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sabato 27 febbraio 2021

Alba tenera ragazza dalla capigliatura nera

Fonte: Laura Hess

Giorgio Loreti ricorda quanto gli raccontava Guido Seborga di Alba Galleano [che divenne sua moglie].
Guido diceva più o meno così: "Venivo a Bordighera a trovare mia madre che era allora ospite di un pensionato di suore. Io alloggiavo in un cameretta di un albergo. Stavo in una specie di mansarda, vicino al municipio, dove comincia il Paese Alto. Alla mattina mi facevo la barba ad uno specchio accanto alla finestra e spesso e volentieri sotto, in strada, passava Alba. Lei mi chiamava, ci salutavamo ridendo, dandoci un appuntamento giù al mare".  
Fonte: Laura Hess

Fonte: Laura Hess

Fonte: Laura Hess

[...] Nata a Torino nel 1915, Alba Galleano ha trascorso, a causa di problemi di salute, gran parte dell’infanzia e dell'adolescenza tra Torino, Meana e Bordighera.
 

Fonte: Laura Hess

Fu a Bordighera che a 16 anni conobbe Guido Hess (Seborga) di cui s’innamorò immediatamente e che sposò nel 1939.
 

Fonte: Laura Hess

Frequentò Bordighera per tutta la vita, ma fino alla guerra ci furono anche Forte dei Marmi vicino a casa De Chirico e villa Trossi a Portofino.
Con Guido frequentò gli ambienti culturali e i gruppi antifascisti a Torino con Agosti, Galante Garrone, Ada Gobetti, Ciaffi, Navarro, Silvia Pons, Anna Salvatorelli, Raf Vallone, Giorgio Diena e a Bordighera con Porcheddu, Brunati, Lina Meyffret

<<[ E pure morì sotto il martirio nazista l’animatore d'una delle prime bande a Baiardo: Brunati, il partigiano poeta. E la trista Germania inghiottì Lina Meiffret, prima partigiana.
Italo Calvino, articolo apparso sul numero 13 de La voce della democrazia, uscito a Sanremo martedì 1° maggio 1945

Lina Meiffret, ritornata dai campi di concentramento della Germania... rinvenimento di alcuni dattiloscritti di Italo Calvino relativi ai racconti partigiani, poi raccolti in Ultimo viene il corvo, conservati tra le carte di Lina Meiffret, partigiana sanremese amica e sodale del giovane Calvino... Fonte: Lumsa

Rivedo Lina Meyfrett che pare sempre miracolosamente scampata ad un campo di concentramento e insieme ricordiamo Renato Brunati e Beppe Porchedddu...
Guido Seborga, Occhio folle occhio lucido, Graphot/Spoon river, Torino 2012 ]>>
 

Entrò [Alba Galleano] poi nella Resistenza e fu Azionista.
È restata "famosa" la sua arringa su un tavolo a Trofarello ai soldati sbandati invitandoli alla Resistenza.
Erano i giorni successivi all’8 settembre e stava tornando a Torino da Bordighera insieme a  Guido con l’ultimo treno da Bordighera prima che i tedeschi facessero saltare i ponti.

Fonte: Laura Hess

<<[...] ancora Loreti: "Anche sua moglie Alba era nella Resistenza, lo ha seguito e lo ha aiutato, quando i fascisti, i tedeschi, lo cercavano, lo nascondeva in soffitta.">>
 

Prima e dopo la guerra, insieme al marito, frequentò  Umberto Mastroianni, arrivato nel '28 da Roma, Luigi Spazzapan, Mattia Moreni, Oscar Navarro, Raf Vallone, Vincenzo Ciaffi, Albino Galvano, Carlo Mussa, Giorgio e Rosetta Montalenti, Augusto e Luisotta Monti. Con Luisa Monti Sturani l’amicizia durò per moltissimi anni.

Fonte: Laura Hess

Nell’immediato dopoguerra scrisse su diversi giornali quali Il Ponte e Il Sempre Avanti dove, a differenza di Mario Gromo su La Stampa e Arturo Lanocita su Il Corriere della Sera fece una recensione molto favorevole a Paisà di Rossellini.


Fonte: Laura Hess

Avuti due figli, fu costretta a limitare la sua attività lavorativa, ma partecipò per tutta la vita alle esperienze del marito Guido Seborga sia come consigliera che curandone gli aspetti pratici e accettandone le lunghe assenze.
Fu suo il difficile compito di far quadrare i bilanci familiari e a tale scopo, utilizzando le sue competenze nel campo dell’antiquariato e dell’arte, aiutò molte signore torinesi nell’arredamento della propria casa.
 

Fonte: Laura Hess

Fino all’ultimo giorno della sua vita, che finì nel 1989, curò e diede sostegno a Guido, che la raggiunse nel 1990.

Laura Hess [figlia di Alba Galleano e di Guido Hess Seborga]

martedì 26 gennaio 2021

Sono un pittore naturalista

Joffre Truzzi, Pescatori, 1955 (olio su tavoletta) - Fonte: Joffre Truzzi

Joffre Truzzi nasce a Revelastocke in Canada il 18 marzo 1915 da genitori mantovani emigrati in cerca di fortuna in Canada.
Ma la vita dura, la mancanza degli affetti, fanno ammalare il padre di Joffre, e dopo pochi anni ritornano sulle rive del Po nel loro paese di origine San Benedetto Po.
Già da giovane Joffre amava i colori,  la pittura, ma fu solo durante la seconda guerra mondiale, mentre lui era stato "liberato" dagli Americani che venne scoperto dal Principe Pignatelli Cortès di Napoli, che lo prese sotto la sua protezione affinchè le sue doti evolvessero... ma la fidanzata Angela lo reclamava a casa... e così, suo malgrado, fece ritorno al paese e si trasferì in Liguria, a Bordighera, dove visse sino alla sua morte, avvenuta il 28 febbraio 2006.
A Bordighera, pur lavorando, entrò a far parte della scuola serale d'arte del Maestro Giuseppe Balbo, dove conobbe altri allievi poi diventati famosi, come Maiolino, Sergio Biancheri, Renzo Cassini, Sergio Gagliolo ed altri. Vinse alcune manifestazioni, fra cui il premio delle 5 bettole, che possiamo considerare il suo riconoscimento ufficiale, partecipò al premio di pittura americana (mentre a Bordighera venivano esposte opere di artisti americani, opere dei nostri artisti vennero esposte  negli Stati Uniti, in una mostra itinerante che toccò 20 città importanti).
Le opere esposte, tra le quali alcune di Truzzi, fecero poi parte della collezione della Galleria di Stato dell'Oregon, considerato a tutt'oggi una fra le più importanti rassegne d'arte contemporanea degli anni cinquanta sul territorio ligure. Truzzi espose anche in Francia a Villefranche sul Mer, nella vicina Costa Azurra nel 1957. In quell'anno fece una delle più importanti conoscenze, sia a livello personale che artistico: conobbe Ennio Morlotti, il quale, anch'esso lombardo, veniva volentieri a Bordighera, dove aveva in affitto un atelier, e dove dipingeva insieme a Truzzi. Ma non si accontentavano di dipingere e viaggiare per le strade tortuose del nostro entroterra, alla ricerca di anfratti, viste di rovi o uliveti... essi andavano alla ricerca dei luoghi frequentati da un loro idolo, il Maestro Cézanne, che aveva il suo studio-abitazione a Aix en Provence.
dal catalogo della Mostra: Joffre Truzzi. Dipinti, disegni, incisioni, Centro Culturale Polivalente ex Chiesa Anglicana di Bordighera (IM), 3 dicembre 2005 - 8 gennaio 2006, a cura del prof. Leo Lecci di Genova

[Joffre Truzzi] è rimasto com'era, con qualcosa di più gracile, di più poetico nei suoi quadri: gli stessi paesaggi d'allora, ma come sospesi nel vuoto, con dolcezze più apparenti e toccate dalla vertigine". "L'inevitabile manto della malinconia s'è istoriato di scene gioiose, di azzurri aggrediti dall'ombra, di viola vibranti, di dorati che vanno verso il caos o la pace materica. Possibile che la vita nella sua erosione sia sempre eguale?  Francesco Biamonti

Bordighera ha un suo muratore-pittore, si chiama Joffre Truzzi, ha 33 anni, i competenti gli pronosticano un brillante avvenire.
[...] Truzzi dipinge soltanto la domenica, gli altri giorni li trascorre sugli alti ponti delle case in costruzione. [...]
Una sua personale, ha ottenuto in questi giorni, a Bordighera, un ottimo successo e le vendite sono state notevoli. Ma Truzzi non si è montata la testa e continua, nei giorni feriali, a lavorare di cazzuola [...]
La sera - tutte le sere , dopo il duro lavoro - frequenta lo studio del professor Giuseppe Balbo. Gli tengono compagnia altri giovani allievi che ascoltano le “storie” dei grandi pittori del passato con gli occhi sgranati, come fossero fiabe. Mario Caudana, 1948

Dieci anni fa Truzzi, la domenica batteva le strade delle nostre campagne; le dipingeva instancabilmente; riempiva due o tre cartoni nella stessa giornata. Il paesaggio era studiato con amore, con ostinazione; fino a che il pittore non ne avesse sceverato i caratteri distintivi di paesaggio ligure.
Questo contatto durò sino al 1950, poi ci fu una specie d’arresto. Il pittore si chiuse nel suo studio, elaborò composizioni che s’ispiravano al lavoro dei contadini e in modo particolare a quello dei muratori, tra i quali egli viveva e lavorava. Il colore s’incupì, agli accordi squillanti dei gialli, dei rossi, dei verdi, dei precedenti paesaggi, seguirono accordi di terre e di neri.
Era nata una pittura che poteva chiamarsi neorealista.
Ma il paesaggio ligure lo riprese. Questa volta fu l’architettura dei paesi a incantarlo. Costruzione di muri screpolati, archi, blocchi desolati, Truzzi vagava di paese in paese, solo prendendo qualche appunto. [...].
Dipinse quindi grandi tempere, drammatiche architetture in bleu e in terra rossa. Egli mostra eccezionali doni di fantasia: come dire che è artista per essenza. (Ci sono nei suoi quadri accordi di colore del tutto nuovi).
Parte dal vero verso liriche variazioni, in visioni delicatissime di case, alberi, colline. La voce del suo paesaggio è nuova (austera e anche mistica) sconosciuta è l’aria e la poesia che lo anima.
Giacomo Ferdinando Natta, 1957

È un merito, il tuo, di poesia, del quale tu sai che penso quello che pensa il finissimo amico Natta.
Carlo Betocchi, 1959

Nei “Paesaggi dell’entroterra ligure” di Joffre Truzzi, dominano gli alberi, quali protagonisti dei misteriosi drammi ignoti all’uomo e dietro si mostrano rudi case o s’aprono scenari di cieli gialli o verdi, rossi o cinerei, accesi o cupi […]. Fantasioso e spontaneo, c’è un impeto primitivo in queste tele, un soffio aspro e nuovo nelle tonalità accese. Il tocco a spatola è denso, talora violento. Jole Simeoni Zanollo, 1959

Truzzi è un pittore in cui l’affetto alla terra in cui vive e lo spasimo della memoria che vorrebbe conservare ogni momento felice, restituirlo in note ferme e definitive, operano con egual forza permettendogli di colmare, talvolta con reale felicità, lo iato tra la tradizione di una pittura condizionata al sapore di una regione, di un paesaggio, e le più remote ricerche intorno all’autonomia del quadro inteso come oggetto in sé sufficiente, cadenza di colori e di forme disposte secondo un ordine di individuale invenzione. Nessuna polemica esplicita in questa pittura; eppure una carica densa, un gruppo di ragioni pro qualcosa e contro qualche altra cosa [...] che, comunque la si giudichi, è una delle forze di questi quadri, sotto la loro più superficiale apparenza quasi crepuscolarmente gentile o vivacemente lieta. Riteniamo che la loro lettura non sia poi così facile come può sembrare. Ma che tanto più premieranno l’attenzione di chi vorrà non amarli di un’immediata adesione, accoglierli per un movimento incontrollato, ma scrutarne il riposto vigore, ripercorrere il lavoro da cui è nato il loro sbocciare felice. Che è poi sempre il miglior modo di aderire ad espressioni che si presentino cordiali e quasi disarmate. Far insomma del consenso alla bellezza del colore, alla spontaneità della resa mezzo per un ulteriore approfondimento. Albino Galvano, 1962

Joffre Truzzi, Paesaggio (olio su tela) - Fonte: Joffre Truzzi

Nato in Canada, Joffre Truzzi, vive a Bordighera dove la malia della natura, per un pittore che per temperamento deve sentirne tutto il fascino, gioca il suo ruolo ispiratore. Luci e colori, come si nota nei dipinti ch’egli espone ora al Grifo, si configurano nei rapporti di quelle macchie cromatiche sottilmente modulate negli impasti dosati con abilità: modulazioni e dosature che in fondo caratterizzano la sua pittura anche rispetto ai riferimenti stilistici che, nel presentarlo, Albino Galvano riassume con un appropriato “Morlotti revu par Bonnard”. Angelo Dragone, 1962

[Truzzi] si presenta con una serie di interessanti paesaggi, realizzati ad olio, nei quali case, colline ed alberi della riviera ligure appaiono calati in una unità tonale a basse vibrazioni cromatiche di alta suggestività lirica. La luce, che nei quadri di Truzzi nasce dall’interno delle piatte zone di colore, commenta strutture paesistiche dove i muretti a secco, i casolari di campagna, le masse di verde rappresentano momenti di una visione sensibilizzata della realtà, visione non ignara delle ultime resultanze della più valida pittura italiana. Carlo Segala, 1963

Se penso sia raro trovare un pittore altrettanto fedele alla sua natura (ch’è segno probante di vocazione); credo appaia altrettanto evidente che lo stimolo maggiore al suo lavoro, Truzzi lo attinge dal più complesso moto della realtà. Questa realtà, egli sa benissimo che in parte preponderante e in primo luogo si trova dentro se stesso e non sopra, non fuori, non in gazzette, in professori, in ideogrammi; sa ancora che parte importantissima della realtà, oggi quasi totalmente trascurata, è il paese dove si vive, con la gente, gli alberi e il cielo, sa inoltre che la realtà sono la storia e la tradizione […] Dagli impressionisti, e soprattutto quelli legati al suo paesaggio, Renoir-Monet-Piana, su su fino alla svolta più recente e determinante – quest’ultima di Wols, Pollock, Gorky, De Staël. Quella che ha portato una più profonda coscienza dell’”organico” in contrapposizione ai giochi intellettuali estetisti; quella che ha affrontato – e per me in modo più diretto dei surrealisti – le zone più remote, segrete e misteriose dell’essere, il conflitto tra idea e realtà, tra momento razionale della realtà, e quello irrazionale nell’istanza poetica. 
Le intelligenti argomentazioni non sono riuscite a spiegarmi come si possa prescindere da questa recente storia così drammatica e viva.
Comunque in questa mostra è molto evidente come questa realtà così tesa e scottante sia utile affrontarla anziché pensare all’abiura e all’ostracismo.
E’ affrontando questa situazione che secondo me, Truzzi ha formato le sue sicure radici, s’è stabilito un preciso impegno, s’è scrollato abitudini e atavismi ormai devitalizzati, ha determinato questa sua attuale felice pienezza creativa.”
Ennio Morlotti, 1964
 
Con una vivace interpretazione in catalogo di Ennio Morlotti, apre la sua personale alla galleria del Mulino [...] il pittore ligure Joffre Truzzi. Si sono conosciuti dietro le colline di Bordighera e affiatati per una comune disposizione verso la realtà di natura: siepi, sterpi, prati, vegetazioni selvatiche, che occupano con insistenze di primo piano lo spazio del quadro e lasciano poco margine alla striscia di cielo. [...]
L’interpretazione di Truzzi, rispetto a quella drammatica sempre di Morlotti: è di più aperta elegia; c’è una felicità nel suo rapporto con questa natura, uno scambio di interiori sensazioni, perciò la pittura ne è tutta illuminata e il colore si ravviva di preziosi splendori.
Marco Valsecchi, 1964
 
Il pittore Truzzi si è presentato in Bordighera con una personale condensata in venti opere che esprimono l’intendimento sobrio di un artista molto prossimo alla maturità.
Abbandonate talune compiacenze pittoriche [...] il Truzzi si è indirizzato verso una semplicità geometrizzata quasi, forse un poco rigida, ma di induttiva affermazione stilistica. Con impasti rinnovati ed accostamenti di toni fermi e saporosi, i nuovi paesaggi presentati, pur svelando un legame a esperienze già note, contengono una personalità manifesta nella costruzione prevalentemente pittorica dell’atmosfera e della prospettiva fatte soltanto di colore.
Giuseppe Balbo, 1966
 
[…] si rimproverava a Truzzi l’influenza esercitata sulla sua pittura dall’opera e dalla frequentazione di Morlotti.
Che l’opera del maestro lombardo, prima, e di Sutherland più recentemente, abbiano lasciato profonde tracce sulla pittura di Truzzi di questi ultimi anni, è innegabile. Né poteva essere altrimenti, se si pensa che nel guardare a questi due significativi pittori del nostro tempo Truzzi, pittore prevalentemente di paesaggi, di aspetti e di elementi naturali, ha dimostrato di sapere operare una scelta intelligente, coerente col proprio temperamento. Tuttavia in questa personale, accanto ad opere in cui la presenza dei due maestri è ancora chiaramente avvertibile, Truzzi ci ha sottoposto (e questo è un merito che gli va riconosciuto) un buon numero di dipinti che dimostrano in modo convincente come egli, assimilate e superate le due influenze, sappia approdare ad un suo più personale linguaggio.
Enzo Maiolino, 1967
 
Joffre Truzzi, Gli ulivi, 1970 (carboncino) - Fonte: Joffre Truzzi

“Sono un pittore naturalista. Dipingo la natura. Da sempre”. Così dice Truzzi della sua pittura e di se stesso.
Di se stesso perché la natura è il suo mondo, il suo ambiente, meglio ancora il suo elemento: in cui egli si ritrova e si muove.
Dalle sue parole, che sono poi dichiarazioni abbastanza esplicite, la natura appare ancor più come verbo, norma di vita ed esigenza: certo una meta costante del suo essere. “Forse perché sono nato in un bosco” (è figlio di emigrati nel Canada), Joffre tiene a ricordare, quasi che per lui stesso la persistenza e l’attualità di quell’ispirazione costituiscano ancora un interrogativo. [...].
La sua natura è di sicuro vivente, ampia, generatrice; ricca di linfa.
Così che egli, più che osservarla e rappresentarla, la sente e la dice: la sua è la pittura di un contatto. E il suo senso della natura (senso piuttosto che sensibilità) ricorre particolarmente al colore come al mezzo precipuo e più indicato per la propria espressione.
Natura e colore appaiono quindi il binomio di base della sua pittura.
Massimo Cavalli, 1977
 
Ennio Morlotti, Francesco Biamonti e Joffre Truzzi nel 1960 davanti all'atelier di Cezanne - Fonte: Joffre Truzzi

A Truzzi mi lega un lungo rapporto, consolidato dalla comune amicizia con Morlotti. Ricordo di lui un vagabondare alla ricerca delle luci dei costoni, delle dolcezze di un’aspra terra, fatte di cielo, di tramonti rosati, di silenzi nascosti nelle vegetazioni. La sua pennellata è istintiva e nel contempo guidata da un sentimento virgiliano della vita (Truzzi è di Mantova) con qualche collera da animo offeso.
Truzzi sa ciò che gli è necessario. Quante volte Ennio [Morlotti] ed io, lo abbiamo sentito mormorare qualche brano delle Bucoliche: l’uomo che abbandona i campi, l’uomo dell’esilio, che aspira a tornare al suo regno. Forma d’elegia che in pittura si è sovente tradotta in soffi leggeri, in brezze che animano le cose: crinali toccati dalla grazia, casette raccolte nel fervore del verde, rocce clonate di azzurro e polvere.
Era un uomo sempre disponibile al lavoro e alla vita, sempre pronto a partire, verso una tomba, un rudere, un fiore. Poteva anche essere insopportabile, litigioso in superficie, ma a Morlotti e a me strappava sempre un sorriso, perché ne conoscevamo la malinconia fondamentale.
Ora non riesco a immaginarlo vecchio: è rimasto com’era con qualcosa di più gracile, di più poetico nei suoi quadri: gli stessi paesaggi d’allora, ma come sospesi nel vuoto, con dolcezze più apparenti e toccate dalla vertigine. L’inevitabile manto della malinconia s’è istoriato di scene gioiose, di azzurri aggrediti dall’ombra, di viola vibranti, di dorati che vanno verso il caos o la pace materica. Possibile che la vita nella sua erosione sia sempre eguale?
Francesco Biamonti, 1996   


martedì 19 gennaio 2021

Beppe Porcheddu sa far suo, nel disegno e nei toni, il pensiero dello scrittore

Nello sviluppare la ricerca sulla Resistenza sulla costa del Ponente ligure, da Imperia al confine francese, ho incrociato la figura di Giuseppe Porcheddu, antifascista e pittore-grafico-illustratore di significativo rilievo, vissuto prima a Torino e poi a Bordighera.
La novità è giunta, invece, dalla scoperta che fu il casalese Leonardo Bistolfi a motivare e valorizzare l’artista Porcheddu. Non solo, attivando la dottoressa Varvello del Museo Civico Bistolfi di Casale Monferrato e il dott. Mantovani della Biblioteca Civica Canna, ho ritrovato il catalogo di una mostra di opere di Porcheddu avvenuta a Torino nel 1928, con una originalissima prefazione di Leonardo Bistolfi.
Giuseppe Porcheddu Beppe, nato a Torino il 1 maggio 1898 scomparve il 27 dicembre 1947 in una vicenda non ancora del tutto ricostruita; sardo di origini (il padre Giovanni Antonio era nativo di Ittiri, in provincia di Sassari; ingegnere molto noto per aver introdotto e sviluppato in Italia le tecniche del cemento armato, fu progettista anche del Lingotto di Torino e di vari silos al porto di Genova) fu pittore, incisore, scultore, grafico, fumettista ed illustratore di grande talento. Venne scoperto e incoraggiato da Leonardo Bistolfi già a Torino, dove viveva e studiò alla facoltà di architettura al Politecnico.
È noto per le bellissime illustrazioni del Pinocchio di Collodi edite nel 1942, per i disegni delle bambole Lenci, per i disegni e la creazione di personaggi di fumetti diffusi in tutta Italia. Molte sue opere sono oggi custodite e promosse dal Museo della Scuola e del Libro per l'Infanzia MUSLI di Torino e dalla Fondazione Tancredi di Barolo di Torino, sotto la direzione del prof. Pompeo Vagliani.
Accanto all’arte coltivò sempre la convinzione antifascista; promosse poi l’attività resistenziale fra Sanremo e Bordighera, divenne membro del CNL di Bordighera.
Porcheddu, con Renato Brunati, Renzo Rossi e Lina Meiffret, si era legato al gruppo torinese di Guido Hess Seborga, Ada Gobetti, Piero Bargis, Giorgio Diena, Vincenzo Ciaffi, Domenico Zuccaro, Raffaele Vallore, Luigi Spazzapan, Umberto Mastroianni, Carlo Musso. Nella sua villa di Bordighera, Porcheddu nascose la moglie Ada e la figlia Lidia del latinista Concetto Marchesi, esponente antifascista rifugiato in Svizzera. Ospitò pure gli ufficiali inglesi Michael Ross e George Bell, paracadutati in missione fra il Piemonte e la Liguria. Le vicende di Porcheddu a sostegno della Resistenza sono pienamente riscontrate nel recente libro di Michael Ross, The British Partisan, pubblicato da Pen & Sword, London 2019. Il nuovo libro è la riedizione aggiornata della prima pubblicazione del volume Michael Ross, From Liguria with love. Capture, imprisonment and escape in wartime Italy, Minerva Press, London, 1997. Nel volume del 2019 il nipote David Ross apporta alcune integrazioni, grafici e foto.
Beppe Porcheddu sparì da Bordighera e non diede più tracce dal 27 dicembre 1947. A Roma si stava realizzando una sua mostra retrospettiva di dipinti e disegni, curata dall'amico Piero Giacometti. Lasciò una lettera indirizzata alla sorella Ambrogia, con una frase enigmatica: "... la vita è un continuo tradimento. I più bei sogni... restano sogno. Chissà quando ci rivedremo".
Leonardo Bistolfi, a Torino, intuì il genio di Porcheddu, lo incentivò e lo promosse, ne coltivò amicizia e relazione artistica.
È sufficiente leggere alcuni tratti della prefazione per scoprire un Bistolfi anche critico d’arte: "... In un giorno lontano, quando l’autore delle visioni di bellezza qui raccolte aveva appena sette anni, il padre suo - animatore di geniali costruzioni, aspramente combattute al loro apparire, e diffuse ora in tutto il mondo - venne a me, portandomi alcuni disegni del piccolo Beppe. Erano paesaggi fantastici, strani aggruppamenti di figure umane, bizzarre scene di sapere fiabesco, trattate con mano già capace di esprimere le vicende delle forme e degli spazi. Chiesi come il fanciullo si esercitasse a copiare quelle figurazioni; ma le parole commosse del padre mi gridarono che tutti i disegni del suo Beppe erano esemplari di una spontanea e originale creazione, manifestata senza fatica e senza esitazioni. Così fu che io conobbi e seguii poi, nello svolgersi degli anni, l’arte di Beppe Porcheddu: fecondo suscitatore di sensazioni e di emozioni, creatore inesauribile di fisionomie fisiche e spirituali, immaginoso descrittore di ambienti e di anime. Arte che crea (come poche, forse, nel campo dell’illustrazione letteraria) l’atmosfera chiara e completa del momento psicologico; arte che, a primo aspetto, si presenta con forme che paiono caricaturali, ed è invece l’esaltazione della personalità umana precisata in tutte le caratteristiche esteriori ed interiori. Per questo le creature delle composizioni di Beppe Porcheddu nel loro silenzio lineare parlano ardentemente, e nella irrealtà del sogno vibrano di verità e di passione".
Bistolfi commenta le varie illustrazioni di Porcheddu, dedicate a personaggi letterari ed epici; richiama i tratti grafici e l’insieme delle figure. "Molti furono gli artisti che tentarono di rievocare in vaste opere aspetti di uomini e di cose appartenenti a tempi antichi o remoti - commenta Bistolfi - ma pochi riuscirono a raggiungere il senso intimo dell’essere... ogni opera di Porcheddu dà una vibrazione nuova. E questa vibrazione si esprime per mezzo di ignoti elementi tecnici, I quali traggono origine da quella che si potrebbe definire una esperienza improvvisa, volta alla volta suggerita o imposta dal significato del tema... tutte le opere di Porcheddu non sono già il frutto di studi scolastici, nè derivano sia pure lontanamente da opere preesistenti, ma nascono in modo esclusivo dal suo istinto, e sempre senza l’aiuto del modello umano... eccezionale procedimento creativo che sospinge l’artista alla più intensa ricerca di un’ideazione quasi esaltata... col procedere degli anni l’arte di Beppe Porcheddu ha acquistato una vigoria sempre più significativa... sia che realizzi un’ispirazione propria o sviluppi un argomento suggerito da uno scrittore, questo artista - come un musico sapiente - trova i modi sempre più adatti all’estrinsecazione dell’idea, e assume una facoltà rara e quasi unica per rivelare le immagini vere di quel determinato stato d’animo; e ciò non coi segni di una cifra personale, ma con uno stile conveniente in tutto e per tutto al carattere del motivo da sviluppare... codesta anzi della perfetta aderenza tra la visione del poeta e la realizzazione dell’illustratore costituisce indubbiamente una delle più belle doti di questo giovane artefice. I suoi disegni rivelano sempre uno studio lungo e paziente dello scritto che vogliono decorare... Beppe Porcheddu sa far suo, nel disegno e nei toni, il pensiero dello scrittore. Ma, nel tempo stesso, la sua illustrazione è sempre un quadro, vale a dire un’opera completa che può vivere, e vive a sè... ".
Il pensiero di Bistolfi su Porcheddu non è solo una prefazione di circostanza, ma assume il significato di convinto apprezzamento per la tecnica, la passione e l’innovazione dei disegni e illustrazioni di Porcheddu. È un Bistolfi critico d’arte, attento osservatore di un artista in affermazione. Siamo nel 1928, a Torino. Porcheddu diverrà poi in seguito e fino alla sua scomparsa nel 1947 un genio indicusso della grafica, delle illustrazioni.
Sergio Favretto, Come Leonardo Bistolfi scoprì e valorizzò il grafico e illustratore Beppe Porcheddu, Il Monferrato.it, 13 gennaio 2021
[Alcune pubblicazioni di Sergio Favretto: Con la Resistenza. Intelligence e missioni alleate sulla costa ligure, Seb27, Torino, 2019; Fenoglio verso il 25 aprile (Falsopiano, 2015); La Resistenza nel Valenzano. L’eccidio della Banda Lenti (Comune di Valenza, 2012); Resistenza e nuova coscienza civile. Fatti e protagonisti nel Monferrato casalese (Falsopiano, 2009; Giuseppe Brusasca: radicale antifascismo e servizio alle istituzioni (Atti convegno di studi a Casale Monferrato, maggio 2006); Casale Partigiana: fatti e personaggi della resistenza nel Casalese, Libertas Club, 1977]

martedì 12 gennaio 2021

Giuseppe Balbo e la “I^ Mostra dei Pittori Americani in Europa” di Bordighera (IM)

 Archivio Balbo

Nel 1952 Giuseppe Balbo è il regista di una sorprendente iniziativa artistica che pone Bordighera (IM) al centro dell’attenzione internazionale, al pari di altre più importanti città italiane tradizionalmente note come centri promotori di cultura. La “I^ Mostra dei Pittori Americani in Europa” s’inserisce in un clima di intensi rapporti del nostro paese con gli Stati Uniti.

Un momento dell'allestimento della Mostra - Archivio Balbo

Scrive Walter Shaw nell’opuscolo di presentazione: “Nel prendere sotto i propri auspici questa prima esposizione dei pittori americani in Europa, la città di Bordighera raggiunge il più alto ideale di buona volontà e di fratellanza. Tale è il senso di questo reciproco gesto verso il popolo americano quale lo fu il Piano Marshall nei riguardi del popolo italiano. Tutti i pittori americani che lavorano in Europa sono stati invitati a presentare le loro opere davanti ad una giuria composta da pittori-artisti francesi, americani e italiani. Questa esposizione quindi può ben definirsi internazionale in scopi e sentimento. E’ un panorama che dimostra gli effetti che le diverse concezioni culturali europee passate e presenti hanno avuto nell’animo degli artisti americani“.

Sally Nichols, La piccola strada - Archivio Balbo

Pegeen Vail, Piccolo nudo - Archivio Balbo

Balbo e con lui gli operatori culturali e gli enti pubblici che promuovono la manifestazione, investono sul binomio cultura-turismo che aveva qualificato la storia di Bordighera già nel tardo Ottocento. Credono che sia ancora attuale per far ripartire un’economia svilita dal recente conflitto mondiale e che possa fondare le future sorti della città.

Edward Melchart, Scala a Coney Island - Archivio Balbo

Jean Guerin, Ninfa in solitudine - Archivio Balbo

E. Vardi, Composizione musicale - Archivio Balbo

"E’ difficile trovare uno stile, un carattere che possa classificare la Mostra e potremmo meglio definirla un riflesso delle più disparate esperienze artistiche e d’avanguardia; riassunto che d’altronde è il risultato più logico delle fonti ispirative cui fa capo questa pittura. Fonti che vanno dalle tendenze impressionistiche e postCezanne a quelle fauviste e picassiane, da un astrattismo piuttosto formale ad un realismo con carattere intimista e talvolta anche primitivamente ingenuo e personalistico. Non siamo dinanzi ad arte americana nè di tradizione americana è il caso di parlare … Ognuno di questi pittori si è rivolto al maestro, per non dire all’esemplare…" G.C. Ghiglione, 5 giugno 1952, Il Secolo XIX

Archivio Balbo

Archivio Balbo

Archivio Balbo

Nonostante la tiepida reazione dei critici va considerata una importante caratteristica di questa esposizione: l’istituzione di premi d’acquisto da assegnare mediante una giuria. Il Comune di Bordighera ha quindi la possibilità di acquistare le migliori opere esposte, iniziando così la costituzione di una Galleria d’Arte Contemporanea, primo passo per un Centro internazionale d’arte e di cultura.

Nel 1953 Walter Shaw e Jean Guerin, due miei vecchi amici che vivevano a Bordighera, mi chiesero in prestito dei quadri perchè volevano organizzare un’esposizione di pittori americani che sarebbe stata patrocinata dal Comune, e perciò piuttosto ufficiale. Cocteau scrisse l’introduzione al catalogo ed io accettai di prestare i quadri e andai a Bordighera con Laurence Vail… Il pranzo che Walter e Jean offrirono in onore nostro e di Cocteau fu molto divertente… Con mia grande sorpresa scoprii che eravamo tutti e tre ospiti della città di Bordighera e ci furono offerte tre splendide stanze in un albergo. Peggy Guggenheim

Marco Balbo

venerdì 18 dicembre 2020

Gli artisti Enzo Maiolino e Giuseppe Balbo

Giuseppe Balbo, Ritratto di Enzo Maiolino - Fonte: Archivio Balbo

Scrive Enzo Maiolino nel suo libro Non sono un pittore che urla [Conversazioni con Marco Innocenti, con uno scritto introduttivo di Leo Lecci, Ventimiglia,  Philobiblon, 2014]:

"Balbo  fu l’incontro più importante dei miei vent'anni. Devo a Balbo, alla sua generosità, la realizzazione del sogno della mia adolescenza: diventare pittore".


Balbo e Maiolino si sono conosciuti nel 1946, quando Enzo si unì ad un primo gruppo di pittori che cominciò a radunarsi  nello studio allestito [in Bordighera (IM)] da Balbo al ritorno dall’Africa. "Noi, allievi della sua Scuola serale, fummo subito etichettati “pittori dilettanti” o “pittori della domenica”.".

Balbo insegnava a “vedere” da pittore. Cosa complessa, una vera e propria tecnica. La scelta del soggetto, la comprensione dell'”insieme”, l’osservazione e il confronto tra i vari elementi, la percezione dei “valori” chiaroscurali e tonali, ecc. Tutto ciò, insomma, che precede la trasposizione di un soggetto sul supporto (carta, tela, tavola)… Secondo me Balbo conosceva molto degli antichi procedimenti. Come provava la sua consuetudine, specie nelle tempere murali, di abbozzare con toni freddi e procedere, poi, con velature di colori caldi”.
"Poiché ognuno di noi si guadagnava da vivere con un secondo mestiere, a volte, la domenica, la Scuola al completo si trasferiva in campagna per esercitazioni en plein air." (Maiolino, op.cit.) 
 
L’incontro fu fondamentale per la formazione del giovane pittore, ma fu importante anche per Balbo, che trovò in Enzo e nel fratello Beppe Maiolino due validi collaboratori. In particolare Beppe Maiolino, come fotografo, ha documentato momenti importanti della Mostre organizzate da Balbo.

I percorsi artistici di Balbo e Maiolino andranno avanti in autonomia, ma resterà sempre tra di loro un legame speciale, una vicinanza artistica nonostante gli opposti mondi pittorici. In particolare Maiolino  scrive due attente recensioni nel 1966 e nel 1972, in occasione delle personali di Balbo, rispettivamente nella galleria del “Piemonte Artistico Culturale” di Torino e nella galleria della “sua” Accademia di  Bordighera.
In particolare, nel 1972,  Maiolino analizza con grande efficacia il mondo di Balbo:"… l’eclettismo di Balbo, più appariscente nelle due precedenti mostre, appare in questa più contenuto e un attento esame delle opere esposte ci permette una più serena riflessione sulla sua opera. La quale , a nostro avviso, presenta due aspetti fondamentali: il primo riguardante il diretto contatto del pittore con alcuni aspetti della realtà circostante; il secondo, l’estrinsecazione del suo mondo fantastico nel quale confluiscono spesso suggestioni letterarie e una sincera componente “surrealista”…".

Enzo Maiolino e Giuseppe Balbo - Fonte: Archivio Balbo

Alla fine di questo articolo Maiolino si sbilancia:
Augurandogli altri lunghi anni di sereno lavoro, sentiamo che ci riserverà ancora delle sorprese (il suo recente entusiasmo per alcune tecniche calcografiche mai prima sperimentate, ci fa ben sperare in tal senso).

Enzo Maiolino, La Cattedrale di Ventimiglia (tempera) - Fonte: neldeliriononeromaisola

Le sperimentazioni calcografiche di Balbo si erano fermate alla puntasecca e alla xilografia, le tecniche incisorie più immediate, dove il segno morde e comanda, senza ripensamenti ma anche con minori possibilità espressive.
 
Un lavoro di Enzo Maiolino - Fonte: Laura Hess

Invece Maiolino già negli anni 50 affrontava il mondo delle acqueforti, e proprio nel 1972 realizza una significativa cartella di sei acqueforti dal titola “La casa nera”, a cura di Vanni Scheiwiller.

Ho un ricordo vivido di una estate dei miei sedici anni; nel magazzino dei fiori di mio padre Elio, spesso usato dallo zio Beppe per i lavori ingombranti, appare un torchio da stampa, bottiglie di acido, carte preziose, e con la guida tecnica di Enzo, Balbo realizzerà una bellissima serie di acqueforti con acquatinta, allo zucchero e a pasta molle.
 

Marco Balbo © Archivio Balbo Archivio Balbo

 
 
“È guardando agli innumerevoli aspetti della natura e della vita, come ai più diversi momenti della vicenda umana, che Giuseppe Balbo ha creato una inesauribile e ricchissima antologia, mosso da una mai quieta curiosità esplorativa e, più nel profondo, da una assoluta necessità di intendere le cose e la realtà intorno a sé attraverso la pittura stessa. Per tutta la vita egli ha visto, ha osservato, ha raccontato o ha illustrato e, soprattutto, tutto ciò ha dipinto, respingendo suggestioni e modi che non lo riguardavano, lavorando con assiduità e convinzione. Balbo ha saputo dare l’esempio di un impegno dignitoso e severo ed ha fornito insieme una lezione della più alta fedeltà”. 
Massimo Cavalli, “La Voce Intemelia” del 23 gennaio 1978 

A partire dagli anni Settanta Enzo Maiolino approda ad un astrattismo di matrice neoconcreta, attraverso un’inedita combinazione di forme geometriche basate sui giochi del Tangram, dei Pentamini e degli Esamini. Numerose le personali a lui dedicate, dalle prime mostre liguri alle grandi esposizioni tedesche di Ingolstadt, Bottrop, Bonn, Colonia, Münster. Nel 2007, in occasione del suo ottantesimo compleanno, il Museo Civico di Sanremo gli dedica la Mostra “Geometrie in gioco. Enzo Maiolino. Opere 2000-2007”, a cura di Leo Lecci e Paola Valenti. Oltre ad una ricca selezione di opere grafiche e pittoriche, una sezione della mostra espone i documenti raccolti da Enzo Maiolino nella sua lunga attività di artista e studioso: libri, fotografie, manifesti, depliant, pubblicazioni, articoli di giornali che testimoniano e raccontano tutte le vicende legate alla vita culturale dell’ultimo cinquantennio. Una parte consistente dell’Archivio Maiolino è attualmente conservata presso l’AdAC (Archivio di Arte Contemporanea dell’Università degli Studi di Genova) al quale l’artista ha deciso di destinare la sua intera raccolta documentaria.
Comune di Sanremo (IM), ottobre 2014
 
Enzo Maiolino, calabrese di nascita (1926) e ligure d’adozione (dal 1937), pubblicò le sue prime acqueforti negli anni Settanta e iniziò a orientare la propria opera verso una pittura aniconica di matrice neoconcreta con splendide scansioni cromatiche, praticando intanto l’arte incisoria per sperimentare ancor meglio l’astrazione delle forme.
Nel 1993 il critico e storico d’arte tedesco Walter Vitt conobbe l’opera di Maiolino e cominciò a promuoverla tramite una mostra monografica e itinerante per la Germania (1996-1997) e poi curò un prezioso catalogo (1).
Con l’aprirsi del nuovo millennio anche l’Italia s’è accorta dell’artista, nel 2001 alcune sue creazioni sono entrate nella collezione permanente del Museo d’Arte Contemporanea di Villa Croce e, nello stesso anno e sempre a Genova, la Fondazione Novaro gli ha conferito il premio per la cultura con la rondine in ceramica (oltre ad avergli dedicato per intero il quaderno numero 35 de «La Riviera Ligure»).
Maiolino, per limitarsi a qualche esempio emblematico, ha pubblicato testimonianze inedite e rare su Amedeo Modigliani (2), ma anche una raccolta di racconti di Giacomo Natta (3), ha impreziosito con i suoi disegni diverse sillogi poetiche (soprattutto per Vanni Scheiwiller) e ha rilasciato una lunga intervista su se stesso, eloquente sin dal titolo Non sono un pittore che urla (4).
Il sapere del poliedrico pittore si poggiava saldamente su una memoria fatta di mille cassetti dove tutto era stato messo gelosamente al sicuro e ordinato con paziente perizia, mentre la sua curiosità e la sua generosità rendevano d’impiccio chiavi e combinazioni: era sempre pronto ad archiviare un nuovo documento, ad aggiornare una vecchia bibliografia, ad attentare all’intrico di una questione complicatissima, e con forza uguale e teneramente contraria ti concedeva di guardare da vicino, ti coinvolgeva nella gioia di una scoperta, ti chiedeva di ripartire daccapo e insieme per una ricerca fin lì infruttuosa (quella relativa a Natta e Zambrano ci ha appassionato particolarmente).
Alessandro Ferraro, La memoria di Enzo Maiolino, «La Riviera Ligure», quadrimestrale della Fondazione Mario Novaro, XXVIII, 83, maggio/settembre 2017
 
1 Walter Vitt, Enzo Maiolino 1950-2000. Das druckgrafische Werk. Opera incisa e serigrafica, Nördlingen, Steinmeier Verlag, 2000. Segnalo anche il catalogo a colori Geometrie in gioco. Enzo Maiolino. Opere 2000-2007 (Genova, De Ferrari, 2007), curato da Leo Lecci e Paola Valenti che tante attenzioni hanno dedicato all’artista “ligure”. 
2 Modigliani vivo. Testimonianze inedite e rare, a cura di Enzo Maiolino, con una presentazione di Vanni Scheiwiller, Torino, Fogola, 1981. Dopo 35 anni l’importante volume è pronto ed è tornato in circolazione grazie a una nuova edizione: Modigliani, dal vero: testimonianze inedite e rare raccolte e annotate da Enzo Maiolino, a cura di Leo Lecci, De Ferrari, Genova, 2016.
3 Giacomo Natta, Questo finirà banchiere. Racconti. Un ricordo di Giacomo Natta, a cura di Enzo Maiolino, Milano, All’Insegna del Pesce d’Oro, 1984.
4 Enzo Maiolino, Non sono un pittore che urla. Conversazioni con Marco Innocenti, con uno scritto introduttivo di Leo Lecci, Ventimiglia, Philobiblon, 2014.