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mercoledì 31 agosto 2022

Da notare come le aperture del PCd’I e dell’Internazionale alla democrazia in chiave antifascista aprano proprio in questi anni le porte a molti nuovi aderenti


Anche in Togliatti, come nell’Internazionale, vediamo il permanere (in un lasso di tempo che va dal 1924 all’inizio della guerra di Spagna) di una doppia tendenza. Se da una parte l’eredità dell’intransigenza classista e comunista è ancora presente, anche per fattori di necessaria rappresentatività all’interno del partito, la componente antifascista e frontista vede l’emergere di una figura che sarà sempre più sensibile alla tematica della mediazione e dell’interclassismo proprio nell’obiettivo di combattere le dittature reazionarie che vanno affermandosi nel suolo europeo. Nelle sue "Lezioni sul fascismo", infatti, troviamo dei netti rimandi a quella che è la politica che va affermandosi per la maggiore lungo la direttrice togliattiana. Troviamo, per esempio, l’ammissione della necessità di difendere le conquiste che il proletariato ha saputo compiere nel sistema democratico precedente all’affermazione del fascismo, sistema che quindi non viene più assimilato, come prima, alla degenerazione fascista, ma che già si presenta come una fase antecedente nella quale è possibile riscontrare delle conquiste da difendere. <3
Una conclusione che pare scontata, meno se la si fa coincidere con una apertura che proprio Togliatti, sulla scorta di un ritorno ad uno status quo ante, inizia a mostrare verso il restante spettro politico europeo, anche non comunista. L’antifascismo stesso proprio in questo decennio di gestazione va definendosi come un coagulatore di forze eterogenee, anche democratiche, che come obiettivo principale non hanno più la realizzazione di un mondo nuovo, o di una
rivoluzione senza compromessi da realizzarsi in un futuro incerto, ma l’eliminazione attuale del comune nemico fascista. In tutta l’opera togliattiana possiamo notare come questa politica di combattimento che egli promuove contro il fascismo da leader comunista preveda anche una abile infiltrazione all’interno dei gangli gestionali e delle organizzazioni fasciste. <4 Una tattica, quella del combattere il nemico dal suo interno, che sarà anch’essa costante, e che in questa fase vede una prima, importante implementazione. Un approccio, quello poc’anzi evidenziato, totalmente diverso rispetto alla tattica riconducibile all’epoca bordighista, all’intransigenza classista o al rifiuto settario del confronto, un approccio fatto ora di una significativa empatia, di un tentativo di comprensione delle dinamiche fasciste per meglio combatterle dal loro interno. Un convincimento continuo della massa avvicinata per svariate ragioni dal regime, che va portata sulla via della conversione ad un messaggio più confacente ai suoi interessi.
Questa “vasta e coraggiosa utilizzazione delle possibilità legali offerte dal fascismo” <5 diventa un lavoro di convincimento e penetrazione che, nelle infime possibilità di lotta offerte dalla situazione di ampia repressione del contesto italiano, deve essere svolta anche con l’aiuto e la collaborazione della socialdemocrazia. Il lavoro di analisi fatto in questi anni dal partito e dal suo leader consiste in un profondo riesame anche della politica comunista, capace di evidenziare pure fasi di autocritica; emblematico è il caso della trattazione del dopolavoro, ammettendo che mai prima del fascismo è esistita una organizzazione capace di centralizzare le necessità culturali e sportive delle masse. E’ essenziale notare come le aperture del PCd’I e dell’Internazionale alla democrazia in chiave antifascista aprano proprio in questi anni le porte a molti nuovi aderenti, che nei partiti comunisti europei trovano non più un intimo ritrovo per pochi rivoluzionari, ma una base popolare di lotta e applicazione reale delle necessità più impellenti dell’attualità.
Un atteggiamento che si ripercuoterà anche sulla grande promotrice di questo atteggiamento, quell’Unione Sovietica staliniana che, grazie all’atteggiamento tenuto in particolare nella guerra di Spagna, vedrà catalizzare su di sé la simpatia di moltissimi politici, intellettuali e uomini di cultura per nulla vicini al comunismo (come ad esempio Aldous Huxley, George Bernard Shaw o Heinrich Mann) ma attirati dalla coerenza antifascista del nuovo corso politico. <6
In questi anni anche il PCd’I svestirà i panni del partito su misura per la sola classe operaia, e nella resistenza antifascista prebellica troverà la prima grande adesione di popolazione eterogenea, su base interclassista. Un approccio che anche in Togliatti tende ad approssimarsi sempre più all’anticlassismo, al compromesso con la borghesia, all’accantonamento di una chiusura settaria che appare sempre più dannosa e inutile ai suoi occhi, una astrazione che negli anni a cavallo tra il secondo e il terzo decennio del Ventesimo secolo poteva essere considerata un peccato imperdonabile, oltre che uno sbaglio senza eguali. Idea, quest’ultima, confortata anche nell’infelice esperienza applicativa portata in dote dalla condanna del social-fascismo e dal rifiuto di collaborazione con la socialdemocrazia, un rifiuto che nella Germania prehitleriana ha significato solamente l’agevolare il compito al partito nazionalsocialista tedesco nella sua presa del potere, con un fronte popolare diviso, indebolito e incapace di offrire una valida diga al trionfo delle istanze naziste. <7 Tra i successi travolgenti ottenuti dai regimi fascisti, la durezza della repressione, l’inefficacia della retorica rivoluzionaria e le nuove esigenze sovietiche, Togliatti porterà a compimento una maturazione fondamentale per la sua figura politica e per il suo partito, una maturazione che, assieme a tutti i suoi responsabili, vedrà una prima, grande applicazione nella guerra civile spagnola [1936-1939], una sorta di battesimo dell’antifascismo che, seppur catastrofico nei suoi esiti, vedrà l’implementazione di una tattica di fondamentale importanza per le future sorti dell’Europa.
[NOTE]
3 Palmiro Togliatti, Lezioni sul fascismo, Roma, Editori Riuniti, 1976, pag. 13-14
4 Charles F. Delzell, I nemici di Mussolini, Roma, Castelvecchi, 2013, per approfondire l’infiltrazione comunista nelle organizzazioni fasciste si veda in particolare l’analisi contenuta nel capitolo “Il quarto congresso del PCI in Germania”
5 Aldo Grandi, Ruggero Zangrandi. Una biografia, Catanzaro, Abramo, 1994, pag. 76
6 Gabriele Ranzato, L’eclissi della democrazia, Torino, Bollati Boringhieri, 2004, pag. 336-337
7 Cit., pag. 20-21
Alessandro Catto, Palmiro Togliatti, il PCI e la democrazia progressiva tra lotta antifascista e costituzionalizzazione, Tesi di Laurea, Università Ca' Foscari - Venezia, Anno Accademico 2015/2016

Viceversa, un termine come ‘popolo’ andò via via acquisendo sempre più rilevanza nel discorso comunista italiano. Un più ampio impiego del lemma si ebbe per esempio durante gli anni trenta, soprattutto con la politica del fronte popolare antifascista e dopo il VII congresso del Komintérn, svoltosi tra il 25 luglio e il 20 agosto del 1935, l’ultimo prima del suo scioglimento. Se il termine ‘popolo’ su l’Unità aveva avuto una frequenza trascurabile tra il 1924 e la prima metà degli anni trenta, oltretutto quasi sempre come specificazione nazionale di altri popoli, la situazione apparve <105 rovesciata nel decennio successivo. Sul quinto numero dell’edizione clandestina del 1935, il popolo italiano era protagonista dell’azione contro l’«avventura brigantesca del governo fascista» <106. Ugualmente accadeva sul settimo numero, dove il popolo faceva la sua comparsa tra i destinatari dell’appello del partito <107. Il dodicesimo si rivolgeva poi direttamente al popolo, titolando “Popolo d’Italia, imponi la pace!” <108, e così il tredicesimo, “Il popolo italiano ha parlato!” <109. Sul quindicesimo numero l’Unità scagionava completamente il popolo italiano dalle sanzioni che nell’ottobre del 1935 la Società delle nazioni aveva applicato al paese per l’aggressione all’Etiopia. Infatti spiegava: «È contro i responsabili della guerra, è contro il fascismo aggressore che le sanzioni sono applicate - non contro il popolo italiano. Le sanzioni sono destinate a stroncare la guerra infame e disastrosa in cui il fascismo ha gettato l’Italia - non a soffocare economicamente il popolo italiano» <110.
Nel secondo numero del 1936 l’Unità insisteva proprio su questo punto: “Il popolo italiano non è responsabile della guerra!”, mentre lo era Mussolini, che <111 «[condannava] il popolo italiano alla fame ed alla morte» <112. Non era responsabilità dei «cinquecentomila giovani» che erano stati «mandati lontano, a soggiogare un altro popolo, con le armi» perché era stato «detto loro che ciò era necessario, nell’interesse del popolo italiano». Le «promesse fatte al popolo non [erano state] mantenute»: «il popolo italiano [era] sacrificato e oppresso», «sotto la minaccia di essere trascinato in una nuova guerra», «alla mercé di un pugno di sfruttatori»: «i grandi finanzieri, i grandi industriali, i grandi proprietari terrieri» <113.
[...] Nell’articolo “Una grande lezione”, sull’ottavo numero de l’Unità del 1936, si poteva inoltre leggere: «L’eco dei recenti avvenimenti politici e sociali della Francia è giunta rapidamente nella Penisola, e vi ha portato una vaga speranza. L’istinto della classe operaia e del popolo intero, permette loro di stabilire, senza difficoltà, la identificazione degli obbiettivi [sic] dei popoli che lottano e che vincono, con i propri obbiettivi [sic]. Perciò le lotte del popolo spagnuolo, del popolo francese - e del popolo della lontana Cina! - giungono al cuore del nostro popolo, come il suono della campana che annuncia la nuova alba» <117.
Ugualmente, alla fine del 1937, un articolo di Ruggero Grieco invocava l’«unione del popolo» e la «solidarietà fra tutti i popoli» come arma decisiva contro la guerra <118. Da un lato la comunanza spirituale tra il popolo italiano e gli altri popoli in lotta contro il nazifascismo - che tra il 1937 e il 1939 trovava luogo privilegiato nella guerra civile spagnola <119 -, dall’altro le narrazioni delle promesse al popolo italiano non mantenute dal regime e il discorso del prezzo pagato dal popolo per averci creduto <120, costituirono, nel decennio a seguire (1938-1948), la base discorsiva del processo di totale assoluzione del popolo italiano.
Nel 1937, sulla stampa clandestina il ‘popolo’ cominciò a giocare un’importante funzione nel discorso in merito alla morte di Antonio Gramsci. Nell’articolo “L’estremo saluto del partito”, apparso sul sesto numero de l’Unità 1937, la frequenza del lemma ‘popolo’ era più alta che negli articoli dello stesso periodo.
[NOTE]
105 Come il popolo cinese: “La rivoluzione cinese. L’offensiva contro l’esercito del popolo”, l’Unità, III, 30 (4 febbraio 1926); “L’insurrezione del popolo cinese”, l’Unità, II, 129 (6 giugno 1925). Il popolo russo: “I capi della Seconda Internazionale predicano la guerra civile… contro il Governo dei Soviet”, l’Unità, II, 129 (6 giugno 1925). Il popolo macedone: “Le lotte del popolo macedone nelle dichiarazioni di un capo rivoluzionario”, l’Unità, I, 159 (16 agosto 1924). Il popolo italiano: “Il vivace fermento del popolo italiano”, l’Unità, I, 108 (18 giugno 1924); “Il popolo italiano potrà mai sapere chi sono accusati da Rossi, Finzi e Filippelli?”, l’Unità, I, 145 (31 luglio 1924).
106 “Il popolo italiano reagisce all’avventura brigantesca del governo fascista”, l’Unità, Edizione clandestina, XII, 5 (1935).
107 “Salviamo il nostro paese dalla catastrofe! (Appello del Comitato Centrale del Partito Comunista d’Italia)”, l’Unità, Edizione clandestina, XII, 7 (1935).
108 “Popolo d’Italia, imponi la pace!””, l’Unità, Edizione clandestina, XII, 12 (1935). 109 “Il popolo italiano ha parlato!”, l’Unità, Edizione clandestina, XII, 13 (1935).
110 “Il responsabile delle sanzioni è il governo di Mussolini! Finisca la guerra!, deve essere il grido di tutto il popolo italiano”, l’Unità, Edizione clandestina, XII, 15 (1935).
111 Un gruppo di professionisti, “Il popolo italiano non è responsabile della guerra!”, l’Unità, Edizione clandestina, XIII, 2 (1936).
112 R. Grieco [Ruggero Grieco], “Mussolini prepara un nuovo macello!”, l’Unità, Edizione clandestina, XIII, 1 (1936).
113 R. Grieco [Ruggero Grieco], “Ex combattenti dell’Africa Orientale! Popolo italiano!”, l’Unità, Edizione clandestina, XIII, 1 (1936).
117 “Una grande lezione”, l’Unità, Edizione clandestina, XIII, 8 (1936).
118 Ruggero Grieco, “Unione del popolo e solidarietà fra tutti i popoli per la pace e per la libertà”, l’Unità, Edizione clandestina, XIV, 14 (1937).
119 Nel 1937 fu soprattutto la lotta del popolo spagnolo a occupare le pagine de l’Unità: “Solidarietà del popolo italiano per i repubblicani spagnuoli”, sul secondo numero; “In difesa della Spagna del popolo”, sul terzo, sul quale, nella manchette, era scritto: «La vittoria della Sagna del popolo è anche nelle mani del popolo italiano»; “La solidarietà del popolo italiano con la repubblica spagnuola”, sul quinto; “Lavoratore italiano! Il fronte spagnuolo della libertà passa anche per il nostro paese”, sul settimo; Velio Spano, “Il popolo spagnuolo lotta per la vittoria”, sul decimo.
Giulia Bassi, Parole che mobilitano. Il concetto di ‘popolo’ tra storia politica e semantica storica nel partito comunista italiano, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 2015/2016
 
Il Partito Comunista d'Italia (PCdI) nasce il 21 gennaio 1921 da una scissione dal Partito Socialista Italiano (PSI) in occasione del XVI Congresso di quest'ultimo (Spriano 1967-1975, I: 108-121). Il dibattito di lungo corso tra massimalisti (radicali, favorevoli al perseguimento del programma massimo) e minimalisti (riformisti, per una declinazione graduale degli obiettivi) registra un salto di qualità in seguito alla Rivoluzione d'Ottobre (1917) e alla conseguente costituzione del Comintern (1919), l'Internazionale Comunista che si propone di coordinare i partiti comunisti periferici sulla base delle indicazioni dell'organizzazione centrale, il Partito Comunista dell'Unione Sovietica (PCUS). Dal ruolo dell'organizzazione sponsorizzatrice nella fondazione del PCdI deriva dunque la “legittimazione esterna” del partito che ne condizionerà gli sviluppi successivi. Il processo di “bolscevizzazione” del partito promosso dal Comintern è tuttavia interrotto dall'avvento del fascismo e dal “passaggio alla illegalità” del PCdI (Panebianco 1982: 157-158). Nel 1923 la leadership di Amadeo Bordiga nel partito viene sconfessata direttamente da Mosca che, approfittando dell'arresto di quest'ultimo, lo rimuove accusandolo di eterodossia e di trockismo (Spriano 1967-1975, I: 429-456). Questo intervento apre la strada a un cambiamento al vertice del PCdI clandestino: nel corso del III Congresso (1926) si afferma una coalizione dominante di osservanza sovietica diretta da Antonio Gramsci (che assume il ruolo di Segretario) e da Palmiro Togliatti (Spriano 1967-1975, I: 510-513). L'8 novembre dello stesso anno Gramsci viene arrestato e morirà in carcere dopo undici anni di prigionia; i suoi 'Quaderni' contribuiranno in maniera decisiva alla ridefinizione dell'identità comunista nella seconda metà degli anni Cinquanta. Ormai scisso tra una direzione in esilio e un'organizzazione clandestina in Italia, il partito attraversa una fase turbolenta, decimato dalla repressione fascista e dalle epurazioni sovietiche, prima di stabilizzarsi con l'ascesa alla Segreteria di Togliatti (Agosti 1999: 26-33). Gli anni Trenta vedono un inasprirsi del controllo del Comintern sulle organizzazioni affiliate: nel 1938 il Comitato centrale del PCdI viene sciolto; Togliatti consolida così la sua preminenza nel partito grazie al rapporto diretto con Iosif Stalin (Spriano 1967-1975, III: 246-261). Il patto tedesco-sovietico (1939) e la conseguente formulazione della teoria della “guerra imperialista” da parte di Mosca mettono in difficoltà la tattica frontista che il PCdI stava portando avanti assieme agli altri partiti antifascisti, confermando ancora una volta come il Comintern agisse come strumento della politica estera dell'URSS (Spriano 1967-1975, III: 309-316). L'Operazione Barbarossa che i nazisti inaugurano nel 1942 produce un nuovo rivolgimento, ovvero la definizione di “guerra antifascista”, e ha quindi conseguenze anche sul PCdI, che torna a promuovere larghe intese tra le forze che si oppongono al regime per provocarne la caduta. Nel 1943 il Comintern viene sciolto e il PCdI assume la denominazione di Partito Comunista Italiano (PCI). Con le dimissioni di Benito Mussolini, l'ascesa di Pietro Badoglio e la sconfessione del Patto d'acciaio che legava l'Italia alla Germania, inizia nel Centro-Nord la Resistenza all'occupazione nazista. Dopo aver faticosamente riorganizzato la propria struttura clandestina, i comunisti si rivelano i principali animatori degli scioperi e delle lotte antinaziste (Spriano 1967-1975, IV: 345-358). Ottenuto l'assenso di Stalin, Togliatti rientra in Italia nel marzo 1944 e avvia la “Svolta di Salerno”, ovvero la disponibilità dei comunisti a entrare in un governo di pacificazione nazionale: si vuole privilegiare la guerra contro gli invasori tedeschi rispetto alla disputa sulla questione istituzionale causata dalla pregiudiziale antimonarchica degli altri partiti laici (Agosti 2009: 51). Togliatti promuove inoltre il “partito nuovo”, nazionale e di massa, ponendo le basi “per uno sviluppo che contiene una sensibile «deviazione» dal modello sovietico”, cioè l'organizzazione di quadri formata da rivoluzionari di professione (Panebianco 1982: 158). La funzione originale del rinnovato PCI è nella “democrazia progressiva” ovvero nell'inclusione delle grandi masse popolari nella gestione politica del Paese: “L'obiettivo che noi proporremo al popolo italiano di realizzare, finita la guerra, sarà quello di creare in Italia un regime democratico e progressivo. […] Questo vuol dire che non proporremo affatto un regime il quale si basi sulla esistenza e sul dominio di un solo partito” (Togliatti in Spriano 1967-1975, V: 389). Il PCI entra quindi a far parte dei governi Badoglio, Bonomi, Parri e De Gasperi (con Togliatti al Ministero di Grazia e Giustizia), prima di essere estromesso da quest'ultimo nel maggio 1947, a causa dell'irrigidimento dei rapporti tra USA e URSS e della fedeltà atlantica della DC. Per il resto della sua vicenda storica, il PCI non ricoprirà più incarichi di governo: è la “conventio ad excludendum” che accomuna le esigenze internazionali degli USA e i vantaggi interni della DC.
Alle prime elezioni dopo il ventennio fascista, il PCI sfiora il 19% dei voti e nel 1948 si presenta assieme ai socialisti nel Fronte Democratico Popolare ottenendo però un deludente 31% (alle precedenti consultazioni la somma dei due partiti superava il 39%). Il sistema elettorale proporzionale e la consistente affermazione della DC (48%) stabilizzano il Paese sul perno centrista che ne costituirà la costante per quasi mezzo secolo (Mack Smith 1997: 571).
La difficile transizione post-fascista e la ricostituzione del Comintern sotto nuove vesti (Cominform) provocano un riflesso difensivo nel PCI, che ripiega su se stesso con un parziale ritorno organizzativo al modello leninista (Agosti 1999: 63-65).
Francesco Andreani, The dissolution of the Italian Communist Party and the identity of the Left: ideology and party organisation, a thesis submitted to the University of Birmingham, 2013 

sabato 13 agosto 2022

Storie di antifascisti italiani nella Parigi dei quartieri rossi


Il secondo e terzo capitolo di questa ricerca hanno come oggetto la partecipazione di emigrati e emigrate italiani alla resistenza contro l'occupante tedesco a Parigi. In particolare l'analisi ha riguardato alcuni franc-tireurs et partisans legati alla Main d'oeuvre immigrée quindi al partito comunista e attivi contro i nazisti fin dalla fine del 1940 inizi 1941 e alcuni aderenti alle Formazioni Garibaldine dell'XI e XII arr. formatesi a partire dal 1941 e che presero parte successivamente, inquadrati nelle Milices patriotiques - Front National, alla Liberazione di Parigi. Dall'analisi delle biografie di questi aderenti, circa 40 persone, emergono quelle che erano le caratteristiche dell'emigrazione politica-economica italiana negli anni trenta e che risiedeva in quei quartieri rossi della Parigi nord-Est.
Come ricorda William Valsesia, che era nato a Parigi nel 1924 in una famiglia di militanti comunisti fuggiti dall'Italia, in questa zona: “C'era un modo di pensare gli spazi urbani conforme a chi abitava nell'XI, XII, XVIII, XIX e XX arr. preferivamo stare alla destra della Seine con uno spirito da Rive Droite. Se si passava sulla sinistra si attraversava un ponte per raggiungere il quartiere latino. Noi, vivendo a Belleville o a Menilmontant, eravamo più di casa a Montmartre che a Montparnasse, al Bois de Vincennes che al Bois de Boulogne. La nostra era la parte più antica, in cui si erano sviluppati il commercio, gli affari, la haute culture, della capitale. La Rive Gauche era soprattutto intellettuale, ministeriale, sede delle ambasciate straniere. Preferivamo l'atmosfera vivace della Rive Droite alla serenità della Rive Gauche.” <120
Gli aderenti alle Formazioni garibaldine e ai FTP-MOI di cui ho potuto leggere il fascicolo redatto a loro nome dalla polizia fascista per il Casellario politico centrale, sono per la maggior parte schedati come comunisti. <121
Alcuni di questi sono dei veri militanti del PCd'I costretti a scappare da una paese all'altro perchè braccati dalla polizia dei vari paesi e oggetto più volte di mandati di espulsione. Come ad esempio, Vilhar Stanislao, originario di Gorizia, tra 'i più accesi esponenti del partito giovanile comunista' emigrato clandestinamente nel 1929 per sfuggire ad un processo dove era stato chiamato a testimoniare riguardo ad un omicidio a sfondo politico. Si rifugiò prima in Jugoslavia, dove a causa della propaganda sovversiva, venne arrestato insieme a suo fratello Felice Vilhar, per propaganda comunista. Scontò 4 mesi di carcere a Lubiana, poi venne espulso e accompagnato alla frontiera con l'Austria, dove rimase per qualche mese a spese del Soccorso Rosso. In seguito passò in Belgio dove svolse attiva propaganda per il partito comunista italiano. A Bruxelles venne arrestato insieme ad altri comunisti, quali Dino Scapini, Marco Sfiligoi, Augusto Felician, Nunzio Marinangeli, durante una riunione della cellula di Bruxelles 'indetta per preparare una manifestazione di protesta contro la celebrazione dell'XI anniversario della marcia su Roma'. Durante la perquisizione nella stanza d'albergo dove alloggiava il Vilhar a Bruxelles, venne rinvenuto 'importante materiale comunista' <122 che gli valse l'accusa di essere 'il capo dei comunisti in Belgio, o per lo meno, l’individuo che aveva in consegna tutti i documenti riferentisi al movimento comunista italiano nel Belgio'. Da qui arrivò a Parigi dove visse clandestinamente per circa 6 anni. Nel 1937 gli venne ratificato un divieto di soggiorno per mancanza di documenti in regola, mentre alloggiava nella rue Compans nel XIX arr., ma venne meno a tale divieto e alla fine dell'anno si recò come volontario a combattere in Spagna nelle Brigate Internazionali, assegnato alla Brigata Garibaldi combatté con questa in Estremadura, a Caspe e sull'Ebro. <123 Al momento della sconfitta della Repubblica spagnola rientrando in Francia venne internato ad Argelès, poi a Gurs, dove gli venne ratificato il mandato di espulsione dalla Francia. Tuttavia liberato nel 1941, riuscì a tornare clandestinamente a Parigi in zona occupata dai tedeschi. <124
Mentre per Nunzio Marinangeli, militante socialista e poi comunista, arrestato insieme al Vilhar in Belgio nel 1933, emigrato clandestinamente nel 1927 <125 è più difficile indicare l'appartenenza politica, schedato come comunista al CPC, in Italia prima di emigrare aveva aderito al partito socialista rivoluzionario. In Belgio nel 1933, secondo una nota informativa, pare avesse chiesto di passare dal partito socialista al partito comunista, in quell'anno la sua attività politica è basata sulla frequentazione delle riunioni dei comunisti e di quelle del Fronte Unico a cui aderisce. Inoltre è uno dei 27 iscritti al Soccorso Rosso Internazionale, della sezione italiana in Belgio, e al Comitato dei patronati. Successivamente raggiunta Parigi nel 1934, le notizie sul Marinangeli si fanno più sporadiche: nel '34 si fa indirizzare la posta nel comune di Saint-Denis nella regione parigina dove abita anche suo fratello Felice, nel 1937 si sposa con una cittadina rumena naturalizzata francese con la quale risiede nel X arr., e che, pur non essendo iscritto al partito riformista provvede al piazzamento del Nuovo Avanti e alla raccolta di abbonamenti al giornale del sindacalista Rugginenti Pallante. Il Marinangeli si recò anche come volontario in Spagna dove si arruolò nella Compagnia Carlo Marx, dell'Artiglieria Internazionale, <126 tornato poi a Parigi, continuò a risiedere con la moglie al n. 13 della rue Alibert, nel X arr.
Se Stanislao Vilhar come Ardito Pellizzari, (la cui biografia è descritta nel III capitolo) si possono fare rientrare nella categoria del 'rivoluzionario di professione', altri come Domenico Zaccheroli o Giuseppe Rolando o Fausto Sverzut (la cui biografia è descritta nel III capitolo) sono più dei simpatizzanti del partito comunista che non esplicano una vera attività o che l'hanno praticata prima di espatriare. Lo Zaccheroli, operaio ceramista, già noto in Italia quale comunista, emigrò in Francia per motivi di lavoro essendo stato assunto nelle miniere dell'Est nel 1930. Abitò per un periodo nella città di Parigi, dove vendeva giornali, e prendeva parte ad alcune riunioni del 'gruppo comunista con Silimbeni Mario, fratello del noto Silimbeni Sante e Remondini Giovanni'. Rientrato in Italia nel 1932 è arrestato poiché trovato in possesso di un volantino di contenuto antifascista. Liberato, diffidato, è posto sotto vigilanza nella sua città natale, Imola. Tornò poi a vivere a Parigi nel 1936 e nell'ottobre raggiunse la Spagna, dove si arruolò nel Battaglione Garibaldi. Rimase ferito a Casa de Campo nel novembre del 1937 e rientrò in Francia nel gennaio 1937. Nel gennaio del '38 è di nuovo in Spagna dove andò a combattere sul fronte di Albacete. Al termine della guerra civile spagnola tornò definitivamente a vivere nella capitale francese. <127
Giuseppe Rolando, è anche lui un comunista, emigrato nel 1924 a Parigi, dalla provincia di Novara, in patria aveva già professato principi comunisti e durante la conferenza interalleata del 1922 a Genova, fece parte della guardia rossa del diplomatico sovietico Cicerin. A Parigi, Rolando lavora alle dipendenze del Consolato e dell'Ambasciata russa quale portinaio nei locali della rue de Grenelle 79, ed abita nella rue des Abbesses (XVIII arr.). Dall'aprile del 1932 lavora alla rappresentanza commerciale dei Soviets nella rue de la Ville l'Evêque dove anche risiede. Secondo un'informativa della polizia italiana del 1933, è membro del partito comunista a Parigi, e, una volta trasferitosi ad Annemasse nel 1934, prese parte alle organizzazioni comuniste locali dove svolse un'attiva propaganda contro il regime. Poi non si hanno più notizie a suo riguardo e la polizia non riuscì più a rintracciarlo.
Altra persona schedata al CPC come comunista è Gottardo Rinaldi. Era nato in provincia di Bologna nel 1898. Prese parte alla I guerra mondiale; nel dopoguerra fu più volte aggredito dalle squadre fasciste. Espatriò nel 1924 in Francia con regolare passaporto rilasciato per motivi di lavoro. Si recò in Belgio, dove rimase qualche anno nella cittadina di Charleroi, nel 1928 il Regio Consolato lo segnala quale muratore, tra i più accesi antifascisti e frequentatore di tutti i cenacoli sovversivi. Nel 1931 è espulso dal Belgio, per cattiva condotta morale e politica. Si recò quindi a Bordeaux e nel 1935 è segnalato per la prima volta a Parigi, dove risiedeva al n. 84 del Boulevard Diderot nell'XI arr. <128 Nel 1936 andò in Spagna dove divenne comandante della Centuria Gastone Sozzi. Gravemente ferito nel dicembre del 1936, ritornò a Parigi. Alla dichiarazione di guerra Italia-Francia si trova a lavorare nel Loiret, la polizia francese lo prelevò da casa e l'accompagnò alla Caserma di Orleans, dove gli furono presentate due alternative: o firmare il lealismo verso la Francia, o essere inviati immediatamente in campo di concentramento. In seguito sarebbe diventato capitano dei FTP della regione parigina. <129
Oltre ai citati comunisti, in questa lista di resistenti presente nel Fonds Maffini, aderenti alle Formazioni Garibaldine di Parigi, vi sono anche alcune persone, schedate dal CPC come socialiste.
E' il caso di Luigi Bottai, nato a Cascina nel 1898, che una volta espatriato con la moglie nel 1929 con regolare passaporto andò ad abitare a Parigi al n. 11 della rue de Boulets, traversa del Faubourg Saint-Antoine, e in seguito nella regione parigina della Seine-Oise. Nel suo fascicolo non si fa mai accenno alla sua presenza alle riunioni dei socialisti o nei locali da loro frequentati. Secondo una nota per la Direzione Generale di Polizia Politica, del 14 settembre 1938, il Bottai è un membro del partito repubblicano per il quale svolge anche attività organizzativa. <130 Tuttavia non essendo ritenuto elemento pericoloso, dal 1939, è richiesta la revoca dell'iscrizione del 'sovversivo' Bottai dalla
rubrica di frontiera.
Altro schedato come socialista nel CPC, è Renato Balestri, figlio di un sindaco socialista della provincia di Pisa. Il suo fascicolo è ben nutrito: iscritto all'associazione giovanile del partito socialista prima del fascismo, una volta emigrato in un primo momento non si mise in evidenza pur professando apertamente idee sovversive, successivamente 'prese a esplicare notevole attività antifascista'. Risiede prima nel comune di Pavillons sous Bois e poi in quello di Montreuil sous Bois. Nel 1935, partecipa al congresso antifascista di Bruxelles, al momento della guerra di Spagna si impegnò nel reclutamento di volontari per la Spagna rossa, nel 'Comitato per l'aiuto al popolo spagnolo,' Cité du Paradis n. 1 a Parigi diretto da Romano Cocchi. Si recò a combattere in Spagna nell'ottobre 1937, dove diventa commissario politico del II Battaglione della Brigata Garibaldi, XII Brigata Internazionale. Ferito in varie parti del corpo sulla Sierra Cabals, fece ritorno in Francia nel dicembre 1938. <131 Fu poi molto attivo nell'Unione popolare italiana, tanto da rivestire la carica di sottosegretario nazionale. Fece diverse missioni in varie regioni della Francia per fare propaganda in favore dell'associazione. La sua appartenenza al partito socialista non è indicata nelle numerose note informative italiane a suo riguardo, vi è solo un accenno in una nota del dicembre 1939, dove il Ministero degli Interni riporta quanto riferito da una fonte fiduciaria: il Balestri avrebbe chiesto di passare dal partito comunista a quello socialista. Nelle memorie del comunista Antonio Tonussi, è riportato che il Balestri all'inizio degli anni '30 era un membro della direzione del Comitato regionale dei gruppi di lingua della zona di Parigi. <132 Nel fascicolo a suo nome redatto dalla Polizia francese si apprende che il Balestri, con lo pseudonimo di Esule, era iscritto al PCd'I da dove, dopo la firma del Patto Molotov-Ribbentrop, era stato espulso perché non aveva approvato il patto, così come aveva fatto lo stesso presidente dell'UPI, Romano Cocchi. Nel settembre del 1939 sottoscrisse l'arruolamento volontario nella Legione Garibaldina, fu mobilitato il 10.06.1940 fino al 24.08.1940. In seguito, sapendosi ricercato, si trasferì nel sud della Francia, ad Agen dove fu attivo in un réseau prima di essere catturato dalla Gestapo e deportato a Buchenwald. <133
Altre persone presenti nell'elenco dei resistenti garibaldini nel Fonds Maffini, di cui ho trovato un fascicolo al CPC, sono schedate con la parola generica di antifascisti, e sono in totale quattro persone.
Romeo Amadori, emigrato nel 1923 in Argentina, raggiunse in seguito la città di Parigi, il suo fascicolo al CPC è aperto nel 1935 a causa di una lettera che egli invia alla cognata e nella quale si schiera apertamente contro la guerra fascista in Abissinia. Egli che di mestiere fa l'ebanista, risiede nell'XI arr. nella rue Planchat, successivamente il suo recapito cambia, ma la polizia fascista scopre solo il luogo dove si fa indirizzare la posta, il 'noto ritrovo di sovversivi', il Bar dei 'Trois Mosquetiers' con ingresso sia nella rue de Montreuil che nel Boulevard de Charonne. Ma l'Amadori non è un militante, non fa politica, non aderisce ad alcun partito antifascista, né fa parte di un'associazione, in due informative presenti nel suo fascicolo si legge che “(...) pur dimostrandosi di sentimenti contrari al Regime non esplica attività politica né frequenterebbe riunioni sovversive.” in un'altra che “(...) pur dimostrandosi di sentimenti contrari al Regime non esplica attività politica né frequenterebbe riunioni sovversive”. <134
L'antifascista Leonello Mattioli, espatriato clandestinamente nel 1930, dopo che si era visto rifiutare il rilascio del passaporto nello stesso anno “per mancanza di motivate giustificazioni”, tentò di raggiungere la Francia passando per l'Austria, ma alla frontiera svizzera venne respinto dalle autorità elvetiche per mancanza di documenti. Interrogato dalla polizia locale, affermò di nutrire “sentimenti avversi al regime ma di non appartenere ad alcun partito politico” e che si era deciso all'espatrio perché annoiato dalle vessazioni cui era sottoposto con frequenti visite domiciliari da parte dei carabinieri e della milizia. Raggiunta la città di Parigi nel 1932 dove risiedeva già suo fratello Aldo, non esplicò 'attività degna di nota', abitò nell'XI arr. da irregolare presso l'Hotel 50 rue de Popinecourt (XI) e in seguito, nel XX arr. nella rue des Pyrénées. Nel 1938 si sposò con una cittadina francese con la quale andò ab abitare nella zona della Tour Eiffel. <135
Altro antifascista è Franz Vai, anche il suo fascicolo presso il CPC contiene poche informazioni, egli che di mestiere faceva il falegname, espatriò con regolare passaporto nel gennaio 1930 essendo stato arruolato per conto della ditta Renard Pierre di Parigi. Il suo recapito è ancora una volta un ristorante, il noto ristorante Bouboule, gestito dai fratelli Schiavina, al n. 84 del Boulevard Diderot, “ritrovo dei peggiori sovversivi del quartiere della Gare de Lyon”. A Parigi, secondo un informatore dell'OVRA, “professava idee antifasciste senza dare luogo a rilievi particolari, e senza mettersi in particolare evidenza con la sua condotta politica.” <136
Dalle liste Garibaldine del Fondo Maffini, l'unico che possiede un fascicolo al CPC come anarchico è Carlo Sannazzaro, originario della città di Torino, nato nel 1879. Ha un fascicolo al CPC per gli anni 1936-1944, emigrato in Francia nel 1922 e residente precedentemente in America Latina, viene notato più volte alle riunioni di Giustizia e Libertà e anche alle riunioni del partito repubblicano, sezione di Parigi, come quella tenuta al Caffè de la Chope nel giugno 1938. <137 Il Sannazzaro, che faceva di mestiere il decoratore, risiedeva con una donna francese al numero 117 della rue Saint Maur nell'XI arr. fino al 1938; in seguito, la polizia non riesce più a sapere dove abita. L'ultima notizia che si ha su di lui è del maggio 1939, quando compare tra un elenco di nomi di italiani residenti a Parigi abbonati al giornale L'Avanti. <138
Altro antifascista è Pietro Paolo Senna, fece parte della Formazione Garibaldina nella Milice du XI arr. Su di lui il fascicolo del CPC, che copre gli anni 1938-1942, contiene pochissime informazioni le quali riguardano per la maggior
parte il suo internamento nel campo del Vernet di ritorno dalla Spagna. Emigrò a Parigi nel 1933, aderì ai gruppi di lingua del PCF e andò a combattere per la repubblica spagnola nell'agosto del 1936. Fece parte della Centuria Gastone Sozzi e poi del Battaglione 'Commune de Paris', successivamente fu internato al Vernet nel settembre del 1938. La data di rilascio non è certa, per le carte della polizia italiana chiese il rimpatrio nel giugno del 1942, lo ottenne successivamente ma non giunse mai in Italia, nelle carte francesi risulta a Parigi già nel 1941. <139
[NOTE]
120 W. Valsesia, P. Manca (a cura di), Un antifascista europeo: dai fuoriusciti di Parigi ai partigiani del Biellese, Recco: Le mani; Alessandria: ISRAL, 2011, p. 53.
121 ACS, CPC, fascicolo Marinageli Nunzio, b. 3063.
ACS, CPC, f. Pirazzoli Giacomo, b. 3998.
ACS, CPC, f. Rinaldi Gottardo, b. 4334.
ACS, CPC, f. Rubini Roberto, b. 4480.
ACS, CPC, f. Dardi Luigi, b. 1620.
ACS, CPC, f. Frausin Rizziero, b. 2175.
ACS, CPC, f. Sverzut Fausto, b. 4991.
ACS, CPC f. Rolando Giuseppe,b. 4375.
ACS, CPC, f. Cuccagna Giovanni, b. 1550.
ACS, CPC, f. Zaccheroli Domenico, b. 5488.
ACS, CPC, f. Cantarelli Renato, b.1012.
ACS, CPC, f. Pellizzari Ardito, b. 3831.
ACS, CPC, f. Gavardi Aldo, b. 2317.
ACS, CPC, f. Stabellini Alfredo, b. 4928.
ACS, CPC, f. Alzetta Muran, b. 83.
ACS, CPC, f. Pirazzoli Giacomo, b. 3998.
ACS, CPC, f. Proci Giuseppe, b. 4135.
ACS, CPC, f. Stroppolo Giordano, b. 4976.
ACS, CPC, f. Vilhar Stanislao, b. 5418.
ACS. CPC, f. Sfiligoi Marco, b. 4784.
122 Circolari, schede di sottoscrizione, a favore di organismi comunisti, lettere di comunisti, indirizzi di compagni, corrispondenze per l’ex 'Riscatto', situazione finanziaria dell’ex 'Riscatto', del S.R.I. e dei patronati, tessere, in ACS, CPC, fascicolo Stanislao Vilhar, b. 5418.
123 Biografia di Vilhar Stanislao, in AICVAS ( a cura di), La Spagna nel nostro cuore, op. cit., p. 491.
124 APP, dossier Vilhar Stanislao, n. 403137/77W2134.
125 In Italia nel 1925 arringò un centinaio di militari del 17 Regg.to Fanteria nel quale era incorporato come caporalmaggiore, inneggiando alla Russia e al bolscevismo (con grida di Viva Lenin e Viva la repubblica). Il 24 giugno 1923 fu tratto in arresto a Pietrasanta perché trovato in possesso di commendatizie degli ex deputati socialisti Mingrino e Volpi, per la Sezione di Marsiglia. Il 17 maggio 1927 fu arrestato a Nizza e denunziato per minacce contro fascisti. ACS, CPC, f. Marinangeli Nunzio, b. 3063.
126 AICVAS, pratiche personali, Nunzio Marinangeli, busta 5, fasc. 32 e busta 10, fasc. 69. In quest'ultimo sono contenuti dei ritagli di giornali e alcune lettere dove si evidenzia l'amicizia di Marinangeli, già dall'esilio in Francia, con l'ex Presidente della Repubblica Sandro Pertini. Nel testo curato dall'AICVAS, nella stringatissima biografia sul Marinangeli, egli è indicato come socialista. AICVAS (a cura di), La Spagna nel nostro cuore, op. cit., p. 291.
127 ACS, CPC, fascicolo Domenico Zaccheroli, b. 5488; Cfr la voce Zaccheroli Domenico in A. Albertazzi, L. Arbizzani, N.S. Onofri, Dizionario Biografico Gli antifascisti, i partigiani e le vittime del fascismo nel bolognese, (1919-1945), consultabile al seguente indirizzo: http://www.comune.bologna.it/iperbole/isrebo/strumenti/Z.pdf Domenico Zaccheroli, in AICVAS, La Spagna nel nostro cuore, op. cit., p. 499.
128 ACS, CPC, fascicolo Gottardo Rinaldi, b. 4334
129 Rinaldi Gottardo in AICVAS, La Spagna nel nostro cuore, op. cit., p. 394. A. Lopez, Dalla Spagna alla Resistenza in Europa in Italia ai campi di sterminio, Quaderno Aicvas n. 3, Roma, 1983, p. 14. Sugli anni durante la seconda guerra mondiale non ho trovato altre informazioni, né all'Archivio della prefettura di Parigi vi è un dossier a suo nome.
130 ACS, CPC, fascicolo Luigi Bottai, b. 791.
131 AICVAS, La Spagna nel nostro cuore, 1936-1939, op. cit., p. 60; A. Lopez, Dalla Spagna alla Resistenza in Europa in Italia ai campi di sterminio, op. cit., p. 30. Cfr., ISGREC (a cura di), Volontari antifascisti toscani, tra guerra di Spagna, Francia dei campi, Resistenze. consultabile in rete al seguente indirizzo: http://www.isgrec.it/sito_spagna/ita/all_ita_details.asp?id=2382
132 A. Tonussi, Ivo: una vita di parte, Treviso: Matteo, 1991, p. 72.
133 ACS, CPC, fascicolo Renato Balestri, b. 287. APP, dossier Renato Balestri, n. 51621/1W181.
134 Due informative datate in ACS, CPC, f. Romeo Amadori fascicolo, b. n. 222.
135 ACS, CPC, f. Leonello Mattioli, b. 3162.
136 ACS, CPC, f. Vai Franz, b. 5283.
137 In una informativa per la Divisione Affari Generali e Riservati, scritta da Parigi e datata 9 giugno 1938 si legge che: “Ieri sera ha avuto luogo la riunione della Sezione Repubblicana di Parigi al Caffè 'Chope de Strasbourg'. I presenti erano pochi; questo dipeso soprattutto perchè l'amico Abbati non aveva fatto in tempo di inviare le regolari convocazioni e d'altra parte per la scelta del giorno non troppo indicata. Erano presenti: Randolfo Pacciardi, Ottavio Abbati, Alvaro Savi, Mario Galli, Perentin, Giannoni, Pietro Fantini, Pasquale Candelli, Scarselli, Sannazzaro (il solo residente in Francia, è annotato a lato), Attilio Orioli ed un altro amico romagnolo di cui mi sfugge il nome.”.
ACS, CPC, f. Carlo Sannazzaro, b. 4575.
138 Ivi
139 APP, dossier Pietro Paolo Senna, n. 22282/1W619. ACS, CPC Pietro Senna, b. 4746. AICVAS (a cura di), La Spagna nel nostro cuore, 1936-1939, op. cit., p. 428; Qui si afferma che fu consegnato alle autorità italiane il 18 luglio 1943. Dopo la Liberazione visse a Milano.
Eva Pavone, Gli emigrati antifascisti italiani a Parigi, tra lotta di Liberazione e memoria della Resistenza, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Firenze, 2013

sabato 16 luglio 2022

Ma le due riunioni non permisero l'approvazione del piano politico presentato dai comunisti

Milano: tra Corso Sempione ed Arco della Pace

Tornato a Bologna informai Roasio, e insieme ci recammo a Milano per esaminare la situazione e portare le notizie raccolte a Padova.
Il 10 giugno [1943] si avvicinava, senza che potesse prendere corpo il vago disegno di utilizzare l'anniversario della entrata in guerra dell'Italia e della uccisione dli Giacomo Matteotti, per scatenare uno sciopero generale politico con manifestazioni di strada e pronunciamenti anche di reparti dell'esercito. Un manifesto, firmato PCI e PSI, chiamava i lavoratori ad azioni dimostrative: due minuti di silenzio al fischio della sirena delle ore 10 del mattino, non comprare i giornali, non uscire la sera dopo le 20,30. Ma non mi risulta quale diffusione tale manifesto abbia effettivamente avuto. In Emilia non credo che sia arrivato. Comunque l'invito non fu raccolto. In realtà mancavano le premesse politiche e organizzative di una tale iniziativa. I socialisti e gli azionisti opponevano la pregiudiziale repubblicana a una intesa unitaria con le forze liberali e cattoliche. Questi, attraverso i loro esponenti più autorevoli, erano sempre fermi su posizioni attesiste. La liquidazione della guerra spettava alla monarchia che l'aveva dichiarata. Il prezzo della sconfitta sarebbe stato durissimo, essi affermavano, e non conveniva che i partiti antifascisti dovessero assumersi questa responsabilità. Quindi, secondo la destra, bisognava limitarsi a promuovere l'intervento del re. Si sapeva che tentativi in questo senso, per ottenere questo intervento, erano già stati compiuti a Roma, da parte del gruppo di Bonomi e di certi ambienti militari, ma il re non si era impegnato o compromesso con affermazioni precise. Così era impossibile preparare, come avremmo voluto, un manifesto unitario di tutte le opposizioni per il 10 giugno. E del resto, anche se ci fosse stato l'accordo politico, mancavano le basi organizzative per tradurlo in azione. Dove stampare l'appello e in quanti esemplari diffonderlo? Ancora una volta si faceva sentire la sproporzione tra le necessità e le possibilità del momento e il grave ritardo organizzativo.
La venuta di Marchesi a Milano ci obbligò come centro interno a esaminare la situazione e a prendere delle decisioni. Negarville ed io fummo incaricati di avere con Marchesi un incontro, che si svolse nella sede della casa editrice Principato in corso Sempione. Convincemmo Marchesi a partire per Roma, dove avrebbe dovuto prendere contatto con i senatori Casati e Bergamini. Egli aveva già visto Casati a Milano, nella stessa sede della casa Principato. A Roma egli doveva insistere perché le pressioni sul re aumentassero in modo da ottenere al più presto un intervento per liquidare il governo fascista, con l'arresto di Mussolini e degli altri gerarchi, e promuovere la formazione di un governo di coalizione antifascista presieduto da Bonomi. I comunisti avrebbero dato il loro appoggio a tale iniziativa ed erano pronti anche a partecipare ad un governo di unità nazionale. Marchesi andò a Roma, prese contatto con i senatori Casati e Bergamini e assunse in questi colloqui le posizioni convenute con noi. Questo viaggio deve avere avuto luogo, secondo i miei ricordi, ai primi di giugno. Al ritorno a Milano ci riferì che la sua missione aveva suscitato una grande impressione. A Roma si parlava anche di un intervento dell'esercito e si facevano i nomi di Badoglio, Caviglia, Ambrosio.
Il mese di giugno passò in affannosi preparativi. Contemporaneamente, su tre piani diversi, si muovevano le iniziative per tentare di uscire dalla guerra.
In seno al partito fascista si andava raccogliendo quella che sarebbe stata la maggioranza del 24 luglio al Gran Consiglio. Era ancora presente l'illusione che, accantonando Mussolini, magari col suo consenso, sarebbe stato possibile agli stessi gerarchi fascisti trattare con gli inglesi e con gli americani il rovesciamento della alleanza. Il compromesso raggiunto da Churchill e Roosevelt con Darlan, nell'Africa del nord, costituiva un esempio, al quale gruppi di dirigenti fascisti si richiamavano. In verità, questa soluzione appariva sempre più irrealizzabile di fronte agli sviluppi de!le operazioni militari, e alle stesse reazioni politiche provocate dal compromesso fatto con Darlan. Comunque i gerarchi marciavano su questa linea, pensando di poter godere dell'appoggio del re e di certi collegamenti politici e finanziari mantenuti su scala internazionale.
Il re, muovendosi con estrema prudenza e senza mai compromettersi, teneva i contatti con tutti. Manifestava sempre a Mussolini la sua fiducia. Lasciava credere a Grandi di poter raccogliere la successione di Mussolini. Aveva ricevuto esponenti liberali, Bonomi e Orlando, ma soprattutto si orientava per la formazione di un governo di militari e di tecnici, contando sull'intervento all'ultima ora dell'esercito e della polizia.
Per evitare una successione fascista (Grandi), o una soluzione militare, bisognava che le forze antifasciste sapessero e potessero prendere in tempo una loro iniziativa politica e promuovere un intervento delle masse popolari.
Dopo il viaggio di Marchesi a Roma si arrivò, non senza ulteriori difficoltà, alla convocazione a Milano di una riunione con i rappresentanti dei partiti antifascisti. Questa si tenne il 24 giugno in corso Sempione presso l'editore Principato. Facemmo un ultimo pressante tentativo perché alla riunione andasse uno di noi due, o Negarville o io. Ma non ci fu modo di vincere la forza delle obiezioni di carattere cospirativo. Così, alla mattina del 24 noi due ci incontrammo con Marchesi, con il quale concordammo la scaletta del suo intervento e il programma di azione che doveva esporre ai rappresentanti degli altri partiti antifascisti. Alla riunione parteciparono: Casati per il PLI (allora Ricostruzione Liberale), Gronchi per la DC, Lombardi per il Partito d'azione, Basso per il MUP, Veratti per il PSI e Marchesi per il PCI. Marchesi espose, a nome del partito, il seguente piano di azione:
a) costituire un fronte nazionale, con un comitato direttivo a cui fosse affidata la direzione di tutto il movimento popolare;
b) lanciare un manifesto al paese per sollecitare l'azione insurrezionale;
c) organizzare un grande sciopero generale con manifestazioni di strada;
d) fare intervenire l'esercito a sostegno del popolo contro il governo fascista;
e) determinare, sulla base di questo movimento insurrezionale di popolo e di esercito, un intervento della monarchia, l'arresto di Mussolini e la formazione di un governo democratico che rompesse immediatamente il patto di alleanza con la Germania, concludesse un armistizio con gli alleati e ristabilisse le libertà democratiche. Questo governo doveva essere composto dai rappresentanti di tutti i partiti antifascisti, compresi i comunisti.
Ho preso l'elenco delle proposte comuniste, per non essere tratto in inganno dai ricordi, dal testo della relazione presentata al V Congresso del partito, del gennaio 1946. Il secondo capitolo, che riporta questo testo, «Dal 25 luglio all'occupazione tedesca», fu redatto personalmente da me; e allora, a poco più di due anni, i ricordi erano ancora freschi. Nessuno, del resto, ha mai smentito questa parte della relazione.
Le proposte di Marchesi suscitarono una viva discussione. I due elementi che caratterizzavano il piano politico presentato dai comunisti erano, contemporaneamente, l'appello al popolo, per una sua azione diretta, e la preparazione concreta di questa azione, e, d'altro lato, l'appoggio a un intervento del re che, premuto dall'iniziativa popolare, incalzato dal precipitare degli eventi militari, sarebbe stato obbligato a prendere un'iniziativa per formare un governo di unità nazionale, incaricato di fare l'armistizio, e di preparare la resistenza alle prevedibili reazioni tedesche.
Una seconda riunione si svolse il 4 luglio in via Poerio. Vi erano gli stessi partecipanti, con l'eccezione della DC, che mandò Mentasti al posto di Gronchi, e del PLI, che mandò Leone Cattani al posto di Casati. Ma le due riunioni non permisero l'approvazione del piano politico presentato dai comunisti. Marchesi si urtò sempre contro le stesse obiezioni. Socialisti e azionisti non vollero rinunziare alla pregiudiziale repubblicana (anche se si doveva fare una distinzione tra la posizione rigidamente attesista assunta da Basso del MUP, e quella più duttile presa da Veratti del PSI), e democratici cristiani e liberali al loro proclamato attesismo.
Invano si cercò, con colloqui separati, di persuadere le sinistre socialista e azionista che da soli non ce la facevamo a intervenire dal basso nelle prossime settimane, in tempo utile per condizionare lo sviluppo degli avvenimenti. E invano si cercò di convincere le destre, democratici cristiani e liberali, che rinunciare a premere apertamente sul re, anche con manifestazioni dal basso, significava lasciargli le mani libere per organizzare il colpo di Stato come avrebbe voluto, giungere a un governo di militari e di tecnici, ed essere tagliati via dalla partecipazione alle trattative per la conclusione dell'armistizio. Meglio così, rispondevano i liberali e i democratici cristiani, così non ci assumeremo delle responsabilità molto gravi che non ci spettano. Ma noi siamo interessati, incalzavamo, perché le trattative per l'armistizio procedano in un certo modo e giungano a determinati risultati, in modo da permettere all'Italia di partecipare alla guerra contro la Germania, guerra che non sarà evitabile perché i tedeschi cercheranno in ogni modo di mantenere il controllo del paese.
Le discussioni erano rese più difficili dall'orientamento personale di Marchesi, che tracciava una netta delimitazione tra le proposte che egli faceva a nome del partito e che riguardavano l'attualità, e le considerazioni che a titolo individuale faceva sugli sviluppi dell'azione comunista, da lui presentata come tutta orientata alla presa del potere con la violenza. Quando, dopo la prima riunione, Marchesi ci fece la relazione sull'andamento della discussione, fu candidamente sorpreso dalla nostra reazione critica. Perché non dovevo dire queste cose? Non riuscimmo a persuaderlo che non si trattava di non dire «queste cose», di nasconderle diplomaticamente, ma di non pensarle, perché esse erano fuori della prospettiva strategica del PCI, che era quella di avanzare al socialismo per una via di democrazia progressiva.
La «doppiezza», di cui tanto si è poi parlato nelle discussioni suscitate dal XX Congresso, non è stata una invenzione tattica di Togliatti, ma il risultato della sovrapposizione, non criticamente meditata, della linea di unità nazionale elaborata dall'Internazionale comunista a partire dal VII Congresso sulla vecchia visione di un'azione diretta per l'instaurazione della dittatura del proletariato. Il fatto che il PCI si andasse ricostituendo e riorganizzando con militanti restati per anni tagliati via dalle esperienze di elaborazione del centro del partito e dell'Internazionale comunista faceva sì che in questi compagni le due linee, la vecchia e la nuova, coesistessero, si intrecciassero, si confondessero in un rapporto variabile da compagno a compagno, secondo la diversa formazione culturale e le diverse esperienze (emigrazione, carcere, attività illegale all'interno o, addirittura, prolungata forzata inattività). La lotta per affermare coerentemente la linea politica della direzione assumeva una crescente importanza. Ma l'urgenza dei tempi ci diceva che questa lotta doveva essere condotca essenzialmente nella pratica esperienza della battaglia politica, ponendo concretamente i militanti e le organizzazioni di fronte alla necessità di attuare i compiti indicati dalla direzione e corrispondenti alla gravità della situazione in cui si trovava il paese.
La discussione con gli altri partiti era resa anche più difficile dalla necessità di osservare le norme cospirative. Gli arresti di compagni e degli altri militanti antifascisti continuavano, e ciò ci ricordava la esigenza della cautela, anche se l'urgenza dei tempi esigeva una maggiore scioltezza di movimenti. In fondo, malgrado le nostre impazienze, dovevamo riconoscere che Francesco aveva ragione di essere severo e puntiglioso nell'esigere il rispetto di certe elementari norme cospirative.
Giorgio Amendola, Lettere a Milano, Editori Riuniti, 1973, pagg. 105-109

venerdì 1 luglio 2022

Le autorità italiane disposero l'arresto di Pignatelli per sottoporlo ad interrogatorio


[...] Nell'ottobre 1943 Borghese aveva già a disposizione 1000 uomini i quali vennero divisi in tre reggimenti di fanteria marina: il San Marco, destinato al fronte, il San Giorgio (costituito da anziani e mutilati) per la difesa costiera e un battaglione di Nuotatori Paracadutisti (N.P.) denominato ''Folgore''<64. Nonostante l'attivismo del Comandante e i suoi buoni rapporti con i tedeschi, che gli costeranno anche contrasti con gli altri gerarchi della RSI e addirittura alcuni giorni di carcere, solo il Battaglione Barbarigo, e al costo di dure perdite, riuscì ad ottenere l'autorizzazione a combattere sul fronte nel corso della battaglia di Anzio <65. Gli uomini della Decima furono impiegati principalmente in azioni contro i partigiani mettendosi in luce non solo per la particolare violenza ma anche per i numerosi abusi compiuti nei confronti della popolazione civile <66. Coloro i quali, pertanto desiderassero partecipare ad azioni dirette nei confronti degli Alleati avevano una sola opportunità: essere impiegati dai servizi segreti tedeschi con compiti informativi e di sabotaggio oltre le linee nemiche.
I futuri agenti venivano avvicinati da reclutatori (sia tedeschi che italiani) per azioni dirette esclusivamente dall'Abwehr o dal SD oppure venivano scelti dalle organizzazioni della RSI in azioni concordate con i tedeschi <67. Ad esempio possiamo citare il tentativo del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio della RSI, Francesco Barracu, di organizzare un gruppo di persone di fiducia, capitanate da padre Luciano Usai, con lo scopo di costituire una rete informativa politico-militare e di propaganda in Sardegna, sua regione di origine <68. Il gruppo venne addestrato e in seguito paracadutato nell'isola dall'Abwehr ma anche questa iniziativa tuttavia fallì poiché il gruppo venne arrestato dalle autorità alleate <69.
Ma quali erano le modalità di azione degli agenti inviati dai servizi tedeschi? Innanzitutto si deve distinguere da agenti sabotatori, ''lasciati indietro'' in seguito alla ritirata dell'esercito, muniti di esplosivi per specifiche missioni e in contatto diretto o attraverso intermediari con agenti muniti di radio-trasmittente, dagli agenti di spionaggio, solitamente inviati in missione attraverso le linee con il compito di osservare posizioni e numero di truppe, mezzi e sedi nemiche <70. Una terza categoria è invece l'agente doppiogiochista, il cui rendimento, secondo una relazione del controspionaggio del SIM era «difficilmente accertabile» <71. È probabile però che chi si presentava ai comandi alleati «di sua volontà, raccontando i particolari più minuti della sua missione [potesse] essere in azione di doppio gioco, specie per attività di carattere politico che fermentano e si irradiano in specie dai campi di concentramento ove di solito l'agente viene per principio avviato» <72. L'attività di CS era dunque indispensabile per contrastare le azioni nemiche. Essa, secondo il SIM, era dotata di "due armi: l'indagine e l'interrogatorio: quest'ultimo è la base e l'arma più decisiva; occorre imporre la propria supremazia morale e di capacità all'interrogando e non dimenticare di essere abbastanza curiosi e precisi secondo una logica corroborata dal sapere e dalla volontà. Gli schemi per gli interrogatori sono noti: essi sono dovuti al fatto che un interrogatorio deve fornire gli elementi più numerosi che sia possibile per le operazioni repressive successive e gli interrogatori conseguenti. L'interrogatorio vale per quello che apporta all’attività controinformativa non per quello che interessa direttamente l'agente inquisito, ormai individuato. Nei riguardi dell'agente inquisito l'interrogatorio è un dovere per la giustizia; nei riguardi di ulteriori azioni controinformative è sopratutto una necessita procedurale che comporta - in caso di trascuratezza - responsabilità di ordine morale e professionale. Sino ad ora in questo servizio l'informatore più sicuro è l'agente stesso con il vantaggio che - grazie alla capacità ed all'abilità di chi lo esamina - l'informazione ottenuta è controllata e indiscutibile" <73.
Analizzare un interrogatorio di un agente nemico è pertanto un utile strumento per comprendere sia le modalità di reclutamento, di addestramento ma anche per capire la personalità, le motivazioni e i desideri di coloro i quali decidevano di arruolarsi nei servizi di intelligence tedeschi, oltre che ovviamente per cercare di capire come operavano e cosa erano interessati a conoscere i servizi alleati (e italiani).
Un esempio utile può essere l'interrogatorio di Giorgio Pisanò, arruolatosi nel 1943 come paracadutista nella Decima Mas e nel dopoguerra giornalista, saggista, parlamentare e importante esponente del Movimento Sociale Italiano. Un caso non unico tra gli appartenenti al partito ad aver svolto attività di intelligence. L'agente che lo interrogò nel 1945 lo descrisse come «fervent fascist but claims for him Fascism represents Italy. He is intelligent, courageous and very observant. He is anxious to serve his country. Says he would prefer to be tried by Allies, even if it means going before a firing squad» <74. Come molti altri «ardenti fascisti» come lui, si era arruolato nella Decima Mas «partly because he wanted to do something spectacular for his country, and partly because 10th MAS was entirely Italian, and not under the away of the Germans» <75. Sono proprio i tedeschi però, nel giugno del 1944, ad offrire a Pisanò e al suo battaglione di paracadutisti la possibilità di essere addestrati per «lavori speciali» per i quali erano necessari «uomini di coraggio» <76. Al corso di spionaggio, tenuto da istruttori dell'Abwehr, Pisanò e i suoi compagni vennero istruiti nel riconoscimento di aerei, navi, carri armati, armi, uniformi, nel distinguere i distintivi delle unità e delle formazioni, nella lettura delle mappe e nello studio delle fotografie. Completato il corso di durata mensile, a Pisanò venne assegnata una missione in Puglia con il compito di «tenere gli occhi aperti» e notare i distintivi di truppe, veicoli e segnare la loro appartenenza alle truppe britanniche, americane, canadesi o indiane. Gli vennero fornite ventimila lire ed un fazzoletto necessario per il suo riconoscimento nel momento in cui sarebbe tornato presso i comandi tedeschi. In caso di fermo o cattura avrebbe dovuto raccontare di aver lavorato per l'organizzazione Todt ed essere scappato per cercare di raggiungere i familiari nel Sud Italia <77. La sua missione tuttavia fallì miseramente dato che, giunto nei pressi di un comando alleato in Toscana per ottenere i permessi necessari per raggiungere la Puglia, il suo nome e quello del suo compagno di viaggio risultarono essere presenti nelle liste degli agenti nemici <78. Secondo il sergente statunitense responsabile del suo interrogatorio, Pisanò, quando era stato interrogato dal SIM, si era rifiutato di ammettere di essere un agente, riferendo inoltre una storia differente a quella raccontata in precedenza. Negava inoltre di aver partecipato ad altre missioni anche se i compagni di cella riferivano che egli si fosse vantato di averne portato a termine due <79.
3. Sicilia e Sardegna: tra organizzazioni fasciste e rivolte anti-alleate
Fu nel corso del 1944 che i gruppi fascisti presenti nel Sud Italia cercarono di passare dallo spontaneismo all'organizzazione vera e propria, anche grazie ai collegamenti e i contatti che potevano crearsi tramite gli agenti inviati dai servizi di intelligence tedeschi.
Ancora una volta le isole furono capofila del movimento. Nel corso dei primi mesi del 1944, presso Sassari, le forze di sicurezza alleate e italiane arrestarono alcuni militari e civili di sentimenti fascisti che tentavano di raggiungere il continente <80. Un caso analogo a quello descritto in precedenza vista la loro appartenenza al Comitato regionale fascista. La loro attività si era però evoluta anche grazie al giornale propagandistico stampato in proprio e intitolato «La voce dei giovani» <81. Nella copia requisita dalle autorità leggiamo che il gruppo non era «legato ad alcun partito» e che il loro unico obiettivo era quello di perseguire il «bene della patria» <82. Non rivendicavano la propria appartenenza al fascismo ma il loro giornale clandestino attaccava direttamente gli Alleati, il governo di Badoglio e i partiti che facevano parte del Comitato di Liberazione Nazionale <83. Gli arrestati erano stati inoltre trovati in possesso di un memoriale sulla situazione della Sardegna post-armistizio, una lettera destinata al sottosegretario alla Presidenza del Consiglio della RSI, Francesco Barracu, e un cifrario <84.
Il tentativo organizzato in seguito dallo stesso Barracu di inviare il gruppo di Usai sull'isola potrebbe far supporre che il gruppo, nonostante la cattura degli aderenti, fosse riuscito ad avere un contatto con la terraferma o almeno a far conoscere la loro esistenza ai vertici della RSI. Gli interrogatori ai membri del gruppo Usai condotti dal SIM non ci danno tuttavia alcuna conferma in tal senso <85.
In Sicilia, e in particolare a Catania, gli ex fascisti si erano riuniti in un partito, il Movimento Unitario Italiano (MUI) il cui nome tentava di mascherare le vere finalità del gruppo.
Esso si presentava come contraltare al Movimento per l'Indipendenza Siciliana (MIS) di Andrea Finocchiaro Aprile e alle diverse tendenze separatiste presenti nell'isola come anche si evince dal manifesto che invitava all'adesione al partito:
"Cittadini, mentre la Patria geme così prostrata e sanguinante che soltanto l'amore operoso e concorde di tutti gl'Italiani può mendicarne le piaghe e risollevarne le sorti, taluni, affamati dal tornaconto, vorrebbero accrescerne le sventure reclamandone la mutilazione. […] È infatti, illusione calcolare che l'indipendenza (?) della Sicilia vi arresterebbe o frenerebbe il progresso della giustizia sociale, preservando intatta ogni smodata illecita ricchezza. Ci siamo perciò radunati e Vi chiamiamo a raccolta per impedire di essere fuorviati dal corso della Storia ed esposti a maggiori calamità. L'unità d'Italia deve essere difesa ad ogni costo. Il Paese ha bisogno non di scissioni fratricide ma di raccogliersi in pacifico e fecondo lavoro per risorgere nel clima dell'ordinata libertà e della sana democrazia per ricostruirsi nello spirito di una concreta attuazione dei diritti del lavoro. La nostra stessa libertà, la possibilità di un giusto ordine sociale sono indissolubilmente collegate all'unità. Il separatismo è un pericolo" <86.
La realtà era invece diversa: secondo la Prefettura di Catania l'obiettivo del gruppo era quello di riorganizzare il partito fascista «sotto forma repubblicana». Esso infatti svolgeva «intesa propaganda fra gli ex fascisti e studenti […] riuscendo ad ottenere l'adesione di varie migliaia di persone e l'iscrizione all'organizzazione di circa 3000 individui compresa la sezione femminile» <87. Non solo, secondo il SIM, svolgevano anche attività di «penetrazione negli altri partiti per portarvi la disgregazione» <88. Non stupisce dunque che due membri del partito vennero arrestati dagli Alleati mentre tentavano di varcare le linee per cercare un contatto con le autorità nazifasciste <89.
La presenza di gruppi fascisti in Sicilia è d'altronde, come abbiamo visto, favorita dalla difficile situazione in cui si trovava l'isola, divenuta terreno fertile per la propaganda fascista, sia proveniente da elementi interni che dalla Repubblica di Salò. Il SIM si dimostrava preoccupato per il malcontento crescente provocato dalla presenza delle forze armate alleate nell'Italia meridionale, dal costo della vita elevato, dalla mancanza di cibo e dal mercato nero, che veniva sfruttato dai fascisti «per la loro propaganda», la quale faceva breccia specialmente tra i giovani <90.
Propaganda che non si limitava ad essere ''endogena'', manifestandosi tramite volantini e giornali propagandistici scritti a mano o stampati clandestinamente e scritte murali inneggianti al Duce e contro gli Alleati e il governo Badoglio, ma anche tramite volantini aviolanciati dagli aerei tedeschi nel Sud Italia e tramite le trasmissioni di Radio Tevere. Si trattava di una radio della Repubblica Sociale che aveva iniziato le sue trasmissioni nel giugno 1944 e che aveva assunto quel nome per dare l'impressione di trasmettere clandestinamente dalla Capitale, nonostante la presenza degli Alleati, ma che in realtà aveva sede a Milano. In particolare le trasmissioni repubblichine ponevano l'attenzione e ingigantivano la portata della attività di sabotaggio e di proteste contro gli Alleati che avevano luogo nel Sud Italia, fedeli alle parole pronunciate da Mussolini nel discorso al teatro Lirico di Milano il 16 dicembre 1944: «Quando noi, come soldati della Repubblica, riprenderemo contatto con gli Italiani di oltre Appennino, avremo la grata sorpresa di trovare più fascismo di quanto ne avevamo lasciato» <91. Si mettevano in risalto ad esempio le azioni del mitico ''o' scugnizzo'', sorta di Robin Hood fascista che metteva in difficoltà gli Alleati e la cui identità non dovrebbe probabilmente riferirsi ad un'unica persona ma ai diversi gruppi e singoli, in particolare giovani e giovanissimi, che si attivarono per sabotare l'avanzata degli angloamericani <92.
Furono proprio i giovani ad essere protagonisti della più seria rivolta avvenuta nel territorio italiano controllato dagli Alleati nel corso del secondo conflitto mondiale, e viste le premesse, non poteva che essere la Sicilia il suo luogo di origine. La classica goccia che fece traboccare il vaso fu la pubblicazione del provvedimento di chiamata alle armi per le classi dal 1914 al 1924 e che scatenò le proteste e i moti del ''non si parte'' <93. Un documento redatto dal Commissario della Commissione Alleata di Controllo in Sicilia, H. Carr, ci aiuta a capire l'evolversi della situazione nel dicembre 1944: "Widespread demonstrations and disturbances have occurred throughout the island during the period from approximately 10 DEC[ember] to date [20 Dicembre]. So far demonstrations with or without damage and conflict have been reported at approximately 55 places. Damage to public buildings at CATANIA was serious. […] Casualities so far have not been serious and to date might be estimated as 4 dead and 31 injured, mainly civilians. […] The demonstrations have been directed mainly against the present call-up of military classes. In a few cases the question of grain and bread may have been the sole or partial cause, and I feel that the difficult economic conditions are an underliyng contributary cause to all these disorders. In my opinion the primary reason for the resistance to the call-up is that the Sicilian does not want to fight. Secondary reasons are that the terms of the Armistice have not been made known, that the Sicilian does not want to fight to free the Mainland of the Germans, he does not relish leaving his family on a small allowance when food is scarce and prices prohibitive, he does not wish to fight for the existing Italian Government and so forth" <94.
Per il Commissario la rivolta non aveva dunque motivazioni politiche, nemmeno di tipo separatista anche se non escludeva la presenza di esponenti del MIS tra i fomentatori delle proteste. Allegava alla relazione però un interessante volantino propagandistico che era stato distribuito in città e provincia:
"GIOVANI SICILIANI!
Ancora una volta dopo lunghi anni di guerra, di sciagure e di miseria, si chiede, contro la volontà di un popolo, di spargere il nostro sangue. Come ieri il vile monarca ci impose di morire per la conquista di altri Imperi, oggi con la stessa viltà, ci impone di conservargli col nostro sacrificio quella corona che non ha il diritto di tenere, per il suo alto tradimento al popolo tutto. A noi giovani si uniscano le nostre madri ed i nostri padri. Il popolo tutto formi un blocco compatto per difendere questa gioventù vanamente destinata al macello. Noi non impugneremo le armi.
GIOVANI DI SICILIA,
siate tutti solidali nell'esprimere la vostra volontà non presentandovi. Pace Pane e Lavoro: Ecco quello vogliamo!"
Il contenuto del volantino si presenta dunque come fortemente antimonarchico e proponeva inoltre la tesi fascista del tradimento di Vittorio Emanuele. Questo spinge dunque ad indagare più approfonditamente sulla natura della rivolta, che sicuramente nacque come moto di protesta contro la leva ma che ebbe risvolti diversi. La rivolta non si limitò infatti alla provincia di Catania ma si propagò nei primi giorni di gennaio nella vicina provincia di Ragusa. Secondo una relazione dell'OSS inoltre, il malcontento della popolazione fu sfruttato «dai fascisti locali che ancora occupano gli uffici pubblici e dai fascisti recentemente rilasciati dai campi di internamento alleati» <95. Le rivolte ebbero carattere violento e soprattutto godevano di una certa organizzazione. Vennero assaltati gli edifici pubblici, compresa la Prefettura che venne presa d'assedio, nonché i camion di Carabinieri e dell'esercito italiano, i quali spesso non opposero resistenza <96. Le rivolte assumono un'importanza ancora maggiore se corrisponde al vero quanto riportato nella stessa relazione, a proposito della presenza di nazifascisti inviati dal Nord a Comiso, piazzaforte della rivolta. «The presence of Nazi-Fascist agents - scrive il relatore della nota - is proved by the fact that Fascist broadcasts gave details of the riot on the same day it broke out» <97. La dettagliata relazione dello Psychological Warfare Branch britannico era invece più cauta nel dare per scontata la presenza di attori non siciliani nelle rivolte, anche se sottolineava che il «recente revival del fascismo e delle agitazioni fasciste e naziste», fosse da annoverare tra le cause scatenanti le sommosse <98.
La rivolta venne stroncata dall'intervento dell'esercito italiano il quale però non riuscì ad eliminare del tutto i rigurgiti fascisti presenti nell'Isola. Solamente qualche giorno più tardi infatti, in un teatro di Palermo comparve il giornale clandestino dal titolo chiaramente fascista «A noi!-Foglio del partito fascista repubblicano sezione di Palermo». Il gruppo che stampava il foglio era composto da studenti giovanissimi (dai 16 ai 21 anni) i quali in precedenza avevano avuto contatti con il movimento politico Lega Italica, un partito sorto a Caltanissetta nel novembre 1944, di sentimenti monarchici, ma che in realtà nascondeva un'organizzazione fascista <99. Oltre alla vuota retorica che caratterizza la prima parte del giornale, la seconda parte, invece, intitolata «Perché siam fascisti?» è utile per comprendere le ragioni che spinsero alcuni giovani a lottare per la morente causa fascista (sia nel Sud Italia sia a fianco della Repubblica di Salò) e soprattutto è sorprendente per come, già nei primi mesi del 1945, fosse stata elaborata quella visione del fascismo che caratterizzerà molti dei giovani che aderiranno, nel dopoguerra, al Movimento sociale italiano:
"Molto spesso ci sentiamo chiedere: Perché siete fascisti? Perché vi fate difensori di un partito che ha perso oramai l’ultima battaglia? […] [Q]uel che ci preme adesso precisare è che noi non difendiamo un partito. È morto il partito nazionale fascista: su questo tutti d'accordo. Ma non si è spenta l'idea originaria, non è trapassato lo spirito rivoluzionario del fascismo; e di questa idea, di questo spirito ci sentiamo depositari, proprio noi, giovani di fede incrollabile che del fascismo abbiamo fatto la religione della nostra giovinezza e la nostra forza. Noi siamo fascisti […] perché il fascismo è giovinezza perenne, morale eroica di vita, audacia senza confini; perché fascismo è decoro della Patria, vaticinio sicuro di ogni vittoria; infine, perché fascismo significa Italia!" <100
Un'elaborazione dello spirito fascista molto simile dunque a quel «non rinnegare e non restaurare» in auge tra i neofascisti nei primi anni di vita del MSI e che contraddistingue la memorialistica dei reduci di Salò <101.
4. I movimenti fascisti nel Sud e la rete Pignatelli
Per descrivere i movimenti fascisti che si svilupparono nella Penisola italiana in concomitanza con l'avanzata alleata, si deve fare un passo indietro e ritornare agli ultimi mesi del 1943. Significativamente fu in Calabria, dove si era stabilito il già citato Valerio Pignatelli, e in particolare nelle cittadine di Nicastro e Sambiase (ora Lamezia Terme), che si videro i primi episodi di ripresa dell'attività fascista. Già nell'ottobre del 1943 un gruppo di giovani aveva organizzato degli attentati contro i giornali antifascisti «Era Nuova» e «Nuova Calabria», oltre a lanci di bombe a mano corredate da volantini inneggianti al fascismo <102.
Anche qui, come già in Sicilia e Sardegna, i primi gruppi erano soprattutto organizzazioni locali formate da qualche decina di aderenti i quali però cercavano di entrare in contatto sia tra di loro che con il Nord Italia. Casi esemplari, ad esempio, i gruppi scoperti dal SIM in Puglia in collaborazione con il Field Security Service e con il Counter Intelligence Corps. Il primo, e il più importante, è il caso del gruppo scoperto a Lecce nel gennaio del 1944. Un brigadiere del SIM era riuscito ad infiltrarsi tra gli aderenti fingendosi un agente dei servizi della Repubblica Sociale Italiana in collegamento con altri elementi fascisti presenti a Brindisi e, a loro volta, a disposizione di una trasmittente dotata di potenza sufficiente da raggiungere il Nord. Superando le diffidenze iniziali da parte dei giovani animatori dell'organizzazione, l'agente riuscì a ottenerne la fiducia facendo incontrare un loro esponente con il sedicente rappresentante del gruppo di Brindisi (in realtà un altro agente del SIM) e promettendo di farsi accompagnare da un loro uomo nel momento in cui sarebbe ritornato nel Nord per fare rapporto sulla sua missione <103. La sua attività sotto copertura permise di capire l'effettiva consistenza e gli scopi del gruppo: era nato nel mese di novembre del 1943 tra i giovani ex appartenenti alla Gioventù Italiana del Littorio e ai Gruppi Universitari Fascisti, inizialmente per discutere di politica. In seguito all'aumento di aderenti e simpatizzanti (circa 300 secondo i capigruppo, anche se in seguito gli arrestati saranno 38), venne deciso di creare una vera e propria organizzazione clandestina suddivisa in cinque gruppi. «Ogni capo-gruppo conosceva solo i propri dipendenti. Le riunioni e le decisioni erano prese da un consiglio formato dai capi-gruppo, questi poi comunicavano le decisioni agli elementi dei propri gruppi» <104. L'organizzazione si poneva come obiettivi quelli di:
"- organizzare una vasta rete di informatori allo scopo di raccogliere e fornire notizie di carattere militare all'esercito repubblicano fascista;
- fare opera di disturbo con azioni armate qualora i nazisti [sic!] avessero avuto il sopravvento;
- preparare ordigni esplosivi per effettuare atti di sabotaggio nelle retrovie alleate" <105.
Le intenzioni del gruppo rimanevano tuttavia solo sulla carta per la mancanza di adeguati mezzi finanziari a disposizione nonché per la scarsità di munizioni e materiale esplosivo da adibire al sabotaggio di eventuali obiettivi strategici individuati dai servizi nazifascisti <106. Il gruppo pertanto si dedicò prevalentemente alla scrittura di manifestini di propaganda fascista nonché, per il tribunale militare di Bari che li giudicò nel giugno del 1944, all'attività più grave, ovvero «alla raccolta e al tentato invio nell'Italia occupata, di informazioni riguardanti: la situazione politica attuale; l'aeroporto di Galatina […] e altre notizie di carattere militare» <107. Soprattutto per questo le autorità italiane e alleate decisero di stroncare sul nascere l'organizzazione, utilizzando come pretesto (e come ulteriore prova) il tentativo di uno dei capigruppo, Fabio D'Elia, di oltrepassare le linee alleate assieme all'agente sotto copertura del SIM <108. Dei 38 arrestati solamente 9 (gli esponenti principali) vennero condannati, anche se a pene gravi che variavano dai 6 ai 20 anni di carcere per reati di spionaggio, favoreggiamento bellico e ostilità ai danni degli Alleati <109.
Contemporaneamente a Squinzano, a circa 20 chilometri da Lecce era attiva, almeno all'apparenza, un'ulteriore organizzazione e che prendeva il nome di «Comitato segreto di azione del partito fascista repubblicano». Il suo capo-zona era un certo Enzo Politi, ex ufficiale dell'esercito, il quale sosteneva di essere in contatto con il capo politico del movimento, l'ex ispettore federale del PNF Francesco Fato. Secondo Politi, il movimento, presente nelle provincie di Lecce, Brindisi e Bari, avrebbe goduto di addirittura 18000 aderenti i quali potevano contare di un arsenale composto da «3000 moschetti (dati in consegna a 3000 aderenti, facenti parte del personale fidato a disposizione); 84000 caricatori (distribuiti in ragione di 28 per ciascuna persona); 1000 tra fucili mitragliatori, pistole mitragliatrici e fucili automatici di marca varia, ma di calibro uniforme» <110. Le dichiarazioni di Politi suscitavano molta perplessità da parte del SIM e degli Alleati, soprattutto perché sembrava strano che il gruppo leccese, a cui inizialmente si pensava appartenesse Politi, non sapesse dell'esistenza di un'organizzazione a loro così geograficamente vicina, apparentemente molto più sviluppata ed equipaggiata. Politi pertanto venne ritenuto dal SIM un millantatore anche se le autorità alleate disposero l'arresto di dieci persone (compresi sia Politi che Fato), le quali però vennero in seguito rilasciate per insufficienza di prove <111.
La decisione del tribunale italiano non venne colta con favore dalle autorità della Commissione Alleata di Controllo. In particolare le autorità italiane vennero accusate di aver protetto i militari implicati nei gruppi fascisti. La presunta imparzialità delle corti militari italiane venne pertanto sfruttata dall'amministrazione militare alleata per reclamare, a favore delle proprie corti, il diritto di giudicare casi simili <112. Fu questo dunque il caso del gruppo scoperto sempre in Puglia, a Barletta, e che portò, nel mese di aprile, all'arresto di una quindicina di appartenenti al gruppo. L'organizzazione era sorta nel settembre del 1943 con lo scopo di:
"- combattere con tutti i mezzi ed in tutti i modi possibili gli invasori angloamericani ed i loro prezzolati alleati;
- tenere sempre desta nel popolo con opera e propaganda la fede nella vittoria delle armi ricostituite dell'Italia fascista repubblicana;
- preparare armi e materiale di sabotaggio;
- seguire attentamente l'attività dei partiti antifascisti, tenendosi pronti ad entrare in azione qualora si fosse presentata l'occasione favorevole" <113.
La perquisizione svolta dagli agenti del SIM aveva portato alla luce importanti documenti come lo statuto dell'organizzazione contenente la formula del giuramento, lo scopo dell'organizzazione, gli organi direttivi e di controllo, i doveri degli iscritti, lo schedario cronologico degli aderenti; un diario del gruppo contenente la data e il luogo delle adunate, le questioni discusse, provvedimenti adottati e inoltre un libro cassa contenente il pagamento delle quote versate dagli aderenti e le spese sostenute <114. L'aderente doveva dunque giurare, nel nome di Dio e dell'Italia, "di eseguire gli ordini del Duce e di servire con tutte le mie forze e se necessario col mio sangue la causa della Rivoluzione fascista. Giuro inoltre di osservare lealmente lo statuto del Gruppo a cui appartengo; di adempiere a tutti i doveri del mio statuto al solo scopo del bene inseparabile del Duce e della Patria fascista e repubblicana; di non tradire giammai i miei camerati e di non svelare a nessuno i segreti del mio partito" <115.
Non si conosce l'esito giudiziario della vicenda, pertanto non si possono fare paragoni sulla maggiore o minore durezza delle corti alleate rispetto ai tribunali italiani. Ciò che risulta sicuro è l'internamento degli aderenti al movimento, assieme ad altri fascisti giudicati pericolosi, nel campo di Padula in provincia di Salerno <116.
Anche in Calabria, come abbiamo visto, erano attive cellule fasciste le quali, grazie all'azione di Valerio Pignatelli e di persone a lui fedeli, rappresentarono il gruppo più attivo, collegato e pericoloso presente nel Sud Italia <117. Gli attentati compiuti dai giovani a Nicastro avevano allertato i Carabinieri, i quali decisero di indagare sui responsabili, soprattutto perché non furono atti isolati ma perdurarono sino alla seconda metà di aprile del 1944 <118. Alcuni giorni dopo vennero arrestati 60 giovani e giovanissimi residenti delle province di Cosenza, Crotone e Catanzaro con l'accusa di «aver ricostituito il partito fascista svolgendo attiva propaganda» <119. Alcuni di essi vennero inoltre trovati in possesso di armi, munizioni e ordigni esplosivi.
Come era riuscito quel gruppo, composto da giovani provenienti da diversi paesi e province a concretare azioni comuni e condivise? In Calabria, così come in Puglia, già nell'ottobre del 1943 si erano costituiti autonomamente diversi gruppi clandestini di giovani fascisti. Il gruppo di Catanzaro, il più sviluppato, riuscì a dicembre a mettersi in contatto con gruppi analoghi presenti a Cosenza e, soprattutto, con il tenente Pietro Capocasale, ufficiale dell'esercito italiano e capo del gruppo di Petronà (CZ), il quale grazie alle sue conoscenze di carattere militare (conosceva la collocazione dei depositi di munizione e di carburante del 31° corpo d'armata italiano) e familiare (era cugino di appartenenti a gruppi fascisti di Nicotera e Soverato) ben presto divenne uno dei leader dell'organizzazione <120. Nello stesso mese di dicembre il gruppo di Catanzaro, al quale nel frattempo era stato posto a capo l'ex segretario di Barracu Antonio Corda, aveva inoltre inviato due paracadutisti oltre le linee, con l'obiettivo di raggiungere Roma ed interloquire con il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio della RSI. Uno dei due, tale Toni Battistini, sembra fosse riuscito a compiere la missione, dato che il 24 aprile, in una trasmissione di Radio Roma era stata riportata la presenza di un paracadutista il quale, arrivato dal Sud Italia, e presentatosi al Comando Tedesco, aveva dichiarato che «nella regione italiana occupata dalle truppe angloamericane non ci sono italiani volontari; gli arruolati sono solo coloro i quali sono stati obbligati dalla fame. A Catanzaro un gruppo di paracadutisti ha distrutto la tipografia di un giornale comunista e picchiato il direttore, Paparazzo» <121. A Cosenza, dove l'organizzazione sembrava essere sviluppata maggiormente, si trovava il capo dell'organizzazione calabrese, l'avvocato Luigi Filosa <122. Capocasale intratteneva i contatti con Filosa tramite Giuseppe Scola figlio del braccio destro di Filosa, Arturo. Come si è visto, i rapporti famigliari erano fondamentali per tenere i contatti tra i diversi gruppi e come dimostra anche il fatto che il fratello di Arturo, Attilio, fosse il collaboratore del capogruppo di Crotone, Gaetano Morelli <123.
L'attività dell'organizzazione, come scrive una relazione dell'OSS, si era sviluppata sempre di più e con maggiore violenza:
"Fra ottobre e aprile ci furono svariati casi di dimostrazioni contro gli Alleati e quindici casi di uso di esplosivi in attentati terroristici eseguiti con lo scopo di costringere la popolazione locale a sottomettersi e convincersi della forza della causa fascista. Questa campagna di violenza culminò in aprile in un attentato eseguito contro un preminente antifascista, l'Ing. Nicotera, attentato rimasto senza successo, e in un altro attentato, in cui, nella notte del 22 aprile in Sambiase, due bombe furono gettate, una delle quali contro un carabiniere. Vi era anche l'intenzione di far saltare il municipio ed un importante ponte" <124.
Questa escalation avrebbe dovuto portare, il 5 maggio 1944, all'inizio delle operazioni di guerriglia contro gli Alleati. Il giorno in cui sarebbe dovuta partita l'operazione era stato trasmesso tramite un messaggio in codice da Radio Roma tra il 20 e il 22 aprile <125.
La tanto agognata insurrezione delle forze fasciste tuttavia non ci fu, poiché in quei giorni i Carabinieri si attivarono per arrestare i congiurati. Dagli interrogatori degli arrestati emerse non solo la ramificazione dell'organizzazione in Calabria ma anche che essa aveva propaggini all'esterno del territorio calabrese, tramite il deus ex machina del fascismo clandestino nel Sud Italia, ovvero il principe Valerio Pignatelli <126.
Il principe infatti, si era trasferito con la moglie dalla sua residenza di Sellia Marina, presso Catanzaro, a Napoli. Da qui, con il suo braccio destro, il colonnello Luigi Guarino, ex ardito, teneva i contatti con i gruppi calabresi tramite Luigi Filosa mentre, contemporaneamente, si adoperava per organizzare analoghi nuclei fascisti in Campania grazie all'aiuto di Ferdinando (Nando) di Nardo, ex dirigente dei GUF napoletani e futuro parlamentare del Movimento Sociale Italiano <127. Il gruppo campano più sviluppato era quello napoletano, grazie alla presenza, in particolare, dei giovani che si erano resi protagonisti, ad esempio, di proteste e lanci di manifestini contro gli Alleati <128. Come si è visto, molto probabilmente il gruppo pugliese non era a conoscenza dell'organizzazione di Pignatelli e viceversa. Lo stesso Pignatelli inoltre, in un memoriale scritto nel dopoguerra, nominava solamente i gruppi calabresi e campani anche se potrebbe essere significativo che, nel tentativo di fuggire all'arresto da parte dei carabinieri, Filosa si fosse rifugiato a Bari <129.
Le autorità italiane disposero l'arresto di Pignatelli per sottoporlo ad interrogatorio e capire se ci fossero fondamenti di verità nelle dichiarazioni degli arrestati. Il principe tuttavia, pressoché negli stessi giorni, era stato arrestato dal Governo Militare Alleato assieme alla moglie. Entrambi dovevano rispondere alla grave accusa di spionaggio a favore del nemico <130.
La vicenda, che assume i contorni di una vera e propria spy story, è molto complessa e ancora oggi non molto chiara in alcuni suoi punti. Innanzitutto è necessario ritornare al dicembre 1943, quando Pignatelli si trasferì a Napoli, ufficialmente per motivi di salute, ma in realtà, secondo quanto racconta nel suo memoriale, per adempiere alle istruzioni che gli sarebbero giunte da Barracu <131. Qui il Principe, assieme alla moglie, Maria Elia, figura di primo piano nella vicenda, come si vedrà, erano protagonisti della vita mondana della città partenopea: l'alta classe sociale dei Principi e il prestigio del casato permetteva loro di intrattenere rapporti sia con le autorità italiane, civili e militari, compreso il luogotenente Umberto di Savoia, nonché con le massime autorità alleate come il comandante supremo del teatro d'operazioni del Mediterraneo, il generale britannico Henry Wilson e il diplomatico statunitense Alexander Kirk <132. I Pignatelli riuscirono inoltre a coltivare conoscenze con esponenti dei servizi segreti italiani e alleati, da loro abilmente sfruttate per ottenere informazioni che potessero essere utili per il governo della RSI <133. Secondo il racconto dello stesso Pignatelli, nei primi mesi del 1944, gli fu richiesto di raggiungere il Nord per concordare con le autorità della RSI le strategie da adottare per la lotta nel Sud Italia, pertanto egli si adoperò per cercare di ottenere un lasciapassare dal Governo Militare Alleato. Il tentativo venne stoppato dai «dirigenti del SIM che, conoscendomi bene mi dichiararono fascista» <134. In questo momento dunque entrò in gioco la Principessa che condivideva pienamente le idee del marito e che aveva aiutato ad organizzare il fascismo nel Sud. La preoccupazione per la mancanza di notizie dai figli Emanuele, Vittorio e Bona, avuti nel precedente matrimonio con il marchese Antonio De Seta, e della figlioccia Vittoria Odinzova si dimostrò un utile alibi per cercare in tutti i modi di oltrepassare le linee <135. È proprio grazie alla Odinzova che si presentò la prima opportunità. Maria si mise in contatto a Napoli con il tenente Carlo Cosenza agente dell'OSS, amico della figlioccia, pregandolo di aiutarla a trovare un modo di passare le linee per avere sue notizie. Cosenza si premurò di mettere in contatto la Principessa con un marinaio che avrebbe potuto metterle a disposizione una barca. Il tentativo però venne giudicato troppo pericoloso e perciò accantonato <136. La Principessa, a riprova delle frequentazioni con i comandi militari italiani cercò in secondo luogo di ottenere un aiuto, senza successo, dal generale Guido Accame, agente del SIM anche lui impiegato dall'OSS. Riuscì a guadagnare invece la fiducia dal tenente Andrea Nuvolari (in seguito informatore del SIM sul caso) il quale le confidò informazioni di natura militare anche se non le fu d'aiuto per la sua missione oltre le linee <137. La relazione del SIM che, tra gli altri documenti, ci permette di tracciare i movimenti della principessa, ci consegna un quadro fosco della Pignatelli, descritta quasi come una fattucchiera che con le sue «male arti» riusciva a carpire informazioni strategiche dai suoi interlocutori. È utile notare pertanto come il SIM preferisca screditare la figura della Principessa (adducendo anche ad una presunta condotta morale, secondo l'estensore della relazione, non consona) che analizzare l'operato inadeguato, se non connivente, degli agenti del servizio con cui essa era venuta a contatto <138. Il seguente incontro si rivelò invece decisivo: quello con il sottotenente di vascello Paolo Poletti, anch'egli al servizio dell'OSS. L'ufficiale della Marina, nel corso di una missione a Roma per conto del servizio statunitense nel dicembre 1943, aveva conosciuto Vittoria Odinzova con la quale aveva deciso di sposarsi. Secondo il racconto dello stesso Poletti, i due amanti avevano bisogno dell'approvazione di Maria Pignatelli <139. È anche per questo motivo probabilmente che Poletti, una volta tornato a Napoli, si mise in contatto con i Pignatelli, da lui già conosciuti precedentemente, per portargli notizie della Odinzova <140. Egli divenne un assiduo frequentatore del salotto dei Pignatelli conquistandone man mano la fiducia, peraltro ricambiata, visto che lo stesso Poletti confidò ai Principi la vera natura del suo incarico a Roma per conto dell'OSS. Maria pertanto colse l'occasione per raggiungere il suo obiettivo e, sfruttando il legame dell’agente con la Odinzova riuscì a convincerlo ad aiutarla <141. Poletti pertanto si mise in contatto con l'agente dell'OSS Arthur Mathieu al quale espose la propria preoccupazione per la situazione in cui si trovava la futura moglie asserendo che avrebbe trovato una soluzione anche se ciò avesse implicato l'attraversamento delle linee nemiche. In un memorandum scritto il 16 maggio 1944, lo stesso Mathieu affermava che "Subsequently, ''Paul'' [Paolo Poletti n.d.a.] announced that he had formed a plan, which involved sending a woman across the lines, who would return with his wife and an Italian officer from Austria <142. Both of them would, in addition, bring back valuable information. On being questioned about the security of the mission, ''Paul'' replied that he had absolute confidence in the woman selected, who was the foster-mother of his wife, and that he would ask Major BERDING [a capo dell'X-2 di Caserta] to trust him on this Selection. The plan was presented to Major ROLLER who approved the operation, now called ''Aspen'', and agreed its secrecy would be maintained. Security Officer only was informed. " <143.
Il primo tentativo di oltrepassare le linee da parte della principessa fallì poiché venne arrestata dal Field Security Service britannico e liberata alcuni giorni dopo per l'intercessione dell'OSS <144. Per evitare altri imprevisti, Poletti decise di accompagnare personalmente, il giorno 11 aprile, la Principessa a Sessa Aurunca, nelle vicinanze delle linee nemiche, assieme ad un capitano italoamericano impiegato nell'OSS, Vincent Abrignani. L'obiettivo, dichiarato, della Principessa era quello di presentarsi, una volta passato il fronte, al comando tedesco più vicino, e tramite le proprie credenziali, ottenere di poter contattare Barracu per conoscere la sorte dei propri figli. Poletti consigliò alla Pignatelli che, nel corso dell'interrogatorio a cui l'avrebbero sottoposta i tedeschi, avrebbe dovuto raccontare di essere giunta nella Capitale grazie ad un'autovettura della Croce Rossa e, inoltre, riferire i rumors da lei raccolti a Napoli riguardanti il territorio italiano occupato dagli Alleati <145. La missione principale di Maria era però quella di contattare Barracu, consegnargli una lettera scritta dal marito e ragguagliarlo sulla situazione dell'organizzazione capeggiata dal Principe nell'Italia del Sud. È molto probabile che le credenziali della principessa erano valide dato che, giunta nel comando tedesco di Anagni, non ebbe difficoltà a farsi accompagnare da un ufficiale a Roma nell'abitazione dei Marincola dove era alloggiata la figlia Bona <146. Il giorno seguente la principessa venne interrogata dal Sicherheitsdienst e in seguito accompagnata dal Feldmaresciallo Kesserling <147. Sono proprio alcuni documenti tedeschi, recuperati dagli Alleati all'indomani della liberazione di Firenze, che ci permettono di ricostruire alcuni punti del soggiorno romano della Pignatelli. Nel corso dell'interrogatorio, essa fornì ai tedeschi numerose notizie sulla situazione politico-economica del Sud Italia oltre che notizie di carattere militare, anche se, tranne l'aver rivelato il nome del capo del SIM (Pompeo Agrifoglio), di scarsa rilevanza <148. Gli stessi documenti chiariscono inoltre che, anche se i tedeschi sapevano dell'esistenza di gruppi fascisti nel Sud Italia, non erano a conoscenza del lavoro di coordinamento messo in atto da Pignatelli. Il maggiore delle SS Klaus Huegel, capo dell'Ausland SD in Italia, in un telegramma datato 22 aprile 1944, scriveva a Herbert Kappler rimarcando la necessità di un ulteriore interrogatorio della Principessa, da effettuarsi prima del suo ritorno a Napoli, perché essa poteva rappresentare «a practical starting point for the work in the South. Her report about her way through the front is moreover a proof that such possibilities exist»149. Questo appunto mette anche in luce che una strategia organica per il Sud Italia non era stata ancora adottata da parte dei servizi tedeschi <150.
La principessa nel frattempo, dopo essere riuscita ad incontrare il figlio Emanuele ed informare la figlioccia Vittoria che avrebbe attraversato con lei le linee quando sarebbe tornata a Napoli, si era premurata di incontrare Barracu. Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio della RSI, assieme ad un ufficiale tedesco, portò la principessa a Verona, dove avrebbe dovuto incontrare Mussolini. Le testimonianze a questo punto divergono e non è chiaro se la principessa fosse riuscita o meno ad incontrare il Duce <151. L'obiettivo della missione tuttavia venne raggiunto: le autorità della Repubblica Sociale vennero messe a conoscenza della presenza di un movimento clandestino fascista ancora vivo nel Sud Italia e che necessitava dell'aiuto di Salò e dei tedeschi.
Le autorità britanniche tramite la fonte ''SURE'' avevano però, nel frattempo, tenuto d'occhio costantemente le attività della principessa e informato lo Special counter intelligence (Sci) statunitense <152. Il 25 aprile lo Sci arrestò Valerio Pignatelli e due giorni dopo, al ritorno a Napoli, vennero messe in custodia la stessa Principessa assieme a Vittoria Odinzova. Anche Poletti venne incarcerato nel momento in cui stava andando ad avvisare le due donne, da lui ospitate in una ''casa sicura'', dell'arresto del Principe <153. Tutti i protagonisti della vicenda vennero interrogati dal Combined Service Detailed Interrogation Center britannico (CSDIC), una unità formata da agenti del Secret Intelligence Service e ufficiali dell'esercito specializzata negli interrogatori di presunti agenti nemici [...]
64 L. Ganapini, La repubblica delle camicie nere, pp. 62-63.
65 Per la testimonianza di un Marò della Decima sulla battaglia di Anzio vedi il racconto di Fernando Togni riportato in L. Ganapini, Voci dalla guerra civile. Italiani nel 1943-1945, Bologna, Il Mulino, 2012, pp. 142-145.
66 A. Lepre, La storia della Repubblica di Mussolini. Salò: il tempo dell'odio e della violenza, Milano, Mondadori, 1999, pp. 176-181.
67 TNA, WO 204/12450 X Flotilla MAS and S. Marco regiment vol. 1, Abwehr Abt II. Interest in Italian special formations, 1 giugno 1944, p. 1.
68 AUSSME, SIM, b. 27, f. 1-7-40 Lancio nelle campagne di Cabras a mezzo paracadute di presunti agenti nemici, Appunto del 27 luglio 1944, prot. n. 290/1944.
69 ACS, Allied Control Commission (d'ora in avanti ACC), Legal, f. 443 Case of Usai Luciano & others (enemy agents, Sardinia), Report ''Case of Usai Luciano and others'', p. 1-4.
70 AUSSME, SIM, b. 334, fasc. 1-1-26 Studio sull'organizzazione del S.I. tedesco e repubblicano in Italia, Cenni riepilogativi sull'organizzazione informativa nemica, s.d. [gennaio 1945], p. 5.
71 Ibidem.
72 Ivi, p. 6.
73 Ivi, p. 6-7.
74 NARA, rg 226, e. 174, b. 93, f. 753 IV corps, Supplementary report on detailed interrogation of enemy agent - Pisanò Giorgio, p. 9.
75 Ivi, p. 1.
76 Ibidem.
77 Ivi, p. 2-4.
78 Ivi, p. 6. Pisanò in seguito riuscì a scappare per essere poi riarrestato dagli alleati nel 1945.
79 Questa versione verrà sostenuta anche nelle sue opere autobiografiche. Vedi in particolare G. Pisanò, Io, fascista 1945-1946. La testimonianza di un superstite, Milano, Il Saggiatore, 2002, pp. 102-122.
80 AUSSME, SIM, b. 27, fasc. 1-7-23 Presunta costituzione in Sardegna di un Comitato regionale fascista, s.n., 27 marzo 1944, pp. 1-3.
81 ACS, DGPS, DAG, 1944-1946, b. 47, fasc. Partito fascista repubblicano Sassari, Riservata raccomandata s.n., 27 marzo 1944, p. 3.
82 ACS, DGPS, DAG, 1944-1946, b. 47, fasc. Partito fascista repubblicano Sassari, giornale «La voce dei giovani», febbraio 1944, n. 2, p. 1.
83 Ibidem.
84 ACS, DGPS, DAG, 1944-1946, b. 47, fasc. Partito fascista repubblicano Sassari, Riservata raccomandata s.n., 27 marzo 1944, p. 4.
85 AUSSME, SIM, b. 27, fasc. 1-70-40 Lancio, nelle campagne di Cabras, a mezzo paracadute di presunti agenti nemici, Processo verbale di interrogatorio di Usai Luciano, Manca Angelo, Trincas Francesco.
86 ACS, DGPS, DAG, 1947-1948, b. 59, f. Movimento Unitario Italiano Catania, Manifesto del MUI. Sul separatismo siciliano vedi G.C. Marino, Storia del separatismo siciliano, Roma, Editori Riuniti, 1993; A. Battaglia, Sicilia contesa. Separatismo, guerra e mafia, Roma, Salerno Editrice, 2014.
87 ACS, DGPS, DAG, 1947-1948, b. 59, f. Movimento Unitario Italiano Catania, Relazione Prefettura, Movimento Unitario Italiano, 13 settembre 1944.
88 AUSSME, SIM, b. 113, f. 2-9-12 Movimento fascista a Catania, Movimento fascista a Catania, 7 febbraio 1944.
89 G. Conti, La RSI e l'attività del fascismo clandestino nell'Italia liberata dal settembre 1943 all'aprile 1945, p. 953-954. Tra gli aderenti al Movimento figurava anche il futuro esponente missino catanese Orazio Santagati. Vedi G. Parlato, Fascisti senza Mussolini, p. 44.
90AUSSME, SIM, b. 27, f. 1-7-122 Italia meridionale – Sicilia-Sardegna: propaganda fascista e separatismo, Italia meridionale – Sicilia-Sardegna: propaganda fascista e separatismo, 7 settembre 1944, p. 2-3.
91 B. Mussolini, Opera omnia, Firenze, La Fenice, 1969, vol. XXXII, p.138.
92 G. Parlato, Fascisti senza Mussolini, pp. 61-62. Sulla propaganda via radio della Repubblica Sociale Italiana vedi G. Isola, Il microfono conteso. La guerra delle onde nella lotta di liberazione nazionale (1943-1945), «Mélanges de l'Ecole française de Rome. Italie et Méditerranée», a. 1996, Vol. 108, n. 1, pp. 83-124. Alcuni cenni sulla propaganda della RSI per le ''terre invase'' si trovano in P. Corsini, P. P. Poggio, La guerra civile nei notiziari della Gnr e nella propaganda della RSI, in M. Legnani, F. Vendramini (a cura di), Guerra, guerra di liberazione, guerra civile, Milano, Franco Angeli, 1990, pp. 295-296.
93 Sulla questione vedi F. Giomblanco, Alto tradimento: la repressione dei "Moti del non si parte" dal carcere al confino di Ustica 1944-1946, Ragusa, Sicilia Punto L, 2010.
94 NARA, Department of State, Italy US Embassy and Consulate, Rome, General Records 1936-1963, rg. 84 st. 350 r.62 c.2 s.5, b. 143, f. 800-Sicily, Unrest in Sicliy, 20 dicembre 1944, p. 1.
95 TNA, WO 204/12661 Sicily-Ragusa rebellion, Ragusa riots, 18 gennaio 1945, p. 1.
96 Ivi, p. 1-2.
97 Ivi, p. 3.
98 «Furthermore - leggiamo nella relazione - it is not unlikey that some Nazi subversive agents have been at work stirring up trouble, but there is no evidence to confirm this. Enemy agents recently dropped in Sicily and who were captured had quite different mission to accomplish». TNA, WO 204/12661 Sicily-Ragusa rebellion, Report on the rebellion in the province of Ragusa 5/11 January 1945, 23 febbraio 1945, pp. 13-14. Sulle indagini a proposito di una presunta radiotrasmittente in contatto con il Nord vedi A. Battaglia, Separatismo siciliano. I documenti militari, Roma, Edizioni nuova cultura, 2015, pp. 24-27.
99 TNA, WO 204/12621 Sicily-Fascist groups, Transcript of fascist leaflets, 20 marzo 1945, p. 1.
100 TNA, WO 204/12621 Sicily-Fascist groups, Subversive activity in Sicily, 15 febbraio 1945, allegato, p. 2.
101 M. Tarchi, A. Carioti, Cinquant'anni di nostalgia. La destra italiana dopo il fascismo, Milano, Rizzoli 1995, pp. 28-29.
102 G. Parlato, Fascisti senza Mussolini, pp. 56-57.
103 AUSSME, SIM, b. 73, f. 1-7-49 Organizzazione fascista a Lecce, Rapporto di denuncia di Chironi Romualdo et alii, 5 aprile 1944, pp. 4-7.
104 AUSSME, SIM, b. 73, f. 1-7-49 Organizzazione fascista a Lecce, Organizzazione fascista in provincia di Lecce, 14 marzo 1944, allegato n.2 Processo verbale di interrogatorio di D'ELIA Fabio, p. 1.
105 Ivi, pp. 1-2.
106 AUSSME, SIM, b. 73, f. 1-7-49 Organizzazione fascista a Lecce, Rapporto di denuncia di Chironi Romualdo et alii, 5 aprile 1944, p. 7.
107 AUSSME, SIM, b. 73, f. 1-7-49 Organizzazione fascista a Lecce, Promemoria per il signore generale Rossi, 16 marzo 1944, p. 1.
108 AUSSME, SIM, b. 73, f. 1-7-49 Organizzazione fascista a Lecce, Rapporto di denuncia di Chironi Romualdo et alii, 5 aprile 1944, p. 11.
109 AUSSME, SIM, b. 73, f.1-7-49 Organizzazione fascista a Lecce, Esito processo a carico dei componenti organizzazione fascista di Lecce, 13 giugno 1944. Tra i condannati figurava il futuro consigliere comunale del MSI di Lecce Giuseppe Marti. Vedi ivi, Telegramma, 10 novembre 1977.
110 AUSSME, SIM, b. 74, f. 1-7-146 Organizzazione fascista a Brindisi, Organizzazione fascista, 28 febbraio 1944, p.2.
111 Anche Politi e Fato furono rilasciati ma per entrambi scattò l'obbligo di residenza fino alla fine della guerra. Vedi AUSSME, SIM, b. 74, f. 1-7-146 Organizzazione fascista a Brindisi, Organizzazione fascista a Brindisi, 3 maggio 1944, p. 1 e Relazione sulla presunta organizzazione fascista di Brindisi, 26 giugno 1944.
112 TNA, WO 204/12056 Squinzano fascist conspiracy, AMG court - Barletta spy case, 15 luglio 1944.
113 TNA, WO 204/12056 Squinzano fascist conspiracy, Organizzazione fascista di Barletta, 25 aprile 1944.
114 Ibidem.
115 TNA, WO 204/12056 Squinzano fascist conspiracy, Organizzazione fascista di Barletta, 25 aprile 1944, Allegato n. 1, p. 1.
116 ACS, DAG, 1944-1946, b. 45, f. Partito fascista repubblicano Bari, Barletta attività fascista, 12 settembre 1944.
117 Il caso Pignatelli lo troviamo descritto anche in G. Conti, La RSI e l'attività del fascismo clandestino nell'Italia liberata, pp. 954-964; G. Parlato, Fascisti senza Mussolini, pp. 55-69; A. Mammone, The black-shirt resistance, pp. 288-290; O. Foppani, The Allies and the Italian Social Republic (1943-1945), Berna, Peter Lang, 2011, pp. 87-103. K. Massara, Vivere pericolosamente, pp. 39-46; K. Massara, The ''indomitable'' Pignatellis, pp. 127-131; M. Avagliano, M. Palmieri, L’Italia di Salò 1943-1945, Bologna, Il Mulino, 2017, pp. 293-300.
118 ACS, DAG, 1944-1946, f. Partito fascista repubblicano Catanzaro vol. 2, Associazione filofascista scoperta in Catanzaro, 7 luglio 1944, pp. 1-2.
119 Ivi, p. 4.
120 Capocasale aveva inoltre provveduto a mettersi in contatto anche con il gruppo di Nicastro. ACS, DAG, 1944-1946, f. Partito fascista repubblicano Catanzaro vol. 2, Fascist reorganization in Calabria, s.d. [1944], p. 2-3.
121 Potrebbe riferirsi agli attentati contro le tipografie che stampavano i giornali ''Ora Nuova'' e ''Nuova Calabria'' di cui si è accennato sopra. ACS, ACC, Pignatelli May 1944-June 1946, General Survey, 26 Maggio 1944, Appendix ''G'' Review of the External Leads from the PIGNATELLI Case up to 19 May 1944, p. 2. Traduzione mia.
122 Luigi Filosa (Cosenza 1897-Cosenza 1981), figura di fascista sui generis, fu tra i fondatori dei Fasci in Calabria. Venne espulso dal partito già nel 1923, dopo essere stato eletto federale, per la sua linea intransigente repubblicana e rivoluzionaria, avvicinandosi in seguito agli ambienti antifascisti. Dopo essere stato condannato a 3 anni di confino, nel febbraio del 1943 decise di rientrare nel PNF. Vedi F. Mazza, Filosa, Luigi, in Dizionario Biografico degli italiani, vol. 48, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Roma, 1997, pp. 2-3.
123 ACS, DAG, 1944-1946, f. Partito fascista repubblicano Catanzaro vol. 2, Fascist reorganization in Calabria, s.d. [1944], p. 5.
124 ACS, DAG, 1944-1946, f. Partito fascista repubblicano Catanzaro vol. 1, Riorganizzazione fascista in Calabria, s.d. [1944], p. 5. Si tratta della traduzione del documento citato nella nota precedente.
125 Le frasi in codice sarebbero state «Ei fu, siccome immobile» e «Sparse le trecce morbide sull'affannoso petto». ACS, ACC, Pignatelli May 1944-June 1946, General Survey, 26 Maggio 1944, Appendix ''G'' Review of the External Leads from
the PIGNATELLI Case up to 19 May 1944, p. 2.
126 AUSSME, SIM, b. 103, fasc. 1-7-1426 Sospetta attività di gruppi repubblicani fascisti nel Sud Italia, Attività di gruppi repubblicani fascisti nel Sud Italia, 30 novembre 1944, p. 1.
127 G. Parlato, Fascisti senza Mussolini, p. 61.
128 A. Mammone, The black-shirt resistance, p. 290
129 V. Pignatelli, Il caso «Pace», oppure il caso «Dirigenti del MSI», Catanzaro, La Tipo Meccanica, 1948, p. 33-34. Parlato nel suo libro accenna a contatti con i gruppi di Bari e Barletta ma non è chiaro da quale fonte egli tragga questa informazione. G. Parlato, Fascisti senza Mussolini, p. 61.
130 AUSSME, SIM, b. 76, f. 1-7-142 Organizzazione fascista in Calabria, Promemoria per il sig. capitano Stanhope Wright, 16 dicembre 1944, p. 1.
131 V. Pignatelli, Il caso «Pace», p. 33 e AUSSME, SIM, f. Allegati alla pratica f. 1-7-142 Pignatelli, Processo verbale di interrogatorio di Valerio Pignatelli di Cerchiara, 28 maggio 1944, pp. 2-3.
132 La descrizione dei rapporti intrattenuti dai Pignatelli viene tracciata in G. Parlato, Fascisti senza Mussolini, pp. 60-61, che la riprende da G. Artieri, Mussolini e l'avventura repubblicana, Milano, Mondadori, 1981, pp. 246-247. Non è chiaro quali fonti l'autore utilizzi per raccontare il soggiorno napoletano dei Pignatelli. Pochi cenni dei suoi contatti con gli Alleati vengono offerti dallo stesso Pignatelli in Il caso «Pace», pp. 33-34.
133 V. Pignatelli, Il caso «Pace», p. 34.
134 Ibidem.
135 Emanuele si trovava a Roma da latitante perché aveva partecipato al Fronte militare clandestino di Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo. Vittorio invece era internato in un campo di concentramento tedesco perché aveva rifiutato di combattere per la RSI. La figlia Bona si trovava invece nella casa di amici di famiglia, i baroni Marincola di San Floro. La baronessa Josephine Pomeroy era cittadina americana nonché sorella dell'agente dell'OSS Livingston Pomeroy. Vittoria Odinzova era invece la vedova del terzo figlio di Maria Pignatelli, Francesco, adottata dai Pignatelli alla morte del figlio. Vedi G. Parlato, Fascisti senza Mussolini, p. 63 e pp. 327-328. Di Emanuele De Seta (il cognome del primo marito di Maria Pignatelli) ne parla diffusamente Peter Tompkins nella sua memoria Una spia a Roma.
136 AUSSME, SIM, b. 76, f. Allegati alla pratica 1-7-192, Relazione s.n., 5 luglio 1944, pp. 2-3.
137 Ivi, pp. 4-5. Per il fatto che Nuvolari fosse diventato, a quanto risulta, in seguito all'arresto dei Pignatelli fiduciario del SIM, vedi AUSSME, SIM, b. 76, f. 1-7-192 Organizzazione fascista in Calabria, Promemoria PIGNATELLI-Introduzione, 6 giugno 1944, p. 3. Per l'impiego del generale Accame nell'OSS vedi ivi, Il soggiorno a Napoli dei Principi Pignatelli, p. 3.
138 AUSSME, SIM, b. 76, f. Allegati alla pratica 1-7-192, Relazione s.n., 5 luglio 1944, pp. 5.
139 ACS, ACC, Pignatelli May 1944-June 1946, General Survey, 26 maggio 1944, Appendix ''C'' Interrogation report on Paolo Poletti, p. 2.
140 Risulta poco credibile l'incontro casuale «in the street of Naples» descritto nell'interrogatorio da Poletti. Ivi, p. 3.
141 Sembra che ad un iniziale rifiuto da parte di Poletti, dato l'imminente arrivo degli Alleati a Roma, la Principessa avesse finto di aver ricevuto un messaggio di aiuto via radio dalla Odinzova, la quale d'altronde era effettivamente in pericolo in quanto, essendo nata a San Pietroburgo, risultava come cittadina straniera nemica. Vedi AUSSME, SIM, b. 76, f. Allegati alla pratica 1-7-192, Relazione s.n., 5 luglio 1944, p. 5, e AUSSME, SIM, b. 76, f. 1-7-192 Organizzazione fascista in Calabria, Promemoria PIGNATELLI, 6 giugno 1944, Il soggiorno a Napoli dei Principi Pignatelli, pp. 2-3.
142 Si trattava, molto probabilmente, del figlio Vittorio internato in Germania, il quale avrebbe dovuto essere liberato grazie all'intervento di Barracu.
143 ACS, ACC, Pignatelli May 1944-June 1946, The ''Aspen'' Operations, 16 maggio 1944, p. 1.
144 Ibidem.
145 AUSSME, SIM, b. 76, f. Allegati alla pratica 1-7-192, Relazione s.n., 5 luglio 1944, pp. 6.
146 Ivi, p. 7.
147 L'incontro con Kesserling è anche annotato da Eugen Dollmann nelle sue memorie. Vedi E. Dollmann, Roma nazista, Milano, Longanesi, 1949, pp. 378-379.
148 «Military matters. State and extent of the Badoglio army: General Tapino is commander of the Italian troops fighting in Southern Italy whit his HQ in Avellino. Morale, care and pay of the Italian troops: Crown Prince Umberto, after visiting the Front, complained of the unusually high losses sustained by these Italian units». ACS, ACC, Pignatelli May 1944-June 1946, Interrogation of persons crossing over the front and utilization of reports of such persons, 3 maggio 1944. Si tratta della traduzione in inglese dei documenti tedeschi rinvenuti a Firenze.
149 ACS, ACC, Pignatelli May 1944-June 1946, Telegram from Huegel to Kappler, Princess Pignatelli, 22 aprile 1944.
150 Come vedremo in seguito è proprio a partire dai mesi centrali del 1944 che il lavoro dei servizi segreti tedeschi nel Sud Italia si fece più intenso e efficace, grazie anche alla nomina di Huegel a capo dell'Ausland-SD in Italia. Vedi C. Gentile, I servizi segreti tedeschi in Italia 1943-1945, p. 480.
151 La principessa negò nel corso degli interrogatori di essere riuscita ad incontrare il Duce mentre, secondo la testimonianza della figlia Bona e del marchese Marincola (che collaborano attivamente con gli Alleati arrivando a smentire le dichiarazioni della Pignatelli) al ritorno da Verona aveva confermato il colloquio con Mussolini. Anche secondo la fonte ''SURE'' che ragguaglierà i servizi angloamericani sul caso, la Pignatelli avrebbe incontrato il Duce. Una conferma in questo senso ci giunge anche dai documenti tedeschi ritrovati a Firenze, dai quali pare di capire che la Pignatelli abbia fatto tappa anche nella stessa Firenze in visita ad una certa Duchessa d'Aosta non meglio specificata. Vedi AUSSME, SIM, b. 76, f. Allegati alla pratica 1-7-192, Relazione s.n., 5 luglio 1944, pp. 9-10; ACS, ACC, Pignatelli May 1944-June 1946, General Survey, 26 maggio 1944, p. 1; ACS, ACC, Pignatelli May 1944-June 1946, Telegram from Huegel to Kappler, Princess Pignatelli, 22 aprile 1944.
152 Unità di controspionaggio in collaborazione tra X-2 (controspionaggio dell'OSS) e G-2 (controspionaggio dell'esercito statunitense). Vedi NARA, rg 226, e. 174, b.148, f. 1124, Prince and Princess Valerio Pignatelli, Paul Poletti and Vittoria Odinzova, p. 1.
153 ACS, ACC, Pignatelli May 1944-June 1946, General Survey, 26 maggio 1944, p. 1.
Nicola Tonietto, La genesi del neofascismo in Italia. Dal periodo clandestino alle manifestazioni per Trieste italiana. 1943-1953, Tesi di laurea, Università degli Studi di Trieste, anno accademico 2016-2017