Da questo centro del Canaletto uscirono i primi appelli scritti su carta-riso o ciclostilati, che venivano posti nelle cassette della posta, lanciati nei portoni, abbandonati sui sedili dei tram, nei locali pubblici, collocati vicino alle macchine operatrici delle fabbriche, perché li potessero leggere tutti e potessero giungere ai giovani affinché non si presentassero alla chiamata alle armi dei repubblichini. <69
Ma, qualche macchina da scrivere o qualche ciclostile, non potevano soddisfare il bisogno crescente di informazioni e di orientamento; di giorno in giorno si rivelava più forte la necessità di disporre di una tipografia.
Presentare ai cittadini un foglio stampato tipograficamente e non scritto con mezzi tanto comuni (come è una macchina dattilografica, che alla fin fine poteva anche essere adoperata da singoli, più o meno avventurosi), era come dare la prova che esisteva una organizzazione ben solida e responsabile.
Scartata l’idea di appoggiarsi a qualcuno degli operai delle tipografie ancora funzionanti, per la comprensibile ragione che esse erano sotto l’assiduo controllo di nazifascisti o anche per il fatto che fra le maestranze potesse esservi alcuno di cui non fidarsi, si decise di creare, con i mezzi che erano ancora tutti da trovare, una tipografia completamente nuova e clandestina.
Già tra il 1929 e il 1933, venne prescelto Lerici per il suo prevalente carattere di località balneare e turistica, senza presenza di fabbriche, dove quindi non si dava per temibile la presenza di una estesa, capillare e perciò forte organizzazione di classe operaia, capace di dar vita ad un delicato congegno quale è sempre un centro di stampa. <70
Per le stesse ragioni, Lerici fu ritenuto il luogo più idoneo, sia per sviare ogni e qualsiasi ricerca della base di produzione della stampa, sia per collegarsi più rapidamente con i centri più vivaci della lotta, con La Spezia e specialmente con i nuclei più forti e organizzati di antifascisti, come Pitelli, Muggiano, Canaletto e Melara, e poi ancora con Arcola e Sarzana, che erano da sempre i Comuni più antifascisti ed aperti alla diffusione della stampa clandestina.
Al compagno Argilio Bertella venne in mente che posto più sicuro per la tipografia non poteva essere che la vecchia villa appartenente ai Marchesi De Benedetti costruita ai primi dell’800 sui monti della Rocchetta. Lontano dalle vie di comunicazione più praticate, quel casamento era poco abitato dai padroni, già da molti anni, tanto che a Lerici se ne andava dimenticando l’esistenza.
La costruzione, ancora oggi difficile da trovare tanto la vegetazione la tiene nascosta, era immersa tra gli alberi di un parco, che già tendeva a inselvatichirsi; i contadini ed i pastori del posto denominavano ormai il luogo con il nome significativo di “Fodo”, termine che nel dialetto lericino significa appunto “sito in cui la vegetazione è fitta e fosca”.
Nel 1943 la villa era di proprietà dell’avvocato Fontana di Carrara. Le informazioni presto assunte diedero la favorevole conferma che il Fontana era avvicinabile perché nella sua città aveva aderito al movimento antifascista.
Recatosi nella sua casa, Alfredo Ghidoni (a cui venne affidata la responsabilità della Stampa e Propaganda e quindi dell’allestimento della tipografia clandestina di Lerici), contrattò l’affitto, che fu fatto figurare in testa a Merani Virgilio, costruttore di barche a vela, che agli occhi dei fascisti, poteva ben permettersi di affittare una villa per stabilirvisi con la sua famiglia, come sfollati. L’accorgimento funzionò.
Il compito di redattore e tipografo venne affidato a Tommaso Lupi.
Sotto il profilo operativo restavano però da risolvere difficili problemi iniziali e condizionanti: trovare e procurare la macchina tipografica, con il relativo corredo di caratteri e di materiale da composizione; trasportare tutto ciò, eludendo la vigilanza dei molti posti di blocco; approvvigionarsi della carta e dell’inchiostro; individuare il sito più sicuro per sistemarvi la tipografia, in maniera che a nessuno potesse venire in mente che potesse funzionarvi un apparato tecnico del genere.
La macchina, una vecchia pedalina, fu presa dalla tipografia Zappa in Via Duca di Genova (ora Fratelli Rosselli). Qualcuno aveva informato che era abbandonata, come un ammasso di ferro vecchio, in un cortile adiacente allo stabilimento e che il padrone era disposto a vendere.
La macchina tipografica, del peso di ben 7,5 quintali, venne caricata in un carro trainato da un robusto cavallo e celata sotto quantità sufficiente di fieno; poi con grande rischio trasportata sino alla villa.
Se si fosse presa la strada più diretta per Lerici, non si poteva dare ad intendere a nessuno che si portava un carico di ferro vecchio ad una fonderia, perché a Lerici non ve n’erano.
Si decise di percorrere la strada di collina: Termo, Baccano, Canarbino, Pitelli, Pugliola, Rocchetta; tragitto più lungo ma certo meno battuto dal pattugliamento tedesco e quindi più sicuro. Una volta arrivata a destinazione la macchina venne montata pezzo dietro pezzo a ritmo febbrile.
La stampa veniva effettuata prevalentemente nelle ore in cui vi era il coprifuoco; tuttavia il fracasso, che la vecchia macchina faceva, era notevole e non poteva non dare preoccupazione.
Il rumore di una macchina tipografica era tipico con la sua cadenza e facile quindi da essere individuato.
Si pensò subito ad utilizzare la grande cisterna vuota, sottostante all’aia lastricata, da molto tempo fuori uso, quindi non umida e in buone condizioni di praticabilità.
Quando l’imboccatura della cisterna era ben tappata con il suo coperchio, all’esterno quasi non si sentiva nulla e comunque quello che si sentiva risultava indistinguibile a chi passava da quelle parti.
Si decise quindi di trasferire la macchina nella cisterna, di murare l’imboccatura naturale e, per accedere al vano, di scavare una piccola galleria di collegamento nel muro che dava direttamente nel bosco, dove, tra l’altro, approfittando della sorpresa, nel caso che si presentassero i tedeschi o le brigate nere, ci si sarebbe potuti nascondere meglio.
Con molta fatica di scalpello fu aperto così un buco nella spessa parete della cisterna, e purtroppo tempo prezioso occorse per smontare la macchina, che altrimenti non avrebbe potuto essere calata attraverso l’imboccatura per collocarla poi nel nuovo ambiente. <71
Durante le operazioni di stampa, tenuto conto della rumorosità, era prevista la guardia costante di un compagno che, con un bastone battuto sull’aia sovrastante, avrebbe dato un eventuale segnale dall’allarme allo stampatore in cisterna. <72
Una volta superato il rischio dell’acquisto della macchina, si doveva affrontare di continuo quello dell’acquisto della carta. Detto approvvigionamento, realizzato ad opera di Ghidoni, risultò la più delicata operazione.
Non si poté contare su una disponibilità esistente in qualche grosso magazzino, anzi alla Spezia, dove non ci sono e non c’erano allora cartiere, c’era la più assoluta scarsità di carta. Chi ne avesse acquistato in quantità notevole e non fosse conosciuto come gestore di tipografia, avrebbe sicuramente suscitato sospetti.
Il pericolo restava sempre quello che individuassero dove ci si riforniva di carta e di qui potessero risalire alla base della stampa. Dovettero perciò adottare ogni possibile accorgimento per eludere gli appostamenti ed i pedinamenti predisposti sicuramente presso le cartolerie ed i magazzini di rivendita di carta.
Si pensò poi, ad acquistare e procurare fuori mano alcune casse di caratteri tipografici necessari per comporre. Li andò a comprare Lupi, a Pistoia.
Si badò che fossero nuovi di zecca, e non invece già usati, per rendere impossibile, anche alla più meticolosa indagine poliziesca, l’individuazione della provenienza della stampa che ne sarebbe uscita.
Questo particolare accorgimento di usare caratteri nuovissimi servì, infatti, a far risultare vani tutti i tentativi e le investigazioni promosse dai nazifascisti per risalire alla provenienza degli stampati. Quando essi cominciarono a circolare giunsero, per l’appunto, anche agli uffici dei comandi militari e polizieschi dei nazifascisti.
Quando, entro pochi giorni alla fine di novembre, il primo volantino uscì fresco d’inchiostro da quello che poco prima era soltanto un ammasso di ferraglia, l’animo di chi aveva contribuito a quell’impresa era colmo di legittimo orgoglio.
Piena era la loro consapevolezza di aver dotato il movimento di liberazione spezzino di un potente strumento di lotta capace di armare le coscienze e di concorrere a distruggere, con la forza del ragionamento e della verità dei fatti che si susseguivano, tutti i castelli di menzogne della martellante propaganda repubblichina, più di quanto non si era riusciti a fare, fino ad allora, con le sole macchine da scrivere o con i ciclostili.
Vennero stampati manifestini rivolti alternativamente ai lavoratori delle fabbriche, per appoggiare le loro rivendicazioni, alla popolazione, alle donne, ai giovani. Il linguaggio era rapido, conciso, tale da imprimersi subito nella mente anche a gente che leggesse furtivamente e con tutti gli accorgimenti necessari per non farsi sorprendere.
I lavoratori e gli antifascisti chiedevano ed avevano bisogno di questa stampa che li informasse della situazione politica interna ed estera, che li incitasse alla lotta contro il fascismo.
Chi leggeva la stampa offriva una quota a favore del Soccorso rosso (organizzazione che forniva aiuti ai militanti); nelle grandi fabbriche, specie nello stabilimento dell’OTO Melara, vi era una rete di attivisti, diffusori e raccoglitori di denaro, che in parte serviva per acquistare la carta e l’inchiostro. <73
Venne il giorno in cui si iniziò a stampare, seppure senza una regolare periodicità, addirittura una edizione spezzina dell’Unità, quattro povere paginette a due colonne e niente di più, ma ricche di carica ideale e attese per le informazioni, che davano sugli scioperi e sulle azioni contro i fascisti.
Giunsero dalla Francia, con cadenza mensile, sottili cliché in zinco fuso, tali da poter essere pressati nei coperchi delle valigie dei corrieri (spiegò Lupi che si era adottato tale accorgimento dopo che alcuni corrieri erano stati scoperti nel trasporto di pacchi di volantini nei doppi fondi delle valigie).
Col sistema del cliché inchiostrato, si appoggiava su questo un foglio bianco, poi lo si pressava con un rullo a secco; dopo di che occorreva far asciugare una notte i fogli così stampati per poi passare a stampare l’altra facciata. In tal modo su di un foglio di due pagine usciva l’Unità clandestina, con una tiratura di cinquecento o mille copie a seconda dei momenti. <74
Di indubbia maggiore efficacia risultò l’edizione spezzina. Si comprese che un organo di stampa locale sarebbe concretamente servito a dare prova della crescente efficienza che conseguiva il movimento partigiano.
L’immediatezza delle notizie avrebbe fatto comprendere ai resistenti a che cosa fosse servito l’apporto, all’apparenza anche modesto, che ogni singolo aveva dato.
I collegamenti con la tipografia erano un capolavoro di paziente e di intelligente tessitura. Niente fu affidato al caso: un solo passo falso avrebbe potuto pregiudicare irrimediabilmente non solo ciò che, con grande capacità politico-organizzativa, venne messo insieme a Lerici, ma forse tutta l’organizzazione politica clandestina nell’intera provincia, compresa quella militare.
Il tessuto dei collegamenti era complesso, a cominciare dal recapito dei testi manoscritti con le direttive e con le notizie pronte per la divulgazione e dal rifornimento del materiale necessario, nella quantità richiesta dalla ininterrotta produzione, per giungere poi alla fase di smistamento della stampa prodotta.
Il materiale non veniva finito di stampare, che subito si provvedeva a fare il piano per la distribuzione: gli stampati venivano depositati in due località prefissate, dove gli incaricati, che soli sapevano il sito, passavano a ritirarlo nelle ore più opportune. Uno di questi siti era alla Venere Azzurra e l’altro a Martino di Solaro, sempre nel comune di Lerici. Di lì la stampa perveniva nelle fabbriche e nelle varie zone della provincia, passando di mano in mano, da una persona all’altra, senza che si cercasse di conoscere da dove venisse, ma sapendo bene però dove fosse da portare.
Ci fu, in tutti coloro che furono protagonisti di quelle difficili battaglie, la piena consapevolezza che la stampa clandestina costituì, nello svolgersi degli avvenimenti più significativi della Resistenza spezzina, una delle prove più alte della capacità di lotta e di direzione politica della classe operaia e del complesso intrecciarsi della iniziativa antifascista nelle fabbriche e nella guerra partigiana, con le masse popolari e con altri ceti della città e della campagna.
I Tedeschi furenti per essere stati beffati per 4-5 mesi, non ebbero la benché minima idea di dove fosse questa così importante base degli antifascisti; era facile prevedere che un giorno o l’altro i tedeschi si sarebbero fatti vivi anche sui monti della Rocchetta, dai quali si dominava tutta la costa della Versilia, la piana di Luni e la foce del fiume Magra. <75
Nell’editoriale n. 10 dell’anno XXI, agosto 1944, dell’Unità, edizione della Spezia, che vene stampato alla Rocchetta proprio in quei giorni si leggeva: “La guerra è alle porte”. <76 Questa frase apriva le quattro pagine del giornaletto stampato proprio mentre i tedeschi stavano salendo alla Rocchetta, ed è anche l’unico, fra tutti quelli stampati precedentemente, di cui si conserva una copia.
Accesso alla cisterna della stamperia - Fonte: Amanda Antonini, Op. cit. infra |
[NOTE]
69 G. Fasoli, Una tipografia clandestina. Il centro stampa della Rocchetta di Lerici durante la lotta di liberazione, Edizioni Giacchè La Spezia 2006, p. 43-46
70 A. Giacchè, A. Bianchi, Tommaso Lupi partigiano, artefice della stampa clandestina antifascista, Edizioni Giacchè La Spezia, 2012, p. 13-25
71 G. Fasoli, Una tipografia clandestina. Il centro stampa della Rocchetta di Lerici durante la lotta di liberazione, Edizioni Giacchè La Spezia 2006, p. 51-59
72 A. Giacchè, A. Bianchi, Tommaso Lupi partigiano, artefice della stampa clandestina antifascista, Edizioni Giacchè La Spezia, 2012, p. 74-77
73 A. Giacchè, A. Bianchi, Tommaso Lupi partigiano, artefice della stampa clandestina antifascista, Edizioni Giacchè La Spezia, 2012, p. 33-35
74 G. Fasoli, Una tipografia clandestina. Il centro stampa della Rocchetta di Lerici durante la lotta di liberazione, Edizioni Giacchè La Spezia 2006, p. 64-69
75 M. Farina, La Spezia marzo 1944. Classe operaia e resistenza, Istituto storico della resistenza P.M. Beghi La Spezia 1976, p. 81-83
76 G. Fasoli, Una tipografia clandestina. Il centro stampa della Rocchetta di Lerici durante la lotta di liberazione, Edizioni Giacchè La Spezia 2006, p. 106-117
Caratteri tipografici utilizzati nella stamperia, rinvenuti dalla famiglia Gattoronchieri - Fonte: Amanda Antonini, Op. cit. infra |