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venerdì 14 marzo 2025

Ghepeu, l'uomo che faceva saltare i ponti

 

Sanremo (IM): un angolo di Via Romolo Moreno

"Ghepeu", al secolo Sergio Grignolio, nato a Vallecrosia (e già questa circostanza meriterebbe qualche approfondimento) il 2 luglio 1926, ma soprattutto fiero abitante di Sanremo, fu un partigiano che godette di una discreta letteratura, a cominciare dalla lunga intervista rilasciata a Mario Mascia per "L'epopea dell'esercito scalzo" (ed. ALIS, 1946), primo libro di storia sulla Resistenza Imperiese, e dalla coincidenza della sua figura - come ribadito in alcune occasioni con colorite sottolineature dallo stesso protagonista - con il personaggio di "Lupo Rosso" ne "Il sentiero dei nidi di ragno" di Italo Calvino. Del resto Calvino si era ritrovato incarcerato con Grignolio quando questi effettuò la prima delle sue due rocambolesche fughe da una prigione nazi-fascista. Mascia mise in evidenza "Ghepeu" come il “bridge blower”, cioè l'uomo che fa “saltare i ponti”, aspetto ripreso da diversi scrittori.
Non evoca, invece, nulla di avventuroso, a ben guardare, la denuncia presentata dallo stesso Grignolio a Liberazione avvenuta, precisamente il 28 agosto 1945, contro una ragazza di Sanremo, dove era nata il 28 marzo 1927, quindi, minorenne, la quale aveva, per timore - per sua ammissione - di essere ritenuta complice, aveva segnalato alle Brigate Nere che nell'abitazione di famiglia di Via Romolo Moreno (nel centro storico della Pigna), abbandonata dai componenti perché sinistrata a seguito dei bombardamenti, pernottavano saltuariamente, tra dicembre 1944 e gennaio 1945, alcuni partigiani, tra cui "Ghepeu". 
 
Copia della pagina qui citata del brogliaccio delle Brigate Nere di Sanremo

Le ispezioni dei militi repubblichini non avevano avuto esiti positivi, ma il loro brogliaccio individuava il comportamento dei garibaldini, che avrebbero utilizzato la casa quale base momentanea, senonché, questi saloini, da inguaribili guardoni, come si evince da altre pagine del loro diario, non potevano trattenersi da usare frasi pittoresche a loro care quali l'attribuire - aggiungendo solo "pare" - a questi patrioti - il "fare baldoria" in un appartamento della limitrofa Via Rivolte prima di passare al già citato rifugio.
Il documento qui richiamato, al pari di quelli quasi tutti menzionati qui di seguito, è una copia, frutto di una ricerca effettuata nell'Archivio di Stato di Genova da Paolo Bianchi di Sanremo.

A Vallecrosia avevano visto la luce anche alcuni collaborazionisti, dei quali si è già detto.

Tra le testimonianze che incrociano "Ghepeu" e Italo Calvino - Pietro Ferrua (in "Italo Calvino a San Remo", Famija Sanremasca, 1991): "Italo Calvino trascorre circa tre notti fra Villa Giulia o Villa Auberg e il carcere di Santa Tecla paventando una fucilazione che lo risparmierà ma mieterà altre vittime. Durante questa breve detenzione si imbatte in Sergio Grignolio..." -, ma anche i fratelli Sughi, Pietro (Pier delle Vigne o della Vigna) e Juares (Leone), partigiani che con il futuro scrittore e con Grignolio avevano condiviso diverse esperienze di vita alla macchia, compresa la breve permanenza nella grotta scavata dal padre di Calvino nella sua campagna di San Giovanni di Sanremo, ce ne sono, pertanto, alcune di Pietro Ferrua, notevole personalità del pacifismo, dell'anarchia libertaria e della cultura, che tuttavia a proposito di un certo O., a distanza di tanti anni dalla fine del conflitto, non si era ancora accorto che si era trattato di una spia fascista, come del resto messo in evidenza anche in un rapporto del 2 giugno 1947 redatto dall’OSS statunitense, contenente verbali degli interrogatori subiti da Ernest Schifferegger (altoatesino, interprete, ex sergente SS), ma quest'ultimo è un atto solo da poco desecretato, mentre altri avrebbero dovuto essere noti da tempo..

Da una fonte occasionale diversa si è di recente avuta la conferma dell'identità del commerciante di Ventimiglia - al quale si è già accennato in un precedente post - in forza con la sigla "VEN.38" - non è chiaro se come agente o se come confidente - all'U.P.I. (Ufficio Politico Investigativo) della G.N.R. (Guardia Nazionale Repubblicana) del regime di Salò.

Aveva la residenza a Bordighera la donna traduttrice (ed interprete) per gli occupanti tedeschi, per i quali lavorò prima a Sanremo, poi ad Ospedaletti: da quest'ultima località avrebbe fornito utili informazioni ad un resistente della città delle palme.

Adriano Maini

lunedì 21 ottobre 2024

Francesco Lanteri e Giobatta Lanza, di Triora, fucilati in una imprecisata rappresaglia nazifascista


Forse rimarrà ancora a lungo tale il mistero del luogo più preciso dove vennero massacrati dai nazifascisti, ma grazie alla tenace insistenza di un appassionato ricercatore della Val Roia francese, Christian Marchisio, vengono nuovamente oltre frontiera in qualche modo commemorati a distanza di quasi ottant'anni dalla loro tragica sorte due abitanti di Triora, uno dei quali, per i criteri dell'epoca, decisamente anziano, entrambi trucidati per rappresaglia.
Nella banca dati dell'Istituto Ligure per la Storia della Resistenza e dell′Età Contemporanea "R. Ricci" Francesco Lanteri (nome di battaglia Stella) e Giobatta Lanza (nome di battaglia Marco) vengono ricordati come fucilati il 30 giugno 1944 a Cima Marta.

Foto: Christian Marchisio

Christian Marchisio ha opportunamente sottolineato che a Lanteri e a Lanza è dedicato un piccolo memoriale in un ovile (o ex ovile) della Baisse d’Anan nel comune di Saorge, luogo che, ad esempio, il CAI di Savona oggi include nel cosiddetto anello del Balcone di Marta, quindi, non poi molto lontano da Cima Marta, in ogni caso in alta montagna.


Quanto riportato nei libri sulla Resistenza Imperiese e nella lapide (valorizzata dal meritevole sito Pietre della memoria e che indica Lanteri e Lanza, invece, quali caduti civili) in Piazza Bronda a Triora non fa luce sui motivi scatenanti la rappresaglia che costò loro la vita.



L'impegno di Christian Marchisio consente oggi la pubblicazione di alcuni documenti - a lui pervenuti dall'Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia - concernenti Francesco Lanteri e Giobatta Lanza, documenti dai quali balza evidente agli occhi un'altra anomalia, perché queste carte riportano come data della loro morte quella del 30 settembre 1944, di tutta evidenza quella vera.


Di Lanteri Marchisio si è così procurato anche una fotografia.



Christian Marchisio si chiedeva se gli sarebbe stato possibile contribuire alle celebrazioni nella sua zona dell'80° della Liberazione (così fu per il sud-est della Francia) procurando dettagli sulle figure di Lanteri e di Lanza.


Si può affermare che in buona misura ci sia riuscito.

Resta il fatto che, al netto di ulteriori informazioni su di loro probabilmente non più reperibili, Francesco Lanteri e Giobatta Lanza sono due tra i tanti martiri della Resistenza al nazifascismo della zona marittima di frontiera tra Italia e Francia, segnatamente della Val Roia.

Adriano Maini

giovedì 5 settembre 2024

Ventimiglia e la seconda guerra mondiale...

Ventimiglia (IM): la lapide che nella piazzetta della Chiesa di Nervia ricorda le 67 vittime del bombardamento aereo del 10 dicembre 1943, tra le quali quattro ostaggi esposti dai nazifascisti

Due cugini, nati in provincia di Parma, emigrati a Ventimiglia, perirono, uno alpino, l'altro del genio ferrovieri, nel rogo dell'infame campagna di Russia voluta da Mussolini nella seconda guerra mondiale.
La famiglia dell'alpino, finito il conflitto, andò ad abitare in prossimità delle rovine - affacciate sul fiume Roia - provocate dai terribili bombardamenti che squassarono la città di confine, in modo particolare quello del 10 dicembre 1943.
All'altra famiglia toccò in sorte di ricevere - a morte già avvenuta del congiunto - una cartolina postale  (uguale a decine di altre, con la sola variante dei destinatari e del nome proprio del subordinato), firmata dal maggiore del Battaglione, un biglietto che augurava il Buon Natale e che assicurava che il loro caro stava bene.
Nella zona di residenza di questa famiglia, Nervia di Ventimiglia, un anno dopo, proprio in quel 10 dicembre 1943 già citato, una ragazzina assistette da vicino all'inferno scatenato dagli aerei statunitensi con tale evidente timore sì da voler spesso ricordare da insegnante adulta in classe ai suoi allievi il tragico episodio.
Sempre in quel giorno si prodigò all'estremo per soccorrere feriti e per dare conforto spirituale il parroco, che anni dopo dalla sua nuova destinazione di Riva Ligure si trovò spesso in stazione con l'opportunità di rivedere e salutare affettuosamente almeno un ferroviere, in questo caso fratello del geniere defunto, del novero dei giovincelli da lui già conosciuti a Nervia.
Si affrettarono anche dal centro città madre e figlio di dieci anni in cerca del padre che dalle parti di Nervia aveva un lavoro: per loro fortuna il capofamiglia si era trovato oltre il punto critico, ma il bambino da grande avrebbe rammentato i morti da lui visti con sofferta umanità ancor più per il fatto che era destinato a frequentare tanti sopravvissuti.
Sempre da Nervia era partito per la guerra un altro ragazzo, che conosceva quasi tutte le persone - di alcune era anche amico! - qui menzionate e che affondò al largo dell'isola Asinara con la corazzata Roma il 9 settembre 1943.
Finirono in trappola Ettore e Marco Bassi, padre e figlio, commercianti ebrei di Ventimiglia, benefattori non solo degli ebrei stranieri in fuga, ma anche benemeriti della città e del comprensorio, per essere poi falcidiati nell'inferno degli stermini nazisti.
Ferrovieri antifascisti di Ventimiglia vennero uccisi nelle rappresaglie del Turchino e di Fossoli, ma i più trovarono la morte nei lager tedeschi: tra loro anche il compagno di lotta capitano Silvio Tomasi, già reduce dalla campagna di Russia.
Da Ventimiglia qualche familiare è riuscito negli anni a recarsi in Germania per visitare la tomba di un loro caro, deceduto quale Internato Militare.
Una lapide nel cimitero centrale di Ventimiglia a Roverino commemora i partigiani caduti: impressionante pensare a come furono massacrati a Sospel dalla furia nazifascista undici garibaldini (tra i quali un ventimigliese, Osvaldo Lorenzi; un altro ventimigliese, Sauro Bob Dardano, era già morto con l'assalto nemico) e quattro appartenti al maquis.
Nella strage nazista di Grimaldi perirono anche tre bambini molto piccoli; in quella di Torri due persone molte anziane e due cinquantenni.
Sono solo alcuni esempi, uno spaccato non esaustivo: certamente è impressionante verificare che solo la piccola città di Ventimiglia abbia avuto centinaia e centinaia di vittime di guerra.
 

Adriano Maini

mercoledì 3 aprile 2024

Luci ed ombre sugli uomini della Missione Flap


C'é un rapporto segreto inglese, redatto dal capitano G. K. Long, artista di guerra, in riferimento alla Missione Flap, condotta, con culmine nell'ottobre 1944, tra i Partigiani, nel Basso Piemonte, del comandante Mauri, e i Partigiani della I^ Zona Operativa Liguria.
Il documento in questione era stato rintracciato a cura di Giuseppe "Mac" Fiorucci per la preparazione del suo Gruppo Sbarchi Vallecrosia, IsrecIm, 2007. Della Missione Flap scrisse anche il capitano Paul Morton, canadese, corrispondente di guerra, in Mission Inside, ma edito solo nel 1979 a Cuneo da L'Arciere, e soprattutto per le insistenze di partigiani piemontesi: il Toronto Star aveva pubblicato il 27 ottobre 1944 un solo articolo dei nove che Morton aveva preparato superando le censure degli uffici militari preposti e per giunta lo aveva già licenziato. Long non aveva solo stilato la suddetta relazione, ma aveva anche messo mano a dei disegni che avrebbero dovuto completare il lavoro del collega giornalista, ma questi, invero, vennero dopo tanti anni pubblicati solo nel citato Mission Inside.

Dal documento di Long si estrapolano nella presente occasione le seguenti frasi: Alle 6 di sera del [giorno non precisato, ma dovrebbe essere stato  il 7 ottobre 1944] partimmo per ROCCHETTA [Rocchetta Nervina (IM)] dove giungemmo dopo quattro ore di marcia. Ripartimmo di nuovo a mezzanotte con la guida PIERINO LOI che ci diresse attraverso la parte principale delle postazioni armate tedesche raggiungendo la periferia di VENTIMIGLIA dopo sei ore di marcia. Qui rimanemmo in un piccolo riparo dietro alla casa dei genitori della guida... Noi avevamo viaggiato da PIGNA in vestiti civili e siccome stava piovendo dalle 6 di sera quando dovemmo attraversare la città, potemmo indossare dei sacchi sulla testa nel modo in cui lo facevano i contadini, il che si aggiunse al nostro travestimento. Camminammo 2-3 chilometri lungo la strada principale che costeggia il fiume ROIA ed attraversammo il ponte nella città vecchia passando oltre le sentinelle tedesche senza sollevare il minimo sospetto ed andando alla casa del pescatore sulla spiaggia. Qui rimanemmo dalle 7 di sera fino a mezzanotte... A mezzanotte portammo la barca (lunga approssimativamente 14 piedi con quattro remi) per una strada e giù attraverso la spiaggia di ciottoli - l'unica area non minata - fino al mare. I pescatori ci portarono vogando, senza ulteriori incidenti, in 3 ore e mezza a Monte Carlo (MONACO) dove sbarcammo [quindi, approssimativamente alle ore 4 del 9 ottobre 1944, data in ogni caso indicata da Brooks Richards, Secret Flotillas, Vol. II: Clandestine Sea Operations in the Western Mediterranean, North Africa and the Adriatic, 1940-1944, Paperback, 2013] e ci arrendemmo alla  guarnigione F.F.I. La mattina seguente guidammo fino a Nizza e facemmo rapporto al Maggiore H. GUNN delle Forze Speciali ... A Nizza informammo il Colonnello BLYTHE del quartier generale della task force della settima armata americana circa la squadra dei quattro prigionieri di guerra che ci avevano lasciato per TENDA. Fino a quel momento non era arrivata nessuna loro notizia attraverso le pattuglie americane in quell'area... I pescatori erano in grado di fornire informazioni preziose alla Sezione di Interpretazione Fotografica del quartier generale americano sulla Forza Tedesca, posizioni delle armi, campi minati, ecc. a VENTIMIGLIA. (Mr. Paul Morton ha i nomi e i documenti di questi due uomini che darà senza dubbio alla Rappresentativa delle Forze Speciali n.1 con P.W.B.  a Roma). Questi uomini furono poi consegnati dal Maggiore GUNN al Capitano Jones, Esercito Americano a Nizza... PIERINO LOI, la guida procurata da LEO, mise su un'operazione straordinaria e non perse nemmeno una volta la pista durante le sei difficili ore di marcia da ROCCHETTA a VENTIMIGLIA... I pescatori sono sicuri che questo percorso  (Ventimiglia - Monaco o Mentone) potrebbe essere usato con successo in entrambi i sensi. Essi affermano che si potrebbero evacuare da VENTIMIGLIA fino a venti persone alla volta se fosse disponibile un'imbarcazione più grande. Ciò vedemmo ed annotammo, e si può attestare che i pescatori condussero a termine il loro piano di evacuazione senza alcuna deviazione... 

In seguito il capitano Michael Lees, che era già stato prima della Flap responsabile di svariate imprese segrete, venne "dimenticato", ad usare un eufemismo, dalle autorità inglesi perché dopo il suo passaggio dal ponente ligure aveva comunque compiuto con efficacia ed eroismo, ricavandone gravi ferite (per la quinta volta!), la Missione “Tombola” (così in inglese!), sull’Appennino  a sud di Reggio Emilia, un'azione che era all’ultimo stata… annullata dalle autorità superiori. Insomma, Lees aveva disobbedito agli ordini, perché, invece, aveva condotto l'attacco (che non si doveva più effettuare!) alla postazione tedesca insieme a partigiani garibaldini di quei luoghi, a uomini della Sas, e al maggiore Roy Farran, il quale per varie circostanze se la cavò in seguito con più onore di Lees, rimanendo, al contrario di Lees (congedato piuttosto frettolosamente!)  in forza all’esercito. E non era neppure mancato, per quell’assalto notturno del 27 marzo 1945 al comando tedesco di Villa Rossi e Villa Calvi in Albinea (RE), l’accompagnamento di una cornamusa scozzese suonata da David Kirkpatrik, perché i nazisti intendessero bene che erano stati colpiti da militari, così da non compiere una delle loro tante efferate rappresaglie su civili innocenti.

L'episodio SAS Italian Job della serie televisiva Secret War della BBC (2011) era imperniato sulla Operazione “Tombola“. Su Rai Storia a giugno 2020 una trasmissione ha, inoltre, affrontato risvolti successivi degli accadimenti occorsi a Lees e a Farran (aspetti di cui si parla anche nel più recente Malcolm Tudor, SAS in Italy 1943-1945: Raiders in Enemy Territory, Fonthill Media, 2018).

Adriano Maini

mercoledì 24 gennaio 2024

Tanti immigrati alla costruzione delle strade militari nell'estremo ponente ligure

Magauda, Frazione di Camporosso (IM): una zona circondata a suo tempo da strade militari

Come è ben noto, durante la Grande guerra a Ventimiglia vennero adibiti a ospedali militari l'Orfanotrofio San Secondo e l'Ospizio di Latte; a Bordighera vennero adattati a simile scopo il nuovo Casinò e diverse ville private, anzi, fu persino impiantato un nosocomio attendato; e così via. Del personale inglese (infermiere, ufficiali, soldati) passato in zona si conoscono alcune vicende di battaglia, ma poco risulta scritto dei fatti d'arme che coinvolsero uomini di questa zona del ponente ligure (da segnalare nel contesto il bel lavoro di Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019, ma, trattandosi di una rassegna di quasi tutti i combattenti della zona intemelia partiti all'epoca per il fronte, le relative informazioni per forza di cose, fatte salve alcune eccezioni, sono necessariamente molto sintetiche), per cui in proposito nel secolo più o meno appena trascorso sono girati alcuni racconti orali, all'apparenza scarni ed imprecisi, anche quelli compiuti da successivi immigrati.

Alla metà degli anni Trenta - ed ancora poco prima - alla costruzione delle strade militari, che sarebbero dovute servire da infrastruttura alla cosiddetta (e presunta) Maginot fascista delle Alpi Marittime, parteciparono in prevalenza come operai e manovali tanti e tanti immigrati - non tutti provvisori - da altre parti d'Italia. Dovette occuparsene anche il poeta Salvatore Quasimodo, allora quadro del Genio Civile di Imperia.

Scoppiato il secondo conflitto mondiale, il regime pensò di prodursi in un altro gesto di propaganda dei suoi, facendo (obbligando a) rientrare tredicimila tra bambini e ragazzini, figli di connazionali trapiantati in Libia, da far vivere poi tra edifici di colonie estive, alberghi, costruzioni varie (in genere pertinenze della Gioventù Italiana del Littorio, la G.I.L.). Secondo il compianto presidente dell'ANPI di Bordighera, Vincenzo Ridi, che nel 2013 ne promosse la memoria, ben quattromila dimorarono a Bordighera. Diversi anche nella vicina Sanremo, ma chi scrive non ha ancora trovato cifre in merito. In ogni caso, su questa drammatica vicenda, poiché si trattava di piccoli lontani dalle famiglie, dei quali molti perirono sul suolo nazionale e tanti altri non rividero più i loro cari, ha ben scritto da adulta una protagonista, Grazia Arnese Grimaldi, nel suo "I tredicimila ragazzi italo-libici dimenticati dalla storia" (Marco Sabatelli Editore, Savona, 2012).

In alcuni diari di nostalgici, in genere bersaglieri repubblichini, dei loro trascorsi di guerra nei pressi di questo confine con la Francia emergono memorie goliardiche, ed anche sporadiche retoriche commemorazioni di camerati caduti, ma non risultano mai parole di pietà per le loro vittime.


Esempi di documentazione O.S.S.


Non saranno tutti così i documenti pertinenti in materia, contenuti negli archivi statunitensi, i N.A.R.A., ma da quello che si rinviene desegretato dalla CIA in Rete, tra interrogatori in italiano condotti - si presume - per le Corti d'Assise Straordinarie (C.A.S.) del secondo dopoguerra, confluiti in atti O.S.S. (antesignana della CIA) ed altri appunti della medesima Organizzazione, tutti afferenti in qualche modo la provincia di Imperia, non difettano, accanto alle certificazioni di efferatezze nazifasciste (qui, qui e qui qualche esempio), aspetti secondari che sconfinano nel pettegolezzo: non solo la presenza ridondante di amanti donne, cui si è fatto già cenno altra volta, ma anche azioni da profittatori di guerra, coinvolgimento in trame di contrabbando e di borsa nera di alcuni commercianti di fiori, incombenze pressoché usuali di domestici, albergatori ed autisti (con viaggi a destra e a manca, soprattutto attraverso il confine con la Francia, sinché non divenne il fronte, con meta prevalente - guarda caso! - Montecarlo), quasi a dimostrazione del fatto che da accusati e testimoni non si intendesse ricavare molto di più.

Adriano Maini

domenica 16 aprile 2023

Cenni sulla Resistenza in provincia di Parma

Fornovo di Taro (PR). Fonte: Wikipedia

Nei concitati giorni della proclamazione dell’Armistizio anche il Comitato d’azione antifascista parmense intensifica gli sforzi. In una riunione tenutasi a Mariano il 9 settembre, nella villa del professor Angelo Braga, viene presa la decisione di coordinare gli sforzi degli esili gruppi antifascisti presenti sul territorio e cominciare ad organizzare una concreta opposizione agli occupanti <8. Da subito il nascente CLN si impegna per offrire aiuto e sostegno logistico ai militari alleati in fuga dai campi di prigionia, cercare armi, imbastire una rete di contatti. Il 15 ottobre, nello studio dell’avvocato Francesco Micheli, dirigente del Partito Popolare ed esponente di spicco dell’antifascismo parmense, si costituisce formalmente il Comitato di Liberazione Nazionale di Parma, struttura provinciale di organizzazione e coordinamento della nascente lotta antifascista. Ne fanno parte comunisti, socialisti, cattolici, repubblicani, liberali, azionisti <9.
Il CLN così costituito deve preoccuparsi di imbastire un’efficiente rete di comunicazioni con i centri del movimento partigiano. Ad attendere a questi compiti sarà un esercito di staffette, che costituiranno, per tutti i mesi della lotta partigiana, i nodi fondamentali di una rete clandestina di comunicazione e informazione. Le staffette sono tradizionalmente, nella memorialistica sulla Resistenza, donne. Per loro era forse più semplice muoversi liberamente sul territorio, destando minori sospetti dei colleghi maschi. Un compito importante che però non esaurisce la varietà dei ruoli ricoperti dalle circa 460 resistenti riconosciute in Provincia di Parma che, per tutti i mesi della lotta partigiana, cureranno feriti, faranno opera di propaganda, consegneranno stampa clandestina, organizzeranno manifestazioni pubbliche, prenderanno parte a combattimenti <10.
All’indomani dell’Armistizio si pongono anche le basi per la formazione delle squadre SAP (Squadre di Azione Patriottica) e GAP (Gruppi d’Azione Patriottica), vere e proprie cellule partigiane clandestine dislocate in città, composte da persone che, anziché abbandonare le proprie case e unirsi alle bande della montagna, continuano a vivere nella propria dimora e mantenere un normale impiego, dietro cui mascherano l’attività di guerriglia, sabotaggio e spionaggio.
Al progressivo consolidamento delle forze antifasciste si accompagna la rapida stabilizzazione del potere tedesco in città: tra settembre ed ottobre il controllo militare e amministrativo della provincia di Parma passa nelle mani del Militärkommandatur 1008, l’amministrazione militare tedesca, stabilitasi a ridosso della Cittadella, tranquillo quartiere residenziale lontano dai possibili obiettivi dei bombardamenti alleati <11.
[NOTE]
8 Gorreri D., Parma ’43. Un popolo in armi per conquistarsi la libertà, Parma, Step, 1975.
9 Istituto Storico della Resistenza e dell’età contemporanea di Parma, I caduti della Resistenza di Parma 1921-1945, Parma, Step, 1970, p. 159.
10 Pieroni Bortolotti F., Le donne della Resistenza antifascista e la questione femminile in Emilia Romagna: 1943-1945, Milano, Vangelista, 1978.
11 Klinkhammer L., Una città sotto l’occupazione tedesca: il caso di Parma, in «Storia e documenti», 5, 1999.
Iara Meloni, Occupazione tedesca e lotta di Liberazione a Parma: una breve introduzione storica in Stefano Rotta, Partigiano Carbonaro. Un ragazzo nella Prima Julia, Parma, Graphital, 2015

In questo capitolo ci si vuole soffermare e analizzare in che modo era strutturato il movimento partigiano parmense e che tipo di rapporti intercorrevano tra i comandi (e organismi) provinciali e quelli regionali o nazionali. Non vuole essere questa la sede per analizzare le caratteristiche e le criticità dei Comitati Nazionali come il CLN o il CLNAI, che sono invece stati ampiamente ed egregiamente trattati da storici come Roberto Battaglia, Claudio Pavone o Santo Peli. <46 Al di là quindi degli organi nazionali, ciò che interessa è focalizzarsi su quelli locali, cercando di dipanare la complicata rete di rapporti interni alla provincia di Parma ed esterni ad essa.
Nel precedente capitolo si è visto come il movimento resistenziale, sin dal suo esordio, sia stato guidato da un organizzazione a carattere nazionale, il CLN <47 appunto, che rappresentava quindi il vertice delle gerarchie di comando. Da questo organo si diramavano e si collegavano tutti i vari Comitati Nazionali sorti nelle città; nel caso di Parma, ricordiamo, questo si formò il 15 ottobre 1944. La fitta rete di collegamenti, non passava direttamente dal CLN nazionale a quelli locali, ma si rapportava anche con organi intermedi, a carattere regionale; per l’Emilia Romagna, era il caso del CUMER (Comando Unico Militare Emilia Romagna). La costituzione dei Comandi regionali si deve all’iniziativa comunista che propose, scrive Battaglia, “di trasformare le vecchie giunte militari in Comandi veri e propri, dotati della necessaria autonomia” <48. I Comandi regionali erano modellati sulla base del Comando Centrale, alle dipendenze del CLNAI, che nacque il 9 giugno 1944 con la costituzione del “Comando Generale per l’Alta Italia occupata del Corpo volontari della libertà” <49.
Alla costituzione del CVL, corrispose una spartizione delle competenze: sommariamente, le attribuzioni del CLNAI erano principalmente di natura politica, quelle del CVL, di carattere militare <50. Al pari di quello centrale, anche i Comitati di Liberazione provinciali e i Comandi locali si basavano su questa divisione. Nel caso parmense, si è visto come nel marzo del 1944, per motivi organizzativi, dal CUMER si formò la Delegazione Nord Emilia, con competenza sulle province di Parma, Reggio e Piacenza <51.  I contatti con il Comando Delegato avvenivano grazie alla costituzione a Fornovo, un paese della provincia parmense, di un Centro Collegamenti del Comando Nord Emilia, nel giugno 1944, affidato ai partigiani Bertini (Bruno Tanzi), Ferrarini (Enzo Costa) e Sergio (Alceste Bucci).
Per completare, sommariamente, il quadro dei rapporti tra la provincia parmense e gli altri organismi presenti sul territorio, è doveroso accennare anche alla presenza del Comando Alleato. Nonostante la scarna documentazione a riguardo, Leonardo Tarantini ci informa del fatto che i primi abboccamenti con gli Alleati risalivano al Natale del 1943. <52
I principali contatti con il Comando angloamericano avvennero per gli accordi relativi agli aviolanci; solo negli ultimi mesi prima della Liberazione, il Comando Alleato interverrà in una questione politica interna al Comando Militare parmense, questione che verrà analizzata successivamente, nel presente capitolo.
La gerarchia di comando non riguardava solo l’assetto nazionale, ma si riproponeva anche a livello provinciale. Nel caso di Parma, al pari delle altre città, il movimento era al suo interno rigidamente suddiviso. All’ultimo gradino della scala piramidale si collocavano le Brigate, gerarchicamente divise in Battaglioni, a loro volta suddivisi in Distaccamenti. Ogni reparto, ricordiamo, aveva il suo Comando composto dal Comandante, il Commissario, i rispettivi vice, l’Intendente e il Capo di Stato Maggiore. Salendo nella scala, al gradino intermedio, si posizionavano le Divisioni. Si tratta di raggruppamenti composti da diverse brigate, che si formarono nel parmense a partire dal febbraio 1945. Una relazione dell’ Ispettore del Nord Emilia, Umberto (Umberto Pestarini), ci informa sui motivi della riorganizzazione in Divisioni: “questo ultimo provvedimento, quello delle Divisioni, fa parte di un piano organico di riforma disciplinare e di dislocazione delle nostre forze […]”. <53 Naturalmente anche le Divisioni avevano il loro Comando. Infine al gradino più alto si trovava il Comando Unico Operativo, che coordinava le Brigate dipendenti e interagiva con i Comandi superiori. A differenza che per le vicine Piacenza e Reggio, a Parma si costituì la Delegazione del Comando Unico, operante nella zona ad Est della Cisa; in teoria essa era subordinata al Comando Unico, ma di fatto operava come autonoma. Sulle mansioni e le questioni inerenti al Comando Unico verrà dedicato un ampio paragrafo del capitolo.
[NOTE]
46 Cfr. R. Battaglia, Storia della resistenza Italiana, S. Peli, Storia della resistenza in Italia, C. Pavone, Una guerra civile.
47 sarebbe più preciso dire il CLNAI dal momento che a partire dal maggio 1944, “si considera a tutti gli effetti rappresentante del governo legittimo” cfr. R. Battaglia, Storia della resistenza italiana, p. 333.
48 R. Battaglia, Storia della resistenza italiana, cit. p. 339.
49 Ibidem
50 Per un approfondimento cfr. R. Battaglia, Storia della resistenza italiana, p. 439.
51 Il Comando Nord Emilia era così composto: Comandante: Mario Roveda (Bertola), Commissario: Emilio Suardi (Rinaldi), Vice Comandanti: Amerigo Clocchiatti (Lamberti) e Giovanni Vignali (Bellini), Ispettori: Enzo Costa (Ferrarini) e Bruno Tanzi (Bertini). Cfr. Fernando Cipriani, Guerra partigiana: operazioni nelle provincie di Piacenza, Parma e Reggio Emilia, p.7.
52 Cfr. L. Tarantini, Resistenza armata nel parmense, p. 67.
53 Archivio dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Parma (d’ora in poi AISRECP), Fondo Lotta di Liberazione, busta RI, fasc. QC, f. 19.

Costanza Guidetti, La struttura del comando nel movimento resistenziale a Parma, Tesi di laurea, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Anno Accademico 2017-2018

A Parma l'attività militare cittadina fu pressoché inesistente fino al 24 febbraio 1944, quando in centro venne ucciso un milite della GNR. Queste difficoltà di azione trovano conferma da quanto riportato nella Relazione della 12ª Brigata Garibaldi, che attribuiva ai GAP unicamente un'azione di recupero di armi per la montagna nel febbraio 1944. Eugenio Copelli “Gianni”, catturato dalla polizia in un'osteria del quartiere Oltretorrente nella serata del 9 marzo 1944 e ucciso subito dopo, veniva indicato quale comandante dei GAP di Parma da un volantino che lo descriveva come un eroico gappista, ma alla prova delle carte d'archivio risulta che dal colpo di febbraio fino al 10 aprile - quando sulla strada Parma-Colorno venne ferito gravemente da un ciclista un milite della Gnr - non si verificò più nessun attentato. Un ultimo colpo di coda del gappismo parmense si ebbe tra i mesi di maggio e luglio 1944, quando vennero segnalate dai Notiziari della GNR alcune sparatorie compiute da ignoti in bicicletta contro militi della RSI.
Maria Grazia Conti, Gruppi di azione patriottica (GAP) in Comando Militare Nord Emilia. Dizionario della Resistenza nell’Emilia Occidentale, Progetto e coordinamento scientifico: Fabrizio Achilli, Marco Minardi, Massimo Storchi, Progetto di ricerca curato dagli Istituti storici della Resistenza di Parma, Piacenza e Reggio Emilia in Rete e realizzato grazie al contributo disposto dalla legge regionale n. 3/2016 “Memoria del Novecento. Promozione e sostegno alle attività di valorizzazione della storia del Novecento”

Nella provincia di Parma le SAP si organizzarono a partire dall'estate del 1944 nella zona della bassa parmense limitrofa ai paesi di Colorno, Roccabianca, San Secondo e Mezzano di Sotto. Durante l'estate esse disarmarono alcune caserme, effettuarono frequenti sabotaggi alla rete telefonica, alle linee ferroviarie e ai cartelli stradali e sparsero sulle principali vie di comunicazione chiodi antipneumatici per bloccare i mezzi nemici, senza però riuscire ad innescare un movimento di massa nelle campagne circostanti. Queste problematiche furono denunciate nel novembre 1944 proprio dal Comando Terza zona che, in una nota al Comando generale delle brigate Garibaldi, lamentava «l'attendismo» delle comunità locali e la sconnessione esistente tra lotta militare e lotta politica. Sempre nel primo autunno del 1944 cominciò ad esserci traccia di nuclei sappisti anche nella zona a sud della via Emilia, ai bordi della città, ma le azioni, anche in questo caso, non andavano oltre qualche disarmo. Come è noto, i grandi rastrellamenti dell'inverno del 1945 costrinsero le SAP a ritirarsi in montagna per impedire gravose perdite di uomini, lasciando la pianura sotto il controllo dei nazifascisti.
Maria Grazia Conti, Squadre di azione patriottica (SAP) in Comando Militare Nord Emilia. Dizionario della Resistenza... op. cit.