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lunedì 7 marzo 2022

La riluttanza di Franklin Delano Roosevelt a porsi in contrasto con le frange più conservatrici del partito democratico

La signora Mary McLeod Bethune e la signora Roosevelt

«L’idea che il miglioramento delle relazioni interrazziali sia uno dei compiti del governo risale alla nostra amministrazione […] La storia di quest’idea è la storia della nostra amministrazione» <2. Qualche mese prima delle elezioni del novembre 1944, Alfred E. Smith aveva scelto di cominciare così un suo intervento sul Journal of Negro Education, in cui gli era stato chiesto di fornire un giudizio di lungo periodo sui contributi delle agencies newdealiste all’emancipazione politica, civile, economica e sociale degli afroamericani. Smith, che tra il 1934 e il 1943 era stato Race Relation Officer all’interno prima della Federal Emergency Relief Administration (FERA) e poi della Works Progress Administration (WPA), riservò il cuore delle sue valutazioni positive all’esperimento istituzionale da lui ritenuto strategicamente più decisivo per «fornire consigli politici e suggerimenti pratici […] mirati al potenziamento dei programmi governativi sulle relazioni interrazziali» <3. Il riferimento era alla storia dell’attività del Federal Council on Negro Affairs (FCNA), un comitato «a maglie larghe […] che per poco più di cinque anni ebbe in mano il destino dei Negri» <4.
Fondato il 7 agosto 1936 da Mary McLeod Bethune, direttrice della Division of Negro Affairs della National Youth Administration (NYA), il Black Cabinet (BC) - denominazione con cui fu spesso identificato al di fuori dell’ambito istituzionale - era stato concepito come un comitato informale per raccogliere i racial advisers coinvolti a vario titolo all’interno delle strutture federali e delle agenzie newdealiste. Secondo i propositi della sua fondatrice, che ne sarebbe rimasta sempre alla guida, l’eccezionalità offerta dal contesto del Second New Deal aveva consegnato agli afroamericani opportunità ma anche responsabilità inedite ed esclusive, che richiedevano «un interesse comune per soddisfare le esigenze più urgenti dei Negri» e, dunque, di «dimenticare il particolare incarico di ciascuno, per scambiarsi personalmente informazioni [e per] capire in modo approfondito il lavoro dei numerosi dipartimenti» <5.
Già nel giugno dell’anno precedente, quando era divenuta la seconda donna a vedersi riconoscere dalla NAACP la Spingarn Meda <6, Bethune aveva individuato nel New Deal l’avvio di un passaggio storico. Uomini e donne nere stavano infatti cogliendo l’inedita disponibilità da parte del governo ad aprirsi a un confronto inclusivo che, d’altra parte, richiedeva l’impegno verso la realizzazione di «nuove forme di partecipazione politica» <7.
Il FCNA era stato dunque ideato proprio per costruire uno spazio di dibattito ampio e allargato, in grado di porsi come riferimento privilegiato delle istituzioni per favorire l’inclusione delle minoranze nell’agenda governativa. Volendo anche operare come gruppo di pressione sull’amministrazione, per correggere e raffinare l’approccio teorico e politico alla questione razziale, il FCNA «sviluppò le sue efficaci attività attorno a quattro ambiti: influenzare le politiche delle singole agencies, assicurare adeguate iniziative per garantire l’approvazione di buone pratiche, seguire le dinamiche istituzionali, informare e fare divulgazione» <8.
Questo ultimo punto rappresentò non solo una strategia collaterale ma anche una seconda e altrettanto vitale ragione alla base della fondazione del BC. Bethune, che nel 1935 era stata chiamata dall’amministrazione federale nel momento più alto della sua carriera di leader nei movimenti di emancipazione delle donne nere, fu intenzionata a rendere il gruppo un interlocutore politico di riferimento, non solo per i vertici ma anche per la società civile. Per questo, fin dalle prime riunioni, fu stabilito che ai progetti condotti da ogni singolo racial advisers all’interno di ciascuna agenzia fossero associate molteplici forme di scambio e di collaborazione con il mondo dell’associazionismo. Proprio la configurazione informale dell’organismo, rimasto senza un qualsivoglia riconoscimento ufficiale, costituì una scelta consapevole per coinvolgere in modo inclusivo i rappresentanti dei movimenti e per «ottenere migliori risultati […] ragionando e programmando insieme» <9. Secondo Bethune, superare i ristretti confini istituzionali e includere in modo partecipativo la leadership dei movimenti era vincolante «per pensare come un tutt’uno, per garantire il miglior servizio ai nostri concittadini [e per] mantenere sempre vivo il tema della discriminazione» <10. L’impegno del FCNA si innestò dunque attorno a due nodi in apparenza slegati ma che, invece, avevano caratterizzato l’esperienza di Bethune in modo strettamente connesso e interdipendente. La sua più che ventennale leadership nelle associazioni locali e nazionali di donne nere l’aveva portata a credere con forza che il FCNA avesse il dovere di pensare «a come poter, in modo cooperativo, chiarire alla collettività le cose fatte e le cose da fare per i Negri» <11.
Pur riuscendo a coinvolgere quasi cinquanta membri all’apice della sua attività nel 1939, il FCNA ha sofferto di una lunga disattenzione da parte della storiografia. Sebbene molti studi siano concordi nel definirlo un comitato singolare, senza precedenti e meritevole di una rinnovata attenzione scientifica, anche nelle maggiori ricostruzioni sul New Deal esso ha trovato poco spazio di approfondimento specifico. Il dibattito scientifico offre comunque un quadro ricco, all’interno del quale il passaggio tra la seconda metà degli anni Trenta e i primi anni Quaranta continua a essere oggetto di discussioni interdisciplinari e a rappresentare una delle fasi costantemente narrate e contronarrate dalla storiografia. I principali filoni di studi, coltivati fin dagli anni successivi al secondo conflitto mondiale e ormai consolidati, hanno riconosciuto il sostanziale fallimento delle politiche strutturali del New Deal di fronte agli afroamericani <12. Le interpretazioni di Alan Brinkley, Gary Gerstle e Raymond Wolters hanno giudicato la mancata approvazione di politiche razziali incisive soffermandosi soprattutto sul timore e sulla riluttanza di FDR [n.d.r.: Franklin Delano Roosevelt] a porsi in contrasto con le frange più conservatrici del partito democratico <13. Anche lo studio molto più recente di Ira Katznelson ha confermato che «l’amministrazione Roosevelt seguì una strategia di pragmatica dimenticanza sulle questioni razziali il più a lungo possibile» <14. Eppure, questa stessa storiografia ha riconosciuto che «una popolazione disperata […] vide Roosevelt salvarla dalla fame» <15 e che «il New Deal offrì agli afroamericani benefici materiali e riconoscimenti più di qualsiasi altra amministrazione» <16.
La storiografia si è dunque soffermata in vari modi sul contributo politico del New Deal all’emancipazione politica, civile, economica e sociale degli afroamericani. Impegnandosi a problematizzare la complessa tensione tra i risultati concreti delle riforme e l’ascendente simbolico della famiglia presidenziale, molti studi hanno individuato nel passaggio tra la seconda metà degli anni Trenta e i primi anni Quaranta un complesso e intricato turning point, «una fase di semina e non di raccolto» che portò innegabilmente a «una più completa partecipazione dei neri nella società americana» <17. Ad oggi, la letteratura offre una tradizione di lungo periodo e di ampio respiro in merito a questioni, approcci e metodologie sulle forme di inclusione della questione razziale nel più ampio progetto del New Deal. Eppure, alcune esperienze politiche innovative e singolari sono spesso state lasciate ai margini, concorrendo a sottostimare il protagonismo di uomini e donne nere come soggetti attivi e dirimenti sulla scena istituzionale.
[...] Nell’estate del 1941 Weaver strutturò più minuziosamente la sua divisione all’interno dell’OPM, occupandosi a sviluppare una concreta presenza sul territorio ad avviare strette forme di collaborazione con le organizzazioni locali, le associazioni di categoria e il mondo imprenditoriale. Pur occupandosi di promuovere le attività istituzionali, Weaver confermò la propria distanza dai movimenti, si trovò in conflitto con la NAACP e suscitò giudizi contrastanti anche all’interno del FCNA. La parziale rottura si coagulò attorno al caso della Brewster Aeronautical, una società newyorchese che aveva attirato forti accuse di discriminazione da parte della NAACP <46. Nel mese di luglio Weaver difese invece la compagnia, annunciando la recente assunzione di un gruppo di afroamericani. La NAACP lo ritenne un gesto strategico, unicamente teso a evitare proteste, tanto che Roy Wilkins e Walter F. White si definirono «letteralmente infuriati contro Robert C. Weaver per le dichiarazioni rilasciate dall’OPM» <47. Dopo un successivo scambio di comunicazioni, in cui Weaver difese il proprio operato mentre White gli intimò di «[stare] estremamente attento a prevenire report troppo ottimistici su pratiche di assunzione nell’industria bellica» <48, anche il FCNA si spaccò. Su National Grapevine, Alfred E. Smith si espresse con ostilità, asserendo che «sebbene Weaver [avesse] lavorato molto e raggiunto alcuni risultati definiti e storici per l’impiego dei Negri […] egli aveva comunque perso la faccia facendo dichiarazioni grandi e troppo ottimistiche sulla stampa» <49.
Al contrario, Smith continuò invece a celebrare la figura di Bethune e il lavoro da lei portato avanti all’interno del FCNA, nonostante il periodo di stasi per lo stato di salute piuttosto critico. Provando a coniugare l’impegno istituzionale a una presenza sempre più attiva e critica dei movimenti e delle donne nere nello sforzo bellico, l’attività politica e la leadership di Bethune raggiunsero esiti particolarmente significativi proprio nei primi anni Quaranta. Per Smith, in primo luogo, «la personale amicizia con Eleanor Roosevelt le [garantiva] libero accesso alla Casa Bianca» <50. In effetti, come è stato riconosciuto anche da Elaine M. Smith, Bethune e la first-lady coltivarono «una amicizia interrazziale rara, pubblica e privata» <51, caratterizzata da forme di cooperazione variegate. Nel 1941, Bethune era ormai particolarmente vicina a Eleanor Roosevelt, che fu coinvolta nel progetto educativo del Bethune-Cookman College e si dimostrò altrettanto presente per la NYA e per il NCNW. A nome del FCNA, Bethune aveva inoltre continuato a sollecitare il suo intervento e la sua mediazione per favorire l’inclusione degli afroamericani e contrastare la discriminazione nel programma di difesa. Molti report e memorandum venivano direttamente inoltrati alla Casa Bianca, chiedendo una diretta azione della first-lady per favorire «l’inclusione dei Negri nell’elaborazione e nell’organizzazione di nuove agenzie per la difesa» <52.
[...] già nel settembre 1939 Bethune era entrata a far parte del Committee to Defend America by Aiding the Allies, sostenendo fortemente la necessità di un imminente intervento da parte degli Stati Uniti per contrastare i totalitarismi europei, in linea con i precedenti impegni pubblici per richiedere condanne ufficiali o interventi mirati del presidente e del governo contro l’ascesa dei fascismi in Europa e le politiche razziste di Germania e Italia, le leggi di Norimberga, gli accordi di Monaco <64.
La NYA, ormai spostata dalla WPA alla FSA, fu particolarmente coinvolta nello sforzo bellico. Al suo interno, Bethune e il direttore Aubrey W. Williams si occuparono di promuovere le attività dell’agenzia e di coinvolgere la società civile nello sforzo internazionale. Come direttrice della Division for Negro Affairs, Bethune si ritagliò un ruolo attivo soprattutto nel sollecitare la mobilitazione femminile. Infatti, si attivò per la fondazione e la gestione del Negro Woman’s Committee for Democracy in National Defense. Credendo che «l’esclusione e la discriminazione nelle agenzie governative [mettesse] in serio pericolo la nazione» <65, il comitato fu fondato nel 1941 e riunì gruppi e associazioni femminili particolarmente interessate ad esercitare un ruolo attivo nel programma di difesa. Poiché «il mondo [era] impegnato in una lotta per il mantenimento della democrazia» <66, il movimento si impegnò a sottolineare il ruolo attivo che anche le donne nere avrebbero dovuto ricoprire all’interno della società. Il comitato cercò la collaborazione dei racial advisers attorno a una serie di temi specifici, chiedendo in particolare una «mobilitazione a livello nazionale per il lavoro nelle industrie di difesa […] la formazione e l’apprendistato per i giovani» <67, concentrandosi soprattutto sulla mobilitazione femminile poiché «le donne Negre [potevano] e [dovevano] partecipare allo sforzo comune per rendere la democrazia funzionante» <68.
[...] Sottolineando la mancanza di rispetto delle politiche contro la discriminazione e dell’Executive Order 8802 emanato nel luglio del 1941, Bethune chiese al direttore della NYA di «impegnarsi a dichiarare una politica chiara, con un linguaggio diretto e preciso, che [potesse] costituire il principio guida per dare direttive a seguito della riorganizzazione dell’agenzia» <81. La sempre più forte denuncia da parte dei movimenti aveva spinto Bethune ad assumere posizioni particolarmente critiche verso le istituzioni e a influire sull’avvicinamento sempre più significativo del FCNA ai movimenti, rivestendo un ruolo non secondario nella fase forse di più acuta crisi, generata dal MOWC di Randolph e dal rischio di una marcia di protesta sulla capitale.
[NOTE]
2 A.E. Smith, Educational Programs for the Improvement of Race Relations: Government Agencies, in The Journal of Negro Education, Vol. 13, No. 3 (Summer, 1944), p. 361.
3 Ibidem, p. 363.
4 Ibidem, p. 364.
5 Minutes of the First Meeting of the FCNA, 7 August 1936, MMB, RSC, p. 2, r. 7, 0693.
6 La prima donna a ricevere la Spingarn Medal della NAACP era stata Mary B. Talbert nel 1922. Dopo Bethune, nel 1939 il riconoscimento fu assegnato alla cantante Marian Anderson.
7 M. McLeod Bethune, Twenty-First Spingarn Medalist, MMB, ARC, b. 2, f. 1.
8 A.E. Smith, Educational Programs for the Improvement of Race Relations, cit., p. 365.
9 Minutes of the First Meeting of the FCNA, cit.
10 Ivi.
11 Ivi.
12 Alcuni tra i primi studi più d’impatto sul New Deal in rapporto all’emancipazione razziale: H. Garfinkel, When Negroes March. The March on Washington Movement in the Organizational Politics for FEPC, Glencoe, The Free Press, 1959; R.E. Sherwood, Roosevelt and Hopkins: an Intimate History, Harper & Brothers, New York, 1948.
13 Cfr. A. Brinkley, The End of Reform: New Deal Liberalism in Recession and War, New York, Vintage, 1995; G. Gerstle, The Crucial Decade: The 1940s and Beyond, in The Journal of American History, Vol. 92, No. 4 (Mar., 2006), pp. 1292-1299; Id., The Protean Character of American Liberalism, in American Historical Review, 99 (Oct. 1994), pp. 1043-73; R. Wolters, The New Deal and the Negro, in J. Braeman, R.H. Bremner, D. Brody (eds.), The New Deal, Columbus, Ohio State University Press, 1975, pp. 170-217.
14 I. Katznelson, Fear Itself: The New Deal and the Origins of Our Time, New York, W.W. Norton, 2013, p. 168.
15 Ibidem, p. 176.
16 R. Wolters, The New Deal and the Negro, cit., p. 170.
17 H. Sitkoff, A New Deal for Blacks. The Emergence of Civil Rights as a National Issue: the Depression Decade. 30th Anniversary Edition, New York, Oxford University Press, 2009, p. XX.
46 W.E. Pritchett, Robert Clifton Weaver and the American City, cit., p. 100.
47 W.F. White, R. Wilkins cit. in W.E. Pritchett, Robert Clifton Weaver and the American City, cit., p. 101.
48 W.E. Pritchett, Robert Clifton Weaver and the American City, cit., p. 102.
49 C. Cherokee, National Grapevine, 13 September 1941, AES, ARK, b. 5, f. 4.
50 C. Cherokee, National Grapevine, 9 August 1941, AES, ARK, b. 5, f. 4.
51 E.M. Smith, Pursuing a True and Unfettered Democracy, cit., p. 108.
52 M. McLeod Bethune to E. Roosevelt, 8 April 1941, ER, RSC, p. 1, r. 0863.
64 E.M. Smith, Pursuing a True and Unfettered Democracy, cit., p. 137.
65 Announcing a Nation-Wide Call to Negro Women of America, 28 June 1941, RG 119, NARA, b. 6, f. Broadcasts 1939.
66 Ivi.
67 Ivi.
68 Ivi.
81 M. McLeod Bethune to A.W. Williams, 20 May 1942, AW, FDRL, b. 7, f. 1942-43 Program.
Annalisa Mogorovich, Un comitato informale nell'amministrazione Roosevelt. Il Federal Council on Negro Affairs e la leadership di Mary McLeod Bethune (1936-1943), Tesi di dottorato, Università degli Studi di Trieste, Anno accademico 2015-2016

martedì 1 marzo 2022

La FIGC punì i giocatori “fuggiti in terra jugoslava” con una squalifica semestrale

Una formazione della Triestina seconda in Serie A nel ’48 - Fonte: unionetriestina.it - Immagine qui ripresa da SportHistoria

La formazione Amatori Ponziana che castigò l’Hajduk Spalato nel 1946/47 - Fonte: Contrasti

La stagione 1947-48 viene celebrata dagli sportivi di Trieste come il fiore all’occhiello del calcio triestino. La società alabardata - dopo le caotiche vicissitudini nel corso del campionato precedente - arrivò seconda in classifica, insediando la testa del campionato al “Grande Torino”. Alla guida della squadra fu chiamato l’ex giocatore della Triestina e della Nazionale Nereo Rocco, che formò una rosa quasi esclusivamente di triestini nutrita da un codice di appartenenza territoriale impensabile ai giorni nostri. Una squadra che doveva essere composta da triestini, per gridare in campo l’appartenenza a una città così vicina e lontana <345.
Una delle novità del campionato fu la concessione del GMA (Governo Militare Alleato) di far giocare dall’inizio della stagione tutte le gare casalinghe a Trieste (allo Stadio San Sabba) ad entrambe le squadre. Tale concessione fu subordinata all’assunzione della completa responsabilità del Presidente dell’Amatori Ponziana e dal segretario della Triestina in caso di incidenti.
Da come si legge dagli atti dell’Archivio statale di Trieste
"Io sottoscritto BOLTAR Edoardo, presidente dell’Amatori Ponziana, dopo essermi consultato con i diversi capi dei partiti politici aderenti all’U.A.I.S., garantisco con la presente e mi assumo la responsabilità per il comportamento corretto degli elementi sloveni di Trieste in occasione dell’incontro calcistico che avrà luogo nello Stadio S. Sabba […]"
"Io sottoscritto, COTTA Luciano, segretario dell’UNIONE SPORTIVA TRIESTINA, dopo essermi consultato con i diversi capi dei partiti politici italiani aderenti al C.L.N. garantisco con la presente e mi assumo la piena responsabilità per il comportamento corretto degli elementi italiani di Trieste in occasione dell’incontro calcistico che avrà luogo nello stadio S. Sabba domenica 22 dicembre 1946, tra una squadra proveniente dalla Jugoslavia ed una squadra di Trieste" <346.
Mentre l’A. Ponziana otteneva una discreta prestazione nel campionato jugoslavo, piazzandosi a metà classifica, la Triestina, dunque, disputò il suo miglior campionato della sua storia: dopo una fila di tredici partite utili consecutive, terminò seconda classificata con 49 punti, a pari merito con Juventus e Milan, e sotto solo al Torino.
L’imponente disponibilità finanziaria elargita dal governo italiano, unita alla possibilità di giocare le proprie gare casalinghe a Trieste e alla sapienza tattica di Nereo Rocco, portarono la Triestina nel punto più alto nella sua storia, a distanza di un solo anno dall’ultimo posto ottenuto nel corso del campionato precedente. Tale risultato sportivo è rimasto tuttora ineguagliato e risulta significativo che sia stato ottenuto proprio durante uno dei periodi più tesi della “questione di Trieste”. L’anno successivo la squadra alabardata non riuscì nell’impresa di riconfermarsi tra le grandi del calcio italiano e terminò il campionato del 1948/49 con un discreto ottavo posto; l’A. Ponziana, invece, concluse la stagione all’ultimo posto in classifica, e fu l’ultima apparizione nella Prva Liga.
Nel frattempo, infatti, un importante evento politico andava a sconvolgere gli equilibri internazionali, segnando profondamente tutto l’universo comunista, in maniera particolare quello triestino, ambito sportivo compreso. Stiamo parlando della “crisi del Cominform”. Tale evento politico determinò l’espulsione del partito comunista jugoslavo dall’ecumene comunista per tutta una serie di motivi: lo Stato jugoslavo veniva accusato dal PCUS di quella di aver condotto una «politica indegna nei confronti dell’URSS» <347, di aver rifiutato di rendere conto dei proprio atti politici al Cominform; di aver intrapreso un percorso di deviazionismo ideologico dai principi marxisti-leninisti; e, infine, Tito venne addirittura accusato di essere una spia imperialista.
In questa sede ci limiteremo a considerare solo una delle principali cause che determinò l’espulsione del PCJ dall’organismo del Cominform; vicenda che, oltre a innescare un vero rovesciamento dei rapporti tra potenze occidentali e lo stato Jugoslavo, avrà un effetto dirompente sugli equilibri politici (e, come vedremo, sportivi) del contesto triestino. Tito usciva dalla seconda guerra mondiale come uno dei leader più autorevoli del panorama comunista. Tra il 1941 e il 1944 divenne la guida del movimento di liberazione jugoslavo, ottenendo la liberazione del paese dalle forze nazifasciste e avviando la costruzione dello Stato socialista Jugoslavo. Sulla base di questi successi - che estesero la sua popolarità e il suo prestigio ben oltre i confini jugoslavi - <348 il leader del PCJ, cominciò, sin dall’immediato secondo dopoguerra, a condurre una politica estera in modo sostanzialmente autonomo, suscitando l’ostilità delle potenze occidentali e diventando una figura ingombrante per il regime sovietico. Come scrisse lo storico Pirjevec Stalin come Geova era un dio geloso, e non poteva permettere che accanto a lui sorgessero altri dei <349. Nel giro di pochi anni si venne a creare un clima di sospetto e diffidenza nei rapporti tra sovietici e jugoslavi che portarono alla definitiva sconfessione della Jugoslavia da parte dell’URSS nel giugno del 1948.
La questione di Trieste fu uno dei primi motivi d’attrito tra il leader jugoslavo e quello sovietico: l’occupazione della città giuliana nel Maggio del 1945 da parte delle truppe di Tito e le conseguenti richieste annessionistiche, rischiarono di trascinare la Jugoslavia, assieme all’Unione Sovietica, alle soglie di uno scontro armato con le potenze alleate <350. L’operazione militare di Tito venne interpretata dalle potenze del blocco occidentale come un gesto di sfida, come un deciso tentativo di espansione del mondo comunista all’interno dell’Europa occidentale. Tale tentativo, dunque, fu percepito dalle potenze del blocco occidentale come una manovra architettata dall’Unione Sovietica; lo stesso Churchill si convinse che Tito «fosse un tentacolo della piovra moscovita» <351. Tuttavia, per Stalin, la “questione di Trieste” - benché non fosse contrario alle pretese jugoslave - non fu mai considerata una questione prioritaria né tantomeno una causa per la quale rischiare un conflitto armato con le potenze occidentali.
[...] Tale clima di ostilità e di contrapposizione si estese anche all’ambito extrapolitico, coinvolgendo l’ambito culturale, quello editoriale e, ovviamente, la dimensione sportiva.
A Trieste ci fu lo scioglimento di tantissimi circoli culturali, compagnie teatrali e gruppi bandistici italo-sloveni; in alcune associazioni si scatenarono durissime guerre intestine tra membri di orientamento titoista e fra quelli stalinisti <365. Le principali testate della città presero due strade separate: i “cominformisti” mantennero il giornale italiano “Il Lavoratore”, mentre i titoisti, invece, conservarono la proprietà del già menzionato “Primorski Dvenik”.
A farne le spese fu altresì la dimensione sportiva. Come ha osservato Nicola Sbetti, lo scisma comunista indebolì profondamente la posizione dell’Ucef sullo sport triestino: "Da quel momento il supporto di Tito all’UCEF venne meno anche perché, con l’uscita della Jugoslavia dal Cominform, vi fu una presa di distanza anche dal PCI, partito a cui molti membri dell’UCEF erano legati" <366.
Ma soprattutto la “crisi del Cominform” pose fine del sostegno finanziario del governo Jugoslavo nei confronti dell’Amatori Ponziana. La società triestina terminò mestamente la stagione 1948/1949 all’ultimo posto in classifica e, dopo tre campionati nella Prva Liga, scomparve completamente dal panorama calcistico <367. Alcuni suoi giocatori trovarono sistemazione in altre squadre del campionato jugoslavo, la maggior parte, invece tornò in Italia. A quest’ultimi, però, fu impedito, per i primi sei mesi, di svolgere l’attività sportiva: la FIGC, infatti, punì i giocatori “fuggiti in terra jugoslava” con una squalifica semestrale <368.
Successivamente, l’epilogo della vicenda dell’A. Ponziana andò a incidere anche sul destino della Triestina, determinando un progressivo disinteresse da parte del governo italiano per le sue sorti sportive, che divenne pressoché totale dopo il 1954.
Dopo il Memorandum di Londra, che sancì il ritorno ufficiale della città all’Italia, il valore simbolico e propagandistico della Triestina subì un deciso ridimensionamento; e, anche per questo motivo, dopo la retrocessione in serie B nella stagione 1956-57, la squadra alabardata non riuscirà più a prendere parte alla massima serie italiana.
Si chiudeva quindi una vicenda fortemente rappresentativa del clima di contrapposizione e rivalità che caratterizzò la città giuliana dopo il 1945.
[...]
Appendice
Intervista con Giuliano Sadar, 19 Febbraio 2015.
Giulino Sadar è stato inviato del quotidiano “TriesteOggi” per il quale ha seguito le vicende delle squadre di vertice triestine. Giornalista professionista dal 1993, oggi lavora alla sede Friuli-Venezia Giulia della Rai. Nell’Ottobre 1997 ha pubblicato il suo primo libri “El Paron, vita di Nereo Rocco (Lint Editoriale).
1. Come nasce l’idea di questo libro?
Tutto nasce dal particolare clima politico che poi si riverberò all’interno del contesto sportivo. Sono venuto a sapere di questo episodio negli anni '80 ad Avellino, durante una partita tra Triestina e Avellino. Sono andato a casa di un certo Lo Schiavo, un triestino che viveva ad Avellino e mi riferì di questo episodio. La storia dell’Amatori Ponziana l’ho raccontata io per la prima volta, perché qua c’era proprio un tabù nel parlarne.
[...]
3. Lei ha scritto che «passare dall’Amatori Ponziana era un tradimento di maglia, affetti e ideologie», cosa intendeva con questa espressione?
Calcoli che il Ponziana, era la tradizionale squadra dei lavoratori del porto di Trieste, un ambiente molto frequentato dai socialisti; la Triestina invece era la squadra, tra virgolette dei “signori”, della borghesia italiana. Erano due mondi diversi, inconciliabili. Passare da una squadra all’altra veniva visto come un tradimento, soprattutto per quelli che dalla Triestina passarono all’Amatori Ponziana. La gente li vedeva come “dei venduti ai comunisti di Tito”. Questi 40 giorni di Tito a Trieste, sono stati vissuti malissimo dalla cittadinanza, era il periodo delle “Foibe”, un periodo di grandi violenze.
4. Quanto contava la questione ideologica nell’aderire all’Amatori Ponziana?
Intanto erano tutti giocatori italiani. A quanto mi ha detto Ettore Valcareggi (giocatore dell’Amatori Ponziana, ndr) fu prevalentemente una motivazione economica. Quando lo incontrai, mi disse “mi davano un milione all’anno”. La dirigenza era invece comunista: c’era un evidente motivazione politica. Secondo me, almeno tra i giocatori, ma è solo una mia sensazione, non c’era una particolare adesione politica.
5. Una parte di Trieste sperava nell’adesione di Trieste durante quel periodo?
Gli sloveni, e una parte dei comunisti italiani favorevoli a Tito. Al di là del socialismo, la Jugoslavia era una potenza militare, perché Tito era uscito vincitore da una guerra civile sanguinosissima, quindi aveva una grande forza di attrazione rispetto all’Italia, che era si era praticamente sfaldata dopo l’8 Settembre.
6. Quanto ha inciso la rottura fra Tito e Stalin sulle sorti sportive di entrambe le squadre?
Come ho già scritto nel libro, ha fatto calare il valore propagandistico di tenere la squadra in Jugoslavia. Lo stesso vale per la Triestina. Ha avuto finanziamenti fino agli anni ’50, fu tenuta in serie A fino al 1959, dopodiché ci fu il declino. Arrivavano soldi qua, come arrivavano soldi dalla Jugoslavia. Lo sport è sempre servito per motivi politici.
7. Era molto seguita l’Amatori Ponziana?
Si, era molto seguita durante le partite, ovviamente dalla parte comunista della città.
[NOTE]
345 Ivi, p. 64.
346 ASTs (Archivio di stato di Trieste), Oggetto n. 246, Unione Sportiva Triestina, II 27 B.
347 J. Pirjevec, Tito, Stalin e L’Occidente, Opicina, Villaggio del fanciullo, 1985, p. 173
348 P. Purini, op.cit. , p. 264.
349 J. Pirjevec, Tito, Stalin e L’Occidente, Opicina, Villaggio del fanciullo, 1985, p, 16.
350 Il pericolo che Tito trasformasse Trieste in un fronte di agitazione comunista portò le forze alleate a prendere in considerazione l’eventualità di uno scontro armato con le forze jugoslave. J. Pirjevec, op. cit., p. 36
351 J. Pirjevec, op.cit , p. 19.
365 P. Purini, op.cit. , p, 272
366 N. Sbetti, op.cit. , p, 429.
367 Ricordiamo che il C.S. Ponziana 1912 continuava a svolgere la sua attività sportiva nelle categorie inferiori del calcio italiano.
368 G. Sadar, op.cit. , p, 64.
Nicolò Falchi, Il Calcio al confine: il caso di Trieste. Dall’irredentismo alla guerra fredda, Tesi di laurea, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, Anno accademico 2014-2015


Il Ponziana del 1948/49, all'ultima recita nella Prva Liga - Fonte: Stefano Affolti, art. cit. infra

[...] L'Amatori saluta e torna nei ranghi della casa madre Ponziana. L'Italia non stende certo tappeti rossi e la zelante Figc presenta un conto salato: sei mesi di squalifica per tutti coloro che hanno osato tesserarsi altrove e iscrizione della squadra solo al campionato di Promozione, la quarta serie. Molti giocatori se ne vanno, trovando posto in Jugoslavia o in categorie superiori.
Declino, blitz e campioni. Da allora il Ponziana conosce un lento ma inesorabile declino: la coraggiosa squadra del quartiere popolare naviga nei tornei minori, segnalandosi come ottimo vivaio (escono da lì Fabio Cudicini, il povero Giorgio Ferrini e Giovanni Galeone) e realizzando ogni tanto blitz da prima pagina. Come quando, il 17 luglio 1960, vince grazie alla monetina la finale nazionale dei dilettanti a Rimini con la Scafatese (finita 1-1). O quando, il 1° dicembre 1974, batte 1-0 la Triestina in un memorabile derby di serie D, giocato al Grezar davanti a ventimila spettatori. Triestina che, dopo la fine della querelle sui confini orientali, a sua volta perde la tutela politica della Dc: abbandona la serie A nel 1959 per non rivederla più.
Siccome reincarnarsi non gli dispiace, lo spirito del Ponziana è ancora vivo sotto altre spoglie: la società originaria è scomparsa nel 2014, oggi la legittima erede si chiama Chiarbola Ponziana e milita in Promozione.
Stefano Affolti, La guerra fredda del Ponziana, Gente di Calcio, 22 luglio 2020 

L’inviato speciale del «Corriere» Egisto Corradi avrebbe tenuto in sospeso gli animi dei lettori con un reportage a puntate sulle sorti di quegli «Italiani modello, intensissimi Italiani, uomini che da piccoli giuocavano con le bandiere italiane invece che con bambole e palline», costretti nella Zona B del Territorio Libero di Trieste a veder smantellato «tutto ciò che è italiano, dalle scuole alle squadre di calcio, [...] terra italiana in cui si ascolta Radio-Milano di nascosto, a porte e finestre chiuse» <461, ridotti in libertà vigilata, serrati dietro «una trincea».
"Tutti gli Italiani possono esaminare carte geografiche e rendersi conto della situazione, ma i triestini, in mezz’ora di automobile da Piazza Oberdan, possono arrivare a toccare uno qualsiasi dei sedici posti di frontiera che dividono la zona anglo-americana del Territorio libero dalla Jugoslavia. [...] Dovete sempre ricordarvene quando parlate con loro: vivono in un cerchio che ha per raggio mezz’ora di vita libera. Se ve ne dimenticate, senza dirvelo, ve lo ricordano; e se avete orecchio intenderete sempre questo fatto della mezz’ora come sottinteso implicito ed incombente in ogni loro discorso. I triestini «sentono» la cortina di ferro che corre tutt’intorno, così come un cieco «sente» le pareti che ostacolano il suo cammino" <462.
[NOTE]
461 A Capodistria si ascolta Radio-Milano di nascosto, «Il Corriere della Sera», 1 aprile 1948.
462 Sarà duro per Tito lasciare la “Piccola Istria”, «Il Corriere della Sera», 8 aprile 1948.
Vanessa Maggi, La città italianissima. Usi e immagini di Trieste nel dibattito politico del dopoguerra (1945-1954), Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Urbino Carlo Bo, Anno Accademico 2018-2019

giovedì 24 febbraio 2022

A Whole Year per Year tra le più originali e variegate all’interno del gruppo di Forest

Fig. 87: Flutter of Butterflies - Fonte: Filippo Mencucci, Op. cit. infra

Aperto in via permanente dal 21 luglio 2020 a Fukuoka, Kyūshū, il museo teamLab: FOREST si caratterizza per la forte connotazione ludica. La sala principale è animata da diverse opere, che possono manifestarsi singolarmente e coesistere formando un mosaico digitale interattivo; alcune di esse sono già state analizzate, come Flutter of Butterflies [fig. 87], <154 costituita di farfalle digitali che nascono e aumentano di numero se l’osservatore è immobile e che cessa di esistere se questo, toccandole ripetutamente, ne provoca la morte; si segnala, inoltre, Shifting Valley, <155 che si configura come una sorta di opera ibrida, combinazione di Animals of Flowers, anch’essa presente, e Graffiti Nature.
 

Fig. 88: L’insieme della opere sopracitate che coesistono e costituiscono la sala principale di Forest - Fonte: Filippo Mencucci, Op. cit. infra

Tra le opere non ancora toccate, vale la pena menzionare: Kodō suru daichi鼓動する大地 / Beating Earth, <156 che sfrutta la tecnologia digitale per simulare, attraverso linee, una deformazione del terreno su cui si cammina, distorcendo così la percezione dello spazio del visitatore; Tsubutsubu no taki, zenshin de sukū to chiisaki mo ookinau neri to naru darō つぶつぶ滝、全身ですくうと小さきも大きなうねりとなるだろう / Waterfall Droplets, Little Drops Cause Large Movement, <157 con cui vengono prodotte sfere d’acqua che viaggiano lungo tutta la sala e con cui è possibile interagire: se ostacolate, queste si comportano come fossero palle che rimbalzano; è possibile fermarle bloccando il loro percorso e facendo sì che si uniscano diventando una singola sfera che comincia ad assumere il comportamento dell’acqua [fig. 88].
Anche gli automomous sono presenti all’interno di quest’area museale con Taifūn bōru to jūryoku ni aragau ni koō suru seimei no mori - aimaina kyūshoku to kihon no sanshoku タイフーンボールと重力にあらがう呼応する生命の森 – 曖昧な9色と基本の3色/ Typhoon Balls and Weightless Forest of Resonating Life - 9 Blurred Colors and 3 Base Co-lors. <158 Collocati all’interno di un’ampia stanza cui si può accedere attraverso un ingresso di forma triangolare, le unità luminose cambiano colore (dodici in tutto) se toccate; la peculiarità di questa installazione è data dal fatto che gli autonomous presenti al centro della stanza fluttuano senza supporti [figg. 89a e 89b].
 


Figg. 89a e 89b: L’ingresso caleidoscopico alla sala degli autonomous e la sala stessa - Fonte: Filippo Mencucci, Op. cit. infra

In base alla struttura del sito ufficiale di teamLab, le opere appena citate vanno a far parte, nel loro insieme, di Athletics Forest; ma sono forse quelle di cui si parlerà di seguito a rispecchiare più efficacemente l’originalità del progetto.
 

Fig. 90: Fuwafuwana chikei no tsubutsubu no chisō ふわふわな地形のつぶつぶの地層 - A Whole Year per Year / Soft Terrain and Granular Topography - A Whole Year per Year - Fonte: Filippo Mencucci, Op. cit. infra


Oltre a Balance Stepping Stones, di cui si è già parlato, l’opera Fuwafuwana chikei no tsu-butsubu no chisō ふわふわな地形のつぶつぶの地層 - A Whole Year per Year / Soft Ter-rain and Granular Topography - A Whole Year per Year [fig. 90] <159 è tra le più originali e variegate all’interno del gruppo di Forest: essa si costituisce di un pavimento soffice che, modellato in altezze variabili, simula la conformazione di un territorio in miniatura; all’interno di questo territorio, racchiuso all’interno di una stanza, si manifestano fiori digitali di piccole dimensioni che, diversi a seconda della stagione, scendono dall’alto come fiocchi di neve o riproducono il corso di un fiume. I partecipanti possono interagire con i fiori in diversi modi: camminando sul terreno, questi deviano dalla propria traiettoria, lasciando un’area vuota attorno alla persona; ancora, tenendo le mani aperte sul muro, mentre i fiori cadono, è possibile raccoglierli e accumularli; infine, soffermandosi sul pavimento in modo che essi confluiscano sulla conca che si è creata. In entrambi i casi, una volta rilasciati i fiori o se si salta, questi si disperderanno come per via di un’esplosione.

Fig. 91: Kōsoku kaiten hane-kyū no aomushi hausu 高速回転跳ね球のあおむしハウス / Rapidly Rota-ting Bouncing Sphere Caterpillar House - Fonte: Filippo Mencucci, Op. cit. infra

Infine, Kōsoku kaiten hane-kyū no aomushi hausu 高速回転跳ね球のあおむしハウス / Rapidly Rotating Bouncing Sphere Caterpillar House [fig. 91], <160 una stanza ricoperta di sfere elastiche rotanti colorate sviluppate da teamLab su cui è possibile saltare; i partecipanti hanno la possibilità di percorrere la stanza cercando di atterrare sulle sfere le quali, se toccate, interrompono la rotazione; inoltre, queste cambiano colore e riproducono un motivo che, assieme all’avanzamento della sequenza, diviene più acuto. Dopo un certo nu-mero di salti sulle sfere dello stesso colore, un bruco nasce su ognuna di esse (anche questi ultimi hanno colori diversi, in base alla sfera). A sequenza ultimata, i colori della sfera vengono proiettati attraverso tutta la stanza e, allo stesso modo, questa si riempie anche di bruchi.
[NOTE]
154 Titolo completo: Gunchō, hakanai inochi 群蝶、 儚い命 A Whole Year per Year / Flutter of Butterflies, Ephemeral Life - A Whole Year per Year. Cfr. https://www.teamlab.art/jp/ew/flutter_of_butter-flies_year_forest/forest/
155 Titolo completo: Ugomeku tani no, hana to tomo ni ikiru ikimonotachi - A Whole Year per Year うごめく谷の、花と共に生きる生き物たち - A Whole Year per Year / Shifting Valley, Living Creatures of Flowers, Symbiotic Lives – A Whole Year per Year Cfr. https://www.teamlab.art/jp/ew/shifting_valley_living_crea-tures_year_forest/forest/
156 https://www.teamlab.art/jp/ew/beating_earth_forest/forest/
157 https://www.teamlab.art/jp/ew/droplets_forest/forest/
158 https://www.teamlab.art/jp/ew/typhoon_balls_forest/forest/
159 https://www.teamlab.art/jp/ew/soft_terrain_year_forest/forest/
160 https://www.teamlab.art/jp/ew/rapidly_rotating_forest/forest/
Filippo Mencucci, teamLab: arte senza confini, Tesi di laurea, Università Ca' Foscari Venezia, Anno Accademico 2020/2021

sabato 19 febbraio 2022

Gli agenti furono lanciati quaranta miglia a meridione del punto stabilito

Tirli, Frazione di Castiglione della Pescaia (Grosseto) - Foto: Danilo93 su Mapio.net

Il 22 gennaio 1944 le truppe anglo-americane sbarcarono ad Anzio per forzare il fianco della X Armata tedesca e superare, così, lo stallo che si era creato sul fronte di Cassino.
Sennonché il maggiore generale John P. Lucas, Comandante del VI Corpo d’Armata, non seppe approfittare delle quasi inesistenti linee di difesa tedesche e decise di fermarsi predisponendo uno schema di difesa della testa di ponte: l’offensiva frontale della V Armata si arenò a Cassino e la testa di ponte di Anzio, anziché serrare i tedeschi in una manovra a tenaglia, diventò un rischio per l’Allied Forces Headquarters (AFHQ) e la stessa V Armata.
Con quest’ultima sbarcò ad Anzio anche un‘unità dell’Office of Strategic Services (d’ora in poi OSS) che, tuttavia, non aveva un predefinito piano operativo. Il distaccamento dell’OSS ad Anzio inviò numerose missioni oltre le linee ma, in assenza di coordinamento con gli agenti infiltrati a Roma, raccolse informazioni strategiche militari di valore tattico limitato rispetto all’avanzata della V Armata <1.
A decorrere dal gennaio 1944, una parte del lavoro dell’OSS consistette nella raccolta d’informazioni strategiche concernenti la dislocazione delle bande partigiane nell’Italia occupata dai tedeschi, che si tradusse nella redazione di rapporti mensili, con allegate mappe dettagliate, inviati, poi, al direttore dell’OSS a Washington e, attraverso quest’ultimo, alla Casa Bianca.
Inizialmente questi rapporti furono redatti dal SIM, giusta la collaborazione tra i ricostituiti servizi segreti italiani del colonnello Agrifoglio e quelli americani, quale formalizzata nell’accordo del settembre 1943 con la Sezione italiana della Secret Intelligence Branch (SI) di Scamporino e Corvo, di cui sopra si è detto. In seguito, man mano che s’incrementò l’entità dell’infiltrazione degli agenti dell’OSS oltre le linee nemiche e s’intensificarono, così, le relazioni di questi ultimi con i patrioti italiani, tali rapporti furono sempre più densi di dettagli, concernenti sia gli uomini sia gli armamenti e consentirono, così, di ponderare la forza sia locale sia regionale e generale di queste organizzazioni irregolari <2.
Gli agenti che Bourgoin aveva reclutato a Napoli furono inviati in missioni di lungo raggio e raccolsero informazioni che si rivelarono molto utili alle tormentate forze militari alleate che combattevano ad Anzio. Nel suo rapporto riservato sulle attività dell’OSS dal 20 settembre 1943 al 26 gennaio 1945, Bourgoin ha celebrato, tra gli altri, l’agente “Cervo”, alias Maurizio Giglio, che, allo scopo di facilitare la missione d’intelligence di cui era stato investito, riuscì a introdursi nella polizia segreta fascista in veste di ufficiale di collegamento (Liaison Officer) con le autorità tedesche. Egli fu molto abile nel raccogliere una gran quantità d’informazioni militari segrete, trasmetterle via radio al Quartier Generale di Caserta e, altresì, preparare basi sulla costa tirrenica e, in particolare, nell’area di Capalbio, per consentire lo sbarco di altre missioni dell’OSS in Italia e, soprattutto, dalla Corsica. Stabilì contatti con alcuni esponenti dei partiti antifascisti che, clandestinamente, stavano organizzando la Resistenza nella Roma occupata dai tedeschi, tra i quali spiccavano Franco Malfatti, membro del Partito Socialista Italiano (PSI) e braccio destro del rappresentante socialista nella giunta militare del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), Giuliano Vassalli che collaborò, in particolare, con Peter Tompkins <3.
Accadde, infine, che, nella prima parte di marzo ’44, il radiotelegrafista Vincenzo Converti fu denunciato alla Gestapo: il fatto di per sé di rilevante gravità assunse una notevole importanza anche per i suoi inquietanti risvolti con riguardo alla sorte dell’agente “Cervo”, il quale, il 17 marzo 1944, fu arrestato dalle SS e, quindi, fucilato alle Fosse Ardeatine. Così Bourgoin raccontava la drammatica fine del suo agente:
"Il tenente Giglio, nel tentativo di salvare le attrezzature radio, su ordine di Mr. Tompkins, fu arrestato dalle SS tedesche e, dopo alcuni giorni di orribili torture, fu infine fucilato alle Fosse Ardeatine il 24 marzo insieme con i trecentoventi ostaggi italiani. Con la persona del tenente Giglio, perdemmo uno straordinario e capace agente e uno dei migliori patrioti italiani che avessi avuto l’onore di conoscere durante il mio servizio in Italia. Nonostante le torture inflittegli nei sette giorni di prigionia, egli rifiutò sempre di confessare e mantenne al sicuro i nomi e gli indirizzi di tutti i nostri agenti, compreso Mr. Peter Tompkins e così, con il sacrificio della sua vita, salvò tutta la nostra organizzazione" <4.
Fallito il tentativo di prelevare il figlio del maresciallo Badoglio durante la citata missione Richmond II, si decise di porre in essere una nuova operazione anche allo scopo di stabilire contatti con alcuni nuovi gruppi di partigiani sparpagliati in Toscana e, in particolare, tra Tarquinia e Follonica. Tale missione fu compiuta dall’ufficiale dell’aviazione italiana, Piergiorgio Menichetti, il quale si offrì volontario e dal radiotelegrafista, tale Mummolo, nome in codice “Barone”. Entrambi furono paracadutati nella parte sud-orientale di Orbetello. L’operazione, secondo la testimonianza di Bourgoin, fu condotta dall’aviazione britannica che, però, nonostante che l’OSS avesse impartito istruzioni molto precise e corredate di mappa a grande scala nonché fotografie aeree del punto di lancio, paracadutò i due uomini a dieci miglia più a nord del punto stabilito. Questi furono, così, lanciati nel mezzo di una fattoria occupata dalle truppe nemiche e, solo grazie al loro coraggio e abilità, riuscirono a scappare. Come se non bastasse, l’attrezzatura radio, gli effetti personali e le mappe militari furono lanciate a venti miglia dal punto in cui gli uomini erano stati paracadutati. Pertanto, la missione fu assolutamente inutile in quanto gli agenti, privi come furono delle necessarie attrezzature, furono impossibilitati a mettersi in contatto via radio con la base. Menichetti tentò, invano, di collegarsi con gli altri agenti segreti alleati, soprattutto britannici, che si trovavano nella vicina regione di Viterbo, ma i messaggi furono trasmessi al Quartiere Generale con un mese di ritardo. L’inarrestabile Menichetti, non potendo lavorare, decise, quindi, con l’aiuto del capitano Fantappié che possedeva una piccola imbarcazione lunga quindici piedi, di raggiungere con questo mezzo qualche isola occupata dagli Alleati. La loro avventurosa spedizione non fu vana perché fornì importanti informazioni strategiche concernenti tutte le fortificazioni costiere, i presidi e i movimenti delle truppe tedesche sulla costa tirrenica tra Civitavecchia e Piombino e consentì di redigerne mappe molto dettagliate che giovarono alle operazioni speciali dell’OSS che si dipartirono soprattutto dalla base di Bastia in Corsica. L’impresa fu descritta con enfasi ancora da Bourgoin che celebrava il raro coraggio dei due uomini con queste parole:
"Il 14 marzo, essi salparono da Castiglion della Pescaia diretti a Bastia, Corsica. A loro si aggiunsero due patrioti italiani desiderosi di unirsi alle forze armate italiane che combattevano dalla nostra parte. La prima parte del viaggio verso l’isola di Monte Cristo fu facile ma nel mezzo della notte furono colti da vento molto forte che lacerò la vela e fece scoppiare l’albero maestro dell’imbarcazione, sicché invece di arrivare in Corsica come programmato, essi approdarono esausti, dopo settantadue ore di navigazione su un mare molto mosso, su una piccola roccia a largo della costa della Sardegna vicino all’isola della Maddalena. Individuati dalla Marina Britannica, arrivarono quindi a Napoli con un volo il 16 marzo ‘44. Menichetti e il capitano Fantapie [sic] fornirono informazioni utilissime concernenti tutte le fortificazioni costiere, i presidi e i movimenti delle truppe dei tedeschi sulla costa tra Civitavecchia e
Piombino e contribuirono a redigere mappe molto dettagliate delle quali una copia fu inviata anche al colonnello Livermore, Commanding Officer dell’OSS in Corsica" <5.
Anche una seconda missione intentata dal medesimo agente Menichetti rischiò di essere compromessa a causa di un grave errore di lancio da parte dell’Aviazione britannica, sebbene questa volta fosse stata adottata una serie di precauzioni, compresa, in particolare, in una dettagliatissima mappa della zona di lancio e, pur tuttavia, il coraggio e l’iniziativa di Menichetti e i suoi uomini supplì la carenza militare e consentì di compiere un’eccellente missione. Menichetti si arruolò volontario per una seconda missione nella quale fu accompagnato dal radio operatore Bormida. I due agenti dovettero essere lanciati a Tirli, a est di Follonica, per unirsi a un potente gruppo di patrioti il cui comandante, tale Vanucci, fu convocato da Bourgoin con l’intermediazione del generale Accame. Le forze aeree britanniche furono dotate di una mappa dettagliata del punto per evitare di commettere il medesimo errore in cui erano incorse nella prima missione. Nonostante tutte le precauzioni adottate, però, gli agenti furono lanciati quaranta miglia a meridione del punto stabilito, mentre le attrezzature radio, le batterie e i generatori elettrici non furono paracadutati tutti insieme, tanto che, mentre le batterie e i generatori furono individuati, le radio, invece, finirono in un posto assolutamente sconosciuto e, infine, andarono perdute. A dispetto delle circostanze, Menichetti riuscì a mettersi in contatto con un’altra stazione radio operante nella regione e si dovette organizzare, quindi, un’altra operazione di aviolancio volta a rifornire gli agenti del necessario equipaggiamento.
I messaggi inviati da Menichetti furono molto importanti perché contennero informazioni militari di grande valore che permisero all’aviazione alleata di distruggere il più grande deposito tedesco di munizioni in Italia a Tombolo di Feniglia vicino a Orbetello. Pertanto, quando gli Alleati arrivarono sul posto a metà giugno, centinaia di barili di gasolio erano stati dati alle fiamme, immensi rifornimenti distrutti e un gran numero di tedeschi uccisi.
Inoltre, grazie a questa missione, il comando di tutti i gruppi di partigiani della regione fu fortificato e ingaggiata una dura battaglia che distrusse una gran quantità di armamenti nemici, spianando, così, la strada all’avanzata della V Armata. E’ ancora Bourgoin che, così, ricordava l’agente da lui reclutato:
"Egli compì una meravigliosa missione grazie alla quale furono inviate noi informazioni militari d’immenso valore che permisero all’Air Force di distruggere il più grande deposito di munizioni tedesco in Italia. Centoquaranta Flying Fortressess bombardarono il posto sito a Tombolo di Feniglia vicino a Orbetello. Il deposito fu interamente distrutto, tre navi affondate e quando gli Alleati arrivarono sul posto a metà giugno, centinaia di barili di gasolio furono dati alle fiamme, immensi rifornimenti distrutti e un gran numero di tedeschi uccisi. Grazie alla capacità di Menichetti, il comando di tutti i gruppi di partigiani della regione fu fortificato e fu ingaggiata una battaglia che distrusse una gran quantità di armamenti tedeschi, uccidendo in una sola volta centosessanta tedeschi e aprendo la strada alla V Armata che trovò le posizioni abbandonate dal nemico. Menichetti catturò due batterie tedesche, quattro mitragliatrici e venti carri armati che furono consegnati agli americani della V Armata. I due radiotelegrafisti all’ultimo minuto abbandonarono le loro attrezzature radio e combatterono con i partigiani italiani e il loro ufficiale comandante" <6.
Nello stesso periodo dalla base dell’OSS di Bastia in Corsica si dipartirono altre importanti missioni d’intelligence, a lungo raggio, aventi come destinazione l’Italia occupata dal nemico. L’operazione denominata Richmond II, che, come avanti enunciato, approdò sulla spiaggia di Fosso Tafone nella notte tra il 17 e il 18 gennaio ‘44 e si svolse tra la Liguria e la Toscana, fu affidata alla squadra composta dei seguenti agenti: Vera Vassallo; Sergio Tavernari e Salvatore Piazza, nome in codice “Turi”, oltre ai radiotelegrafisti Alberto Fabbri e Mario Rebello. Vera Vassallo, che si era formata nei servizi d’intelligence della Marina Militare Italiana, compì la missione affidatale con encomiabile determinazione, permettendo ai servizi segreti americani di mettersi in contatto con le principali bande partigiane italiani operanti nel distretto delle Alpi Apuane, La Spezia e la Toscana nonché con il CLN di Firenze. Si narra di ben sessantacinque operazioni di aviolancio alleate per il rifornimento di armi e munizioni in favore dei partigiani di quell’area [...]
[NOTE]
1 M. Corvo, La campagna d’Italia dei servizi segreti americani cit., pp. 206 e 207.
2 Si veda, a tal proposito, il citato rapporto del SIM sulle bande partigiane nell’Italia del nord, con allegata mappa, che fotografa la situazione nel periodo dal 1° maggio al 31 luglio 1944 con riferimento alle regioni di: Toscana, Emilia, Marche, Piemonte e Liguria, Lombardia e Veneto. Il rapporto analizza sia l’organizzazione sia le attività delle formazioni di partigiani le quali ‹‹a prescindere dai partiti politici di riferimento, sono controllate dal Comitato di Liberazione Alta Italia (CLNAI) che ha fatto tutto il possibile per coordinare le attività di tutti i gruppi di patrioti nella comune guerra contro il nemico›› nonché l’esatta posizione per area geografica con l’indicazione della forza in uomini e arsenale delle bande organizzate. SIM Reports. Armed Bands in Northern Italy cit.
3 A. Bourgoin, From 20th September 1943 to 26th January 1945 cit., p. 55.
4 ‹‹Lt. Giglio, trying to save the radio sets on orders given to him by Mr. Tompkins, was captured by the Germans and during several days of horrible torture, he finally was shot at Fosse Ardeatine on the 24th of March with 320 Italian hostages. We lost, in the person of Lt. Giglio, an extraordinary and capable agent and one of the best Italian patriots I had the honor to know while serving in Italy. In spite of the tortures which had been inflicted on him during the seven days, he always refused to give the names and safe addresses of all of our Agents including Mr. Peter Tompkins, and by the sacrifice of his life, he thus saved all of our organization›› A. Bourgoin, From 20th September 1943 to 26th January 1945 cit., p. 56.
5‹‹On the 14th of March they sailed from Castiglione della Pescaia to Bastia, Corsica. They took with them two Italian patriots who were willing to join the regular Italian Army fighting on our side. The first part of the trip to the Island of Monte Cristo was easy, but in the middle of the night they were caught bay a very heavy gale which tore the sail , blow off the mast of the ship and instead of arriving in Corsica as planned, they landed exhausted after seventy-two hours of navigation on a very rough sea, on a little rock off the Sardinian Coast near Maddalena [sic]. Rescued by the British Navy, they arrived in Naples with a plane on the 16th of March. Menichetti and Capt. Fantapie [sic] supplied us with the most useful information about all coastal fortifications, German garrisons and troop movements on the coast between Civitavecchia and Piombino. Detailed maps were established and a copy sent to Col. Livermore who was the Commanding Officer in OSS Corsica.›› A. Bourgoin, From 20th September 1943 to 26th January 1945 cit., pp. 66 e 67.
6 ‹‹He accomplished a wonderful mission sending us the most valuable military information and allowing the Air Force to destroy the biggest German dump in Italy. One hundred and forty Flying Fortresses bombed the place at Tombolo di Feniglia near Orbetello. The dump was entirely destroyed, three boats sunk, and when the Allied Armies arrived on the spot in the middle of June, thousands of gasoline barrels had been burned; enormous supplies destroyed, and a great number of Germans killed. Due to ability of Menichetti, he secured the command of all resistance groups of the Region and put up a fight destroying a great quantity of German equipment killing in one battle one hundred and sixty Germans and opening the way to the Army which found the positions abandoned by the enemy. Menichetti captured two Germans batteries; four machine guns and twenty trucks were given to the American 5Th Army. The two radio operators at the last minute abandoned their radio sets and fought with the patriots and their Commanding Officer.›› A. Bourgoin, From 20th September 1943 to 26th January 1945 cit., pp. 68 e 69.
Michaela Sapio, Servizi e segreti in Italia (1943-1945). Lo spionaggio americano dalla caduta di Mussolini alla liberazione, Tesi di Dottorato, Università degli Studi del Molise, 2012 


domenica 6 febbraio 2022

La prima struttura paramilitare di guerra non ortodossa fu l'organizzazione “O”


Nel 1985 il giornalista Gaetano Contini pubblicò un «documento inedito» redatto presumibilmente verso la fine del 1945 e firmato in calce da Aldo Gamba, l’agente organizzatore del servizio informativo Reseau Rex, creato nel 1944 per raccogliere informazioni, documenti, ordini repubblichini e per avvisare tempestivamente il comando italiano delle azioni che questi organizzavano contro i partigiani <3. In quel periodo Gamba si trovava al comando del 1° Squadrone autonomo, un reparto della Polizia militare segreta sottoposto agli ordini del FSS britannico, con sede a Brescia <4.
Tale documento sarebbe stato scritto da un «informatore» di Gamba, il quale evidentemente lo ritenne attendibile se decise di inoltrarlo con la propria firma, ed è intitolato “Il piano Graziani per la resurrezione del fascismo”.
Il “piano Graziani” prende il nome dal ministro della guerra della RSI Rodolfo Graziani, che fu denunciato alle Nazioni Unite, già durante il conflitto, per crimini di guerra: fu governatore della Libia dal 1930 al 1934, dove “pacificò” la Cirenaica mediante deportazione di circa 100.000 persone, bombardamenti all’iprite, esecuzioni sommarie e torture anche di vecchi donne e bambini; il comandante della resistenza libica, il settantatreenne Omar el-Muktar, il “leone del deserto”, fu impiccato dopo un processo sommario il 16/9/31. Tra il 1935 ed il 1936 Graziani comandò le operazioni militari contro l’Abissinia, utilizzando anche qui le bombe all’iprite. Nominato viceré d’Etiopia nel 1937, sfuggito ad un attentato il 19/2/37, ordinò una repressione che provocò 3.000 morti secondo le fonti britanniche e 30.000 secondo quelle etiopiche. Si ricorda in particolare il massacro del monastero di Debre Libanos, dove furono uccisi più di 1.500 monaci, molti dei quali giovanissimi diaconi <5.
Rientrato in Italia, nel 1938 Graziani firmò il Manifesto per la difesa della razza e, rimasto fedele al “duce”, dal settembre 1943 ricoprì la carica di ministro delle Forze armate della RSI.
Torniamo all’informativa sottoscritta da Gamba, che si basa su quanto segue: i documenti rinvenuti nell’archivio di Barracu <6 con riferimento ad una organizzazione segreta costituita «per la salvezza del fascismo»; un considerevole deposito di armi trovato nello stabile di piazza San Sepolcro dove aveva avuto sede il Partito fascista; un altro arsenale scoperto pochi giorni prima a Trezzo d’Adda; infine quanto risultava da un processo svoltosi a Pavia «per documenti falsi» dove veniva confermata la «strabiliante offerta» avanzata dall’allora ministro Graziani nel dicembre 1944 ai Comitati di liberazione (qui l’informatore non entra nei particolari ma si presume intenda parlare dei tentativi di collaborazione che delineeremo nell’esposizione successiva).
L’informatore sostiene che questi dati «non hanno aperto che un sottile spiraglio di luce su un vasto diabolico progetto da lungo tempo predisposto e in esecuzione anche in tutto il periodo di lotta clandestino» ed a questo punto parla di una «riunione segreta» che si sarebbe svolta nell’ottobre del 1944 presso la sede della Legione Muti a Milano, riunione tenuta da Graziani alla quale presero parte «elementi politici» della RSI, che non erano «prefetti, gerarchi e pubblicisti», ma i comandanti della legione Muti, delle Brigate nere, della GNR e due questori (uno era il questore di Milano Larice), oltre ai capi dei servizi di spionaggio, i «torturatori e gli aguzzini».
Graziani avrebbe loro delineato il progetto che intendeva realizzare, data ormai per certa la sconfitta militare del fascismo, per la sopravvivenza politica del medesimo: le truppe germaniche si sarebbero ritirate, seguite dal grosso dell’esercito italiano, ma i «politici» (cioè i partecipanti alla riunione) sarebbero rimasti, «celandosi e camuffandosi per fare azione di sabotaggio nelle retrovie, opera di disgregazione all’interno dell’Italia» (sostanzialmente un progetto stay behind) perché (e qui l’informatore dice di riferire le parole di Graziani, da lui definito «iena») «non è necessario vincere la guerra perché il fascismo e i fascisti possano, sia pure dietro altre bandiere, salvarsi».
«Immettere il maggior numero di strumenti fascisti entro le nostre organizzazioni clandestine, mandando in galera gli antifascisti veri, scompigliando le loro trame, creare fino da allora forti posizioni fasciste entro le fila dell’antifascismo, preparare ingenti quantitativi di armi e denaro e poi, dopo il crollo del fascismo iscriversi in massa ai partiti antifascisti, sabotare ogni opera di ricostruzione, diffondere il malcontento, fomentare moti insurrezionali e preparare sotto qualsiasi insegna la resurrezione degli uomini e dei loro metodi fascisti», scrive l’informatore. E poi riferisce le «particolareggiate, minutissime disposizioni» di Graziani: «organizzare delle bande armate che funzionino segretamente e che aggiungano altre distruzioni a quelle che prima di andarsene effettueranno i tedeschi, che esercitino in tutto il Paese il brigantaggio, che si mescolino alle manifestazioni popolari per suscitare torbidi. Ma soprattutto mimetizzati, penetrare nei partiti antifascisti e introdurvi fascisti a valanga, propugnare le tesi più paradossalmente radicali ed il più insano rivoluzionarismo, sabotare e screditare l’opera del governo e soffiare a più non posso in tutto il malcontento inevitabile», in modo da suscitare «il rimpianto del fascismo» e permetterne il ritorno al potere.
Le manovre di Guido Zimmer.
Non siamo in grado di dire se fu questo piano ad ispirare le manovre del tenente delle SS Guido Zimmer o se fu invece il piano di Graziani ad essere ispirato dai metodi di infiltrazione nazisti, metodi che questo ufficiale applicò in modo esemplare.
Zimmer era stato inviato a Roma nel 1940 quale membro della sezione estera dei servizi segreti del Reich e nel 1941 fu posto agli ordini del maggiore delle SS Herbert Kappler; nel settembre 1943 fu mandato a Genova «dove partecipò alla caccia agli ebrei»; nel 1944 fu trasferito a Milano sotto le dipendenze dirette di Walter Rauff (a capo del Comando interregionale delle SS che comprendeva Piemonte, Lombardia e Liguria), dove proseguì con la persecuzione antiebraica, arricchendosi con i beni sottratti alle vittime. Nello stesso tempo costituì «una rete di agenti locali disposti a collaborare con la Germania» al momento in cui gli Alleati avessero liberato l’Italia, ma nel novembre 1944 «avviò i contatti con i servizi segreti americani in Svizzera» <7 dando il via all’Operazione "Sunrise" per la cosiddetta “resa separata”. Tale operazione, condotta dai servizi segreti statunitensi e svizzeri, era finalizzata a portare l’esercito germanico alla resa incondizionata nell’Italia del Nord e nell’Austria occidentale, evitando però sia che i nazisti si arroccassero nel cosiddetto “ridotto alpino” continuando a combattere ad oltranza, sia la minacciata distruzione degli stabilimenti industriali italiani e del porto di Genova: ma di fatto permise a molti esponenti nazisti di alto livello di non essere processati e condannati per crimini di guerra. I personaggi chiave di questa operazione furono il futuro capo della CIA Allen Dulles, il maggiore del servizio segreto svizzero Max Waibel ed il capo della polizia tedesca e del Sicherheits Dienst in Italia, il generale Karl Wolff <8. In questo contesto storico e politico Zimmer infiltrò nella Resistenza milanese un agente di origine ungherese, Andreas Zolomy, che (scrive lo storico Giorgio Cavalleri «riesce ad entrare in contatto con la cellula di un ex volontario della guerra di Spagna, Agostino Casati, Raimondo, assai critico nei confronti della linea moderata del segretario del PCI Togliatti (…) cerca di convincere i suoi compagni (…) che l’ideologia del partito è troppo “morbida” e devono essere pronti al sabotaggio in grande stile». È lo stesso Zimmer a finanziare la stampa dei volantini (definiti “provocatori” da Cavalleri), e dopo alcuni mesi di questa attività, «nel gennaio ’45 l’ungherese rompe i contatti (…) passando nelle file partigiane. Incredibilmente Zimmer non lo arresta, limitandosi a spiarne le mosse» <9. Zolomy (noto anche come Bandi) è indicato da Stefano Porta (collaboratore di Edgardo Sogno) come il delatore che ai primi di gennaio del 1945 causò l’arresto a Milano del presidente del CLNAI Ferruccio Parri (appena rientrato da una missione a Roma iniziata nel novembre 1944, cui aveva partecipato anche Sogno) e dell’agente della rete di intelligence anglo-italiana Nemo Teresio Grange <10; di Zolomy leggiamo inoltre che era un «ex agente dell’Ufficio Quarto dei servizi segreti nazisti di Milano, arrestato nel maggio 1945 passò a lavorare con gli statunitensi» <11.
Anche Guido Zimmer, subito dopo la resa, tornò in Italia «in divisa militare americana», ma nello stesso tempo continuava a «costruire la rete Stay Behind nazista» e «grazie ai buoni uffici di Dulles» divenne segretario del barone Luigi Parrilli, che nell’Operazione Sunrise aveva fatto da mediatore tra l’OSS ed i nazisti <12; fece domanda per la cittadinanza italiana, ma nel 1948, insieme ad altre ex SS, «lavorò per i servizi segreti della Germania federale» <13.
Le infiltrazioni della Franchi e le manovre di Edgardo Sogno.
Vanno qui inserite alcune dichiarazioni del generale dei Carabinieri Nicolò Bozzo (comandante di un nucleo speciale antiterrorismo all’interno della struttura diretta da Carlo Alberto Dalla Chiesa nel 1978), relativamente ad un colloquio avuto negli anni ’70 con un «capo partigiano della Brigata Garibaldi» del Vercellese, il quale gli avrebbe raccontato «una storia dai risvolti a dir poco inquietanti», riguardante l’attività dell’organizzazione Franchi. Prima di proseguire dobbiamo quindi aprire una parentesi su questa organizzazione comandata da Edgardo Sogno, il conte torinese tenente di cavalleria che nel 1938 andò volontario in Spagna a combattere dalla parte dell’insorto generalissimo Francisco Franco, non perché fosse fascista, precisò, ma per combattere il comunismo: in effetti l’anticomunismo di Sogno fu una costante quasi maniacale che influenzò tutta la sua vita e la sua attività politica. Al momento dell’armistizio Sogno si trovava in Piemonte e decise di scendere al Sud per riunirsi all’esercito monarchico del legittimo governo italiano; si mise a disposizione del ricostituito SIM per andare in missione nell’Italia del Nord, e fu inserito nella Rete Nemo; a fine novembre 1943 fu paracadutato nel biellese assieme ad altri agenti, che però si dispersero. In seguito Sogno, dopo varie traversie, contatti, collegamenti, azioni fortunose e travagliate, spesso in disaccordo col maggiore Page della Special Force, ma supportato da John Mc Caffery (il dottor Rossi, ufficiale britannico di collegamento col CVL insediato in Svizzera), diede vita alla Franchi (dal suo nome di battaglia Franco Franchi) che definisce «un’organizzazione militare autonoma, in collegamento diretto con gli Alleati e con il Comando italiano del Sud» <14. Nel corso del primo incontro con Mc Caffery a Berna, l’agente britannico disse a Sogno che Londra approvava il suo passaggio dal campo informativo a quello attivistico perché «le notizie è meglio farle che mandarle» <15.
Vediamo ora le affermazioni del generale Bozzo: in sintesi, uomini della Franchi si sarebbero inseriti nelle formazioni comuniste, ad esempio il futuro magistrato Adolfo Beria D’Argentine (che ritroveremo tra i collaboratori di Sogno negli anni ’70) si sarebbe introdotto nei gruppi di Francesco Moranino Gemisto, facendone arrestare diversi elementi; sfuggito alla cattura, dopo alcuni mesi entrò nelle formazioni repubblichine. Così lo avrebbe “scagionato” il suo superiore: «alla fine della guerra Sogno stesso consegnò una dichiarazione alle autorità militari in cui si riconosceva che Beria D’Argentine, già “garibaldino”, si era arruolato nelle forze armate delle Repubblica Sociale di Salò per fare il doppio gioco» <16.
Il generale Bozzo aggiunse che «nell’ultima fase della guerra partigiana, un certo numero di repubblichini in contatto con uomini della Franchi avevano infiltrato diverse Brigate Garibaldi per indurle a compiere azioni particolarmente efferate, in modo da metterle in cattiva luce agli occhi dell’opinione pubblica o per portarle all’annientamento soffiando informazioni ai reparti della RSI» <17; e che «le persone utilizzate per le infiltrazioni «erano uomini e donne» che avrebbero agito per conto di «qualche servizio segreto alleato (…) una struttura (…) che non si è mai sciolta ed è tutt’ora operante dietro il terrorismo rosso e nero».
Bozzo avrebbe riferito un tanto al suo superiore, che in seguito lo convocò ad un incontro con Edgardo Sogno, al quale però, Sogno non volle che Bozzo fosse presente. E dopo il colloquio, Dalla Chiesa avrebbe detto a Bozzo «lascia perdere (…) è una storia più grande di noi, qui siamo a livelli internazionali, le BR non c’entrano più» <18.
Di quanto Sogno metterà in atto nel dopoguerra, avremo modo di parlare diffusamente in seguito.
Le ultime direttive del Piano Graziani.
Torniamo al “piano” di Graziani, che avrebbe parlato anche delle «trattative che taluni elementi della corrente più moderata del fascismo, ed altri in malafede, cercavano di allacciare con gli esponenti della lotta clandestina, per addivenire ad un modus vivendi» che ponesse «tregua alla cruenta lotta fratricida». Tali trattative, disse Graziani «vanno benissimo», perché «dobbiamo avvicinare gli antifascisti, illudendoli con vaghi progetti di pace separata, di ritorno alla legalità ed alla libertà, di rivendicazioni socialiste, stabilire così molti contatti, scoprire le loro file ed i loro covi», per poi arrivare ad una «notte di San Bartolomeo, con il preventivo sterminio dei preconizzati nostri successori» precisando però che «i tribuni» e «gli agitatori» andavano lasciati in pace perché «possono servire pure a noi», ma per «decapitare il nemico» bisognava colpire «gli intellettuali veri, le competenze tecniche, le reali capacità politiche ed amministrative».
Nel febbraio successivo, conclude l’informatore di Gamba, si svolsero altre riunioni durante le quali Graziani avrebbe impartito gli stessi ordini a tutti gli iscritti, «raccomandando soprattutto la più vasta penetrazione entro i partiti antifascisti». Di queste «tenebrose manovre», aggiunge, sarebbe stato «tempestivamente» informato il SIM, invitato inoltre ad avvisare i partiti per sventare questo «tranello che si tendeva loro». Ma i partiti invece «spalancarono senza alcuna precauzione le porte» ed il 25 aprile si videro «frotte di squadristi e di ex militari repubblichini tra i volontari della libertà» <19.
[...] Scrive Pier Giuseppe Murgia che Bonfantini all’interno del CLN rappresentava «la corrente socialdemocratica ante litteram» in quanto agiva «spesso all’insaputa degli altri esponenti del partito in operazioni politicamente spericolate», in modo «antitetico a quello di uomini come Morandi, Pertini e Basso»; e «fu lui ad avallare quel pasticciaccio della pacificazione tra fascismo e socialismo portata avanti (…) da Silvestri <20 per cui si sarebbe dovuto verificare il trapasso senza rotture violente del fascismo della RSI al socialismo colla benedizione del transfuga pentito Mussolini» <21.
Carlo Silvestri sarebbe stato anche l’autore di una lettera, concordata con Mussolini e da presentare al Partito Socialista, nella quale si affermava che Mussolini desiderava «consegnare la repubblica sociale ai repubblicani e non ai monarchici, la socializzazione e tutto il resto ai socialisti e non ai borghesi»; tale documento, presentato a Bonfantini ed altri dirigenti socialisti fu da Pertini respinto «con sdegno» <22.
Murgia aggiunge che Bonfantini affidò a Silvestri l’incarico di «costituire uno speciale reparto militare con l’incarico di impedire le fucilazioni di fascisti»: incarico per il quale si avvalse non solo di personale delle Matteotti ma anche entrando in contatto con «comandanti e ufficiali delle formazioni monarchiche che si dimostrano i più pronti a collaborare» <23.
[...]
Il salvataggio del maresciallo Graziani.
Furono infine le Matteotti ad operare l’arresto del maresciallo Graziani, che fu poi consegnato all’agente dell’OSS Emilio Daddario, nome in codice "Mim", giunto a Palermo già nel dicembre 1943 «inviato dal colonnello Vincent Scamporino probabilmente per partecipare alle trattative di resa dei tedeschi in Italia» <37. Daddario divenne in breve il vice di Max Corvo (il giovane funzionario dell’OSS che fu posto a capo delle operazioni in Italia dal 1943) che gli affidò un compito assai delicato, la cattura di Mussolini e di alcuni ministri della Repubblica sociale; operazione che «aveva anche lo scopo di sottrarre ai partigiani Mussolini, altrimenti destinato a morte certa» <38.
Così "Mim" andò a Cernobbio (CO) dove il 27 aprile (con il consenso del generale Cadorna) accettò la resa di «tre importanti prigionieri di guerra: il maresciallo Graziani, il generale Bonomi dell’aviazione e il generale Sorrentino dell’esercito», li prese in consegna e li condusse a Milano dove li «tenne ben protetti» <39. A questo proposito Fucci scrive che Tullio Lussi Landi (che era stato nominato capo del Servizio informativo del CLN al posto di Enzo Boeri, arrestato il 27 marzo dai nazisti) fu convocato da Daddario alla sede delle SS all’Hotel Regina il 28 aprile, vi trovò Rauff e l’agente di Daddario Vittorio Bonetti, in divisa rispettivamente germanica ed italiana e Graziani, prigioniero, da portare in salvo dalla folla che reclamava la sua consegna. Nella biografia di Guido Mosna Farina, rappresentante socialista nel Comando del CVL, leggiamo di un «episodio del 29 aprile ’45 in cui alcuni combattenti dell’8ª Brigata Matteotti tenevano in arresto, in una camera dell’Hotel Milano, il maresciallo Rodolfo Graziani, ministro della guerra della RSI, minacciandolo di morte. Cadorna risolse personalmente la situazione, portando con sé i socialisti Mosna e Stucchi per far opera di persuasione coi partigiani, e il prigioniero fu condotto incolume al carcere di San Vittore» <40. Graziani fu trasferito il 29/4/45 al comando del IV corpo d’armata corazzato americano di stanza a Ghedi (BS).
[...] Fu nello stesso periodo che nacque l’operazione Demagnetize: il 14/5/52, in seguito alla decisione dei Capi di Stato maggiore della CIA e dei servizi segreti militari di Francia e Italia (i due paesi dell’Europa occidentale con i partiti comunisti più forti) veniva emesso un documento nella quale si pianificava l’avvio di «operazioni politiche, paramilitari, ideologiche» per indebolire i comunisti dei due paesi, in quanto «la riduzione della forza dei comunisti in Italia e in Francia è un obiettivo di massima priorità» da ottenere «con l’impiego di ogni mezzo, comprese una guerra segreta e azioni terroristiche». Di tale piano, si specificava, sarebbe stato possibile non mettere mai al corrente i governi italiano e francese «in quanto è chiaro che questo programma può interferire con le rispettive sovranità nazionali» <49.
[NOTE]
3 Sul Reseau Rex, definito da Aldo Giannuli «il più importante servizio informativo dopo la Franchi» (cfr. Il noto servizio, Giulio Andreotti e il caso Moro, Tropea 2011, p. 30; la Franchi era il servizio informativo di Edgardo Sogno, di cui parliamo più avanti), si vedano Franco Fucci, Spie per la libertà, Mursia 1983, p. 213 e seguenti; Marco Fini e Franco Giannantoni, La Resistenza più lunga, SugarCo 2008, p. 327-328. La biografia di Gamba (deceduto nel 1996) è ricostruita da un appartenente alla divisione Tito Speri della Valcamonica: l’agente, già autore di articoli antisemiti sul Popolo d’Italia, era giunto dalla Svizzera (presumibilmente all’inizio del 1944) assieme ad un non meglio identificato «figlio del Generale dei Carabinieri», affermando di essere inviato dal governo svizzero per assumere informazioni sulla situazione politica e sull’attività partigiana nell’Alta Italia; di essere già stato nel Veneto e nel Piemonte, dove le cose «vanno bene», e di essere «fiducioso» nei lanci alleati. Dopo alcuni contatti con i partigiani giunse la notizia che Gamba era stato arrestato a Milano il 21/4/44 ma non vengono specificate le circostanze del rilascio (http://www.bs.unicatt.it/materiali/ricerca/archivioresistenza/volume1.pdf). In altra sede Gamba parlò della vicenda delle cosiddette “casse di Dongo”, cioè di quattro casse di documenti di Mussolini che erano scomparse, due affondate dai fascisti nel Lago di Garda, altre due abbandonate alla Prefettura di Milano, dove una sparì e l’altra da lui consegnata «alle autorità del nascente Stato Repubblicano», scomparsa durante il trasporto verso Roma (Federico Pellizzari, “Vi racconto che fine hanno fatto le casse del duce”, Il Giorno, 22/8/00).
4 Il documento, pubblicato nella rivista Storia Illustrata del novembre 1985 col titolo “Getteremo l’Italia nel caos”, è conservato nell’ACS di Roma, fondo Polizia Militare di Sicurezza, busta 2. Nell’articolo Contini scrive erroneamente che la FSS (Field Security Section, la sezione dell’Intelligence Service britannico assegnata alle unità campali con compiti di sicurezza e controspionaggio) faceva parte dell’OSS (che era invece il Servizio statunitense, la futura CIA).
5 A guidare le truppe d’assalto contro il monastero fu il generale dei bersaglieri Pietro Maletti, padre del futuro dirigente del SID (Servizio Informazioni Difesa) Gianadelio, piduista, condannato per favoreggiamento nel corso delle indagini su Piazza Fontana: non ha mai scontato la pena in quanto si è reso latitante trasferendosi in Sudafrica dov’è morto, quasi centenario, nel 2021.
6 Francesco Maria Barracu, sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri della RSI, fu fucilato a Dongo con Mussolini.
7 http://qn.quotidiano.net/2001/04/28/2100647-Svelato-il-giallo-dell--quotOperazione-Sunrise-quot-in-Italia.shtml.
8 Su questo argomento si vedano Elena Aga Rossi, Operation Sunrise, Mondadori 2005; Ferruccio Lanfranchi, La resa degli ottocentomila, Rizzoli 1948; e per quanto riguarda il ruolo dei servizi germanici, l’articolo di Ennio Caretto, “Sacrificare Hitler per salvare la Germania”, Corriere della Sera, 5/8/01.
9 Giorgio Cavalleri, La gladio del lago, Essezeta 2006, p. 116.
10 La Rete Nemo, guidata dal capitano di corvetta Emilio Elia Nemo era il Gruppo speciale del SIM controllato congiuntamente col Servizio britannico (SOE), comandato dal maggiore Maurice Page, ufficiale del Secret Intelligence Service (SIS, il servizio di spionaggio britannico, poi MI6; cfr. C. Cernigoi, “Alla ricerca di Nemo”, Trieste 2013, reperibile qui: http://www.diecifebbraio.info/2013/06/alla-ricerca-di-nemo-una-spy-story-non-solo-italiana-2/. SIM era il Servizio Informazioni Militare, divenuto SIFAR (Servizio Informazioni Forze Armate) nel 1949 e SID nel 1966. 11 In http://casarrubea.wordpress.com/2009/10/05/le-iene-del-neofascismo/, articolo basato sul documento contenuto nel fascicolo War Office 204/12896, “Shooting of Brigadier De Winton” (l’assassinio dell’ufficiale britannico Robin De Winton commesso a Pola il 10/2/47 dall’agente della Decima Mas Maria Pasquinelli); nell’articolo leggiamo inoltre che Zolomy-Bandi «diventerà anni dopo una figura molto nota nel panorama sportivo italiano: allenerà la nazionale di pallanuoto alle olimpiadi di Melbourne (1956) e di Roma (1960)».
12 Uomo d’affari d’origine napoletana residente a Genova, cavaliere dell’ordine di Malta, rappresentante della società statunitense Kelvinetor in Europa, amico di Howard Lewis (finanziere consigliere del presidente Roosevelt) e di John Ginnes (industriale inglese residente in Svizzera interlocutore privilegiato di Churchill).
13 http://qn.quotidiano.net/2001/04/28/2100647-Svelato-il-giallo-dell--quotOperazione-Sunrise-quot-in-Italia.shtml. Si presume che Zimmer sia entrato nella Rete organizzata dal generale Reinhard Gehlen, che aveva diretto in maniera eccellente i servizi segreti nazisti (Abwehr) nel settore orientale (con un occhio di riguardo per l’Unione Sovietica); forte di questa sua competenza, alla fine della guerra si mise a disposizione dei vincitori affinché utilizzassero la sua competenza contro l’URSS: fatto prigioniero dagli statunitensi fu arruolato da Allen Dulles in persona. Nel luglio 1946 fu costituita l’organizzazione Gehlen, un servizio segreto clandestino, con sede a Pullach presso Monaco di Baviera, che riciclò in funzione anticomunista i vecchi agenti che avevano servito il Reich di Hitler (tra di essi anche Otto Skorzeny, il “salvatore” di Mussolini dal Gran Sasso, nonché uno degli organizzatori dei Werwolf, il movimento di resistenza nazista che arruolò anche giovanissimi ragazzi della Hitlerjugend agli ordini di ufficiali della Waffen-SS). Nel 1956 il generale Gehlen fu incaricato dall’allora cancelliere Konrad Adenauer di dirigere il Bundesnachrichtendienst (BND), il nuovo servizio segreto federale, e l’organizzazione che era stata clandestina divenne una propaggine governativa, portando con sé tutti gli agenti che vi avevano fatto parte.
14 E. Sogno, Guerra senza bandiera, Il quaderno democratico 1971, p. 191.
15 E. Sogno, op. cit., p. 182.
16 Cfr. l’articolo firmato H.S., “Affaire Moro e il nodo Markevitch/Caetani” in https://www.vocidallastrada.org/2011/12/affaire-moro-e-il-nodo.html.
17 Possiamo riconoscere in questo punto alcune delle indicazioni del “piano Graziani”, ma anche il modo d’agire di Zolomy. Consideriamo che il 26/11/44 nella zona controllata dai partigiani di Moranino furono fucilati i componenti della “missione Strassera”, ritenuti spie nazifasciste, e per tale azione il comandante Gemisto fu perseguito negli anni ’50, come vedremo.
18 Mario José Cereghino e Giovanni Fasanella, Il golpe inglese, Chiarelettere 2011, p. 245-246, che citano una «testimonianza di Nicolò Bozzo a Sabina Rossa», inserita in G. Fasanella e S. Rossa, Guido Rossa, mio padre, BUR 2006.
19 G. Contini, articolo citato.
20 Carlo Silvestri era un giornalista che si definiva “socialista” ma era vicino ai vertici della RSI.
21 P. G. Murgia, Il vento del Nord, SugarCo 1975, p. 31.
22 Cfr. G. Pesce, Quando cessarono gli spari, Feltrinelli 1977, p. 29. Giovanni Pesce è il leggendario comandante Visone dei GAP (Gruppi Azione Patriottica) di Torino e poi di Milano.
23 P. G. Murgia, op. cit., p. 31
37 F. Fucci, op. cit., p. 75.
38 Ezio Costanzo, “Uno 007 in Sicilia”, La Repubblica, 20/7/10.
39 “I contributi di Max Corvo e l’OSS Americana alla liberazione dell’Italia dopo l’Armistizio di Cassibile 3 Settembre 1943” in http://www.cassibilenelmondo.it/Max_Corvo.htm.
40 Classe 1924, nato a Pola, Mosna studiava giurisprudenza a Bologna; dopo la riorganizzazione del Comando del CVL del 3/11/44 ne fu nominato capo di stato maggiore (vicecapi erano Enrico Mattei e Mario Argenton) e poi membro del Comando regionale lombardo (http://www.anpi.it/donne_e_uomini/3100/guido-mosna).
49 Daniele Ganser, Gli eserciti segreti della NATO, Fazi 2004, p. 86-87.

Claudia Cernigoi, Le serpi in seno: l'infiltrazione e la provocazione nei movimenti comunisti in Supplemento al n. 416 - 3/12/21 de “La Nuova Alabarda e la Coda del Diavolo”, Trieste, 2021 

La prima struttura paramilitare di guerra non ortodossa fu l'organizzazione “O”, derivata dall'analoga formazione partigiana “Osoppo”. Dopo la smobilitazione della formazione partigiana, nel 1946 i capi della formazione chiesero il riarmo dei reparti di fronte a ripetuti episodi di violenza accaduti nelle zone di confine tra Friuli e Jugoslavia.
Nel marzo del 1949, per iniziativa del Gen. Manarini, all'epoca Sottocapo di Stato Maggiore dell'esercito, si avviava la trasformazione della Osoppo in “un organismo militare segreto, pronto a svelarsi con un certo numero di veri e propri reparti militari all'atto della mobilitazione” e il 6 aprile del 1950, sulla base di direttive dello Stato Maggiore dell'esercito, veniva ufficializzata la nuova formazione alla quale fu data la denominazione di “organizzazione O”, con contatti non ufficiali coi servizi segreti militari. Questa era costituita da circa 500 uomini tra ufficiali, sottufficiali e uomini di truppa. I compiti assegnati erano: “guerriglia e contro-guerriglia - guida, osservazione ed informazioni”.
Alla fine del 1956 l'organizzazione O venne trasferita nella “Stella Alpina” della nascente organizzazione Gladio e, come si legge in un documento del 26 marzo 1958, dal titolo “Risposta ai quesiti del Servizio americano riguardanti il programma Stay Behind, aveva tre compiti ben distinti: in tempo di pace, il controllo e la neutralizzazione dell'attività slavo-comunista; in tempo di conflitto o insurrezione interna, l'antiguerriglia e l'antisabotaggio; in caso di invasione del territorio, lotta partigiana e servizio informazioni.
In un documento successivo la parola “comuniste” fu sostituita da “eversive o sovversive” ma, poiché in quegli anni non esistevano forze di lotta armata né di destra né di sinistra, ne consegue che quando si parlava di neutralizzazione delle attività eversive o sovversive si intendeva un intervento in direzione delle forze di opposizione.
Giulia Fiordelli, Dalla Konterguerilla ad Ergenekon. Evoluzioni del Derin Devlet, tra mito e realtà nella Turchia contemporanea: analogia con la stay-behind italiana, Tesi di laurea, Università Ca' Foscari Venezia, Anno Accademico 2012/2013

[...] Il Sifar pose allo studio fin dal 1951 la realizzazione di una organizzazione clandestina di resistenza per uniformare e collegare in un'unico omogeneo contesto operativo e difensivo le strutture militari italiane e quelle dei paesi alleati. Risultava ai servizi segreti italiani che analoghe organizzazioni Usa stessero predisponendo nel nord Italia gruppi clandestini. Nota del gen. Musco 8 dicembre 1951.
Mentre la struttura italiana clandestina di resistenza era in fase di avanzata costituzione, venne sottoscritto in data 26 novembre 1956 dal Sifar e dal servizio Usa un accordo relativo alla organizzazione e all'attività della rete clandestina denominato Stay behind, con il quale furono confermati tutti i precedenti impegni intervenuti nella materia fra Italia e Usa e vennero poste le basi per la realizzazione dell'operazione Gladio.
Una volta costituita Gladio, su richiesta della Francia, l'Italia fu chiamata nel 1959 ai lavori del Ccp (Comitato clandestino di pianificazione) operante nell'ambito dello Shape (Supreme head quarters allied powers Europe). Tale organo aveva il compito di studiare l'attività informativa offensiva in caso di guerra, con particolare riferimento ai territori di possibile occupazione da parte del nemico.
Nel 1964 il nostro servizio venne invitato ad entrare nel Cca (Comitato clandestino alleato) destinato a studiare i problemi di collaborazione tra i diversi paesi per il funzionamento delle reti di evasione e fuga. Vi facevano parte Usa, Belgio, Gran Bretagna, Francia, Olanda, Lussemburgo, Germania ovest.
Nel 1956 venne costituita nell'ambito dell'ufficio R del Sifar una sezione addestramento denominata Sad attraverso la quale, per la prima volta nella sua storia, il Sifar attua il comando delle forze speciali e dell'apparato organizzativo, didattico e logistico necessario al loro funzionamento. La struttura fu coperta da massima segretezza e, per tale ragione, suddivisa in un 'ordinamento cellulare' così da ridurre al minimo ogni danno derivante da defezioni, incidenti o sfasamento della rete [...]
Luigi Cipriani, Appunti sull'anticomunismo dal dopoguerra ad oggi, Fondazione Luigi Cipriani

Era più urgente riuscire a bloccare la crescita e l’azione disgregatrice del Pci a livello interno, favorite dalle condizioni di generale povertà diffuse nel paese <338. In secondo luogo, era importante sottrarre l’Italia al controllo di altre potenze ostili, l’Unione sovietica ma anche la Gran Bretagna, in quanto una condizione simile avrebbe scatenato un effetto domino, generando ripercussioni indesiderate su uno scenario ben più ampio <339. In particolare, la Gran Bretagna aveva avuto degli scontri con l’Italia sin dall’immediato dopoguerra a causa della politica punitiva adottata nei confronti della penisola e delle resistenze britanniche alla revisione del trattato di pace <340. Le tensioni crebbero in occasione degli incidenti di Mogadiscio, nel 1948, quando l’esercito inglese fece poco o nulla per impedire l’eccidio di oltre cinquanta coloni italiani <341.
[...] Washington tentava inoltre di creare una “sinistra anticomunista”, agendo in primis su quelle frange del partito socialista più contrarie al Pci, e di sostenere finanziariamente e politicamente il movimento clandestino anticomunista <344. Queste valutazioni portarono Washington a ritenere opportuno che la penisola italiana entrasse nell’orbita di influenza americana sulla base della crescente rilevanza svolta dal Mediterraneo, non più teatro periferico <345. Oltre a ciò, fallito il tentativo di costruire un’alleanza anticomunista che includesse anche il Partito socialista, con l’avvallo del Vaticano gli Stati Uniti iniziarono a considerare la Dc l’interlocutore privilegiato su cui contare nel quadro dell’organizzazione della sfera occidentale <346.
[NOTE]
338 M. De Leonardis, Guerra fredda e interessi nazionali, cit. p. 219; Frus, 1948, vol. III, The Ambassador in Italy to the Secretary of State, top secret, Rome, 29 gennaio, 1948, p. 824, disponibile al link: https://history.state.gov/historicaldocuments/Frus1948v03/pg_824; Frus, 1947, vol. III, The Ambassador in Italy to the Secretary of State. Current Economic and Financial Policies of the Italian Government, Roma, 7 maggio, 1947, pp. 897-901, disponibile al link: https://history.state.gov/historicaldocuments/Frus1947v03/pg_897; Frus, 1948, vol. III, The Ambassador in Italy to the Secretary of State, top secret, Rome, 7 febbraio, 1948, pp. 827-830, disponibile al link: https://history.state.gov/historicaldocuments/Frus1948v03/pg_827.
339 M. De Leonardis, Guerra fredda e interessi nazionali, cit. p. 220.
340 A. Varsori, La scelta occidentale dell’Italia (1948-1949), Prima parte, in “Storia delle relazioni internazionali”, 1, 1 (1985): pp. 95-159.
341 E. Di Nolfo, La politica estera italiana tra interdipendenza e integrazione, in A. Giovagnoli, S. Pons (a cura di), L'Italia repubblicana nella crisi degli anni Settanta, vol. I, Tra guerra fredda e distensione, Soveria Mannelli, Rubbettino 2003, pp. 17-29.
344 R. Faenza, M. Fini, Gli americani in Italia, cit. pp. 260 e ss.; A. Cipriani, G. Cipriani, Sovranità limitata. Storia dell’eversione atlantica in Italia, Roma, Edizioni Associate, 1991, p. 42.
345 Emblematici di questa svolta sono i memorandum del Policy Planning Staff e la serie di direttive Nsc 1, in cui gli Stati Uniti si preoccupavano di stabilire le azioni da intraprendere nel caso in cui il governo comunista fosse andato al governo per via parlamentare o insurrezionale, fino a prevedere un vero e proprio intervento armato per ristabilire il governo legittimo. In particolare, nella Nsc 1/3 (marzo 1948)si legge che “nel caso i comunisti ottengano il potere in Italia con mezzi legali, si applicherebbe un piano articolato in cinque punti”. Tra cui una “pianificazione militare congiunta con azioni selezionate”; “fornire ai clandestini anticomunisti italiani assistenza finanziaria e militare”; “incoraggiare elementi anticomunisti in Italia anche a rischio di una guerra civile”. Frus, 1947, vol. III, Memorandum by the Policy Planning Staff, top secret, Washington, 24 settembre, 1947, pp. 976-981, disponibile al link: https://history.state.gov/historicaldocuments/Frus1947v03/pg_976; Frus, 1948, vol. III, The Position of the United States With Respect to Italy, Nsc 1/1, Washington, 14 novembre, 1947, pp. 725-726, disponibile al link: https://history.state.gov/historicaldocuments/Frus1948v03/d440; Frus, 1948, III, The Position of the United States with Respect to Italy, Nsc 1/2, top secret, Washington, 10 febbraio, 1948, pp. 765-769, disponibile al link: https://history.state.gov/historicaldocuments/Frus1948v03/pg_765; Frus, 1948, vol. III, Position of the United States With Respect to Italy in the light of the possibility that Communists will obtain participation in the Italian government by legal means, Nsc 1/3, top secret, Washington, 8 marzo, 1948, pp. 775-779, disponibile al link: https://history.state.gov/historicaldocuments/Frus1948v03/pg_775: A. Brogi, L’Italia e l’egemoniaamericananelMediterraneo, Firenze, La Nuova Italia, 1996, pp. 44-58.
346 C. Pinzani, Gli Stati Uniti e la questione istituzionale in Italia (1943-1946), in “Italia Contemporanea”, 134 (1979): pp. 3-44; E. Di Nolfo, Vaticano e Stati Uniti, 1939-1952. Dalle Carte di Myron C. Taylor, Milano, 1982, pp. 293-294 C. J. Miller, Roughhouse Diplomacy: The US Confronts Italian-Communism 1945-1958, in “Storia delle relazioni internazionali, 5, 2 (1989): 279-311.

Letizia Marini, Resistenza antisovietica e guerra al comunismo in Italia. Il ruolo degli Stati Uniti. 1949-1974, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Macerata, 2020