Francesco Biamonti |
Matteo Grassano
Il territorio dell’esistenza. Francesco Biamonti (1928-2001)
Milano
Franco Angeli
2019
ISBN 978-88-917-8042-3
Chi ama i romanzi di Francesco Biamonti non potrà che compiacersi dello scrupoloso lavoro di Matteo Grassano, che ha prodotto questa corposa monografia dedicata a uno degli autori più convincenti dei nostri tempi, letterato di grande finezza, artista di forte efficacia. Subito celebrato dalla critica come scrittore di razza, Biamonti non è forse ancora abbastanza conosciuto dal più vasto pubblico dei lettori colti.
Per chi ama testi letterari di valore, l'autore ligure risulta una scoperta stimolante, per la filigrana esistenziale di cui sono permeate le sue opere, la raffinata asciuttezza del suo dettato al tempo stesso rigoroso e lirico, l’approccio personale ed efficacemente artistico della sua strategia narrativa. E poi la rarefazione delle trame, la pudica continenza (che talvolta rasenta la reticenza) con cui il narratore tratteggia i personaggi, che accrescono nel lettore interesse e curiosità per una prosa autentica, vocata, lontana da pose e mode, dotata di una propria cifra stilistica inconfondibile.
Spontaneo, quindi, il desiderio di comprendere di più questo autore dalla marcata personalità artistica.
Proprio qui interviene la paziente ricerca di Matteo Grassano in Il territorio dell’esistenza. Francesco Biamonti (1928-2001), pubblicata da Franco Angeli nella collana «Letteratura italiana. Saggi e strumenti», diretta da Gian Mario Anselmi, Pasquale Guaragnella e Francesco Spera.
Collana che vuole, fra l’altro, «indicare nuovi percorsi e suggerire nuove letture alternative, ravvivando la circolazione delle idee e riconfermando l’alto valore della nostra civiltà letteraria».
Il volume ha la prefazione di Vittorio Coletti, e non per caso, visto che Grassano raccoglie in pieno l’invito dello studioso a «una rilettura più critica e meditata del nostro autore» che miri a «una ricostruzione dei suoi percorsi umani e intellettuali» (Vittorio Coletti, Introduzione a Francesco Biamonti. Le parole il silenzio, Genova, Il nuovo melangolo, 2005, p. 9) inaugurando anzi «una terza età delle critica biamontiana: dopo quella della recensione militante e dell’interpretazione critica, quella della sistemazione complessiva» (p. 10).
Le quattrocento pagine del volume (di cui una trentina di bibliografia) concretizzano una ricerca meticolosa e appassionata, con lo scopo, si avverte, di essere prima di tutto utile, grazie a un approccio rispettoso che non interpone lo studioso tra scrittore e lettore ma vuole, al contrario, fornire strumenti per meglio comprendere e apprezzare i libri di un autore amato; e il saggio di Matteo Grassano tanto è ricco di informazioni, tutte documentate, quanto scritto in un linguaggio non specialistico ma chiaro, accessibile anche a chi fa altro mestiere da quello dello studioso o del critico.
Un elemento, che emerge con chiarezza dalla ricerca di Grassano e che aiuta a capire la genesi dei romanzi di Biamonti, è che per l’autore di San Biagio della Cima l’invenzione artistica parte dal dato reale; l’autore filtra sulla pagina scritta - in chiave narrativa, ovviamente - elementi del proprio vissuto, la conoscenza di ambienti, persone, fatti. I luoghi conosciuti - dunque - diventano lo scenario dell’universo narrativo in cui Biamonti ripropone suggestioni e veri e propri “quadri”, forte della sensibilità e vocazione pittorica che caratterizzavano il suo sguardo sulle cose e sul mondo, alla ricerca della luce e del tratto distintivo, identitario, che quei luoghi possiedono e comunicano: «La Liguria del qui e dell’ora è la frontiera in continuo movimento lungo cui si muove l’uomo e lo scrittore Francesco Biamonti per rappresentare il mondo circostante» (p. 31).
Lo studioso, con un paziente lavoro di verifica incrociata tra biografia, testimonianze, letture e scrittura, accerta infatti che i luoghi della narrativa biamontiana rimandano a contrade familiari o amate dall’autore, così come alcune figure e svariati fatti che compaiono nei suoi romanzi: quella, ricorrente, del pittore, costruita sulla frequentazione dell’amico Morlotti (p. 75); e così Sabel che fa la «stagione in Provenza nei campi di lavanda o nei vigneti» richiama l’esperienza dell’emigrazione (pp. 78-79) documentando il rapporto storico della comunità contadina del Ponente ligure con la Francia; e poi ancora le balie, le nounous di Vento Largo (p. 79); la fuga stessa di Sabel a Saint-Honorat, dove «Biamonti era stato ospite dei monaci» (p. 71); il celebre incontro con il pastore sul passo dell’Annunciata, luogo che «era davvero un punto di svernamento per i pastori delle Alpi Marittime» e dove ancora oggi si trovano i cortì, ovili in pietra (pp. 34 e 95); o l’esperienza di passeur che rimanda al ricordo di un fatto realmente vissuto da Biamonti quando aveva una decina di anni (p. 113), solo per fare alcuni esempi.
Grassano con esplorazione tenace e paziente ripercorre a ritroso i sentieri della composizione biamontiana rintracciando riferimenti filosofici, letterari, storici, linguistici, usi e vicende della tradizione locale e persino familiare dell’autore ligure. E così si precisa meglio la «mistura di vero e immaginario, di concreto e di mentale che costituisce il paesaggio di Biamonti» (Coletti, Francesco Biamonti, cit. p. 13) e più in generale la sua narrativa.
Passo passo Grassano ricostruisce, dunque, la fitta trama di dati reali che stanno dietro la trasfigurazione artistica, svela che l’ispirazione (com’è prevedibile) non è frutto di astrazione ma ha radici nel vissuto, nell’esperienza, nelle conoscenze, nei viaggi dell’autore ligure.
Le ricerche di alcuni studiosi - avverte - «confermano quanto Biamonti evoca narrativamente» (p. 79). È forse anche questa concretezza, questa densità di reale trasfigurato che sta dietro e dentro la pagina di Biamonti - viene da domandarsi - che dà, tra le altre cose, credibilità e vita alla sua narrativa.
Nei personaggi poi (marinai che vorrebbero tornare a fare i contadini, contadini che sognano di navigare), Grassano intravede una irrequietezza feconda fra «estraneità e malinconia» (p. 197), l’impossibilità di trovare una vera composizione tra curiosità del mondo, fuga verso un altrove da un lato e incrollabile radicamento alla propria terra dall’altro (p. 353); il dilemma, la tensione dei personaggi non si può comporre e lo spaesamento che ne deriva è, prima che individuale, storico.
Non c’è per Francesco Biamonti un buen retiro. Non lo sono le terrazze di ulivi e mimose marginalizzate da una società e una economia mutata; non lo è la fuga verso un altrove (il mare, simbolicamente) che pare tuttalpiù solitaria concentrazione in sé stessi, fino allo smarrimento (p. 354). I suoi protagonisti sono viandanti dell’esistenza, comunicano solitudini, testimoniano esistenze irrisolte (p. 145). E questo viaggio del vivere, condotto con la consapevolezza che non esiste porto sicuro, relazione sentimentale appagante (la donna «concilia l’uomo con la materialità della vita e con l’eternità della morte», p. 224) né requie è, in fondo, la normale, autentica condizione dell’essere umano: «È indubbio che, secondo Biamonti, lo statuto esistenziale dell’uomo sia sostanzialmente interrogativo» (p. 146). Ma la forza, la suggestione che è in grado di esercitare la sua prosa è frutto anche dell’accettazione, mai rassegnata, di questo dato di fatto, piuttosto che del compendiarsi dell’esperienza umana in quei quattro elementi - roccia, vento, mare, luce - che sono quasi metaforico “acronimo” della «vera e propria tetralogia elementare della materia e dell’immaginazione» (p. 362) compiuta dall’autore ligure nei suoi quattro, bellissimi romanzi: Angelo di Avrigue (roccia), Vento largo (vento), Attesa sul mare (acqua), Le parole la notte (luce) (p. 361).
Il lavoro di Grassano aiuta poi a comprendere con maggiore consapevolezza la peculiare esperienza estetica che origina dalla lettura delle opere di Biamonti, attraverso un percorso che conduce a esplorare la geografia reale, narrativa, interiore dell’autore di San Biagio, i luoghi della sua poetica, la «civiltà dell’ulivo» della Liguria contadina fatta di fatica e miseria, il mito consolatorio della Francia e quello antico, ancestrale della Provenza, e poi - insieme - il legame con quella attualità dolorosa di esuli e terre abbandonate o brutalizzate da un’economia senz’anima nell’inarrestabile precipizio della storia.
Acuta e utile, a tale proposito, la notazione di Grassano sul lirismo «fenomenologico-esistenziale» della prosa biamontiana (che si legge quasi fosse poesia) forse il più seducente e efficace strumento a cui lo scrittore affida una pur labile possibilità di resilienza: «[…] più il mondo si fa disumano e la realtà più crudele, più i segni di morte pervadono le coscienze, tanto più la risposta dev’essere lirica per salvare ciò che ancora c’è di umano nel nostro tempo», annota Grassano citando lo stesso Biamonti» (p. 340).
Ma la ricerca di Matteo Grassano è anche uno scavo delle radici del letterato ligure, condotto attraverso l’esplorazione della biblioteca personale dello scrittore a San Biagio della Cima, partendo dalle notizie che si possono trarre da interviste e interventi nei più diversi contesti in cui l’autore ligure ragionava apertamente, dialogando forse anche un po’ tra sé (come i suoi personaggi) sulla propria poetica, sulla lingua come strumento artistico-letterario e sull’arte letteraria come occasione esistenziale e strumento profondamente espressivo, da maneggiare con rigore, audacia e rispetto.
E così Il territorio dell’esistenza diventa lo stimolo a compiere nuove letture per conoscere di più la stessa opera di Biamonti, attraverso i testi e gli autori che furono per lui fondamentali: da L’essere e il nulla di Sartre a La terre et les rêveries du repos di Gaston Bachelard a Camus, Malraux, Valéry, Montale, solo per citarne alcuni, così da rileggere poi i romanzi dell’autore ligure con accresciuto interesse.
Infine, tra i pregi del saggio di Matteo Grassano, l’indicazione delle zone che richiedono ancora di essere illuminate dagli studiosi di Biamonti, prima fra tutte la formazione e le letture filosofiche (p. 149), e - prezioso contributo - l’articolata bibliografia che, con osservazioni puntuali utilmente distribuite di nota in nota, si compone nel corso della lettura del volume quasi in una bibliografia
ragionata.
Massimiliano Francia, Matteo Grassano, Il territorio dell’esistenza. Francesco Biamonti (1928-2001), Oblio, Osservatorio Bibliografico della Letteratura Italiana Otto-novecentesca, Anno X, numero 40, Inverno 2020
Il mondo letterario di Francesco Biamonti, la sua personale “terra di mezzo” a metà strada tra realtà e immaginazione <1, è un paesaggio di frontiera.
Nella straordinaria luce del trasognato ma vivido Ponente ligure biamontiano riverbera misteriosa l’entità confine <2. Presi tra l’azzurro cangiante del Mediterraneo e la verticale trascendenza delle Alpi Marittime, tra vertiginosi dirupi e terrazze ulivate, ne possiamo percepire la singolare presenza. Diffusa e viscosa, si appiccica a tutte le cose. Contamina il territorio, lo segna inesorabilmente. Nel presente saggio cercheremo di mostrare come la lirica prosa dello scrittore di San Biagio della Cima sia incentrata sul paesaggio di frontiera della Val Roja e della Val Nervia, dove la Liguria italiana sfuma nella Provenza francese. Forza allora, incamminiamoci “nel paesaggio aspro e scosceso dell’entroterra […], nell’estremo suo lembo di Ponente, al confine con la Francia” <3.
Paesaggio di frontiera
Prima di procedere, una considerazione preliminare, di metodo. In questo lavoro il paesaggio non è da intendersi come il convenzionale sfondo su cui si stagliano le gesta dei protagonisti umani delle vicende narrate. Nella nostra prospettiva il paesaggio è l’espressione estetica di un territorio vivo, cioè la manifestazione sensibile di un’associazione eterogenea di entità biologiche ed inorganiche che disegnano il profilo di una vera e propria società non antropocentrica. Non fondale inerte dunque, ma campo di forze ed energie. Greppi ruderi torrenti, rocce sentieri cespi, crinali terrazze e persino le stelle sono tutti elementi che, insieme agli uomini, compongono con intraprendenza la trama del tessuto geosociale <4 del territorio. Talora complici, talvolta nemici degli sconfinamenti clandestini della frontiera, le entità non umane che popolano il Ponente ligure biamontiano possono opporre resistenza, oppure cospirare con gli uomini.
Ne Le parole e la notte, ad esempio, “i picchi facevano da sentinelle lunari” <5 a un transito segreto. Vi è tutta un’arcana politica segreta di alleanze ed opposizioni, una diplomazia non verbale oltre l’umano. Gli sventurati trovatisi a tentare la sorte sui lameggiati crinali del confine franco-italiano sanno bene quanto gli elementi del territorio possano rivelarsi decisivi per il buono o il cattivo esito dell’attraversamento.
In Vento largo, quando il passeur Varì conduce Dragomir e Danila oltrefrontiera, appare evidente come le entità non umane non stanno sullo sfondo della narrazione, ma reclamino un ruolo da protagoniste. Citiamo il passaggio.
La Cimòn Aurive emergeva scogliosa in faccia alla luna. […]
Camminavano adesso verso il costone che allacciava il crinale d’Aùrno
alla Cimòn Aurive <6. Gli ulivi s’alternavano al bosco; l’aria portava un soffio
autunnale, di foglie secche: veniva dalle querce. […]
Il sentiero andava in cima a terrazze senz’alberi […]
Entrarono in un uliveto, l’ultimo di pace precaria, già assediato dai
rovi. […]
Passate le pietre di un vallone, solo rocce e stelle; poi, la parete vetrificata
incisa dal sentiero.
- Non parlate, - Varì disse col fiato, - la voce da qui non trova ostacoli,
se ne va sino al confine. Venite piano piano.
Si vedeva il mare laggiù in fondo, un mare che turbava: un dirupo più
lucente degli altri, che saldava i promontori. Poi salirono per un canalone
di polvere e conchiglie corrose, dove il piede affondava e dal crinale apparve
un altro mare, più vasto e che sembrava respirare. […]
Sostarono in attesa che la luna passasse a rischiarare l’altro versante, col
buio forato dalle luci di Castellar e di Sospel. […]
Li guardò scendere contro il mare, tra la risacca attutita dalle rupi. Tornò
indietro col cane che cominciava a riannusare i cespugli.
Ci si vedeva meno che all’andata - la luna rasentava il mare e illuminava
solo qualche scheggia di terra alta, da cui scendevano i riverberi <7.
Ecco come gli elementi del paesaggio sembrano dotati di vita propria, palpitano. Non di rado, forse per farne risaltare in modo più esplicito la vitalità, sono addirittura antropomorfizzati. In Biamonti sentiamo vibrare distintamente “l’intelaiatura stessa del paesaggio, l’intelaiatura morfologica” <8.
Le entità non umane, al pari degli esseri umani, compartecipano alla creazione e allo sviluppo di concatenamenti di senso e d’azione. Potremmo spingerci sino ad affermare che l’ontologia sottesa all’universo narrativo di Biamonti sia “piatta” <9, non antropocentrica. Del resto, a detta dello stesso autore, “l’uomo è un fenomeno tra i fenomeni, non è più signore assoluto” <10. Lo scrittore aveva dichiarato esplicitamente di sperare che nei suoi romanzi “le cose prendessero rilievo in sé: sì, come fenomeno a sé” <11.
[...]
1 Cfr. M. Quaini, Nel segno del paesaggio: Biamonti, la Liguria, il Mediterraneo, in “Resine: Quaderni Liguri di Cultura”, 141-142, Anno XXXV, 3°-4° trimestre 2014, pp. 135-136.
2 In questo saggio scegliamo di utilizzare i termini ‘confine’ e ‘frontiera’ come sinonimi. Per una discussione sul possibile diverso significato dei due termini rimandiamo a M. Graziano, Frontiere, Bologna, il Mulino, 2017.
3 Queste parole sono di Italo Calvino, tratte dalla quarta di copertina dell’edizione Einaudi de L’angelo di Avrigue. Cfr. F. Biamonti, L’Angelo di Avrigue (1983), Torino, Einaudi, 1995.
4 Cfr. N. Clark, K. Yusoff, Geosocial Formations and the Anthropocene, in “Theory, Culture & Society”, 34 (2-3), 2017, pp. 3-23.
5 Cfr. F. Biamonti, Le parole e la notte (1998), Torino, Einaudi, 2014, p. 84.
6 A nostro avviso questa cima rappresenta l’analogo letterario del Monte Grammondo, vetta delle Marittime che con i suoi 1378 metri domina il crinale di confine.
7 Cfr. F. Biamonti, Vento largo (1991), Torino, Einaudi, 1994, pp. 6-9.
8 Cfr. F. Biamonti, Scritti e parlati, Torino, Einaudi, 2008, p. 105.
9 Con la definizione di “ontologia piatta” facciamo riferimento al modello teorico dell’“attore-rete” (Actor-Network-Theory) nell’ambito della ricerca sociale, di cui il collasso della divisione moderna natura/cultura e il riconoscimento di entità non umane come attori (o attanti) qualora queste producano effetti su altri attori. Cfr. B. Latour, Reassembling the Social: An Introduction to Actor-Network Theory, Oxford, Oxford University Press, 2005.
10 Cfr. F. Biamonti, Scritti e parlati, cit., p. 228.
11 Ibidem.
Ivan Bonnin, Biamonti e il Ponente ligure: un paesaggio di frontiera, Paideutika, L'educazione tra norma e trasgressione, Nuova Serie, Numero 29, Anno XV, 2019