 20.45 Radiofollie - 21.15 Grandi autori - 21.45 Incredibile ma vero - 22.15 Musica moderna - 22.30 L'Italia combatte - 23.00 Il compositore della settimana: Mozart - 23.35 Ora romantica - 00.30 Complessi jazz [ivi, p. 288-9].
51 A proposito di gerarchie d'ascolto, è interessante citare un documento sequestrato ad un antifascista dalla polizia, in cui non si faceva differenze, così come non la facevano gli ascoltatori: «Nell'Italia occupata dai germanici ci si lamenta spesso che le notizie sull'Italia liberata dagli angloamericani sono scarse e poco precise, perché in fondo non si può far conto che sulle trasmissioni di Radio Bari e di Radio Londra: le ultime sono troppo vaghe e portano soprattutto notizie a carattere militare, mentre le prime, che difficilmente si possono captare, sono più importanti, perché si occupano in primo luogo dei problemi italiani, ma non così numerose da accontentare tutti» [cfr. Riservato a Mussolini..., cit., p. 15].
Gianni Isola, Il microfono conteso. La guerra delle onde nella lotta di liberazione nazionale (1943-1945) in Mélanges de l'école française de Rome, Italie et Méditerranée, tome 108, n°1. 1996. pp. 83-124