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lunedì 30 dicembre 2024

Nico Orengo si complimentò anni fa con Arturo Viale

Una vista da Zona Ville di Ventimiglia (IM): a destra uno scorcio della Piana di Latte; al centro Punta Mortola; in fondo uno scorcio di Francia

Arturo Viale ha infine localizzato il terreno in cui venne introdotta - come racconta nel suo "Punti Cardinali. Da capo Mortola a capo Sant'Ampelio" (Edizioni Zem, 2022) - "a Latte, frazione di Ventimiglia, la coltivazione industriale dei fiori, producendo rose e garofani".
Spetta in modo evidente a lui rendere noto in dettaglio tale aspetto, eventualmente con un suo nuovo libro.

Archivio di Arturo Viale

Nico Orengo si complimentò anni fa con Arturo Viale per il suo "Mezz'agosto" (del 1994). Nel biglietto di congratulazioni lo scrittore si soffermò sulla "giuggiola dai Tremayne. Non ho più trovato quell’albero. Ce n’è ancora uno a Latte, all’inizio della via Romana, prima del cavalcavia. Caro Viale, il suo raccontare mi ha tenuto una affettuosa e sincera compagnia per una sera, tempo fa. Ma il ricordo è ancora vivo, le parole hanno ancora alone".
Si dà il caso che la citata pianta della Via Romana oggi non sia più visibile, perché attorniata da tanti altri alberi, ma quasi in compenso ci sono diverse piccole - larghe ciascuna più o meno un palmo - giuggiole sulla vecchia arteria, spuntate ai piedi del muraglione di sostegno della Via Aurelia.

Vladi Orengo, padre di Nico, fu anche un regista di documentari cinematografici. Nel 1955 gliene "bocciarono" alcuni. Tra questi, "Porta Canarda" (con un po' di fantasia anche sentinella di Latte in altura, da levante, in zona Ville), "inchiesta sul contrabbando in una zona nei pressi di Ventimiglia, al confine con la Francia. Le parole di protesta del regista, vittima di una vera e propria crociata da parte dei censori, erano le stesse di tutti coloro che credevano nel documentario e nella sua vocazione a trattare argomenti d’impegno civile, anche se scottanti. Contro quest’ambiziosa visione, però, si scontrava - e il più delle volte prevaleva - l’idea di chi relegava il documentario a sottoprodotto culturale, impedendogli di evolversi e di affermarsi autonomamente". Così recita un passo della Tesi di Dottorato di Mariangela Palmieri "La propagaganda della Democrazia Cristiana e del Partito Comunista Italiano negli anni della guerra fredda attraverso i documentari cinematografici (Università degli Studi di Salerno, Anno accademico 2010-2011). Si aggiunge, per una migliore comprensione, che Vladi Orengo aveva affidato le sue critiche alla rivista «Cinema Nuovo» e che si può capire il senso dell'esclusione dal mercato delle menzionate pellicole ancora con il ricorso alle parole usate da Mariangela Palmieri: "tantissimi documentari d’indiscusso valore e pluripremiati in festival e rassegne sono stati costretti, praticamente, alla scomparsa definitiva dalla circolazione, poiché altre soluzioni di sopravvivenza, al di fuori dell’area del sostegno dello Stato, in Italia in quegli anni non ve n’erano".

Riaffiorano ancora, in questo lembo di ponente ligure, racconti di antiche vicende di pescatori contrabbandieri. Anche con la pronuncia di termini specifici, "fenicotteri", ad indicare le persone che si volevano trasportare via mare clandestinamente verso la Francia: vocaboli, nella storiografia e non solo, per lo più usati ad indicare i militanti comunisti che sotto il regime fascista facevano il percorso inverso, di ritorno in Italia, per ritessere contatti con la vecchia base, venendo quasi subito irrimediabilmente arrestati. Tornando ai pregressi avventurieri nostrani occorre aggiungere che a loro piaceva anche usare la parola "neri". Si tramanda che, sotto l'incombere del probabile intervento di poliziotti transalpini, talora venisse buttato a mare qualche passeggero. Che in rare occasioni questo accadesse per depredare le vittime. Non si sa, tuttavia, quanto di vero ci sia mai stato in questi racconti di frontiera.

Adriano Maini

venerdì 14 giugno 2013

Ventimiglia, non solo città di frontiera

Non ho ancora compiuto ricerche in proposito, né ho chiesto lumi all'amico che me l'ha consegnata, ma ho proprio difficoltà a collocare in qualche punto di Ventimiglia (IM) questa vecchia immagine: forse, nell'atrio della precedente stazione ferroviaria.







Questa.










Perché in oggi - ma da ben prima dell'ultima guerra - l'edificio in questione appare così.

Scomparsa, invece, la fontana, bella, a prescindere dalla simbologia di infausto regime: forse sarebbe bastato rimuovere quei segni, sempre che il monumento - supposizione non riportata neppure da altro amico, ad opera del quale   avevo già visto copia di questa cartolina e che ne ha messo in rilievo la pregevole fattura - non sia andato distrutto nei bombardamenti del detto conflitto, che gravarono pesantemente su quella zona di Ventimiglia, che aveva presentato una serie di eleganti esercizi pubblici, eretti, soprattutto, penso, in rapporto alle modalità - comportanti lunghe fermate a terra (come evocato specificamente da "Il conformista" di Bertolucci, tratto dall'omonimo romanzo di Moravia) una volta discesi necessariamente a terra da un treno da o per la Francia per controlli passaporti e dogana - di viaggio di quei tempi, connesse a quella che era a pieno titolo una stazione ferroviaria internazionale.

Una fotografia singolare di Marina S. Giuseppe.










La frontiera con Mentone.













Il raffronto con lo stato attuale lo compio, attingendo con improvvisazione a quanto avevo già in archivio, in modo parziale, tentando, altresì, di significare che, mentre in oggi la strada per la Francia, per Mentone in prima istanza, detta di Ponte S. Lodovico, scorre pressoché litoranea per chilometri, sino ai primi anni '60 si accedeva alla Francia solo per il soprastante Ponte S. Luigi, da cui si scendeva, come tuttora si scende, al mare. In fondo al secondo scorcio qui pubblicato, iniziano i Balzi Rossi, sopra i quali per secoli la Repubblica di Genova tenne il suo rastrello confinario.

 
Il Caffé Ligure mi è sempre, benché scomparso da tempo, rimasto indelebile nella memoria, ma questo è un aspetto di storia del costume che, per il taglio che ha assunto questo post, preferisco eventualmente rinviare ad altra occasione. In proposito, comunque, Gianfranco Raimondo, appena vista questa fotografia, è andato subito a rievocare, attingendo a sue fonti, i fasti pressoché da Belle Epoque del Caffé Ligure.

Qui sopra uno spicchio (a destra del torrente), molto orientale, di Nervia, quartiere est di Ventimiglia.

In modo approssimativo lo si può comparare con questo scatto d'antan, la cui datazione, nonostante la nota di accompagnamento, mi appare incerta: reputo di portarla a ben prima dell'ultima guerra, sia per la tipologia delle automobili, sia per il fatto che sul finire degli anni '50 erano ancora visibili macerie lasciate dai bombardamenti aerei.

Ringrazio per queste immagini d'epoca Adriano M., che conosco da quando si era bambini a Nervia, appunto, al quale sono tributario di altre cartoline del genere e a cui, come gli avevo preannunciato, volevo dedicare un ritrattino scherzoso, che avrebbe accomunato anche Gianfranco: il rilievo dei documenti che mi ha consegnato mi impone di andare sul brillante un'altra volta...