Pagine

Visualizzazione post con etichetta Raffaello Monti. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Raffaello Monti. Mostra tutti i post

domenica 21 luglio 2024

Coincidenze (2)

Latte, Frazione di Ventimiglia (IM), vista da Zona Ville

Nello Pozzati mi disse in un’occasione che aveva letto "Meridiano di sangue" di Cormac McCarthy, come forse gli avevo suggerito io: solo che non so ripetere con la sua lucida precisione la trama con cui mi descrisse la filosofia, da lui intesa, sottesa a quel romanzo, che pur mi aveva tanto affascinato per quella che a me è sembrata una plastica commistione di paesaggi selvaggi e di crude vicende storiche poco note del sud-ovest nord-americano di circa due secoli fa.
E non potevo dubitare che, quando conobbe Nico Orengo, autore anche de “La curva del Latte”, Nello gli rammentasse che, certo, anni dopo quell’ambientazione romanzesca, nella campagna condotta dal protagonista lui ci aveva lavorato da bracciante, prima di emigrare a Milano, diplomarsi, laurearsi e vincere importanti concorsi in comuni dell'hinterland.
Nello, che in gioventù tirava tardi a discutere con Francesco Biamonti davanti al Bar Irene di Ventimiglia, esercizio ormai chiuso, mentre doveva alzarsi di lì a poche ore per tornare al suo lavoro, all’epoca, ancora agricolo, non ricordava, invece, molto del professor Raffaello Monti, già amico e corrispondente di Aldo Capitini. Eppure ai nostri vent’anni era stato lui a riferirmi citazioni di quella più vecchia Bordighera dell’Unione Culturale Democratica (tuttora operante grazie alla grande tenacia di Giorgio Loreti), che vide impegnati, tra gli altri, Francesco Biamonti, Guido Seborga, Angelo Oliva, Luciano De Giovanni, i pittori Enzo Maiolino, Sergio Biancheri, Joffre Truzzi, Sergio Gagliolo e chissà quanti altri personaggi di rilievo che io sto dimenticando.

Dalla lettura del significativo libro di Sergio Favretto, Partigiani del mare. Antifascismo e Resistenza sul confine ligure-francese, Edizioni SEB27, Torino, aprile 2022, vengo ad apprendere che Raffaello Monti era riuscito a frequentare, seppur brevemente, Giuseppe Porcheddu anche nell'immediato secondo dopoguerra.

Fravretto si sofferma pure sull'operato da partigiano di Pietro Giacometti, che compare anche nell'opera "Lina, partigiana e letterata, amica del giovane Calvino", scritto da Daniela Cassini e Sarah Clarke. Giacometti, il cui operato appare in diverse documentazioni storiche in modo frammentato, dunque, difficile da ricomporre, era il nonno del marito della signora Clarke. Senonché, a Sanremo, quando due anni fa venne presentato il citato libro, sono venuto a sapere che la famiglia Giacometti a cavallo della guerra abitava in Villa Olga a Nervia di Ventimiglia: a poche centinaia di metri dove, più a levante, qualche tempo dopo sono nato io, ma dove in quel periodo cruciale abitavano già i miei nonni.

Alcuni fatti storici o, al limite, solo alcune conferme, sono stati appurati (anzitutto per Giacometti) in ordine ai due libri appena accennati dalla pubblicazione di quello che io definisco il "Memoriale Porcheddu", prima inedito, in Francesco Mocci (con il contributo di Dario Canavese di Ventimiglia), Il capitano Gino Punzi, alpino e partigiano, Alzani Editore, Pinerolo (TO), 2019. Mi emoziona tuttora sapere che una radioricetrasmittente affidata da Punzi ad un altro degno antifascista, perché probabilmente destinata a Beppe Porcheddu, era transitata dal garage Chiappa, padre e figli, una volta esistente a pochi metri dalla mia attuale abitazione. O, ancora, avere appurato in modo incontrovertibile in quale casa di Marina San Giuseppe di Ventimiglia avvenne l'agguato vile e feroce che costò la vita al capitano Gino, un uomo, già ufficiale di carriera, venuto a morire dalle nostre parti dopo aver tentato di intessere una rete antifascista in provincia, aver combattuto con i partigiani francesi ed essere tornato a cercare contatti con i nostri partigiani anche nella veste di agente dell'Oss statunitense.
 
Adriano Maini

martedì 3 gennaio 2012

Altre idee di Ventimiglia (e zona)


Questa mattina M., finalmente trovato di persona e da me interpellato in proposito del professore Raffaello Monti, mi racconta di un'importante assemblea pubblica sull'obiezione di coscienza, avvenuta a Bordighera nei primi anni '60 con l'intervento di Aldo Capitini, grande figura di cattolico pacifista. E con un lungo telegramma di Bertrand Russel, dispiaciuto di non poter intervenire. L'iniziativa ebbe luogo nella Chiesa Anglicana della Città delle Palme, allora aperta al culto. Con l'autorizzazione del Vescovo di Malta, da cui dipendeva quel luogo ancora sacro. Il meeting era stato organizzato dall'Unione Culturale Democratica, di cui era presidente il professore Monti, artefice, anche in virtù dei suoi profondi legami con Capitini, della sopradetta manifestazione. Di quest'ultimo, di cui ho già parlato, cercavo e cerco ulteriori notizie, perché per un caso straordinario e significativo a seguito di quel mio post sono entrato in contatto telefonico con la figlia, che mi ha esortato a parlare ancora di suo padre, soprattutto in riferimento alla sua frequentazione con Capitini: il che io traduco soprattutto nel sollecitare vecchi amici della famiglia Monti, in Bordighera e dintorni, a riunire memorie e documenti dell'attività svolta in questa zona, da ultimo anche nel pensare a qualcuno veramente esperto di penna per stendere note importanti in proposito.

In sostanza, qualcosa che ho scritto già qui sul blog ha avuto sviluppi, anche imprevisti, incrociando, inoltre, altre trame.


Un punto riassuntivo potrebbe essere il già da me citato Bar Irene di Ventimiglia dei primi anni '70, che di recente mi torna in ballo anche per aspetti banali, ma che molti collaboratori locali del professore Monti hanno conosciuto bene.

Come l'ha conosciuto bene N., da anni, come ne scrissi tempo fa, emigrato nelle vicinanze di Milano, con cui, finalmente, dopo due fugaci occasioni, ho potuto avere qualche giorno fa una lunga e proficua discussione, come quelle di una volta: sembrava proprio ci fossimo lasciati l'altro giorno, forse perché, come dice, esplicitandomi il senso di una battuta di un mio ex-compagno di scuola, il mio anonimo dotto eremita della collina, quando si cresce insieme rimane un elevato grado comune di confidenza.
N., che ritrovo come sempre colto ed acuto osservatore, in più temprato anche dalle importanti vicende culturali di una vecchia Milano, che ha avuto l'opportunità di vivere, quella della Casa della Cultura, per intenderci, ha di quel Bar Irene più in mente, o a cuore, in questo momento, se ho capito bene nell'enfasi di un cimento peripatetico interrotto da continui rimandi, persone anche dalla vita pittoresca, che credo di avere individuato anche in un pezzo di notevole pregio stilistico di un altro nostro conoscente, pezzo che prima o poi mi devo decidere a pubblicare qui.
Solo che a quel Bar era lui soprattutto, N., quello che faceva interminabili discussioni con Francesco Biamonti, come a suo tempo io devo aver messo in quella mia sintesi di quella storia, per noi ed altri, così importante. Non per niente una parte del tempo passato insieme l'altro giorno l'abbiamo speso a vedere a Bordighera la Mostra fotografica di Ario Calvini "Tra gli ulivi con Francesco Biamonti".

L'incontro con N. - che non ha conosciuto, tuttavia, il professore Monti - mi fa, dunque, da traccia per schemi di vecchie narrazioni che dovrei arricchire, ma, prima di proseguire almeno per una parte qui, aggiungo che altri spunti mi sono stati da lui forniti, soprattutto con alcune sue fotografie ed alcune impeccabili riflessioni consegnatemi subito dopo via email: mi auguro solo che vada ad aprire presto il blog di cui mi ha detto in termini ancora di vaga idea.


Avevo già saputo che il mio amico d'infanzia, cui sono debitore di tanti insegnamenti relativi alla storia, aveva presentato a Ventimiglia, verso il termine del lungo periodo in cui io mi ero trovato praticamente relegato a Sanremo, il bel romanzo di N., su cui l'autore mi ha pregato per il momento di tergiversare. Ma N., dalla robusta, differentemente dalla mia, memoria, mi viene a sottolineare l'esperienza per tutti noi giovanile di un Cineforum, condotto presso il Dopolavoro Ferrovieri di Ventimiglia, nel corso della quale, ad esempio, il nostro vecchio sodale, oggi ormai ben piazzato a Seborga (e che mi ha confermato la circostanza), procedette, con la sua sempreverde foga, a difendere le opinioni altrui, comunque espresse.

Di N. dovrò dire altro ancora, come preannunciato, non fosse altro che per ricordare altre persone, alcune veramente care, da ricondurre alle comuni trame, ma aggiungo due argomenti che in qualche modo lo collegano a mie pregresse storie. Di quanto pertinente a "Far West di Ponente" l'ho maggiormente informato io, non sapendo lui ad esempio del romanzo di Elio Lanteri, che bene conoscemmo da giovani, ma su alcuni aspetti, sempre via email, mi ha già fornito suoi giudizi critici. E non potevo dubitare che, avendo conosciuto Nico Orengo, N. rammentasse all'autore de "La curva del Latte" che, certo anni dopo quell’ambientazione storica, nella campagna condotta dal protagonista lui, prima di diventare a costo di grandi studi e di pesanti sacrifici un importante dirigente in due diversi comuni dell’hinterland milanese, ci avesse lavorato da bracciante, ricavandone anche il ritratto affettuoso del figlio reale di quel personaggio, figlio cui Orengo, particolare a me sfuggito, aveva dedicato un'altra opera.



Ma su Orengo, una cui recente parziale rilettura mi ha aperto altre strade da indagare, termino questa prolissa esposizione.


giovedì 21 aprile 2011

Un musicista che fu impegnato per la libertà e per la pace

Nel villino, di cui alla fotografia e che ha a che fare con un mio guizzo di memoria, di cui dirò più avanti, visse a Bordighera, ma non so per quanti anni, il professore Raffaello Monti, insigne figura di musicista e di uomo amante della libertà e della pace. Mutuo ancora dalle parole scritte quasi trent'anni fa da persona, che ebbi l'onore di conoscere e di cui dirò qualcosa in prosieguo, che egli fu antifascista attivo da esule in Francia, che si impegnò per le sorti della Repubblica Spagnola, da dove tornò anche con una ragazza - in pratica da lui adottata - orfana di vittime di quel bagno di sangue, che nel dopoguerra fu per anni Presidente dei "Partigiani della pace". Da una ricerca su Internet trovo solo che fu straordinario violoncellista e compositore "ancora interamente da riscoprire e correttamente rivalutare": e questo in un inciso dedicato al fratello Michelangelo scultore, che ne realizzò nel 1915 un ritratto esposto al Circolo degli Artisti di Torino - la città di elezione, credo, per entrambi - nel 1919-20.
Raffaello Monti, opera del fratello Michelangelo, da Il Cassero
Vado a ripercorrere il mio approccio a questa degna figura, che certo credevo di avere conosciuto da bambino, con un percorso pressoché a ritroso. Non ricordo bene quando ne sentii parlare da adulto proprio in Bordighera - e mi si confermava che qui avesse dimorato - come uomo di notevole tensione morale e civile, prestato alla politica come indipendente in una lista autonoma che contribuì alla sconfitta della legge elettorale truffa del 1953, ma non trovai o non mi vennero dati elementi per una conferma di identità, spesso opinabile per via del gran numero di persone illustri - ogni giorno ne scopro di nuove - che nel passato sono almeno transitate per la Città delle Palme. E ho notato, comunque, mentre cercavo qualche ulteriore notizia sul Monti, che oggi a  Bordighera é praticamente dimenticato.

Ho rinvenuto, infine, più puntuali notizie sul professore parlando qualche anno fa con un conoscente che so molto attento ai fattori di storia e cultura locali. In pratica la conferma di quanto andassi cercando me la diede subito, lasciandomi qualche giorno dopo stupito consegnandomi la fotocopia di un articolo - che mi era a suo tempo sfuggito e da cui ho mutuato le scarne informazioni da me riferite - scritto nel 1985 da Nino De Andreis. A quest'ultimo, che ricordo come abitante in Badalucco nella ridente Valle Argentina, subito alle spalle di Taggia, intendo nell'occasione rivolgere un dovuto pensiero, perché uomo fra i tanti dal passato notevole - egli fu, ad esempio, nei primi anni della Ricostruzione Segretario di una Federazione del PCI in Calabria - che tornarono nell'ombra e nello specifico colui, da me ben frequentato, che mi fornì copia di  "L'Epopea dell'Esercito Scalzo" del professore Mario Mascia, imperituro monumento storico e letterario alla lotta di Liberazione nel Ponente Ligure.

Il discorso mi si é allungato, per cui lo vado a troncare subito, salvando un minimo di considerazioni, anche per motivare la mia pregressa curiosità. Conobbi il Monti perché abitava di fronte - separato solo dal torrente Borghetto - al gruppo di case dove stava mia nonna materna che, in periodo scolastico, spesso raggiungevo per i fine settimana. Io ricordo il professore, ancora con chioma fluente come in quel busto di marmo che ho postato, ancorché ormai candida come la neve, come persona gentile ed educata, in particolare cordiale con i bambini quale ero io all'epoca. Mi sembra anche di rammentare la signora cui ho fatto accenno in premessa. Monti era anche molto religioso, al punto da ospitare per alcuni anni nella piccola costruzione a destra nella fotografia che ho già riprodotto una sorta di cappella, dopo che era stata chiusa in vista di demolizione (fatto che non molti anni fa, affinché "trasmettesse", rimproverai ... ad un parroco neppure nato nel periodo in esame) quella storica posizionata a non più di duecento metri in là su quella strada per Vallebona. Ma questo punto di partenza, se non fossi stato uso - prima di fare altre mie scelte di libero pensiero ancora da adolescente - accompagnare i miei familiari a messa, non lo avrei forse mai avuto.