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venerdì 25 novembre 2011

Kit Carson ed altri fumetti western


Ebbene, quel Kit Carson, che in tanti, da sempre si può dire, siamo abituati a vedere come "pard" di Tex Willer nella saga omonima dei due Bonelli, compare - già come persona in avanti con l'età - la prima volta in Italia su "Topolino", nel numero 238 del 15 luglio 1937 "creato da Rino Albertarelli, che introduce il genere western nel fumetto italiano. Sarà ripreso in seguito da Federico Pedrocchi e Walter Molino". Uscirono anche numeri di un "Kit Carson, edizione in formato gigante delle avventure apparse alla fine degli Anni Trenta su Topolino - Edizioni Il Carro -".  
L'immagine di cui sopra non  fornisce, invero, molte indicazioni di merito.
Il vero Kit Carson operò sul serio in Nevada come massacratore di nativi, aspetto che invece Wikipedia mette in dubbio.



In America, dove il fumetto western era già stato inventato da anni, Kit Carson era talvolta giovane, bello e biondo. E forse gli italiani copiarono a man bassa da un modello statunitense. Un aspetto buffo è che per corredare questo trafiletto ho trovato almeno un Kit Carson disegnato in copertina che somiglia sin troppo all'attore Kirk Douglas.

A dire il vero ero convinto di avere un'immagine da originale di una copertina del primo Kit Carson "made in Italy", mentre più probabilmente Bruno Calatroni di Vallecrosia (IM), l'amico collezionista cui ho già fatto in precedenza riferimento ed al cui archivio ricorro più avanti anche in questa occasione, me ne ha semplicemente parlato - nel mentre si procedeva insieme a scannerizzare una selezione del suo materiale - come di un aspetto poco noto.


Questa, invece, é la fotografia di un originale di una "Raccoltina" (così si dice in gergo) di Tex, uscita nel 1956. Era tanto tempo, forse da quando ero bambino, che non ne vedevo una, così come, sempre nello stesso formato originale, le strisce ben più corte su cui si sono dipanate per anni le avventure di questo personaggio, nato come ben si saprà nel 1948. La dimensione ad album, che ha accompagnato il grande successo di Tex, viene introdotta a titolo sperimentale successivamente, per approdare a dimensione definitiva, se non erro nel 1961, prima con la ripubblicazione delle storie già uscite, poi, con la stesura incessante di tante nuove.


Nel genere western credo possa essere ascritto anche "Il Grande Blek", qui anch'esso nel formato a striscia, numero del 27 novembre 1960. Un altro fumetto entrato nell'immaginario collettivo, al punto da dare il titolo ad un film pur imperniato sulla cronaca di costume.


E "Blek Macigno" - io lo ricordo pure con questo nome - usciva anche in formato album, anche se con non molte pagine: questo é del 1 maggio 1957.


Questo "Pecos Bill", cui manca la copertina, so di averlo avuto nelle mani in tempo reale: é del 1955 ed é diverso da un altro che venne in seguito.


Qui "Il Piccolo Sceriffo" del 9 aprile1954.


Termino questa rassegna con "Un ragazzo nel Far West" del 12 ottobre 1962.

Ho altre immagini a disposizione, ma come originali d'epoca nel campo western mi mancano ad esempio "Capitan Miki" e "Kinowa".
Pensando a Kit Carson, ho saltato una logica prosecuzione di un mio precedente post in materia, che conto di riprendere a breve.

In ogni caso, senza entrare più di tanto nel merito - credo, ad esempio, rispondendo tardivamente ad una pregressa domanda, che non possano, compreso Tex, più piacere ai bambini di oggi - questi fumetti per il periodo preso in esame rappresentano, a mio avviso, con significati di letture importanti non limitate all'infanzia, di cui altre volte ho già detto e su cui, anche per non annoiare, non torno, uno spaccato di storia sociale del nostro Paese.


lunedì 21 novembre 2011

India ...

Da greatestbattles.iblogger.org
Nel Sultanato di Delhi nel 1450: Rustam uccide con la sua lancia l'eroe turaniano Alkus.

Da tempo, invero, desideravo pubblicare riproduzioni di iconografie originali di qualche secolo fa, pertinenti scene di vita quotidiana delle classi alte ed autori del sub-continente indiano. Una recente lettura, di cui darò breve conto più avanti, mi ha riportato con prepotenza la memoria ai misfatti coloniali compiuti dagli europei anche laggiù. La ricerca di immagini mi ha alquanto e di nuovo deviato l'attenzione, perché ne ho rinvenute di veramente notevoli per illustrare, almeno per sommi capi, momenti storici, soprattutto dell'India dei Moghul.

Da greatestbattles.iblogger.org
La morte del Sultano Hindu, Bahadur, che doveva incontrarsi con il governatore lusitano su di una nave, davanti a Diu nel 1603: i Portoghesi dissero che era caduto fuori bordo, gli accompagnatori del principe sostennero, invece, che era stato spinto.

Da Wikimedia
I Moghul (o Mogol) erano già arrivati da tempo in India. Precisamente nel 1526. Babur, qui ritratto da un artista della sua gente, fu il sovrano della conquista, destinata, prima di spegnersi, tra alterne vicende ad allargarsi. Il primo Gran Moghul, appunto. 
Da greatestbattles.iblogger.org
Ma ecco Akbar, forse il più famoso di quegli imperatori: Adham Khan gli rende omaggio a Sarangpur nel 1561.

Da Wikimedia
Nel 1636 il Principe Khurram di ritorno dal Deccan si presenta a Jahangir.

Da Wikimedia
Nel 1656 gli Olandesi videro questa ambasceria del Moghul a Pechino.

Di Nadir, scià persiano, al sacco di Delhi nel 1739, esiste una bella immagine, purtroppo, non più reperibile sul Web. Anche i vicini, non solo gli europei, infierivano sull'India in quel periodo.

Da Wikimedia
Con la battaglia di Pondichéry (Pondicherry in inglese), del 1761, durante la guerra dei Sette Anni, gli inglesi, se ricordo bene, estromettendo i francesi, sconfitti, iniziarono ad assumere il dominio completo dell'India. Con grande crudeltà, come da triste consuetudine.

Il romanzo cui accennavo in premessa, "Mare di papaveri", prende le mosse settant'anni dopo, quando l'Inghilterra sta ormai preparando la guerra dell'oppio contro la Cina. Un aspetto terribile, in cui non mi ero mai imbattuto, é che questa droga veniva preparata nel e vicino al Bengala - di salgariana memoria per molti italiani - con popolazioni in pratica schiavizzate in questa filiera, se così si può definire, produttiva. L'autore é Amitav Ghosh, del quale vado, per esigenze di sintesi, anche rispetto a tante lodevoli critiche, a riportare una sola frase: "Credo che un romanzo dovrebbe sempre avere una certa dose di rumore di fondo, che può non essere immediatemente comprensibile ma serve ad altri scopi". Sì, perché questo romanziere nato a Calcutta usa l'inglese, ma in bocca ai suoi personaggi lo fa spesso contaminare in modo plastico ora da uno ora dall'altro degli idiomi locali. Potrei mettere in evidenza altro ancora, ma mi fermo sottolineando, tuttavia, che mi pare che Ghosh, pur all'interno di un inquadramento storico e di cifre culturali specifici, conosca bene anche i canoni occidentali dell'avventura.



mercoledì 16 novembre 2011

Riflettendo sulla storia locale


La Chiesa di San Michele a Ventimiglia (IM), più esattamente a margine del centro storico e affacciata sulla valle del Roya, fu per un certo periodo anche dei Templari, che avevano eretto intorno altre loro costruzioni.


Porta Sottana di Bordighera (IM) fa ricordare che la cittadina, pur se la definizione già nella dizione medievale esisteva, sorse solo alla fine del Quattrocento. In seno a quella Comunità degli Otto Luoghi che si staccò alla fine del Seicento dalla presa - si direbbe oggi - amministrativo-fiscale di Ventimiglia. Il Dominio era, tuttavia, ancora quello della Serenissima Repubblica di Genova, il cui simbolo di potere é tuttora visibile su quella architettura.


E, risalendo più indietro nel tempo, i reperti romani hanno, invero, una loro suggestione.

Memorie pure importanti come queste - e tante altre ce ne sono - sono care - ma non sempre! - a chi abita e frequenta l'estremo Ponente Ligure, ma possono non sembrare particolarmente significative a fronte dell'immenso patrimonio storico, monumentale ed artistico del nostro Paese.

Se continuo ad occuparmi di questi aspetti, lo faccio certo anche per chi non conosce queste zone.
Solo che asserzioni stimolanti di un certo dibattito culturale, come ho potuto ancora constatare di persona in una recente conferenza, postulano la giacenza di lasciti specifici della storia locale.


Come le diramazioni locali degli itinerari medievali dei pellegrinaggi, anche per la Terrasanta, ben testimoniate, ad esempio, dal nome assunto da Ospedaletti, dal termine usato anticamente per designare i ricoveri per i viandanti (di fede, soprattutto!).

Ma non solo.


venerdì 11 novembre 2011

Fumetti... ancora


Il modello originale del periodico qui sopra riprodotto era l'americano "Cino e Franco", ripreso come tale nel nostro Paese al termine della guerra. Il fascismo aveva imposto allo scoppio del secondo conflitto mondiale  l'italianizzazione sempre più accentuata, con esiti anche grotteschi, dei fumetti stranieri. Per quanto attiene il razzismo, questo era già antecedente il Regime, ma con il Regime dilagò sui giornalini.

Grottesco anche il caso del Dick Fulmine, di matita italiana, personaggio italo-americano operante dapprima negli USA, ma che nel luglio 1942 si trova nella fantasia di queste pubblicazioni non si sa come a combattere a fianco delle Forze dell'Asse.

Aggiungo, tra parentesi, che proprio gli americani in quel periodo nel campo del fumetto fecero in modo a dir poco impressionante la stessa cosa per la loro propaganda bellica.

Ho potuto toccare con mano, come ben si capirà, giornalini d'epoca, grazie all'amico Bruno Calatroni di Vallecrosia (IM), collezionista.

Il mio vuol essere un modesto omaggio alla storia del fumetto.
Chi intende approfondire saprà di sicuro che ci sono in materia esaurienti e valide pubblicazioni.


Anche questo "Corsaro Nero", di una sua bellezza, secondo me, intrinseca - la penna di Salgàri, le illustrazioni di Albertarelli -, è della fine degli anni '30.


Finisco con questo "Albo dell'Intrepido" del 23 maggio 1942, perché nella nuova versione degli anni '50 era uno dei miei giornalini preferiti.

Alcuni fumetti continuarono ad essere pubblicati, altri vennero recuperati dopo le censure del fascismo, nuovi ne emersero, più di sessant'anni fa...




lunedì 7 novembre 2011

Vallecrosia Alta


Vallecrosia Alta é il Centro Storico di Vallecrosia, in provincia di Imperia, che é situata in riva al mare, da cui la prima dista un paio di chilometri. Proseguendo nell'altra direzione lungo la Valle del torrente Verbone si incontrano San Biagio della Cima e Soldano, poi, più in alto, quasi a chiudere (ci sono diramazioni viarie di collina e di montagna), Perinaldo, ad una vista aguzza leggermente visibile nella fotografia soprastante.



Mi sembra, personalmente, un borgo tenuto bene, molto bene. 
Ma non é questo il punto che intendo sottolineare, ma un altro, abbastanza, credo, paradigmatico.
Vallecrosia Alta, ma anche la stessa Vallecrosia dei Piani, per la quale avevo già in precedenza accennato la millenaria vicenda del sito che oggi ospita la Chiesa di San Rocco, presenta una storia molto complessa, ricca di avvenimenti e di giacimenti culturali, difficile, a diversità di tanti altri temi, da riscontrare appieno, penso (qualche tentativo l'ho pur compiuto), sul Web.
Seleziono, allora, in merito da Cultura-Barocca, sito molto articolato e specializzato cui ho già fatto riferimento in altre occasioni, almeno un accenno in collegamento qui.


Aggiungo un altro esempio, trattato in modo molto veloce. Nella chiesa preesistente alla Parrocchiale (di Sant'Antonio Abate), qui sopra raffigurata parzialmente, predicò Bernardo di Chiaravalle. Lo fece anche altrove nel Ponente Ligure, lasciando ampia risonanza, riscontrabile in toponimi e in edifici sacri a lui dedicati, ma a Vallecrosia Alta l'esistenza di una chiesa, discosta dal paese e a lui intitolata, portò a lungo pensare che il Santo di Chiaravalle avesse fatto sentire la sua voce carismatica nel santuario eretto, invece, appositamente dopo il suo passaggio.


 Ed eccola, la Chiesa di San Bernardo.


C'é molto altro, dunque, nella storia di questo borgo. Ed anche del suo comune. Solo che in questo caso - vado a ripetermi - un lettore curioso difficilmente troverà ampia documentazione da consultare. In questo consiste - sempre a mio modesto avviso - la singolarità dell'argomento. Proverò, pertanto, a tornare sul tema.


Chiudo, però, scattata da Vallecrosia Alta, con un'inquadratura di San Biagio della Cima, paese di Francesco Biamonti, che di queste terre, trasfigurate nei nomi, ha saputo scrivere nei suoi romanzi con autentica vena artistica.



giovedì 3 novembre 2011

Scorci di Alpi Marittime


Nella fotografia si può notare, come mi ha detto Bruno, che, insieme ad altre, me l'ha fornita, la Rocca dell'Abisso vista dalla Bassa di Peirafica.


Qui, invece, la Cima Lusiera, sempre lì vicino, con interferenze di Valmasca (o Valmasque).


In questa immagine Monte Bego, dalla storia leggendaria, molto visibile dalla costa delle mie parti.


Ho pensato bene di riprodurre - non so quanto chiara, ma di meglio non ho trovato - una cartina della zona in questione, che non dettaglia, comunque, tutto, per mettere in evidenza che si tratta di una parte delle Alpi Marittime francesi, al confine con la provincia di Cuneo.
Sono montagne di cui, specie di quelle ubicate in provincia di Imperia, parlano alcuni blogger con maggiore competenza del sottoscritto, che da tanti anni ha smesso di fare escursioni non dico tra le cime, ma anche nei pressi.


Questo é un bunker della Cresta di Rionard, vicino a Briga, più esattamente La Bigue, sempre che abbia trascritto bene le spiegazioni di Bruno.
Rimanda con il pensiero alla Seconda Guerra Mondiale, quando le opposte fortificazioni italiane di tutto il pomposamente definito Vallo Alpino Occidentale non diedero grande prova. Ma a me, per associazione di idee, fa venire in mente anche altri momenti di storia, abbastanza inediti, credo.
Insomma, pur avendo a disposizione altri scatti, sono partito dalla parte francese, alla quale questa volta mi sono limitato, come per stendere, una volta di più, appunti da sviluppare in seguito.


Ma eccolo qui Bruno, a Pian Tendasco con scorcio della Valle delle Meraviglie, sempre se ho ben capito le sue indicazioni. Di cognome fa Calatroni ed é anche il collezionista di fumetti al quale ho già accennato altra volta. Come si può notare, la sua disponibilità é ampia. Anche a farsi notare su questo blog ...



domenica 30 ottobre 2011

Radio Squadra e la Leggenda Ventimigliese

Quella vecchia presenza di Radio Squadra (o Radiosquadra) a Ventimiglia per le scuole elementari é un argomento che da più di un anno, per motivi che dirò alla fine, volevo affrontare, ma che ho tenuto a lungo sospeso per carenza di ulteriori riscontri. Solo che il tutto adesso mi sembra una vicenda particolare, che vado di seguito a raccontare.

Volendo partire da un punto certo, mi ritrovo, tuttavia, sempre con scarne note rinvenute sul Web, del tenore della seguente: " ... Radiosquadra, un gruppo di giornalisti e di tecnici che attraversava l’Italia a bordo di un pulmann attrezzato per le riprese dirette e le registrazioni, nel suo giro della Penisola ... realizza interviste, portando la radio in piccoli paesi sperduti.". Dove si accenna a Renato Tagliani, un tempo noto personaggio della RAI, cui tornerò tra breve. E a qualche forma di trasmissione in loco, presumo con altoparlanti per surrogare la carenza di apparecchi domestici o la mancanza di segnale. Qualche ulteriore informazione lascia intendere che l'iniziativa esisteva dal 1951, che agiva su vari temi e che vi hanno collaborato, tra gli altri, Enzo Tortora, Silvio Noto, Luciano Rispoli. Lodevole e pionieristica, aggiungerei.

Ho rinvenuto, però, nel sito del Circolo Didattico di Anagni una fotografia - in oggi (maggio 2013) non più fruibile - del 27 aprile 1961, che illustra abbastanza bene, credo, il nodo che vorrei sciogliere, perché in una piazza di quella città si vedono, ad esempio, un furgoncino di Radio Squadra e tanti scolari assiepati.

In linea di massima l'episodio cui intendo arrivare me lo sono sempre ricordato, anche perché qualche anno fa mia madre rinveniva tra le carte di famiglia un ritaglio stampa, della primavera del 1959, che per vari motivi non vado a riprodurre, corredato di uno scatto dove si può notare Renato Tagliani, per l'appunto, che intervista il sottoscritto, a sua volta affiancato da una compagna di scuola e da un altro bambino che frequentava le scuole del centro città. E' quest'ultimo particolare, di questo scolaretto, che va ad inficiare la didascalia di quell'articolo, che si riferisce a domande su storia locale rivolte ad alunni delle elementari di Nervia di Ventimiglia, all'epoca locate al piano terra dell'edificio - che già altre volte ho fatto notare - di cui alla prima immagine. 

Secondo me, infatti, si trattava di una organizzazione di Radio Squadra più complessa, realizzata nel Palazzo Municipale, con tanto - per dire - di riproduzione all'esterno, sulla Piazza affollata, della trasmissione in corso: qualcosa sull'esempio di Anagni, insomma.
Ho chiesto delucidazioni a persone attente ad aspetti di vita locale, ma, nonostante il loro evidente interesse, non hanno scoperto nulla in merito che fosse stato trascritto o archiviato da qualche parte. Lo stesso vuoto di notizie ho dovuto notarlo in casa e con altri conoscenti. Il tempo passa e cancella molte cose, si sa. Pochi giorni fa ho chiesto se si rammentava qualcosa ad un mio amico d'infanzia, perché avevo appena visto uno scatto della sua classe delle elementari, sempre del 1959, a Camporosso con la sovrascritta Radio Squadra, ma la risposta anche in questo caso é stata negativa.
Eppure per quella lontana occasione non ero stato l'unico ad imparare una canzoncina in dialetto, che andava poi cantata in coro. Dalla memoria di questa mi é scattato l'interesse per la mia informale ricerca: circa un anno fa mi sono imbattuto sul blog  Dialetticon nella Leggenda Ventimigliese, che é per l'appunto la piccola ballata in questione e che - sottolineo - proprio si può leggere. Ma che si può trovare, con una variante della parola Leggenda in vernacolo, anche qui (occorre andare in fondo alla pagina e trovare Lezendia Ventemigliusa) nel sito realizzato in buona misura dal vecchio amico di famiglia, che ho tanto assillato per sapere qualcosa di maggiormente ufficiale intorno a quella ormai remota iniziativa di Radio Squadra nella città di confine.

Prima o poi salterà fuori qualcosa, però!
E sull'evento una fotografia (che pubblico qui di seguito!) salta fuori solo adesso, 21 gennaio 2018, grazie all'amica Piera Lenzi! Per cui posso anche pubblicare la notizia di stampa, che, da sola, non avrebbe reso il senso della manifestazione, anzi, avrebbe contraddetto il senso del mio articolo.