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domenica 19 novembre 2023

La nascita dei GAP


Il 20 settembre 1943 a Milano in casa dei coniugi Morini nacque il Comando generale delle Brigate Garibaldi, alla presenza di Massola, Roasio, Novella, Negarville, Scotti, appena rientrato dalla Francia, e Secchia, giunto da Roma. Nei giorni successivi sarebbe arrivato anche Longo, mandando Negarville a Roma e assumendo la responsabilità militare delle Brigate del Pci, mentre Secchia era incaricato della guida politica. Nonostante la mancanza di un'effettiva struttura di partito in Italia, si scelse di rompere l'attesismo e lanciare nell'immediato l'attacco all'occupante e al suo collaboratore. Pur con supporti logistici da socialisti e azionisti, in Italia come in Francia, i comunisti risultano gli unici fautori del terrorismo urbano, mentre gli altri partiti antifascisti "non sono convinti della sua produttività, in termini di consenso da parte dei cittadini, e della praticabilità, in termini morali, del terrorismo urbano" <16. Per il PCI invece, l'esperienza di vita clandestina e di lotta in Francia fu di centrale importanza nella decisione di ricorrere a tale pratica, di cui conosceva già le modalità e i fini, ma anche i rischi e le difficoltà. La scelta di ricorrere alla guerriglia in città fu adottata consapevolmente, in accordo con il comportamento dei comunisti a livello europeo e con la convinzione di costituire l'avanguardia del movimento operaio nella liberazione. Una filiazione delle azioni dei GAP da quelle dei FTP, un filo diretto com'è dipinto da Amendola nel suo panegirico di Ilio Barontini, può forse essere valido sul piano strettamente personale, apparirebbe invece sul piano storiografico un salto deduttivo, in relazione alle scarse informazioni ufficiali sull'operato degli italiani a Marsiglia.
Per Amendola "l'azione all'albergo Terminus divenne l'azione compiuta dai Gap romani contro l'albergo Flora, con la stessa tecnica e l'ordigno gettato davanti alla coda della casa di tolleranza di Marsiglia, divenne l'ordigno gettato da Bentivegna davanti al cinema Barberini a Roma" <17.
Questi eventi potevano forse essere legati nella memoria del protagonista, che si servì del precedente di alcune azioni realizzate in Francia da comunisti italiani per la guerriglia in patria, ma, in assenza di testimonianze e riscontri documentari, tali parallelismi non possono valere sul piano storiografico. Si può tuttavia riconoscere che le strutture di un organismo già noto servirono da modello alla preparazione delle squadre deputate al terrorismo nelle città italiane. Santo Peli riconosce l'imprescindibilità dell'esperienza francese all'inizio della sua storia dei GAP, asserendo che "senza questi dirigenti, senza l'esperienza della concreta organizzazione della lotta armata nelle città di Lione, a Marsiglia, progettare la formazione dei Gap sarebbe stato impensabile" <18.
I comunisti passati per la Francia costituirono lo scheletro dei Gap ma dovettero scontrarsi in Italia con i nodi già presentatisi ai comunisti francesi, il timore delle rappresaglie, l'impreparazione della classe operaia italiana a questo tipo di lotta, la scarsità cronica dei reclutati. Com'era successo oltralpe infatti, la previsione di versare alla lotta armata in città il 10% dei propri effettivi fu impossibile da realizzare per tutta la durata dell'occupazione. La direzione comunista decise comunque che bisognava agire e i più versati nella lotta armata furono impiegati nell'attuazione della direttiva, colpire e sabotare il nemico in città sin dalle prime settimane. Anche i problemi logistici sorti in Francia, la necessità di documenti falsi, armi, vettovagliamenti e appartamenti, si ripresentarono in Italia, aggravati però dalla mancanza di una struttura clandestina preesistente alla lotta, come quella del PCF. I finanziamenti per i Gap vennero dai contributi richiesti ai tesserati al partito, ma anche dalle cosiddette azioni di recupero, ovvero rapine in banca o assalti alle caserme fasciste, esponendo i patrioti alla mescolanza con criminali comuni e con individui di dubbia moralità.
Ad ogni modo, il 25 ottobre Longo, telegrafando a Mosca sulle novità dell'estate e l'armistizio, poteva riferire sinteticamente "Sta nascendo la guerriglia" <19. Infatti le risorse umane più attive del partito erano mobilitate: sotto la guida di Longo e Secchia, Scotti era ispettore generale incaricato dell'organizzazione della lotta in Piemonte, Lombardia e Liguria, mentre a Roasio spettavano il Veneto, l'Emilia e la Toscana. Ritroveremo molti dei militanti addestrati in Spagna e Francia incaricati della costituzione delle singole brigate, mentre Ilio Barontini, prima di assumere la responsabilità militare in Emilia, viaggiò nelle principali città italiane per dare consigli ai comandanti di formazione e insegnare come fabbricare gli ordigni. Come in Francia quindi, non si attese di avere i mezzi e gli uomini necessari alla lotta, ma furono ampiamente dispiegate le risorse disponibili, nella convinzione che bisognasse agire subito, poiché spettava al partito il compito di innescare la miccia per l'azione delle masse.
Il 24 ottobre Ateo Garemi e l'anarchico Dario Cagno colpirono a morte Domenico Giardina, seniore della Milizia a Torino, e, catturati in seguito all'azione, lasciarono spazio al I Gap del Piemonte, guidato da Giovanni Pesce. Le prime azioni di Garemi e Cagno, che, pur avendo avuto contatti con il partito, non ne dipendevano, rientravano nell'ambito di azioni di disturbo da parte di un gruppo anarco-comunista, i cui obiettivi risultavano abbastanza casuali, come per altre cellule autonome, ad esempio Stella Rossa. Appunto per portare sotto la propria autorità la lotta urbana, il PCd'I convocò a Torino Remo Scappini in qualità di responsabile federale, Arturo Colombi, responsabile regionale, e Romano Bessone, commissario politico dei Gap per la città <20. Tutti e tre militanti di vecchia data, i primi due passati per Mosca, per l'emigrazione in Francia e la detenzione a Civitavecchia, Colombi anche per il confino a Ventotene. Bessone invece era nato nel vercellese nel 1903, operaio comunista dalla gioventù, era stato deferito al Tribunale Speciale nel 1927 per aver partecipato ad una riunione comunista nei pressi di Torino. Resosi latitante, fu arrestato il 25 ottobre 1930 e condannato a 16 anni di reclusione e 3 di libertà vigilata, ridotti poi a 7 per amnistia, fu scarcerato nell'ottobre 1935. Al momento dell'arresto dichiarò di essere tornato da Mosca e fu trovato in possesso di volantini comunisti. Durante la reclusione, a partire dal '32, gli fu impedito di tenere corrispondenza con Elodia Malservigi, dattilografa residente in Russia che dichiarò di aver sposato con rito sovietico a Nowieltz nel 1928. La sua scheda personale riporta che in carcere "tenne cattiva condotta politica, appalesandosi pericolosissimo comunista. Pertanto è stato incluso nel 2° elenco di sovversivi pericolosi da arrestare in determinate contingenze" <21. Infatti, dopo l'ingresso in guerra, il 20 luglio 1940, era stato inviato al confino a Ventotene, dove aveva ripreso contatto con i dirigenti confinati e da cui sarebbe stato liberato nell'agosto '43, poche settimane pima di ricevere la responsabilità della formazione dei Gap torinesi. La direzione fu invece affidata al venticinquenne Giovanni Pesce, che abbiamo incontrato tra i giovani accorsi in Spagna sette anni prima. Al rientro in Francia era tornato dalla famiglia nella regione della Gran Combe ma, vista la difficoltà di trovare lavoro e il timore di essere internato per la propria condizione di straniero comunista, entrò clandestinamente in Italia e fu arrestato a Torino il 23 marzo 1940. Trasferito a Ventotene sei mesi dopo, vi trovò compagni vecchi e nuovi: "Terracini, Scoccimarro, Secchia, Roveda, Frasin, Camilla Ravera, Spinelli, Ernesto Rossi, Li Causi, Pertini, Bauer, Curiel, Ghini" <22. In assenza di militanti provati da versare alla nascente formazione, Bessone e Pesce si volsero agli appartenenti a queste cellule di fabbrica spontanee, comuniste ma non legate alla linea di partito, reclutando giovani provenienti soprattutto dall'ambiente operaio.
In Lombardia invece, il comando regionale era assegnato alla metà di ottobre a Vittorio Bardini, responsabile politico, a Cesare Roda, responsabile tecnico, e ad Egisto Rubini, addetto alle operazioni. Il profilo di questi uomini è quello spesso incontrato nel nostro percorso: tutti sopra i 35 anni, divenuti nell'esilio rivoluzionari professionali, passati per la Spagna, e Rubini anche per i FTP del Sud della Francia. In questi parametri generali rientravano tutti i comandi regionali e i principali istruttori dei distaccamenti, che si esposero in un primo momento per dare l'esempio ai nuovi, sotto i trent'anni, che sarebbero stati i fautori del terrorismo urbano. Il primo obiettivo di grande rilievo fu Aldo Resega, responsabile della federazione del fascio a Milano, colpito dal primo nucleo operativo dei GAP milanesi, che sarebbe diventato il distaccamento Gramsci (Validio Mantovani Barbisìn, Carlo Camesasca Barbisùn, Antonio La Fratta Totò e Renato Sgorbaro Lupo). Come rileva Borgomaneri, autore del lavoro più completo sul terrorismo urbano a Milano, "il primo gappismo milanese nasce dalla fabbrica e affonda le proprie radici in quell'oscuro lavoro di agitazione, di propaganda e di proselitismo che l'organizzazione comunista è riuscita a tessere nel ventennio,[inoltre…] la prima forza combattente dei Gap è costituita da operai non più giovanissimi" <23. Essi erano infatti tutti operai dell'area di Sesto San Giovanni, il più giovane, Mantovani, aveva 29 anni, il più anziano, La Fratta, 35. I ragazzi, inesperti poco più che ventenni, sarebbero subentrati tra il gennaio e la primavera. Il 18 dicembre 1943, in concomitanza con uno sciopero che bloccava da giorni i principali stabilimenti milanesi, il federale venne atteso all'uscita della propria abitazione. La Fratta e Mantovani erano di guardia, uno accanto al portone e l'altro all'angolo della via, Camesasca e Sgorbaro nei pressi di un edicola leggevano un giornale, dietro il quale erano nascoste le armi. Resega venne colpito nel momento in cui il proprio cammino incrociava quello dei terroristi, che si affrettavano poi a raggiungere le biciclette e fuggire nel trambusto creato dagli spari. Le prime azioni, spesso improvvisate, rappresentavano per questi militanti, provati ma non temprati nella lotta, una prova del fuoco, lo scoglio da superare per altre azioni. Borgomaneri individua alla fine del '43 due distaccamenti, il Gramsci di Mantovani e il Cinque giornate di Oreste Ghirotti, composti ciascuno da tre squadre. Con le azioni iniziarono però anche le prime cadute. Il 19 dicembre Arturo Capettini, addetto alla logistica e ai rifornimenti di armi, fu arrestato. In seguito al rinvenimento di materiale bellico ed esplosivo nel suo magazzino di riparazione per biciclette, esso divenne una trappola per alcuni ragazzi del Cinque giornate, come Stefano Brau e Augusto Mori. L'individuazione di Sgorbaro portò inoltre all'isolamento del gruppo di Sesto, lasciando spazio alle azioni dei distaccamenti Matteotti e Rosselli, autori in gennaio di attacchi nei ritrovi tedeschi e mordi e fuggi in bicicletta. All'inizio di febbraio, per l'omicidio del nuovo questore di Milano, Camillo Santamaria Nicolini, fu richiamato il distaccamento Gramsci, del quale Camasasca e Mantovani erano stati promossi responsabile militare e politico. In questa fase più avanzata della guerriglia in città però, le autorità non si muovevano a piedi senza protezione: il piano prevedeva perciò di colpire Nicolini in auto da un'altra auto in corsa, una lancia Aprilia appositamente rubata a due tedeschi. L'azione, affidata ai giovani di Niguarda (Elio Sammarchi, Dino Giani e Sergio Bassi) ricorda ancora una volta come la riuscita di un colpo fosse questione di attimi, in cui non mancava l'intervento del caso. Un tram si interpose tra le due vetture e una frenata dell'autista di Nicolini impedì che venisse colpito. L'ultima azione di questa prima fase del gappismo milanese fu un attacco alla casa del fascio di Sesto San Giovanni il 10 febbraio 1944, compiuto con l'aiuto di un operaio della Breda infiltrato, Lacerra. Egli però, invece di lasciare la città (come previsto) si recò sul proprio posto di lavoro, dove fu arrestato due giorni dopo, portando ad una catena di arresti e delazioni che sbaragliò i gruppi di città, giungendo sino al vertice con la cattura di Bardini, Roda e Rubini. Quest'ultimo e Ghirotti si suicidarono in carcere dopo giorni di tortura. Il terrorismo urbano a Milano si sarebbe riacceso in estate, grazie alla riorganizzazione di Giovanni Pesce, che nell'inverno '43 era però ancora a Torino.
[NOTE]
16 Santo Peli, Storie di Gap, op.cit., pag. 31.
17 Amendola, Comunismo, Antifascismo, Resistenza, op.cit., pag. 364.
18 Santo Peli, Storie di Gap, op.cit., pag. 33.
19 Longo, op.cit., pag. 100-101.
20 Nicola Adduci, Il mito e la storia: Dante Di Nanni, in Studi Storici, fascicolo 4, settembre-ottobre 2012, pag. 260-262.
21 Acs, Cpc, fascicolo personale, busta 591
22 Giovanni Pesce, Senza Tregua. La guerra dei GAP, Feltrinelli, Milano 1967, pag. 161.
23 Luigi Borgomaneri, Due inverni, un'estate e la rossa primavera. Le Brigate Garibaldi a Milano e provincia. 1943-1945, Franco Angeli, Milano, 1995, pag. 24.
Elisa Pareo, "Oggi in Francia, domani in Italia!" Il terrorismo urbano e il PCd'I dall'esilio alla Resistenza, Tesi di laurea magistrale, Università degli Studi di Pisa, 2019

mercoledì 23 marzo 2022

La creazione del Centro interno del PCd’I non fu priva di contrasti


Alla metà del 1943 i militanti del PCd’I erano dunque in procinto di intraprendere il passaggio in Italia a lungo atteso. Il ritorno di molti dei comunisti italiani desiderosi di combattere il fascismo avvenne tramite un percorso sulle Alpi trovato da Amerigo Clocchiatti e Domenico Tomat, i primi ad averlo utilizzato nel ’42 per rientrare e prendere contatto con Massola. Le principali informazioni in proposito provengono dall’autobiografia di Clocchiatti, friulano cresciuto a poca distanza dal fronte della prima guerra mondiale, espatriato prima in Francia e poi in Belgio senza che il Cpc riuscisse a registrare i suoi spostamenti in maniera esaustiva. Tracciare un percorso sulle montagne evitando i controlli alla frontiera non fu un’impresa facile, e costò ai due incaricati, e alla guida Giulio Albini, faticose scalate tra rocce gelate. Si partiva da Saint-Martin-Vésubie e si saliva su per il monte Clapier, già oltre la frontiera, ma non si trovava un sentiero per scendere; alla fine Albini mise a punto il tragitto ripiegando attorno al monte e giungendo a Tetto Coletta, dove la casa di una contadina serviva da base di approdo per scendere a Vernante, da cui si prendeva il treno per Torino. Grazie a questo tragitto rientrarono Negarville e Roasio nel gennaio ’43 e Novella e Amendola in aprile, in questo modo “tutto il Centro estero [era stato] trasferito in Italia, per costituire nel paese un Centro interno di direzione politica e organizzativa”. Così, nell’ottica dei comunisti italiani, le peregrinazioni, la Spagna, gli arresti e la Resistenza francese furono importanti esperienze di vita e di lotta, trascorse però in attesa del ritorno e della guerra contro il fascismo, anelata e preparata per vent’anni tra le asprezze della vita quotidiana in terra straniera.
[...] I fuoriusciti rientrati costituirono la prima componente per la strutturazione della Resistenza italiana, nell’estate’ 43 in attesa di ricongiungersi con la seconda, gli esponenti del PCI incarcerati o confinati in Italia.
La terza componente furono invece le giovani generazioni che entrarono nel partito negli ultimi anni del fascismo o nelle prime fasi della Resistenza <1. I giovani avvicinatisi alle idee o ai gruppi comunisti che andavano creandosi in Italia già prima della caduta del fascismo provenivano da classi sociali differenti, ma avevano spesso alle spalle un clima antifascista. In particolare a Torino e Milano le fabbriche e i quartieri operai costituirono un fertile retroterra per la nuova generazione antifascista, dalla quale sarebbero emersi anche i principali gappisti. Non mancarono però fra i neocomunisti, e tra i terroristi urbani, giovani intellettuali o studenti. Ne sono un esempio il gruppo romano, in cui spiccano i nomi di Aldo Natoli, Lucio Lombardo Radice, Mario Licata e Pietro Ingrao, e i giovani antifascisti della Normale di Pisa, come Alessandro Natta e Mario Spinella; ma anche, Giovanni Giolitti, Matteo Sandretti, Ennio Carando e Ludovico Geymonat, che gravitavano a Torino attorno alla casa editrice Einaudi. Gli ultimi due insegnavano inoltre nello stesso liceo di Cesare Pavese, che conosceva Luigi Capriolo, membro del PCI, cui presentò il giovanissimo ufficiale Giaime Pintor. Alcuni di loro furono confinati negli ultimi anni trenta o all’inizio della guerra, e ricevettero a Ventotene l’educazione comunista. Le carceri e il confino furono infatti per i comunisti luoghi di studio e dibattito interno, in cui i nuovi antifascisti della fine degli anni ’30 vennero a contatto con i vecchi, personalità del calibro di Luigi Longo, Mauro Scoccimarro, Pietro Secchia e Gerolamo Li Causi.
A livello internazionale, la metà del ’43 fu la fase che decretò il trionfo dell’unità e dei fronti nazionali. A Casablanca Churchill, Roosevelt e Stalin avevano stabilito l’obiettivo della resa incondizionata per i nemici sconfitti e avevano concordato per giugno lo sbarco in Sicilia. Stalin teneva inoltre all’apertura del fronte decisivo in Francia e, a differenza degli altri due, era disposto a riconoscere il CFLN di De Gaulle e Giraud. In questo clima di grande alleanza, si colloca lo scioglimento del Komintern, deciso dal presidium il 15 maggio e reso pubblico il 22. La mossa serviva a ottenere la fiducia degli anglo-americani ma anche a garantire l’autonomia dei partiti comunisti nella conduzione delle guerre di liberazione nazionale in corso. Resta invariato anche con lo scioglimento dell’Internazionale comunista il fatto che “l’egemonia dell’Urss sul movimento comunista internazionale […] è indiscussa”; “la convinzione che Stalin resti il capo dei lavoratori, il capo del comunismo internazionale, si esprime in tutti i modi e i dirigenti dei massimi partiti comunisti […] sono quadri formatisi sotto la sua direzione e influenza diretta” <2. Il PCI si apprestava dunque ad avviare la guerra partigiana sulle basi unitarie già accettate a Tolosa nel ’41, e ribadite nel marzo ‘43 a Lione da Saragat, Lussu, Dozza e Amendola, poco prima del rientro di quest’ultimo in Italia. La necessità di ribadire l’unità era data non solo dall’avvicinarsi della guerra in Italia, ma anche dal bisogno di rinsaldare tale intento, messo in dubbio dal ritorno di Emilio Lussu. Egli era appena rientrato dagli Stati Uniti, dove gravitava attorno alla Mazzini Society, animata da fuoriusciti antifascisti, che attribuivano un ruolo preponderante agli anglo-americani nel rovesciamento del fascismo e non vedevano di buon occhio l’alleanza coi comunisti. Rientrato in Francia, aderì però alla linea di Tolosa secondo cui la liberazione nazionale sarebbe dovuta partire dall’interno, grazie alla collaborazione con socialisti e comunisti, di cui Trentin fu il più strenuo sostenitore tra le file di GL.
Il 3 marzo 1943 a Lione nacque dunque lo schieramento che avrebbe costituito la sinistra della Resistenza italiana e che si sarebbe congiunto con la destra nel corso dei 45 giorni. Il verbale ufficiale della riunione infatti, dopo aver ribadito gli obiettivi di Tolosa, rivolgeva a tutti gli italiani, “anche se non condividono integralmente il loro programma di ricostruzione del paese, un appello all’unione e all’azione per la pace, l’indipendenza e la libertà, e dichiara[va] che il presente accordo è aperto a tutti i partiti e movimenti che ne accettano lo spirito” <3.
La creazione del Centro interno del PCd’I non fu priva di contrasti, soprattutto per la prudenza di Massola, ansioso di salvaguardare la cautela con cui aveva portato avanti il lavoro dal ’41. Nel settembre ’42 egli aveva ricevuto da Clocchiatti, appena rientrato, la prima lettera dal Centro Estero e si erano verificati dei contrasti a causa di iniziative propagandistiche di quest’ultimo, come il lancio di volantini, che Massola reputava premature. Ad ogni modo, nel giugno ’43 egli inviò un telegramma a Togliatti, tramite la Francia, aggiornandolo sui progressi degli ultimi mesi. Comunicava il proprio approdo in Italia nell’agosto ’41, l’arresto di Rigoletto Martini in Jugoslavia, la condanna a 24 anni di reclusione da parte del Tribunale Speciale e la sua successiva morte nel carcere di Civitavecchia nel giugno del ’42. Informava poi dell’avvio del lavoro di propaganda tramite la stampa clandestina, in particolare della comparsa dell’Unità, un numero al mese da giugno a novembre ’42 e due numeri al mese a partire dal dicembre ’42. L’approdo in Italia di Primo e Secondo, che dovrebbero essere Roasio e Novella, aveva inoltre permesso nel maggio la costituzione del Centro Interno, alla cui direzione partecipavano, oltre allo scrivente e ai due compagni citati, Roveda, Negarville, Amendola e Rina Piccolato <4. Nonostante per la formazione dei GAP bisogni ancora attendere l’autunno ’43, già nel maggio venne fatta consegnare ai dirigenti provinciali una circolare segretissima (da distruggere dopo la lettura), firmata dalla segreteria del PCI, che prescriveva:
“I patrioti italiani hanno il dovere di organizzarsi e rispondere. In questa lotta tutti i mezzi sono buoni, compresa la lotta armata. Alla violenza bisogna opporre la violenza, alle bande amate fasciste bisogna opporre i Gruppi d’azione dei patrioti, capaci di stroncare la violenza fascista colla lotta armata. […] L’esperienza internazionale della lotta armata contro l’oppressore tedesco e i traditori del proprio paese (la lotta dei patrioti jugoslavi, greci, francesi ecc) dimostra che la formazione e l’armamento di questi Gruppi di patrioti non può avvenire in modo spontaneo. Questa esperienza dimostra pure che la forza organizzatrice e dirigenti dei gruppi armati di patrioti, in tutti i paesi, è il Partito comunista.” <5
Roasio, autore per conto del partito, nella circolare spiega che doveva trattarsi di costituire “piccoli gruppi (GAP) nei primi tempi composti di soli compagni e portarli alla lotta armata, e poi, poco a poco, nella lotta allargare la loro cerchia, il loro numero, attirare i migliori e più combattivi elementi del popolo e riuscire così a organizzare un potente movimento armato di patrioti.” <6. Si prescriveva dunque ai dirigenti locali di incaricare un compagno di fiducia della formazione di questi gruppi di tre uomini, i cui membri dovevano essere scelti non “per spirito di disciplina, ma per la loro spontanea volontà” e dovevano interrompere qualsiasi legame o partecipazione alle attività di partito. Non è scritto nel documento, ma intuibile ed ammesso esplicitamente da Roasio, che la struttura dei Gap “rifletteva grossomodo quella dei FTP, di cui facevano già parte numerosi nostri compagni” <7. Nelle stesse settimane infatti quadri e militanti di base venivano richiamati dalla Francia e rientravano in Italia attraverso le Alpi o con documenti falsi; coloro che scelsero questa via avevano dunque conservato una polarità italiana, a maggior ragione coloro che avevano ormai una famiglia in Francia o vi tornarono dopo la guerra. Alcuni tra i più giovani invece, come abbiamo visto, avevano ereditato dalla famiglia italiana la tendenza politica, ma la propria esperienza personale li aveva condotti a riorientarla in senso francese.
Coloro che decisero di tornare, per combattere il fascismo in Italia, nell’estate 1943 erano nel pieno del lavoro necessario a riprendere contatto con la base di partito, i quadri prendevano appuntamento con vecchi comunisti e ne istruivano di nuovi, oltre ad allacciare i rapporti con le organizzazioni antifasciste di vari indirizzi. Le basi per il fronte nazionale all’interno furono però reputate ancora troppo fragili e nel pieno di tale riorganizzazione il Gran Consiglio del fascismo decretò la caduta di Mussolini. Il 26 luglio fu redatto il primo appello firmato dal Gruppo di ricostituzione liberale, il Partito democratico cristiano, il Partito comunista italiano, il Movimento per l’unità proletaria per la repubblica socialista, il Partito socialista italiano e il Partito d’azione. Quest’ultimo era stato fondato a Roma il 4 giugno 1942 e vi sarebbero confluiti i maggiori esponenti di Giustizia e Libertà. Si disponeva la nascita di un Comitato d’unità delle opposizioni antifasciste che richiedeva la liquidazione delle strutture del regime e la formazione di un governo che fosse espressione delle classi popolari.
Intanto, abolite le corporazioni, era in corso la ristrutturazione dei sindacati, di competenza di una commissione in cui furono nominati tra gli altri il socialista Bruno Buozzi e il comunista Giovanni Roveda. La nomina fu oggetto di critiche da Mosca, di un’intromissione del PCF e di un dibattito interno alla direzione neocostituita, che richiese una dichiarazione pubblica in cui Roveda chiarisse che l’accettazione di tale ruolo non significava sostegno politico al governo monarchico. Il nodo del contendere era costituito dal fatto che il nuovo governo moderato e la monarchia cercassero di limitare il ruolo delle masse nella transizione istituzionale post 25 luglio, dunque Roveda, in qualità di commissario sindacale, era accusato di collusione nel “soffocare il movimento di scioperi a Torino” <8. Lampredi fu inoltre latore di una lettera del PCF alla direzione italiana in cui si sosteneva che una subordinazione dei comunisti italiani al governo Badoglio avrebbe indebolito il movimento insurrezionale antinazista anche oltre i confini della penisola. Secondo il partito francese infatti, “gli alleati vedevano nel maresciallo una sorta di nuovo Darlan che operava in altre condizioni per soffocare il movimento popolare” <9. Il PCF aggiungeva poi che la questione “ci preoccupa particolarmente perché noi dobbiamo fare i conti anche in Francia con la possibile utilizzazione di nuovi Darlan e non ci sono altri modi di impedirlo che di sviluppare al massimo il movimento di massa”. Aldo Lampredi, in un biglietto del ’73 archiviato assieme alla corrispondenza non poté affermare con certezza che gli estratti delle lettere venissero effettivamente dalla Casa, “è scritto così. Però credo che debba ritenersi cosa vera perché come risulta dalla mia lettera prendo in seria considerazione il loro contenuto” <10.
Ad ogni modo, il 13 agosto i commissari della federazione sindacale chiarirono che la loro funzione aveva “uno stretto carattere sindacale, che non implica nessuna corresponsabilità politica”11. Si apriva già a questo punto il dilemma della posizione da tenere in relazione a Badoglio, in qualità di capo del governo riconosciuto dagli Alleati, che si sarebbe risolta solo al ritorno di Togliatti. Per il momento le forze antifasciste italiane decisero di adottare la linea della pressione sul governo per la pace separata, senza scatenare un movimento preinsurrezzionale, per il quale reputarono di non essere pronte. Alla metà di agosto una delle principali rivendicazioni degli antifascisti nei confronti di Badoglio riguardava la liberazione di carcerati e confinati. Il 31 luglio si era infatti costituito un comitato direttivo dei confinati a Ventotene che chiedeva la liberazione immediata e il ripristino dei collegamenti con la terraferma.
La questione si risolse quando, ai primi di agosto, Buozzi, Roveda e Grandi si recarono da Badoglio, minacciando un appello allo sciopero generale se non avesse emesso gli ordini di scarcerazione; “contro la minaccia dello sciopero generale il Maresciallo si scagliò violentemente ma dopo tre ore di discussione finì per cedere” <12.
Così tra il 19 e il 23 agosto detenuti e confinati furono liberati, restarono in carcere solo Emilio Sereni e Italo Nicoletto, consegnati all’Italia il 24 luglio e condannati dal Tribunale speciale rispettivamente a 18 e 10 anni. Sarebbero evasi dalle carceri Nuove di Torino l'8 agosto 1944.
Dunque alla fine di agosto, mentre erano in corso le trattative per l’armistizio, i bombardamenti sulle città italiane e una serie di scioperi contro la guerra, il PCd’I poteva compiere la saldatura tra le due proprie componenti storiche, i rientrati dall’esilio e i liberati dal confino. Il 29 agosto si tenne a Roma la riunione che costituì la direzione di partito, nelle persone di Scoccimarro, Longo, Secchia, Li Causi, Roasio, Massola, Roveda, Novella, Negarville e Amendola. A Roma restarono Scoccimarro, Novella, Amendola, Roveda, Negarville e Longo, che premerà però per raggiungere Secchia, Massola, Roasio e Li Causi a Milano, da dove in caso di occupazione sarebbe stata diretta la lotta armata.
Il giorno successivo infatti Longo stilava un “promemoria sulla necessità urgente di organizzare la difesa nazionale contro l’occupazione e la minaccia di colpi di mano da parte dei tedeschi” <13. Il giorno stesso il PSI e il Pd’A accoglievano la mozione, dando vita a un comando militare tripartito composto da Luigi Longo, Sandro Pertini e Bruno Bauer. Il Comitato Centrale stilò inoltre il 2 settembre un appello alla difesa nazionale che concludeva:
“L’Italia deve, in un virile proposito di resistenza e di lotta, ritrovare la sua unità morale spezzata dal fascismo, e conquistarsi, attraverso la sua riscossa nazionale, il posto che le compete nel consesso delle libere nazioni per collaborare con esse al riassetto dell’Europa e del mondo” <14.
La formula venne ripresa pressoché identica nella deliberazione del Comitato delle opposizioni, che il 9 settembre si costituiva in Comitato di liberazione nazionale:
“Nel momento in cui il nazismo tenta di istaurare a Roma ed in Italia il suo alleato fascista, i partiti antifascisti si costituiscono in Comitato di liberazione nazionale per chiamare gli italiani alla lotta e alla resistenza, e per conquistare all’Italia il posto che le compete nel consesso delle libere nazioni” <15.
[NOTE]
1 P. Spriano, “Storia del Partito comunista italiano. I fronti popolari, Stalin e la guerra”, op.cit. pag. 338.
2 P. Spriano, “La fine del fascismo. Dalla riscossa operaia alla lotta armata”, op.cit., pag. 206
3 Fondazione Gramsci, APC, marzo 1943, “Unità d’azione per la pace e la libertà”, dichiarazione congiunta Pci, Psiup, Gl, marzo 1943
4 Fondazione Gramsci, APC, settembre 1943, relazione in francese indirizzata a Togliatti relativa alla formazione di un fronte nazionale antifascista in Italia e informazioni riguardo ad alcuni dirigenti del Pci a firma Quinto
5 Fondazione Gramsci, APC, maggio 1943, Circolare riservata della Segreteria del partito comunista italiano riguardo alla necessità di istituire Gruppi d’azione dei patrioti.
6 Ibidem.
7 Antonio Roasio, “Figlio della classe operaia”, Vangelista editore, Milano 1977, pag.206.
8 Fondazione Gramsci, APC, Estratto di una lettera da Mosca, 6/9/1943. 9 Fondazione Gramsci, APC, Direzione Nord, settembre 1943, lettera del PCF alla direzione del Pci in merito alle polemiche tra i due partiti, 23 sett.1943.
10 Fondazione Gramsci, APC, Direzione Nord, settembre 1943, 1 sett.1973.
11 Il comunismo italiano durante la seconda guerra mondiale, op.cit., pag. 192.
12 Giovanni Roveda, “Precisazioni”, in Rinascita a. IX, n 7-8, luglio-agosto 1952, pag.441.
13 Testo completo in Il comunismo italiano nella seconda guerra mondiale, op.cit., pag. 194-195
14 Il comunismo italiano nella seconda guerra mondiale, op.cit., pag. 197.
15 Il comunismo italiano nella seconda guerra mondiale, op.cit., pag.198.
Elisa Pareo, "Oggi in Francia, domani in Italia!" Il terrorismo urbano e il PCd'I dall'esilio alla Resistenza, Tesi di laurea magistrale, Università degli Studi di Pisa, 2019