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domenica 19 novembre 2023

La nascita dei GAP


Il 20 settembre 1943 a Milano in casa dei coniugi Morini nacque il Comando generale delle Brigate Garibaldi, alla presenza di Massola, Roasio, Novella, Negarville, Scotti, appena rientrato dalla Francia, e Secchia, giunto da Roma. Nei giorni successivi sarebbe arrivato anche Longo, mandando Negarville a Roma e assumendo la responsabilità militare delle Brigate del Pci, mentre Secchia era incaricato della guida politica. Nonostante la mancanza di un'effettiva struttura di partito in Italia, si scelse di rompere l'attesismo e lanciare nell'immediato l'attacco all'occupante e al suo collaboratore. Pur con supporti logistici da socialisti e azionisti, in Italia come in Francia, i comunisti risultano gli unici fautori del terrorismo urbano, mentre gli altri partiti antifascisti "non sono convinti della sua produttività, in termini di consenso da parte dei cittadini, e della praticabilità, in termini morali, del terrorismo urbano" <16. Per il PCI invece, l'esperienza di vita clandestina e di lotta in Francia fu di centrale importanza nella decisione di ricorrere a tale pratica, di cui conosceva già le modalità e i fini, ma anche i rischi e le difficoltà. La scelta di ricorrere alla guerriglia in città fu adottata consapevolmente, in accordo con il comportamento dei comunisti a livello europeo e con la convinzione di costituire l'avanguardia del movimento operaio nella liberazione. Una filiazione delle azioni dei GAP da quelle dei FTP, un filo diretto com'è dipinto da Amendola nel suo panegirico di Ilio Barontini, può forse essere valido sul piano strettamente personale, apparirebbe invece sul piano storiografico un salto deduttivo, in relazione alle scarse informazioni ufficiali sull'operato degli italiani a Marsiglia.
Per Amendola "l'azione all'albergo Terminus divenne l'azione compiuta dai Gap romani contro l'albergo Flora, con la stessa tecnica e l'ordigno gettato davanti alla coda della casa di tolleranza di Marsiglia, divenne l'ordigno gettato da Bentivegna davanti al cinema Barberini a Roma" <17.
Questi eventi potevano forse essere legati nella memoria del protagonista, che si servì del precedente di alcune azioni realizzate in Francia da comunisti italiani per la guerriglia in patria, ma, in assenza di testimonianze e riscontri documentari, tali parallelismi non possono valere sul piano storiografico. Si può tuttavia riconoscere che le strutture di un organismo già noto servirono da modello alla preparazione delle squadre deputate al terrorismo nelle città italiane. Santo Peli riconosce l'imprescindibilità dell'esperienza francese all'inizio della sua storia dei GAP, asserendo che "senza questi dirigenti, senza l'esperienza della concreta organizzazione della lotta armata nelle città di Lione, a Marsiglia, progettare la formazione dei Gap sarebbe stato impensabile" <18.
I comunisti passati per la Francia costituirono lo scheletro dei Gap ma dovettero scontrarsi in Italia con i nodi già presentatisi ai comunisti francesi, il timore delle rappresaglie, l'impreparazione della classe operaia italiana a questo tipo di lotta, la scarsità cronica dei reclutati. Com'era successo oltralpe infatti, la previsione di versare alla lotta armata in città il 10% dei propri effettivi fu impossibile da realizzare per tutta la durata dell'occupazione. La direzione comunista decise comunque che bisognava agire e i più versati nella lotta armata furono impiegati nell'attuazione della direttiva, colpire e sabotare il nemico in città sin dalle prime settimane. Anche i problemi logistici sorti in Francia, la necessità di documenti falsi, armi, vettovagliamenti e appartamenti, si ripresentarono in Italia, aggravati però dalla mancanza di una struttura clandestina preesistente alla lotta, come quella del PCF. I finanziamenti per i Gap vennero dai contributi richiesti ai tesserati al partito, ma anche dalle cosiddette azioni di recupero, ovvero rapine in banca o assalti alle caserme fasciste, esponendo i patrioti alla mescolanza con criminali comuni e con individui di dubbia moralità.
Ad ogni modo, il 25 ottobre Longo, telegrafando a Mosca sulle novità dell'estate e l'armistizio, poteva riferire sinteticamente "Sta nascendo la guerriglia" <19. Infatti le risorse umane più attive del partito erano mobilitate: sotto la guida di Longo e Secchia, Scotti era ispettore generale incaricato dell'organizzazione della lotta in Piemonte, Lombardia e Liguria, mentre a Roasio spettavano il Veneto, l'Emilia e la Toscana. Ritroveremo molti dei militanti addestrati in Spagna e Francia incaricati della costituzione delle singole brigate, mentre Ilio Barontini, prima di assumere la responsabilità militare in Emilia, viaggiò nelle principali città italiane per dare consigli ai comandanti di formazione e insegnare come fabbricare gli ordigni. Come in Francia quindi, non si attese di avere i mezzi e gli uomini necessari alla lotta, ma furono ampiamente dispiegate le risorse disponibili, nella convinzione che bisognasse agire subito, poiché spettava al partito il compito di innescare la miccia per l'azione delle masse.
Il 24 ottobre Ateo Garemi e l'anarchico Dario Cagno colpirono a morte Domenico Giardina, seniore della Milizia a Torino, e, catturati in seguito all'azione, lasciarono spazio al I Gap del Piemonte, guidato da Giovanni Pesce. Le prime azioni di Garemi e Cagno, che, pur avendo avuto contatti con il partito, non ne dipendevano, rientravano nell'ambito di azioni di disturbo da parte di un gruppo anarco-comunista, i cui obiettivi risultavano abbastanza casuali, come per altre cellule autonome, ad esempio Stella Rossa. Appunto per portare sotto la propria autorità la lotta urbana, il PCd'I convocò a Torino Remo Scappini in qualità di responsabile federale, Arturo Colombi, responsabile regionale, e Romano Bessone, commissario politico dei Gap per la città <20. Tutti e tre militanti di vecchia data, i primi due passati per Mosca, per l'emigrazione in Francia e la detenzione a Civitavecchia, Colombi anche per il confino a Ventotene. Bessone invece era nato nel vercellese nel 1903, operaio comunista dalla gioventù, era stato deferito al Tribunale Speciale nel 1927 per aver partecipato ad una riunione comunista nei pressi di Torino. Resosi latitante, fu arrestato il 25 ottobre 1930 e condannato a 16 anni di reclusione e 3 di libertà vigilata, ridotti poi a 7 per amnistia, fu scarcerato nell'ottobre 1935. Al momento dell'arresto dichiarò di essere tornato da Mosca e fu trovato in possesso di volantini comunisti. Durante la reclusione, a partire dal '32, gli fu impedito di tenere corrispondenza con Elodia Malservigi, dattilografa residente in Russia che dichiarò di aver sposato con rito sovietico a Nowieltz nel 1928. La sua scheda personale riporta che in carcere "tenne cattiva condotta politica, appalesandosi pericolosissimo comunista. Pertanto è stato incluso nel 2° elenco di sovversivi pericolosi da arrestare in determinate contingenze" <21. Infatti, dopo l'ingresso in guerra, il 20 luglio 1940, era stato inviato al confino a Ventotene, dove aveva ripreso contatto con i dirigenti confinati e da cui sarebbe stato liberato nell'agosto '43, poche settimane pima di ricevere la responsabilità della formazione dei Gap torinesi. La direzione fu invece affidata al venticinquenne Giovanni Pesce, che abbiamo incontrato tra i giovani accorsi in Spagna sette anni prima. Al rientro in Francia era tornato dalla famiglia nella regione della Gran Combe ma, vista la difficoltà di trovare lavoro e il timore di essere internato per la propria condizione di straniero comunista, entrò clandestinamente in Italia e fu arrestato a Torino il 23 marzo 1940. Trasferito a Ventotene sei mesi dopo, vi trovò compagni vecchi e nuovi: "Terracini, Scoccimarro, Secchia, Roveda, Frasin, Camilla Ravera, Spinelli, Ernesto Rossi, Li Causi, Pertini, Bauer, Curiel, Ghini" <22. In assenza di militanti provati da versare alla nascente formazione, Bessone e Pesce si volsero agli appartenenti a queste cellule di fabbrica spontanee, comuniste ma non legate alla linea di partito, reclutando giovani provenienti soprattutto dall'ambiente operaio.
In Lombardia invece, il comando regionale era assegnato alla metà di ottobre a Vittorio Bardini, responsabile politico, a Cesare Roda, responsabile tecnico, e ad Egisto Rubini, addetto alle operazioni. Il profilo di questi uomini è quello spesso incontrato nel nostro percorso: tutti sopra i 35 anni, divenuti nell'esilio rivoluzionari professionali, passati per la Spagna, e Rubini anche per i FTP del Sud della Francia. In questi parametri generali rientravano tutti i comandi regionali e i principali istruttori dei distaccamenti, che si esposero in un primo momento per dare l'esempio ai nuovi, sotto i trent'anni, che sarebbero stati i fautori del terrorismo urbano. Il primo obiettivo di grande rilievo fu Aldo Resega, responsabile della federazione del fascio a Milano, colpito dal primo nucleo operativo dei GAP milanesi, che sarebbe diventato il distaccamento Gramsci (Validio Mantovani Barbisìn, Carlo Camesasca Barbisùn, Antonio La Fratta Totò e Renato Sgorbaro Lupo). Come rileva Borgomaneri, autore del lavoro più completo sul terrorismo urbano a Milano, "il primo gappismo milanese nasce dalla fabbrica e affonda le proprie radici in quell'oscuro lavoro di agitazione, di propaganda e di proselitismo che l'organizzazione comunista è riuscita a tessere nel ventennio,[inoltre…] la prima forza combattente dei Gap è costituita da operai non più giovanissimi" <23. Essi erano infatti tutti operai dell'area di Sesto San Giovanni, il più giovane, Mantovani, aveva 29 anni, il più anziano, La Fratta, 35. I ragazzi, inesperti poco più che ventenni, sarebbero subentrati tra il gennaio e la primavera. Il 18 dicembre 1943, in concomitanza con uno sciopero che bloccava da giorni i principali stabilimenti milanesi, il federale venne atteso all'uscita della propria abitazione. La Fratta e Mantovani erano di guardia, uno accanto al portone e l'altro all'angolo della via, Camesasca e Sgorbaro nei pressi di un edicola leggevano un giornale, dietro il quale erano nascoste le armi. Resega venne colpito nel momento in cui il proprio cammino incrociava quello dei terroristi, che si affrettavano poi a raggiungere le biciclette e fuggire nel trambusto creato dagli spari. Le prime azioni, spesso improvvisate, rappresentavano per questi militanti, provati ma non temprati nella lotta, una prova del fuoco, lo scoglio da superare per altre azioni. Borgomaneri individua alla fine del '43 due distaccamenti, il Gramsci di Mantovani e il Cinque giornate di Oreste Ghirotti, composti ciascuno da tre squadre. Con le azioni iniziarono però anche le prime cadute. Il 19 dicembre Arturo Capettini, addetto alla logistica e ai rifornimenti di armi, fu arrestato. In seguito al rinvenimento di materiale bellico ed esplosivo nel suo magazzino di riparazione per biciclette, esso divenne una trappola per alcuni ragazzi del Cinque giornate, come Stefano Brau e Augusto Mori. L'individuazione di Sgorbaro portò inoltre all'isolamento del gruppo di Sesto, lasciando spazio alle azioni dei distaccamenti Matteotti e Rosselli, autori in gennaio di attacchi nei ritrovi tedeschi e mordi e fuggi in bicicletta. All'inizio di febbraio, per l'omicidio del nuovo questore di Milano, Camillo Santamaria Nicolini, fu richiamato il distaccamento Gramsci, del quale Camasasca e Mantovani erano stati promossi responsabile militare e politico. In questa fase più avanzata della guerriglia in città però, le autorità non si muovevano a piedi senza protezione: il piano prevedeva perciò di colpire Nicolini in auto da un'altra auto in corsa, una lancia Aprilia appositamente rubata a due tedeschi. L'azione, affidata ai giovani di Niguarda (Elio Sammarchi, Dino Giani e Sergio Bassi) ricorda ancora una volta come la riuscita di un colpo fosse questione di attimi, in cui non mancava l'intervento del caso. Un tram si interpose tra le due vetture e una frenata dell'autista di Nicolini impedì che venisse colpito. L'ultima azione di questa prima fase del gappismo milanese fu un attacco alla casa del fascio di Sesto San Giovanni il 10 febbraio 1944, compiuto con l'aiuto di un operaio della Breda infiltrato, Lacerra. Egli però, invece di lasciare la città (come previsto) si recò sul proprio posto di lavoro, dove fu arrestato due giorni dopo, portando ad una catena di arresti e delazioni che sbaragliò i gruppi di città, giungendo sino al vertice con la cattura di Bardini, Roda e Rubini. Quest'ultimo e Ghirotti si suicidarono in carcere dopo giorni di tortura. Il terrorismo urbano a Milano si sarebbe riacceso in estate, grazie alla riorganizzazione di Giovanni Pesce, che nell'inverno '43 era però ancora a Torino.
[NOTE]
16 Santo Peli, Storie di Gap, op.cit., pag. 31.
17 Amendola, Comunismo, Antifascismo, Resistenza, op.cit., pag. 364.
18 Santo Peli, Storie di Gap, op.cit., pag. 33.
19 Longo, op.cit., pag. 100-101.
20 Nicola Adduci, Il mito e la storia: Dante Di Nanni, in Studi Storici, fascicolo 4, settembre-ottobre 2012, pag. 260-262.
21 Acs, Cpc, fascicolo personale, busta 591
22 Giovanni Pesce, Senza Tregua. La guerra dei GAP, Feltrinelli, Milano 1967, pag. 161.
23 Luigi Borgomaneri, Due inverni, un'estate e la rossa primavera. Le Brigate Garibaldi a Milano e provincia. 1943-1945, Franco Angeli, Milano, 1995, pag. 24.
Elisa Pareo, "Oggi in Francia, domani in Italia!" Il terrorismo urbano e il PCd'I dall'esilio alla Resistenza, Tesi di laurea magistrale, Università degli Studi di Pisa, 2019

sabato 4 febbraio 2023

I militi fascisti giunsero a Poggiolo, attraverso i boschi, senza essere avvistati

Castelletto Uzzone (CN). Fonte: Langhe.net

Ma l’episodio più tragico avvenne proprio negli ultimi giorni, il 20 aprile, quando gli arditi del III° Gruppo Esplorante della “San Marco”, travestiti da partigiani, colsero di sorpresa tra Castelletto Uzzone (CN) e Monesiglio (CN) le difese autonome. Molti uomini caddero in combattimento: i prigionieri furono torturati e uccisi. Alla fine della giornata la brigata aveva perso qualcosa come 24 volontari, ma ciò non provocò sbandamenti di sorta e l’unità poté prendere parte alla liberazione della Val Bormida, come vedremo più avanti.
Stefano d’Adamo, Savona Bandengebiet - La rivolta di una provincia ligure ('43-'45), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Milano, Anno accademico 1999/2000



Siamo al 20 aprile 1945, cinque giorni prima della Liberazione. La fine della guerra era nell’aria. Radio Londra aveva trasmesso la notizia della ripresa delle attività alleate sul fronte italiano e informava regolarmente sulla loro rapida avanzata.
La guerra, per noi, stava veramente per finire. Tutti ne eravamo a conoscenza.
Proprio a quattro passi da casa nostra, lungo la Strada Cairo-Cortemilia, a Castelletto Uzzone, e per l’esattezza nei pressi della frazione di Poggiolo, era stanziato un distaccamento partigiano appartenente alla Brigata Savona. Meno di quaranta uomini.
Sapevano che gli avversari stavano ormai capitolando. Con tutta probabilità, sentendosi ormai al sicuro e ritenendo che i loro avversari non avessero più intenzione di fare attacchi a sorpresa, avevano anche allentato le misure di sicurezza.
Invece, proprio nel pieno della notte del 20 aprile, cinquanta italiani della GNR, comandati dal capitano Giovanni Ferraris, assieme ad altri cinquanta del 3° Gruppo Esplorante della Divisione San Marco, comandati dal tenente colonnello Vito Marcianò, partendo da Monesiglio, nell’altra valle, dove erano stanziati, giunsero a Poggiolo, attraverso i boschi, senza essere avvistati. Si appostarono strategicamente e, fatto giorno, attaccarono incominciando a sparare dal basso. Presi alla sprovvista i partigiani tentarono lo sganciamento verso l’alto, ma finirono sotto i colpi di quelli che si erano appostati al di sopra. Risposero al fuoco, ma dovettero soccombere.
Molti caddero feriti e, come dimostra il referto medico legale, furono uccisi e sfigurati da violenti colpi inferti sulla testa con scarpate e con il calcio dei fucili. Fu un’orrenda carneficina.
Le vittime furono:
Remo Briata, di Cairo Montenotte
Aldo Coccoli, da Brescia
Alessandro Caroli, da Rimini
Silvio Catellani, da Reggio Emilia
Pietro Guarriento, da Agna PD
Leonardo Nobili, da Gorgonzola
Salvatore Michele, da Lavello PT
Giuseppe Schipani, da Crotone
Vincenzo Verrando, da Bordighera.
Si salvarono soltanto quei partigiani che tentarono la fuga verso Cortemilia.  Undici di quelli che si avviarono verso l’alto, rimasti senza munizioni, dovettero arrendersi.
Fatti prigionieri, per loro iniziarono subito feroci sevizie. Portati a Monesiglio, il giorno dopo sono stati fucilati uno per volta e seppelliti in una fossa comune. Soltanto uno di loro, riconosciuto come un ex milite della San Marco, fu impiccato al ponte di Monesiglio.
Questi i loro nomi:
Guido Ferraro, da Cairo Montenotte
Francesco Arcidiacono, da Palermo
Luciano Caponi, da Milano
Osvaldo Cigliuti, da Savona
Nicola De Palma, da Bari
Anselmo Dodi, da Reggio Calabria
Luigi Gibia, da Vercelli
Bruno Manzini, da Reggio Emilia
Nino Mezzadra, da Pavia
Arturo Saetti, da Rovigo
Salvatore Impellizzeri, da Enna
Cinque giorni dopo finiva la guerra. Qualcuno di loro la fece franca. Altri furono catturati e processati dalla Corte d’Assise di Cuneo, accusati di una lunga lista di delitti. Alcuni furono condannati a morte, altri all’ergastolo. Poi intervennero gli atti di clemenza e tornarono tutti liberi.
Gianfranco Sangalli, I ricordi di un vecchio bacucco, Le Rive della Bormida (immagini di Cairo e dintorni), 9 dicembre 2019

Nella giornata di ieri sabato 4 giugno si è svolta nel paese di Castelletto Uzzone la Cerimonia in ricordo dell'eccidio nazifascista, avvenuto il 20 aprile 1945 e dove caddero dieci partigiani combattenti.
La Cerimonia è iniziata  con la deposizione di una corona di alloro da parte del Sindaco di Castelletto Annamaria Molinari e con l'onore ai caduti alla presenza di un picchetto del Corpo Militare della Croce Rossa e la benedizione del cippo partigiano.
La seconda parte della Cerimonia si è svolta nella Sala Consigliare, dopo i saluti Istituzionali da parte del Sindaco di Castelletto Uzzone e dei rappresentanti dei Comuni di Cairo Montenotte con l'Assessore Alberto Poggio e del Consigliere Comunale in rappresentanza del Comune di Vado Ligure Sergio Verdino, si sono succeduti gli interventi delle Sezioni Anpi di Cairo Montenotte e Vado Ligure, dove è stato ricordato il partigiano Schipani Giuseppe "audace"e il partigiano Dario Ferrando "Aldo", ancora vivente.
Al termine della Cerimonia sono stati consegnati alcuni riconoscimenti da parte dell'Amministrazione Comunale e dell'Anpi ai famigliari del partigiano Schipani Giuseppe e degli altri sopravvissuti a quel barbaro eccidio avvenuto a pochi giorni della Liberazione.
Redazione, Vado Ligure: Cerimonia in ricordo dell'eccidio partigiano di Castelletto Uzzone, Savona news.it, 5 giugno 2016

Monesiglio (CN). Fonte: mapio.net

Lanfrit Gioacchino, milite della Compagnia OP di Imperia.
Deposizione di Lanfrit Gioacchino del 20.3.1946: Un giorno siamo partiti per un’azione di rastrellamento nella zona di Castelletto Uzzone. Giunti nei pressi di Pruneto, il comandante della compagnia, Capitano Ferraris, divise la compagnia in due gruppi, del primo, comandato dallo stesso Ferraris, facevo parte anch’io. Il gruppo si portò su una altura, vicino ad una casa. In questa operazione il Ferraris, traendo in inganno i partigiani, li aggirò alle spalle, facendo capire loro che eravamo anche noi partigiani. Quando i partigiani si sono accorti del trucco hanno ingaggiato battaglia ma ormai era troppo tardi. Nel combattimento trovava la morte il milite Zappella Pietro e rimaneva ferito il milite Agnello Giuseppe. Da parte partigiana rimaneva una decina di morti mentre altri 11 vennero catturati e accompagnati a Monesiglio, ove vennero rinchiusi in una stanza. Io mi recai a vedere i catturati e vidi che Zappella Lorenzo, fratello del nostro caduto, con il milite Agnello li picchiavano barbaramente. Il Ferraris interrogò quindi i prigionieri ed uno di questi fu accompagnato sul ponte di Monesilio ove venne impiccato e ricordo che gli esecutori furono i militi Zappella, Bardelloni Primo e Agnesi Luigi. Gli altri dieci prigionieri vennero fucilati a gruppi di cinque nei pressi del cimitero di Monesilio e messi poi in due fosse comuni.
Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione, Vol. 9 - Liguria: Imperia - Savona - La Spezia, StreetLib, Milano, 2019 
 
Nel 1943 il Tenente Giovanni Ferraris, nato nel dicembre del 1916, si trovava ad Imperia nel 41° Reggimento di Fanteria. Dopo gli avvenimenti dell'8 settembre fu fra i primi e più convinti ad aderire alla R.S.I. - Il ricostruendo partito fascista provvide subito a nominare il tenente colonello Bussi comandante della G.N.R. di Imperia e questi affidò al tenente Ferraris il comando di una costituenda Compagnia di Ordine Pubblico.
La C.O.P. aveva il compito primario di dare la caccia ai partigiani e di scovare i renitenti alla leva che si tenevano nascosti.
La compagnia raggiunse ben presto un organico di 150 unità, ma gli elementi su cui il Ferraris poteva realmente fare pieno affidamento non superarono mai le trenta unità.
Questi erano veramente militi fedelissimi ed a loro vennero imputate le maggiori nefandezze compiute nel prosieguo delle loro attività.
Pur dipendendo gerarchicamente dal Capo della Provincia, la C.O.P. godeva della più ampia autonomia decisionale ed ebbe modo di dimostrarlo molto presto, distinguendosi nella lotta contro i partigiani. Questo valse al Ferraris la promozione a Capitano. Gli stessi tedeschi, ammirati dalla sua audacia, gli conferirono più di una onoreficenza.
Il reparto O.P. aveva stanza a Chiusavecchia, dove rimase per lunghi mesi. Era però dotato di una grande mobilità e per lunghi mesi creò il terrore nella zona, massacrando, impiccando e uccidendo nel modo più truce i partigiani che catturava.
Su ordine del comando tedesco la maggior parte Compagnia O.P. nel gennaio del 1945 viene trasferita a Monesiglio per combattere i partigiani delle Langhe. Anche in questa zona instaurano il terrore fra la popolazione civile, bruciando case isolate e intere borgate, uccidendo partigiani. La loro ultima impresa a Poggiolo di Castelletto Uzzone dove sorprendono un gruppo di partigiani, ne massacrano subito dieci, altri undici vengono catturati e giustiziati il giorno dopo a Monesiglio. Uno di loro, riconosciuto come ex commilitone, viene impiccato al ponte del paese. Dopo cinque giorni era il 25 aprile!
ghirghi, La banda Ferraris, La Resistenza in provincia di Savona e zone limitrofe, 5 ottobre 2009