Il mio cognome viene da case sparse su collinette non lontane da Fornovo Taro, in provincia di Parma. Anche la famiglia della nonna del lato paterno aveva radici nel comune di Medesano, ché di questo si tratta. Insomma, da quelle parti i miei antenati ci stavano da secoli: qualche storia forse interessante me la ricordo ancora. C'é anche una singolare assonanza tra il nostro cognome e il nome di quella frazioncina, che curiosamente coincide con quello di un sobborgo di Napoli: Miano. E lo zio di Cap d'Ail (veramente era cugino della nonna!), al quale ho fatto già cenno altre volte, di cognome era Bernini, come il grande artista del Barocco, di origine campana, come è noto. Coincidenze, certo, ma tali da consentire qualche facile celia!
La prima volta che, bambinetto, andai da quelle parti mi fece piacere ritrovare colà in vacanza proprio quello zio, cui si faceva periodicamente riferimento al di qua e al di là della frontiera con la Francia.
Un'altra persona iniziai in quell'occasione a conoscere meglio, in quanto prima frequentata solo a Milano, dove lavorava come tassista: un fratello della nonna, la cui figura gioviale e generosa mi emerge sempre più nitida con il passare degli anni. Che fu mio cicerone per farmi conoscere lontani parenti soprattutto dal lato Maini e tanti posti, nonché autista praticamente personale, così come faceva volentieri, specie poi una volta in pensione, per tutti noi. Storie di emigrazione, dunque, e ce ne sono state tante altre in quelle famiglie. Ma in genere, a diversità dalle condizioni tratteggiate in "Novecento" di Bertolucci, la ricerca di lavoro altrove derivava dallo spezzettamento di poderi causato dagli incrementi di prole, ancora diffusi tra Ottocento e Novecento. Ho conosciuto dunque tanti prozii, con relativi cugini per me di secondo grado, all'insegna di un ritrovarsi sempre casuale e gioioso.
Un'altra persona iniziai in quell'occasione a conoscere meglio, in quanto prima frequentata solo a Milano, dove lavorava come tassista: un fratello della nonna, la cui figura gioviale e generosa mi emerge sempre più nitida con il passare degli anni. Che fu mio cicerone per farmi conoscere lontani parenti soprattutto dal lato Maini e tanti posti, nonché autista praticamente personale, così come faceva volentieri, specie poi una volta in pensione, per tutti noi. Storie di emigrazione, dunque, e ce ne sono state tante altre in quelle famiglie. Ma in genere, a diversità dalle condizioni tratteggiate in "Novecento" di Bertolucci, la ricerca di lavoro altrove derivava dallo spezzettamento di poderi causato dagli incrementi di prole, ancora diffusi tra Ottocento e Novecento. Ho conosciuto dunque tanti prozii, con relativi cugini per me di secondo grado, all'insegna di un ritrovarsi sempre casuale e gioioso.
Indubbiamente film come "Novecento", cui ho appena fatto cenno, ma ancor più "Questa specie di amore" di Bevilacqua, alla loro uscita mi fecero d'improvviso ripensare con intensità a queste mie origini che ormai, preso dal mio pieno ingresso nell'età adulta, stavo discretamente trascurando. Questi film, non altri, non altre opere letterarie, per diverse motivazioni, alcune proprio d'impatto con una mia personale rivisitazione della nostra saga familiare: da cui adesso estrapolo tuttavia solo il forte messaggio sociale, democratico ed antifascista contenuto in quelle pellicole, perché mi sembra di forte, stringente, amara attualità.
In effetti, in tutta sincerità, ancora adesso se mi capita di pensare a quelle lande mi vengono spontaneamente alla mente delle cose curiose, minimali. Sono tante, per cui mi limiterò a qualche esempio. Lunghe sgambate in bicicletta sino a Parma, che ho dimenticato quando ho parlato di ciclismo, ancora più interessanti perché ho visto per la prima volta (immaginatevi quanti anni sono passati!) delle piste ciclabili, tutte a margine della Via Emilia. Castelli, tanti castelli, tutti ben conservati. La nebbia a mezza mattina, arrivando in treno da Milano. Settembre, un settembre incantevole in quelle terre, per i colori della natura e i tepori dell'aria.
In caselle a parte, per motivi diversi, metto altri due ricordi, ancora più chiari, collegati a quella mia prima visita. All'epoca, specie giù verso il Taro, c'erano immense distese di pomodori, segno di quella ricchezza che, mi venne detto, nel dopoguerra finalmente veniva avanti in modo diffuso. E poi mi é rimasto impresso il monumento all'esploratore Bottego davanti alla stazione ferroviaria di Parma, di cui mio padre mi rese nell'occasione esaurienti spiegazioni: una memoria rimasta ben presente, forse perché interessato a vicende come quelle di "Cuore di tenebra" di Conrad e di altri cosiddetti esploratori, che, invero, mi porterebbero adesso lontano se solo vi accennassi. Senonché ho da poco saputo che quella statua giace, causa il lungo restyling dello scalo passeggeri, in qualche magazzino. Ma l'ho appreso perché - le combinazioni della vita! - mi é stato detto in conversazione telefonica da un blogger di Parma, guarda caso mio amico d'infanzia a Ventimiglia, con il quale ho ripreso qualche mese fa i contatti attraverso le vie imperscrutabili di un socialnetwork che va per la maggiore. Questo amico mi ha anche parlato di recenti ritrovamenti archeologici, di cui spero sapere al più presto qualcosa di più alla luce di un inveramento della intrigante antica storia di Parma.
Già. Parma città. Certo, l'incomparabile bellezza di Battistero e Duomo, la Pilotta, Palazzo Ducale, tanti altri monumenti, la storia, l'arte, il Parmigianino, la letteratura, nella letteratura: io mi limito a citare solo quello che un po' ho conosciuto. Tanto é stato scritto, ma tanto sarebbe, come mi auguro venga fatto, ancora da scrivere.
La mia è solo, come sempre, una storia un po' così. Con una differenza. Che questa volta questa storia - prendo abusivamente a prestito una frase abbastanza nota in questo periodo - è solo un'anteprima!