In questi giorni mi viene spesso da pensare ad un certo modo con cui ho visto Milano, vuoi per la presenza dalle mie parti in questo periodo di vacanze di amici e parenti colà residenti, vuoi per una bella discussione avuta la settimana scorsa con un amico che nel capoluogo lombardo, se non vi é nato, vi ha per lo meno vissuto a lungo.
La prima volta che venni portato a Milano avevo poco più di due anni, come testimoniato da una fotografia di famiglia, scattata in Piazza Duomo con l'immancabile cornice di piccioni, uno in mano a mio padre, ma non posso certo ricordarne nulla.
Ricordo bene, invece, che, prima dell'età scolastica, dalla finestra di un piano ben alto posizionato in Via Santa Radegonda mi sembrava di toccare con una mano quel Duomo che mi affascinava tanto.
Quella casa non c'é più, sostituita già prima delle vicende cantate ne "Il ragazzo della Via Gluck" da un orrendo silo-parcheggio, quasi adiacente alla Galleria. Ed il Duomo non mi appare oggi poi così vicino.
Non voglio ora indagare sulle demolizioni dei centri storici, né sullo sradicamento dai medesimi dei ceti popolari, argomenti molto importanti che altri hanno saputo e sanno affrontare in modo più degno del sottoscritto.
E neppure sfiorare l'intreccio di rapporti familiari ed amicali di un'altra epoca, che pur hanno creato, credo, tante belle pagine nelle storie personali di tanti italiani.
Nel mio caso, non posso certo dimenticare che quella casa fu la base di partenza, ad esempio, per le prime escursioni verso il Lago Maggiore: a Stresa un trenino su cremagliera salendo verso la cima del Mottarone riempiva di meraviglia un bambino di cinque anni.
Io di Via Santa Radegonda voglio adesso ricordare una signora, vicina di appartamento agli zii di mio padre, che a me sembrava anziana, ma che, pur parlando in dialetto stretto e per me incomprensibile, mi appare ancora, a tanti anni di distanza, dotata di una formidabile carica umana.
Ho recuperato più avanti, per via di altre frequentazioni e non solo di parentela, acquisita o meno, il senso di una pregressa diffusa bonomia popolare, composta di arguzia e di solidarietà, mai disgiunta da senso civico e da tradizionale, autentica etica del lavoro.
Mi sono formato queste convinzioni, sia ascoltando storie ambientate in Via della Spiga, quando era ancora un rione popolare, che in zona Fiera-Sempione, anche questa ormai centro urbano, ma anche vivendo per tempo di persona situazioni ambientate un po' ovunque in quella metropoli, come in Via San Marco e in zona Niguarda.
Voglio arrivare all'amara constatazione che quel sano humus popolare mi risulta largamente disperso, come, per non andare tanto lontano, pur si evince dalla lettura di innumerevoli cronache quotidiane.
Se é vero che "ricordare é conoscere", come proprio da poco ha scritto un amico nel suo blog, può darsi che il mio risulti un modesto contributo al miglioramento del clima sociale e civile del Paese.