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domenica 16 aprile 2023

Cenni sulla Resistenza in provincia di Parma

Fornovo di Taro (PR). Fonte: Wikipedia

Nei concitati giorni della proclamazione dell’Armistizio anche il Comitato d’azione antifascista parmense intensifica gli sforzi. In una riunione tenutasi a Mariano il 9 settembre, nella villa del professor Angelo Braga, viene presa la decisione di coordinare gli sforzi degli esili gruppi antifascisti presenti sul territorio e cominciare ad organizzare una concreta opposizione agli occupanti <8. Da subito il nascente CLN si impegna per offrire aiuto e sostegno logistico ai militari alleati in fuga dai campi di prigionia, cercare armi, imbastire una rete di contatti. Il 15 ottobre, nello studio dell’avvocato Francesco Micheli, dirigente del Partito Popolare ed esponente di spicco dell’antifascismo parmense, si costituisce formalmente il Comitato di Liberazione Nazionale di Parma, struttura provinciale di organizzazione e coordinamento della nascente lotta antifascista. Ne fanno parte comunisti, socialisti, cattolici, repubblicani, liberali, azionisti <9.
Il CLN così costituito deve preoccuparsi di imbastire un’efficiente rete di comunicazioni con i centri del movimento partigiano. Ad attendere a questi compiti sarà un esercito di staffette, che costituiranno, per tutti i mesi della lotta partigiana, i nodi fondamentali di una rete clandestina di comunicazione e informazione. Le staffette sono tradizionalmente, nella memorialistica sulla Resistenza, donne. Per loro era forse più semplice muoversi liberamente sul territorio, destando minori sospetti dei colleghi maschi. Un compito importante che però non esaurisce la varietà dei ruoli ricoperti dalle circa 460 resistenti riconosciute in Provincia di Parma che, per tutti i mesi della lotta partigiana, cureranno feriti, faranno opera di propaganda, consegneranno stampa clandestina, organizzeranno manifestazioni pubbliche, prenderanno parte a combattimenti <10.
All’indomani dell’Armistizio si pongono anche le basi per la formazione delle squadre SAP (Squadre di Azione Patriottica) e GAP (Gruppi d’Azione Patriottica), vere e proprie cellule partigiane clandestine dislocate in città, composte da persone che, anziché abbandonare le proprie case e unirsi alle bande della montagna, continuano a vivere nella propria dimora e mantenere un normale impiego, dietro cui mascherano l’attività di guerriglia, sabotaggio e spionaggio.
Al progressivo consolidamento delle forze antifasciste si accompagna la rapida stabilizzazione del potere tedesco in città: tra settembre ed ottobre il controllo militare e amministrativo della provincia di Parma passa nelle mani del Militärkommandatur 1008, l’amministrazione militare tedesca, stabilitasi a ridosso della Cittadella, tranquillo quartiere residenziale lontano dai possibili obiettivi dei bombardamenti alleati <11.
[NOTE]
8 Gorreri D., Parma ’43. Un popolo in armi per conquistarsi la libertà, Parma, Step, 1975.
9 Istituto Storico della Resistenza e dell’età contemporanea di Parma, I caduti della Resistenza di Parma 1921-1945, Parma, Step, 1970, p. 159.
10 Pieroni Bortolotti F., Le donne della Resistenza antifascista e la questione femminile in Emilia Romagna: 1943-1945, Milano, Vangelista, 1978.
11 Klinkhammer L., Una città sotto l’occupazione tedesca: il caso di Parma, in «Storia e documenti», 5, 1999.
Iara Meloni, Occupazione tedesca e lotta di Liberazione a Parma: una breve introduzione storica in Stefano Rotta, Partigiano Carbonaro. Un ragazzo nella Prima Julia, Parma, Graphital, 2015

In questo capitolo ci si vuole soffermare e analizzare in che modo era strutturato il movimento partigiano parmense e che tipo di rapporti intercorrevano tra i comandi (e organismi) provinciali e quelli regionali o nazionali. Non vuole essere questa la sede per analizzare le caratteristiche e le criticità dei Comitati Nazionali come il CLN o il CLNAI, che sono invece stati ampiamente ed egregiamente trattati da storici come Roberto Battaglia, Claudio Pavone o Santo Peli. <46 Al di là quindi degli organi nazionali, ciò che interessa è focalizzarsi su quelli locali, cercando di dipanare la complicata rete di rapporti interni alla provincia di Parma ed esterni ad essa.
Nel precedente capitolo si è visto come il movimento resistenziale, sin dal suo esordio, sia stato guidato da un organizzazione a carattere nazionale, il CLN <47 appunto, che rappresentava quindi il vertice delle gerarchie di comando. Da questo organo si diramavano e si collegavano tutti i vari Comitati Nazionali sorti nelle città; nel caso di Parma, ricordiamo, questo si formò il 15 ottobre 1944. La fitta rete di collegamenti, non passava direttamente dal CLN nazionale a quelli locali, ma si rapportava anche con organi intermedi, a carattere regionale; per l’Emilia Romagna, era il caso del CUMER (Comando Unico Militare Emilia Romagna). La costituzione dei Comandi regionali si deve all’iniziativa comunista che propose, scrive Battaglia, “di trasformare le vecchie giunte militari in Comandi veri e propri, dotati della necessaria autonomia” <48. I Comandi regionali erano modellati sulla base del Comando Centrale, alle dipendenze del CLNAI, che nacque il 9 giugno 1944 con la costituzione del “Comando Generale per l’Alta Italia occupata del Corpo volontari della libertà” <49.
Alla costituzione del CVL, corrispose una spartizione delle competenze: sommariamente, le attribuzioni del CLNAI erano principalmente di natura politica, quelle del CVL, di carattere militare <50. Al pari di quello centrale, anche i Comitati di Liberazione provinciali e i Comandi locali si basavano su questa divisione. Nel caso parmense, si è visto come nel marzo del 1944, per motivi organizzativi, dal CUMER si formò la Delegazione Nord Emilia, con competenza sulle province di Parma, Reggio e Piacenza <51.  I contatti con il Comando Delegato avvenivano grazie alla costituzione a Fornovo, un paese della provincia parmense, di un Centro Collegamenti del Comando Nord Emilia, nel giugno 1944, affidato ai partigiani Bertini (Bruno Tanzi), Ferrarini (Enzo Costa) e Sergio (Alceste Bucci).
Per completare, sommariamente, il quadro dei rapporti tra la provincia parmense e gli altri organismi presenti sul territorio, è doveroso accennare anche alla presenza del Comando Alleato. Nonostante la scarna documentazione a riguardo, Leonardo Tarantini ci informa del fatto che i primi abboccamenti con gli Alleati risalivano al Natale del 1943. <52
I principali contatti con il Comando angloamericano avvennero per gli accordi relativi agli aviolanci; solo negli ultimi mesi prima della Liberazione, il Comando Alleato interverrà in una questione politica interna al Comando Militare parmense, questione che verrà analizzata successivamente, nel presente capitolo.
La gerarchia di comando non riguardava solo l’assetto nazionale, ma si riproponeva anche a livello provinciale. Nel caso di Parma, al pari delle altre città, il movimento era al suo interno rigidamente suddiviso. All’ultimo gradino della scala piramidale si collocavano le Brigate, gerarchicamente divise in Battaglioni, a loro volta suddivisi in Distaccamenti. Ogni reparto, ricordiamo, aveva il suo Comando composto dal Comandante, il Commissario, i rispettivi vice, l’Intendente e il Capo di Stato Maggiore. Salendo nella scala, al gradino intermedio, si posizionavano le Divisioni. Si tratta di raggruppamenti composti da diverse brigate, che si formarono nel parmense a partire dal febbraio 1945. Una relazione dell’ Ispettore del Nord Emilia, Umberto (Umberto Pestarini), ci informa sui motivi della riorganizzazione in Divisioni: “questo ultimo provvedimento, quello delle Divisioni, fa parte di un piano organico di riforma disciplinare e di dislocazione delle nostre forze […]”. <53 Naturalmente anche le Divisioni avevano il loro Comando. Infine al gradino più alto si trovava il Comando Unico Operativo, che coordinava le Brigate dipendenti e interagiva con i Comandi superiori. A differenza che per le vicine Piacenza e Reggio, a Parma si costituì la Delegazione del Comando Unico, operante nella zona ad Est della Cisa; in teoria essa era subordinata al Comando Unico, ma di fatto operava come autonoma. Sulle mansioni e le questioni inerenti al Comando Unico verrà dedicato un ampio paragrafo del capitolo.
[NOTE]
46 Cfr. R. Battaglia, Storia della resistenza Italiana, S. Peli, Storia della resistenza in Italia, C. Pavone, Una guerra civile.
47 sarebbe più preciso dire il CLNAI dal momento che a partire dal maggio 1944, “si considera a tutti gli effetti rappresentante del governo legittimo” cfr. R. Battaglia, Storia della resistenza italiana, p. 333.
48 R. Battaglia, Storia della resistenza italiana, cit. p. 339.
49 Ibidem
50 Per un approfondimento cfr. R. Battaglia, Storia della resistenza italiana, p. 439.
51 Il Comando Nord Emilia era così composto: Comandante: Mario Roveda (Bertola), Commissario: Emilio Suardi (Rinaldi), Vice Comandanti: Amerigo Clocchiatti (Lamberti) e Giovanni Vignali (Bellini), Ispettori: Enzo Costa (Ferrarini) e Bruno Tanzi (Bertini). Cfr. Fernando Cipriani, Guerra partigiana: operazioni nelle provincie di Piacenza, Parma e Reggio Emilia, p.7.
52 Cfr. L. Tarantini, Resistenza armata nel parmense, p. 67.
53 Archivio dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Parma (d’ora in poi AISRECP), Fondo Lotta di Liberazione, busta RI, fasc. QC, f. 19.

Costanza Guidetti, La struttura del comando nel movimento resistenziale a Parma, Tesi di laurea, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Anno Accademico 2017-2018

A Parma l'attività militare cittadina fu pressoché inesistente fino al 24 febbraio 1944, quando in centro venne ucciso un milite della GNR. Queste difficoltà di azione trovano conferma da quanto riportato nella Relazione della 12ª Brigata Garibaldi, che attribuiva ai GAP unicamente un'azione di recupero di armi per la montagna nel febbraio 1944. Eugenio Copelli “Gianni”, catturato dalla polizia in un'osteria del quartiere Oltretorrente nella serata del 9 marzo 1944 e ucciso subito dopo, veniva indicato quale comandante dei GAP di Parma da un volantino che lo descriveva come un eroico gappista, ma alla prova delle carte d'archivio risulta che dal colpo di febbraio fino al 10 aprile - quando sulla strada Parma-Colorno venne ferito gravemente da un ciclista un milite della Gnr - non si verificò più nessun attentato. Un ultimo colpo di coda del gappismo parmense si ebbe tra i mesi di maggio e luglio 1944, quando vennero segnalate dai Notiziari della GNR alcune sparatorie compiute da ignoti in bicicletta contro militi della RSI.
Maria Grazia Conti, Gruppi di azione patriottica (GAP) in Comando Militare Nord Emilia. Dizionario della Resistenza nell’Emilia Occidentale, Progetto e coordinamento scientifico: Fabrizio Achilli, Marco Minardi, Massimo Storchi, Progetto di ricerca curato dagli Istituti storici della Resistenza di Parma, Piacenza e Reggio Emilia in Rete e realizzato grazie al contributo disposto dalla legge regionale n. 3/2016 “Memoria del Novecento. Promozione e sostegno alle attività di valorizzazione della storia del Novecento”

Nella provincia di Parma le SAP si organizzarono a partire dall'estate del 1944 nella zona della bassa parmense limitrofa ai paesi di Colorno, Roccabianca, San Secondo e Mezzano di Sotto. Durante l'estate esse disarmarono alcune caserme, effettuarono frequenti sabotaggi alla rete telefonica, alle linee ferroviarie e ai cartelli stradali e sparsero sulle principali vie di comunicazione chiodi antipneumatici per bloccare i mezzi nemici, senza però riuscire ad innescare un movimento di massa nelle campagne circostanti. Queste problematiche furono denunciate nel novembre 1944 proprio dal Comando Terza zona che, in una nota al Comando generale delle brigate Garibaldi, lamentava «l'attendismo» delle comunità locali e la sconnessione esistente tra lotta militare e lotta politica. Sempre nel primo autunno del 1944 cominciò ad esserci traccia di nuclei sappisti anche nella zona a sud della via Emilia, ai bordi della città, ma le azioni, anche in questo caso, non andavano oltre qualche disarmo. Come è noto, i grandi rastrellamenti dell'inverno del 1945 costrinsero le SAP a ritirarsi in montagna per impedire gravose perdite di uomini, lasciando la pianura sotto il controllo dei nazifascisti.
Maria Grazia Conti, Squadre di azione patriottica (SAP) in Comando Militare Nord Emilia. Dizionario della Resistenza... op. cit.

mercoledì 1 giugno 2022

Spesso, poi, gli arresti non avvenivano durante i disordini ma successivamente, quando guardie e carabinieri si mettevano a setacciare i quartieri popolari di Parma

Parma: un angolo di Oltretorrente - Fonte: Wikipedia

Come si è visto nei precedenti capitoli, in cinquant’anni di storia, l’Oltretorrente [a Parma] fu protagonista di numerosi episodi di conflitto che guadagnarono ai suoi abitanti una certa fama nel resto d’Italia, amplificata da eventi straordinari come le proteste contro la guerra d’Africa del 1896 o lo sciopero del 1908 e poi coronata e sublimata, nel primo dopoguerra, dalle vicende delle Barricate antifasciste del 1922.
«Popolo ribelle» o «teppa» - a seconda del punto di vista da cui, di volta in volta, si è guardato a quella realtà sociale e politica e ai protagonisti di quella lunga serie di rivolte - sono le definizioni che più si sono avvicendate sia nelle cronache giornalistiche coeve, sia in non poche ricostruzioni storiche che, negli anni, hanno contribuito a rafforzare un alone leggendario intorno a coloro che parteciparono ai tumulti e alle sommosse, dandone quasi per scontata l’uniformità sociale, come se si trattasse di tutta la popolazione del quartiere. Mai nessun tentativo è stato fatto per comprendere meglio chi realmente fossero questi rivoltosi, mai è stato composto un loro ritratto particolareggiato, né sul breve né sul lungo periodo <737.
Uno degli obiettivi di questo lavoro, dunque, è stato anche quello di ridare un volto a quel popolo, e di verificare in che modo moti e rivolte hanno aderito alle pieghe della società locale, attraverso un’analisi dei loro protagonisti, almeno di quella parte di essi che è incappata nelle reti della giustizia e ha subito arresti o processi. Un’operazione non certo semplice o priva di pericoli che, come ha ben mostrato George Rudé, porta con sé il costante rischio di cadere in facili stereotipi o avventati parallelismi <738. Tenendo presenti i rischi, dunque, si è cercato di recuperare alcuni dei segmenti sociali che composero le folle dei rivoltosi e di analizzarne le caratteristiche.
Capire se si sia trattato di uomini o di donne, di giovani o meno giovani, di abitanti dei borghi o di altre zone non è infatti ininfluente per togliere quella patina di mito che si è depositata sulla storia delle classi popolari della città e, sebbene non si possa pretendere di giungere ad una definizione dettagliata dei protagonisti delle rivolte, è pur sempre possibile individuare le componenti sociali prevalenti e, sul lungo periodo, mostrarne le continuità e le discontinuità, le analogie e le differenze.
La maggior parte dei dati che supporteranno le prossime riflessioni è stata recuperata nelle carte di polizia: nelle relazioni degli agenti al prefetto e di questo al Ministero dell’Interno, infatti, oltre al racconto dei numerosi scontri e tumulti, vennero spesso indicati i nomi e le informazioni anagrafiche degli arrestati e, talvolta, l’imputazione loro contestata. Certo non si tratta di documentazione esente da lacune o mancanze ma, ugualmente, sulla sua base si è potuto costruire un data-base con i dati anagrafici e professionali di 568 uomini e donne fermati in occasione di proteste, manifestazioni, sommosse, tumulti, risse e scontri con la forza pubblica tra il 1888 - nei disordini per l’inaugurazione del monumento a Girolamo Cantelli - e il 1915, durante le manifestazioni interventiste del “maggio radioso”. Le informazioni raccolte su queste relazioni sono poi state confrontate e integrate con altre ricavate dalle cronache dei giornali e dalle carte dei processi celebrati dal Tribunale di Parma dal 1901 al 1915.
Le ragioni - anche molto diverse le une dalle altre - per le quali vennero incarcerate le persone riunite nel data-base ricompongono uno spettro di situazioni di conflitto sociale molto ampio: dalle donne che reclamavano un “giusto prezzo” per il pane, ai giovani che, in uscita da qualche osteria, si accapigliavano con pattuglie di agenti; dalla folla furibonda per l’assassinio di Pietro Cassinelli che prese d’assalto la stazione di Pubblica sicurezza di via d’Azeglio, ai sindacalisti rivoluzionari che per 50 giorni gestirono uno dei primi grandi scioperi del movimento contadino italiano; dagli anarchici e socialisti che inscenarono i primi e rumorosi cortei notturni ai protagonisti delle diverse ribellioni alla forza pubblica di cui l’Oltretorrente fu frequentemente teatro nel corso degli anni.
È tuttavia uno spettro, una fotografia, che ci deriva da una selezione operata, prima che dalla nostra ricostruzione, dalle forze dell’ordine che eseguirono gli arresti e che furono in questo orientate da ragioni molteplici. Ragioni che ebbero a che fare con l’organizzazione e la gestione dell’ordine pubblico in città, con le direttive del governo - che, in alcuni casi, come durante lo sciopero del 1904, impartì precise indicazioni perché le forze dell’ordine si astenessero dal compiere gesti che avrebbero potuto suscitare reazioni tumultuose -, con le abitudini e l’esperienza degli agenti che pattugliavano i quartieri popolari, con la loro capacità di identificare e riconoscere gli individui più “pericolosi”.
Inoltre, solo una esigua minoranza degli uomini e delle donne che scesero in strada o si scontrarono con la forza pubblica finì nei verbali e nelle celle di sicurezza, mentre la gran parte di essi riuscì a sottrarsi alle strette della repressione. E ciò anche in occasione di quegli eventi verso i quali l’azione di polizia fu più massiccia e che si conclusero con arresti di massa, talvolta anche ingiustificati e vanificati poi dall’esito dei processi, come nel caso del giugno 1908 e degli oltre cento dirigenti e organizzati della Camera del Lavoro catturati durante l’assalto in borgo delle Grazie, tutti assolti dal Tribunale di Lucca non senza polemiche per come la polizia e la magistratura parmensi avevano condotto l’istruttoria <739.
Spesso, poi, gli arresti non avvenivano durante i disordini ma successivamente, quando guardie e carabinieri si mettevano a setacciare i quartieri popolari in cerca di coloro che avevano, o credevano di avere, riconosciuto in strada. Non era dunque raro che, in simili circostanze, in ferri ci finissero uomini già noti alle forze dell’ordine per i loro precedenti penali. Anche per questo, probabilmente, tra gli arrestati predominarono quegli uomini giovani che, meglio di donne o di uomini più anziani, corrispondevano, nell’immaginario delle forze dell’ordine, allo stereotipo del rivoltoso e dell’individuo pericoloso.
Solo una parte degli arresti, dunque, venne eseguita nel pieno delle sommosse che, quasi sempre, per lo meno per gli episodi più tumultuosi, si concludevano con un fuggi fuggi incalzato dagli spari dei soldati. I tutori dell’ordine, poi, soprattutto quando i disordini avvenivano in Oltretorrente, mostravano una certa difficoltà nel contenere e reprimere gli scontri, impotenza che va senz’altro messa in relazione con il consenso che i tumulti trovavano in quartiere. Quel dedalo di vicoli e cortili, infatti, si trasformava in un labirinto di vie di fuga per i suoi abitanti che, da una casa all’altra, tramite i tetti o le corti interne, riuscivano a dileguarsi velocemente, mentre guardie e soldati dovevano accontentarsi di acciuffare i pochi che rimanevano nelle strade o ritardavano a rifugiarsi dietro i portoni. Talvolta, dunque, i fermi avvenivano in modo piuttosto arbitrario: gli avventori di un’osteria nei pressi di uno scontro, gli abitanti di una casa da cui era piovuto un sasso, o coloro che, circondati i borghi, rimanevano casualmente impigliati nella retata della forza pubblica.
[NOTE]
737 Gli unici esempi di analisi in questa direzione, infatti, riguardano i “sovversivi” del ventennio fascista, cfr. M. Palazzino, Nel buio. L’antifascismo parmense e lo Stato di polizia, in M. Giuffredi (a cura di), Nella rete del regime…, cit., pp. 1-34; W. Gambetta, L’esercito proletario di Guido Picelli (1921-1922), «Storia e documenti», n. 7, 2002, pp. 23-46.
738 G. Rudé, La folla nella storia…, cit., pp. 19 e 231.
739 Cfr. U. Sereni, Il processo ai sindacalisti parmensi…, cit.
Margherita Becchetti, Oltretorrente. Rivolte e conflitto sociale a Parma. 1868-1915, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Parma, 2010

giovedì 21 luglio 2011

Da Parma


C. mi ha mandato da Parma un discreto numero di fotografie, anche improvvisandosi operatore. Ma io avevo parlato con lui più per scherzo ...




Ne pubblico ancora qualcuna. A parte il ponte romano di zona Ghiaia, il Battistero, come già prima il Duomo, é riconoscibile.


Il fatto é che sussiste un precedente dello scorso mese di marzo. Era stato da quelle parti F., comune amico, che é di Ventimiglia e che in quell'occasione si era incaricato lui di scattare immagini, anche di tipo goliardico. Solo che sono passati insieme anche nella zona di Monte Cimone, che mi ha ben documentato. Riprendendo in mano quelle fotografie di recente, mi é così capitato di voler approfondire argomenti connessi come Sestola, il Frignano e così via.


C., quando abitava a Ventimiglia, é stato a lungo nella zona di Via Dante, ritratta qui sopra, che, anche grazie a lui, merita un racconto a parte. Insomma, da Parma C. mi ha fatto riprendere o perfezionare contatti con tanti conoscenti, in genere "ex-ragazzi di quella strada". Per dire, con una sua telefonata mi ha spiegato che B. é collezionista di fumetti. Diversamente non sarei riuscito ad illustrare la vicenda del vecchio "intrepido".


Concludo con ancora due fotografie di Parma. Però, ... siccome ho qualche ascendenza parmense, C. mi chiama Il Maio, soprannome cui anche altri della già detta cerchia hanno iniziato a fare riferimento ...



venerdì 18 febbraio 2011

Passeggiando lungo il mare

Passeggiando lungo il mare, mi guardo ben bene intorno, ma incontro anche diverse persone con cui scambiare le tradizionali quattro parole. Il panorama verso la parte di confine di Ventimiglia e la Costa Azzurra é notevole ed invero anche in tutt'altra direzione le colline e le montagne, così come dal basso - non certo a dimensione intera - possono essere scorte,  conservano un certo loro fascino. Il tutto rappresenta un po' i miei luoghi, che cerco di vivere scevro da enfasi particolare, pur sapendo che molti artisti, grandi o minori non importa, li hanno a più riprese immortalati. Del resto, una volta di più mi viene da ripetere che ogni posto, se osservato attentamente, può suscitare trasporto verso la storia e la cultura.

Con buona visibilità, non però quella degli ultimi giorni, forieri di una pioggia poi infine arrivata, si possono infatti intravvedere alte cime delle Alpi Marittime che scorrono in lontananza. Il nuovo raccordo di pista pedonale tra Bordighera e, ad ovest, Vallecrosia, offre la possibilità di nuovi, ancorché striminziti scorci, a chi, come il sottoscritto, in oggi preferisce non staccarsi troppo da dove battono le onde.
La nuova passeggiata a mare Bordighera-Vallecrosia

La nuova strada (non ancora ben nota e, per una curiosa coincidenza, proprio l'altra sera ho salutato per telefono un vecchio "commilitone" di Ventimiglia dei tempi della vendemmia in Francia, in quel momento in visita ad un comune amico di Parma, dandogli nell'occasione ragguagli in merito) induce invero nuovi visitatori da tutta la zona, compresi gli abitanti di Bordighera, che hanno da tempo ed in genere ampiamente trascurato la loro vecchia bella passeggiata, quasi riservandola a quel certo congruo numero di turisti, i "foresti", per lo più pensionati, normalmente registrabile tutto l'anno. Di qui la possibilità, specie di domenica, di tanti scambi, non solo di saluti, ma anche di racconti che, inevitabilmente, traggono spunto e dal mare e dal panorama.

Mi risulta, poi, più congeniale seguire questo nuovo tragitto per sbrigare, se così si può dire, faccende di vario tipo. Ad esempio passare a salutare nel vicino comune amici nel circolo dove giocano a carte, prestazione cui da tempo mi sottraggo, perché pur amando lo scopone, la mia inveterata distrazione mi dissuade dal portare a sconfitta certa persone a me care o simpatiche. Ma può capitare che, di affabulazione in affabulazione, faccia perdere a qualcuno il turno al tavolo o ad altri di ritardarne il preventivato ritorno a casa.

Mentre me ne guadagno, io indigeno con abitudini pervicacemente da cittadino, tra le altre, nuove informazioni su quel paesaggio collinare e montuoso che mi sono riguardato colà pervenendo, ivi comprese nuove tacite indicazioni su limitrofi, ma impervi punti panoramici, che so già difficilmente andrò a salire.

O ne riporto altre notizie, che mi confermano quanto già sentito putacaso da altro conoscente proprio deambulando su quel pezzo di litoranea, circa i danni che la proliferazione dei cinghiali provoca nel nostro immediato entroterra, anche con la devastazione di vigne del pregiato vino Rossese e con il crollo di tanti secolari muri a secco, che forse nessuno é più in grado di ricostruire.

Ed ora, passeggiando comodamente lungo il mare, in poco più di mezz'ora mi ritrovo da casa alla  foce del torrente Nervia, confine orientale di Ventimiglia, ma soprattutto in quel punto oasi naturale che merita ben altra penna della mia per una degna descrizione. Nella zona circostante il sottoscritto, ed ancor più la famiglia, ha abitato a lungo, ma, fattore ancora più importante, si sono svolte vicende di rilievo storico, di cui la più nota, ma non l'unica, é attestata dagli scavi archeologici e dal teatro della Ventimiglia (IM) di epoca romana.

Foce del torrente Nervia


domenica 2 gennaio 2011

Curiosità di Miano


Avevo cercato sul Web, quando stavo terminando il precedente post su Parma, delle fotografie del  panorama di Miano, che poi non ho pubblicato, probabilmente distratto da informazioni a mio avviso di un certo rilievo rinvenute su quel sito, il sito del Comune di Medesano.

Tra quelle notizie interessanti, a me largamente ignote, tutte di ordine storico, mi ha particolarmente colpito quella relativa all'estrazione del petrolio a Miano, per l'appunto, di cui avrei pur dovuto sapere qualcosa, tramandato dai racconti di famiglia. Preso da una sorta di emozione per quella mia specie di scoperta, non ho ben memorizzato il periodo in questione, che dovrebbe comunque essere focalizzato, anche per quanto dirò subito dopo, nel periodo tra le due guerre mondiali. Le succinte cronache riportate su Internet, del resto corredate da acconcia iconografia, rimandano già al '500 per lo stupore arrecato alle persone per quella strana acqua colorata, che prendeva facilmente fuoco. Mentre leggevo quelle scarne righe me ne andavo con il pensiero a quanto tramandato, perché visto in Asia, tra l'incredulità dei suoi concittadini da Marco Polo in quel suo "Il Milione", che in versione riassuntiva lessi affascinato da bambinetto.

Non mi sono certo fatto scappare l'occasione qualche giorno dopo di chiedere delucidazioni in proposito a mio padre, che, guardandomi un po' stupito, mi ha risposto praticamente dandomi dello smemorato. Ora può anche essere che tanti racconti sentiti da fanciullo non siano stati più ripetuti. E che tante storie rinnovate o per me del tutto nuove mi abbiano fatto scordare certi pezzi forti, ma quella del petrolio mi sembra una cosa grossa. Sarà! Che sia stata occultata dall'avventura occorsa più di ottant'anni fa a quel nostro parente che, reduce da una partita a carte con certi amici lungo un sentiero nel bosco innevato, venne costretto a passare il resto della notte su di un albero per sfuggire ai morsi famelici di una lupa gravida? Con altri vicini o consanguinei che, spavaldi, andarono in seguito alla ricerca della presunta fiera per poter poi burlare il malcapitato, già fuggito non si sa come dall'incomoda posizione, ma che rientrarono affannati, a loro dire anch'essi per miracolo, anche perché presuntuosamente sprovvisti degli strumenti da caccia? Sarà il toro dei Baccanelli, in famiglia ormai più leggendario del Minotauro di Creta? O sarà che continuo a pensare, ma senza poi mai riuscire a fare a lui le domande dovute per ottenere le opportune risposte integrative, a mio padre bambino a caccia (a pesca?) di rane, un po' come Depardieu (ragazzino appunto, vale a dire l'attore giovane) in "Novecento"? O che ora come ora parliamo in famiglia più di certi ricordi dei tempi di guerra? Insomma, nel tramandare spezzoni di saghe familiari alquanta confusione probabilmente é inevitabile.

Una cosa nuova, però, l'ho appresa dal mio genitore, tale da fornirmi il destro per successivi tentativi di voli narrativi. Un fratello della nonna andò a lavorare come operaio nel petrolio lì a Miano, frazione di Medesano, per poi trasferirsi al seguito della compagnia che l'oro nero lo pensava già allora in Sicilia, dove nacque suo figlio, uno dei cugini che ancora risiedono a Milano. Dal che ho desunto anche perché quello zio, che vidi solo nel Parmense in alcune occasioni, abitasse a Cremona, zona di partenza, se rammento bene, nel secondo dopoguerra delle ricerche italiane di petrolio. 

Ma devo ancora procedere ad una piccola integrazione ed allo svelamento di qualche curiosità. Se un altro cugino, sentito per telefono nei passati giorni di festa, non mi diceva a mo' di intercalare che sulle colline lì da lui ci sono ancora tante persone con il mio cognome (la cui larga diffusione non stupisce per il resto della provincia), non gli avrei chiesto della storia del petrolio a Miano, a lui comunque ignota, come peraltro ad altri "parmigiani" miei interlocutori: del resto, sono passati tanti ormai. Da quella conversazione ne é venuto fuori che un altro zio, fratello del primo, aveva lavorato con la società petrolifera: insomma, per concludere l'argomento, abbiamo proceduto ad uno scambio incrociato di informative circa i parenti già addetti ad attività minerarie.


La novella più lieta che ho appreso è un'altra: quella per cui il papà di mio cugino, il mio caro zio tassista, viene ricordato in una pubblicazione di prossima uscita, dedicata ai propri concittadini illustri dal Comune di Medesano. Con una certa commozione mi sono andato a rileggere certe lettere che quella generosa persona mi aveva scritto a suo tempo.

domenica 19 dicembre 2010

Nei dintorni di Parma


Il mio cognome viene da case sparse su collinette non lontane da Fornovo Taro, in provincia di Parma. Anche la famiglia della nonna del lato paterno aveva radici nel comune di Medesano, ché di questo si  tratta. Insomma, da quelle parti i miei antenati ci stavano da secoli: qualche storia forse interessante me la ricordo ancora. C'é anche una singolare assonanza tra il nostro cognome e il nome di quella  frazioncina, che curiosamente coincide con quello di un sobborgo di Napoli: Miano. E lo zio di Cap d'Ail (veramente era cugino della nonna!), al quale ho fatto già cenno altre volte, di cognome era Bernini, come il grande artista del Barocco, di origine campana, come è noto. Coincidenze, certo, ma tali da consentire qualche facile celia!

La prima volta che, bambinetto, andai da quelle parti mi fece piacere ritrovare colà in vacanza proprio quello zio, cui si faceva periodicamente riferimento al di qua e al di là della frontiera con la Francia.
Un'altra persona iniziai in quell'occasione a conoscere meglio, in quanto prima frequentata solo a Milano, dove lavorava come tassista: un fratello della nonna, la cui figura gioviale e generosa mi emerge sempre più nitida con il passare degli anni. Che fu mio cicerone per farmi conoscere lontani parenti soprattutto dal lato Maini e tanti posti, nonché autista praticamente personale, così come faceva volentieri, specie poi una volta in pensione, per tutti noi. Storie di emigrazione, dunque, e ce ne sono state tante altre in quelle famiglie. Ma in genere, a diversità dalle condizioni tratteggiate in "Novecento" di Bertolucci, la ricerca di lavoro altrove derivava dallo spezzettamento di poderi causato dagli incrementi di prole, ancora diffusi tra Ottocento e Novecento. Ho conosciuto dunque tanti prozii, con relativi cugini per me di secondo grado, all'insegna di un ritrovarsi sempre casuale e gioioso.

Indubbiamente film come "Novecento", cui ho appena fatto cenno, ma ancor più "Questa specie di amore" di Bevilacqua, alla loro uscita mi fecero d'improvviso ripensare con intensità a queste mie origini che ormai, preso dal mio pieno ingresso nell'età adulta, stavo discretamente trascurando. Questi film, non altri, non altre opere letterarie, per diverse motivazioni, alcune proprio d'impatto con una mia personale rivisitazione della nostra saga familiare: da cui adesso estrapolo tuttavia solo il forte messaggio sociale, democratico ed antifascista contenuto in quelle pellicole, perché mi sembra di forte, stringente, amara attualità.

In effetti, in tutta sincerità, ancora adesso se mi capita di pensare a quelle lande mi vengono spontaneamente alla mente delle cose curiose, minimali. Sono tante, per cui mi limiterò a qualche esempio. Lunghe sgambate in bicicletta sino a Parma, che ho dimenticato quando ho parlato di ciclismo, ancora più interessanti perché ho visto per la prima volta (immaginatevi quanti anni sono passati!) delle piste ciclabili, tutte a margine della Via Emilia. Castelli, tanti castelli, tutti ben conservati. La nebbia a mezza mattina, arrivando in treno da Milano. Settembre, un settembre incantevole in quelle terre, per i colori della natura e i tepori dell'aria.

In caselle a parte, per motivi diversi, metto altri due ricordi, ancora più chiari, collegati a quella mia prima visita. All'epoca, specie giù verso il Taro, c'erano immense distese di pomodori, segno di quella ricchezza che, mi venne detto, nel dopoguerra finalmente veniva avanti in modo diffuso. E poi mi é rimasto impresso il monumento all'esploratore Bottego davanti alla stazione ferroviaria di Parma, di cui mio padre mi rese nell'occasione esaurienti spiegazioni: una memoria rimasta ben presente, forse perché interessato a vicende come quelle di "Cuore di tenebra" di Conrad e di altri cosiddetti esploratori, che, invero, mi porterebbero adesso lontano se solo vi accennassi. Senonché ho da poco saputo che quella statua giace, causa il lungo restyling dello scalo passeggeri, in qualche magazzino. Ma l'ho appreso perché - le combinazioni della vita! - mi é stato detto in conversazione telefonica da un blogger di Parma, guarda caso mio amico d'infanzia a Ventimiglia, con il quale ho ripreso qualche mese fa i contatti attraverso le vie imperscrutabili di un socialnetwork che va per la maggiore. Questo amico mi ha anche parlato di recenti ritrovamenti archeologici, di cui spero sapere al più presto qualcosa di più alla luce di un inveramento della intrigante antica storia di Parma.

Già. Parma città. Certo, l'incomparabile bellezza di Battistero e Duomo, la Pilotta, Palazzo Ducale, tanti altri monumenti, la storia, l'arte, il Parmigianino, la letteratura, nella letteratura: io mi limito a citare solo quello che un po' ho conosciuto. Tanto é stato scritto, ma tanto sarebbe, come mi auguro venga fatto, ancora da scrivere.

La mia è solo, come sempre, una storia un po' così. Con una differenza. Che questa volta questa storia - prendo abusivamente a prestito una frase abbastanza nota in questo periodo - è solo un'anteprima!