Ieri si sono svolti a Bordighera i funerali del partigiano Renzo Biancheri (Rensu u Longu).
Mac Fiorucci mi ha consentito di pubblicarne una testimonianza da lui raccolta, testimonianza di Renzo Biancheri, che riporto qui di seguito in corsivo.
La mia storia nella Resistenza è legata a filo doppio con Renzo Rossi.
Nell’agosto del ‘44 mi aggregai al gruppo partigiano di Girò [Pietro Gerolamo Marcenaro], che operava nella zona di Negi [Frazione di Perinaldo (IM)], dove godevamo anche dell’appoggio di Umberto Sequi a Vallebona e di Giuseppe Bisso a Seborga; tutti e due membri del CLN di Bordighera. Negi era il punto di contatto tra le varie formazioni partigiane che operavano nella zona: Cekoff [Mario Alborno], Gino Napolitano ecc.
Facevo da staffetta tra Negi e Vallebona.
In settembre insieme a Renzo Rossi partecipai all’incontro con Vittò [Giuseppe Vittorio Guglielmo, in quel periodo comandante della V^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice
Cascione" e, da dicembre 1944, comandante della Divisione stessa]
. Ci accompagnò Confino, maresciallo dei Carabinieri che aveva aderito alla Resistenza. Vittò investì formalmente Renzo Rossi del compito di organizzare, per la nostra zona, il SIM (Servizio Informazioni Militare) e i SAP (Squadre d’Assalto Partigiane), e io fui nominato suo agente e collaboratore.
In novembre mi aggregai al battaglione di Gino Napolitano a Vignai, ma dopo alcune operazioni di collegamento tra Vallebona e il comando di Vignai, il comando mi richiamò ad operare nel Gruppo Sbarchi.
Nell’estate, i servizi segreti americani avevano inviato sulla costa una rete di informatori, capeggiati da Gino Punzi. Dovendosi recare in Francia, per passare le linee, Gino si avvalse della collaborazione di un passeur, che però era passato dalla parte dei tedeschi e durante il viaggio lo uccise. Il comandante tedesco si infuriò perché avrebbe voluto catturare vivo il Gino (1). Sul suo cadavere furono rinvenuti dei documenti, dai quali i tedeschi vennero a conoscenza che sarebbero stati inviati altri agenti e telegrafisti alleati.
(1) Luigi Punzi, Medaglia d’Argento al Valore Militare con la seguente motivazione: “Combattente
in territorio oltre confine non si arrendeva ai tedeschi ed in impari
lotta opponeva fiera resistenza mantenendo alto l’onore e il valore del
soldato italiano. Benché ferito riusciva a sfuggire alla cattura e
unitosi al movimento clandestino francese organizzava la partecipazione
al “Maquis” di formazioni partigiane composte di connazionali in
Francia. A Peille, Peiracava e alla Turbie si univa ad essi ed eseguiva
ardite missioni per collegare e coordinare nella zona di frontiera ed in
quella rivierasca l’azione dei partigiani francesi e italiani. Mentre
rientrava alla base di ritorno da una missione particolarmente
rischiosa, veniva proditoriamente colpito da un sicario prezzolato che
lo finiva a colpi di scure. Cadeva nel compimento del dovere dopo aver
riassunto nella sua opera le belle virtù come militare e partigiano
d’Italia” - Alpi Marittime - Ventimiglia, 8 settembre 1943 - 6
gennaio 1945
I tedeschi predisposero una trappola e quando arrivò il telegrafista “Eros” lo catturarono ferendolo. Si avvalsero di lui per trasmettere falsi messaggi al comando alleato di Nizza.
Con questi falsi messaggi fu richiesto l’invio di un’altra missione: la missione “Leo”.
La missione andò a rotoli con il ferimento [la maggior parte delle fonti indicano come data l'8 febbraio 1945] di “Leo” [Stefano Carabalona], che venne nascosto nella cantina di casa mia.
I tedeschi rastrellarono tutta la zona cercando “Leo”; “visitarono” anche la mia casa: sulla porta rimasero le impronte dei chiodi degli scarponi di quando sfondarono l’ingresso a calci.
Ma non cercarono in cantina, si limitarono ad arraffare del cibo dalla cucina. Con Renzo Rossi nascondemmo tutti i documenti del SIM e del CNL nel mio giardino, preparandoci al trasferimento di “Leo” in Francia. Il Gruppo Sbarchi aveva frattanto predisposto una barca e Renzo Rossi con Lotti avevano preavvisato i bersaglieri della necessità di effettuare l’imbarco quanto prima possibile. La collaborazione dei bersaglieri fu determinante per tutte le operazioni del Gruppo Sbarchi. Il sergente Bertelli comandava un gruppo di bersaglieri a Collasgarba e aveva manifestato la volontà di aderire alla Resistenza. Fu avvicinato dai fratelli Lilò [Bartolomeo ed Ettore Biancheri di Bordighera, martiri della Resistenza, fucilati a Forte San Paolo di Ventimiglia il 21 marzo 1945] per stabilire le modalità della diserzione, quando il plotone fu distaccato alla difesa costiera giusto sulla costa di Vallecrosia in prossimità del bunker alla foce del Verbone. I Lilò convinsero i bersaglieri a non disertare, ma ad operare dall’interno, consentendo e agevolando tutte le Operazioni Sbarchi.
Alla data convenuta, in pieno giorno trasferimmo “Leo” a Vallecrosia, sempre sulla canna della bicicletta di Renzo. In pieno giorno, perché approfittammo di un furioso bombardamento. Le strade erano deserte, solo granate che esplodevano da tutte le parti. Ricoverammo “Leo” in casa di Achille [Achille "Andrea" Lamberti] aspettando la notte. Al momento opportuno ci trasferimmo sul lungomare; il soldato tedesco, come al solito, era stato addormentato da Achille con del sonnifero fornito dal dr. Marchesi [fratello dell'insigne latinista Concetto Marchesi] che era laureato in chimica.
I bersaglieri ci aiutarono a mettere in acqua la barca [nella notte tra il 5 ed il 6 marzo 1945] e a caricare “Leo” ferito. Cominciammo a remare, ma, dopo poche centinaia di metri, la barca cominciò ad imbarcare acqua. Non potevamo tornare indietro. Mentre io e “Rosina” [Luciano Mannini] remavamo, “Leo” e Renzo si misero di buona lena a gottare, con una sassola che, per puro caso, avevamo portato con noi. Riuscimmo a tenere il mare e ad arrivare al porto di Monaco. Con la pila facemmo i soliti segnali, ma non ricevemmo alcuna risposta; entrammo nel porto e accostammo alla banchina. Chiamammo una ronda di passaggio, che ci portò al comando di Polizia, dove chiedemmo di informare Milou, l’agente di collegamento. Arrivarono gli inglesi e “Leo” fu finalmente ricoverato al Pasteur di Nizza. Anche io e “Rosina” ci facemmo medicare il palmo delle mani piagate dal remare.
Il nostro ritorno fu programmato subito con il motoscafo di Pedretti [Giulio "Corsaro" Pedretti di Ventimiglia (IM)] e Cesar, che doveva recuperare anche alcuni prigionieri alleati (i 5 piloti: 2 inglesi, 2 americani, 1 francese); ma il motoscafo in mare aperto andò in panne e non ne volle sapere di riavviarsi. Eravamo in balia delle onde, Renzo Rossi, Pedretti e Cesar sotto un telo, al chiarore di una lampada, rabberciarono alla meglio il motore. Quasi albeggiava e la missione fu annullata perché ormai troppo tardi.
Sulla spiaggia di Vallecrosia il Gruppo Sbarchi attese invano con i 5 piloti.
I piloti vennero trasferiti in Francia nei giorni successivi da Girò e Achille.
Io, Renzo Rossi, Achille e Girò ritornammo con un carico di armi. Per sbarcare dovemmo attendere il segnale dalla riva, ma, come altre volte, non arrivò alcun segnale. Sbarcammo proprio davanti alla postazione dei bersaglieri, vicino al bunker.
Pochi giorni dopo, senza Achille, che rimase a dirigere il Gruppo a Vallecrosia, effettuai con Girò un’altra traversata, accompagnando “Plancia” (Renato Dorgia) a prendere armi e materiale per i garibaldini. Il ritorno lo effettuammo con la scorta di una vedetta francese, che accompagnò il motoscafo di Pedretti. Vi furono momenti di apprensione perché da bordo della vedetta si udì distintamente il rombo del motore di un motoscafo tedesco; non si accorse della nostra presenza e passò oltre. Trasbordammo sul motoscafo e sul canotto gli uomini e il materiale delle missioni “Bartali” e “Serpente”, composte da agenti addestrati al sabotaggio. Nelle operazioni di trasbordo alcuni caddero in mare e recuperarli nel buio non fu cosa facile, dovendosi osservare il silenzio assoluto. Attendemmo i segnali convenuti da riva. Anche quella volta nessun segnale. Gli ordini erano di annullare tutto, ma Girò accompagnò ugualmente a terra tutta la missione, mentre io tornai a bordo della vedetta, e nel buio pesto Girò riuscì ad individuare il tratto di spiaggia dinanzi a casa sua.
Le difese di quel tratto di costa erano così composte: un bunker alla foce del torrente Borghetto, uno nei pressi della foce del Verbone, un altro quasi alla foce del Nervia.
Tra il bunker del Borghetto e quello del Verbone, era tutto un campo di mine, eccetto, giusto alla metà tra i due bunker, un passaggio largo meno di un metro, dalla battigia fino al rio Rattaconigli. Sbarcarono a Rattaconigli e superarono il campo minato attraverso quel sentiero.
Quella sera dal bunker di Vallecrosia fino alla foce del Nervia era tutto un pullulare di tedeschi e fascisti. Ci aspettavano. La fortuna fu dalla nostra.
Girò tornò al Petit Rocher [villa nella baia di Villafranca, o Villefranche-sur-Mer, base delle operazioni integrate degli alleati e dei partigiani] da dove ripartì per l’ultima missione.
Poi
Mac mi manda un'altra email con la quale, tra l'altro, afferma: "
... ti allego parte della testimonianza del Partigiano .... Renato, (Plancia), anche lui del Gruppo Sbarchi, dove racconta un episodio di Rensu u Longu, durante il soggiorno alla sede di St. Jean Cap Ferrat (villa Le Petit Rocher, sede del SOE, servizi inglesi). U Longu appena arrivato dopo l'ennesima traversata, telefona a una non individuata donna e le canta "Polvere di Stelle", Stardust. Quando Renato me lo raccontò rimasi scettico; poi lo stesso Rensu me lo confermò, cantandomela ...."
Quindi, da un racconto Renato "Plancia" Dorgia veniamo a sapere che:
.... La base alleata in Francia era a Saint Jean Cap Ferrat, nella baia di Villafranca, nella villa Le Petit Rocher. Da Vallecrosia si partiva, naturalmente di notte, e si raggiungeva il porto di Montecarlo, facilmente individuabile perché l’unico illuminato. All’ingresso del porto, una vedetta intimava l’alt e accompagnava il natante all’approdo sotto stretta sorveglianza. Qui l’equipaggio forniva alle sentinelle alleate del porto di Monaco solo un numero di telefono o di codice e il nome dell’ufficiale dell’Intelligence Service. In meno di un’ora erano presi in consegna dai servizi segreti alleati.
Anche io fui condotto a Montecarlo, con Renzo Rossi, Girò e Renzo Biancheri, già allora sordo come una campana. Per me era la prima volta, mentre per gli altri si trattava dell’ennesima traversata.
Fummo accolti dal capitano Lamb, che ci condusse a Le Petit Rocher. Ci diede qualche istruzione, tra le quali ricordo che, alla mia richiesta di una qualche sorta di documento, ci disse che a eventuali controlli dovevamo solo rispondere che eravamo maltesi e di riferire il suo nome, Cap. Lamb, con il numero di riconoscimento.
Mettendo mano al portafoglio, Lamb cominciò a distribuire una banconota da 500 franchi. La sua intenzione era di consegnarne una per ognuno di noi, ma Renzo Rossi, intascata la prima banconota ringraziò dicendo che 500 franchi bastavano per tutti.
Il capitano, sorpreso, ci fissò negli occhi uno per uno e domandò: “Ma voi siete proprio Italiani?”.
Scoppiò poi a ridere, ma, per un attimo, vidi nel suo sguardo il sospetto che fossimo sabotatori.
Renzo Biancheri chiese di poter usare il telefono, compose il numero e ottenuta la comunicazione tra lo stupore generale iniziò a cantare Polvere di Stelle.
Renzo era sordo e come tutti i duri d’orecchio cantava bene.
Sussurrava la melodia d’amore di “Polvere di Stelle” alle orecchie di una interlocutrice, evidentemente conosciuta in qualche precedente missione e con la quale di certo non scambiava lunghe conversazioni:
Sometimes I wonder why I spend
The lonely night dreaming of a song
...........
Renzo Biancheri in
Giuseppe Mac Fiorucci,
Gruppo Sbarchi Vallecrosia
< ed.
Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia - Comune di Vallecrosia (IM) - Provincia di Imperia - Associazione Culturale "Il Ponte" di Vallecrosia (IM) >, 2007