Così come per gli altri dissidenti, anche per i comunisti era ormai impossibile uscire dal chiuso delle cellule e delle amicizie fidate: a ogni tentativo, seppur minimo, di portare la lotta dal gruppetto clandestino all’azione di massa, rispondeva immediatamente la reazione poliziesca. Ogni movimento più esteso era stroncato sul nascere, colpendo quadri difficili da sostituire. Con un’organizzazione quasi interamente smantellata dalla polizia e con i dirigenti all’estero, in galera o al confino, i comunisti erano del tutto assenti dalla vita pubblica, con l’ovvia esclusione delle scritte sovversive, che mani anonime facevano in genere comparire negli ambienti frequentati da operai. Solo con il crollo del fascismo il partito avrebbe ripreso vitalità, sebbene in forme affatto clandestine.
Anima del gruppo degli studenti nonché loro principale ispiratore era Giacomo Buranello, all’epoca poco più che ventenne. Universitario iscritto al biennio di Ingegneria, in lui si incontravano un’intelligenza decisamente al di sopra della norma e una solida e vasta cultura. Gli erano peculiari uno spirito di sacrificio e una forza di volontà non comuni, senza alcun dubbio determinati dal contesto di provenienza, ossia dall’essere cresciuto in una famiglia operaia del ponente cittadino di disagiate condizioni economiche. Dopo una prima infatuazione per gli ideali del Risorgimento italiano, Buranello aveva aderito al Partito comunista <58.
Non bisogna inoltre dimenticare che il gruppo di ventenni in cui Buranello si sarebbe presto affermato come leader era andato formandosi al di fuori di qualsiasi contatto con la dirigenza del Partito, mentre solo in un secondo momento questi ragazzi avrebbero cercato tra i lavoratori dell’industria vecchi militanti e nuovi adepti. Il piccolo movimento capeggiato da Buranello, benché assolutamente degno di nota, era tuttavia solo uno tra le decine di raggruppamenti giovanili antifascisti che erano andati costituendosi nella prima metà del 1942 e che tendevano a ricreare dal basso un tipo di dissidenza che si richiamava direttamente al comunismo, al socialismo, al rivoluzionarismo socialista o liberale <59.
[NOTE]
58 Numerose e interessanti le notizie desumibili sulla breve vita di Giacomo Buranello che, dopo l’arresto dell’11 ottobre 1942 e la liberazione del 29 agosto 1943, sarebbe divenuto a Genova il comandante del primo nucleo dei Gruppi di azione patriottica (Gap). Catturato il 2 marzo 1944, venne fucilato il giorno seguente; gli venne conferita la Medaglia d’oro al Valor militare (N. Simonelli, Giacomo Buranello: primo comandante dei Gap di Genova, Ghiron, Genova, 1977; e inoltre Calegari, Comunisti e partigiani, op. cit., pp. 7-60; F. Gimelli, La Resistenza armata, in Tonizzi, Battifora, Genova 1943-1945, op. cit., pp. 111-142).
59 Per citare due tra gli esempi più significativi, tra il gennaio e il giugno 1942 venne fondato a Perugia il Movimento universitario rivoluzionario italiano (Muri), da parte di alcuni studenti universitari e medi; quasi contemporaneamente a Cesena una ventina di diciottenni diede vita alla Giovane internazionale. Cfr. P. Spriano, Storia del Partito comunista italiano, vol. IV, La fine del fascismo dalla riscossa operaia alla lotta armata, Einaudi, Torino, 1976, pp. 84-91.
Paola Pesci, La famiglia Lazagna tra antifascismo e Resistenza, Storia e Memoria, n. 5, 2015, Ilsrec, Istituto ligure per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea
Fonte: Patria Indipendente |
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L’esempio più efficace per descrivere questi primi gappisti è sicuramente Giacomo Buranello, studente in Ingegneria all’università di Genova, che, nonostante la giovane età, aveva già conosciuto le galere fasciste per la sua attività sovversiva durante il regime. Buranello venne scelto dai vertici del Pci proprio per la sua spregiudicatezza che si spingeva fino ai limiti dell’incoscienza. Per il suo atteggiamento audace generò tensioni tra i vecchi militanti genovesi che lo consideravano un “avventurista”, ma Buranello si dimostrò la persona adatta per dare il via alle azioni gappiste in un contesto dove mancava l’apporto logistico necessario: non si disponeva di armi - che andavano assolutamente strappate ai nemici -, di bombe e di uomini, ma al contempo era necessario che qualcuno si sacrificasse e desse il via alla lotta uccidendo fascisti, indipendentemente dal ruolo ricoperto, generando in loro la paura di un nemico invisibile. La prima azione militare di rilievo, organizzata dal primo gruppo di Gap comandato da Buranello, venne compiuta a Sampierdarena alle ore 18 del 28 ottobre 1943, quando fu colpito a morte il capo manipolo della Milizia fascista <29.
Quella che possiamo definire “prima generazione gappista” pagò un prezzo altissimo per la propria partecipazione alla guerra di Resistenza: i pochi che riuscirono a sfuggire alle torture e alle fucilazioni dovettero riparare in montagna da ricercati, con taglie pesanti sulle loro teste. Sulla testa di Buranello pendeva, già nel gennaio del 1944, una taglia da un milione di lire e, per questo, venne fatto allontanare da Genova, tornò poi in città alla fine di febbraio per partecipare allo sciopero generale ma fu catturato il 2 marzo: venne fucilato dopo aver subito pesanti torture all’alba del giorno successivo.
29 Cfr. N. Simonelli, Giacomo Buranello, primo comandante dei Gap di Genova, De Ferrari, Genova 2002.
Mariachiara Conti, Resistere in città: i Gruppi di azione patriottica, alcune linee di ricerca in Fronte e fronte interno. Le guerre in età contemporanea. II. La seconda guerra mondiale e altri conflitti, Percorsi Storici - Rivista di storia contemporanea, 3 (2015)
"È quasi inesistente come tale. A Genova dopo gli arresti l’organizzazione ha subito così duri colpi che ci ha indotto ad allontanare tutti i vecchi membri […] Siamo molto deboli in questo campo" <139.
La condizione dei GAP resta deficitaria anche nei mesi seguenti, dato che Scappini, in un’informativa del 19 marzo 1945, in riferimento alle operazioni compiute dalle varie strutture armate del PCI, non fa alcun accenno al gappismo:
"A questo elevamento morale e rinvigorimento dello spirito di lotta specialmente degli operai e impiegati industriali […] hanno molto contribuito le azioni partigiane, specialmente quelle effettuate nelle province di Genova e di Savona, le azioni delle Sap e l’intensa agitazione e propaganda delle organizzazioni del Partito" <140.
[...] Giacomo Buranello nasce nel comune veneziano di Meolo il 17 marzo 1921. La madre, Domenica Bondi, proviene da una famiglia toscana di condizione agiata, la qual cosa le permette di portare avanti gli studi fino alle scuole superiori. Una volta caduto in disgrazia, il nucleo familiare Bondi si sposta a Genova con la speranza di trovare una migliore sistemazione economica. È qui che Domenica conosce Giuseppe Buranello, un contadino di origine veneta che ha lasciato i luoghi natii al fine di cercare lavoro in una grande città industriale. I due si sposano e Domenica, rimasta incinta, in attesa che Giuseppe trovi un’occupazione a Genova, decide di affrontare la gravidanza dai parenti del marito a Meolo. Quando Giuseppe viene assunto alle fonderie dello stabilimento Ansaldo, la moglie e il neonato si trasferiscono con lui in un’abitazione sita in via Leone Pancaldo, nel quartiere di Sampierdarena. È in questo «piccolo mondo abitato esclusivamente da famiglie operaie e da poverissima gente» <290 che Giacomo trascorre la sua infanzia.
Egli, fin da piccolo, si dimostra dotato di intelligenza e predisposizione allo studio. Alle scuole elementari risulta sempre il migliore della classe, pur dovendo lasciare il primo posto al figlio del podestà <291 o della famiglia benestante di turno. Decisivo per la sua formazione è l’incontro, in quarta e quinta elementare, con l’insegnante Antonio Rossi, antifascista, il quale «fu soprattutto un maestro di vita» <292. Tra i due nasce un rapporto di stima reciproca, «proseguito durante l’adolescenza e la giovinezza di Buranello e sfociato in un sodalizio intellettuale e politico» <293. Giacomo assorbe con precocità e vivo interesse gli insegnamenti del maestro. Rossi propone a Buranello, divenuto suo ex scolaro, consigli di lettura e discussioni su varie tematiche. A testimonianza dell’impatto avuto negli anni da Rossi sul suo sviluppo culturale e umano, queste sono le parole scritte nell’agosto 1939 da Giacomo al vecchio docente:
"Lei è per me il Maestro per eccellenza: dai Suoi due anni di insegnamento, vorrei dire di apostolato, ho attinto quelle prime idee, soprattutto quei sentimenti fondamentali che non si mutano e che creano l’uomo e il cittadino. Dalle sue lezioni ardenti su Mazzini, che io ricordo come se fossero di ieri, ho appreso l’amore della libertà e il culto della dignità umana, quei sentimenti che danno uno scopo alla vita e moltiplicano le energie degli individui intenti a realizzarle. Non abbandonerò questi sentimenti, qualunque sia la strada che io seguirò in futuro" <294.
Terminate le scuole elementari nel 1931, Buranello viene iscritto all’istituto tecnico Vittorio Emanuele III. Anche qui Giacomo, malgrado la sua preparazione e gli ottimi risultati conseguiti, si vede scavalcato, per quel che concerne il merito scolastico, da compagni provenienti da famiglie abbienti. È l’inizio di un processo che lo porta ad acquisire una progressiva consapevolezza della sua condizione sociale di figlio di operaio e a sviluppare una «spiccata avversità nei confronti di chi aveva condizioni agiate e di conseguenza di privilegio» e un «forte senso critico nei confronti delle autorità» <295.
Buranello inizia a frequentare nell’autunno 1935 il liceo scientifico Gian Domenico Cassini. Malgrado questo genere di studi, propedeutico alle facoltà universitarie di medicina e ingegneria, sia solitamente precluso a ragazzi di bassa estrazione sociale, la madre Domenica, dotata di grande personalità e di una notevole influenza su Giacomo, «avendo perfettamente compreso le attitudini del figlio, non ebbe dubbi ad indirizzarlo verso uno studio che gli permettesse, accedendo poi all’Università, di far valere tutta la propria intelligenza» <296.
A partire dal terzo anno di liceo, la cucina di casa Buranello, con il favore di Domenica, diventa luogo di ritrovo di un gruppetto di giovani di Sampierdarena. Si tratta di amici di Giacomo di vecchia data, tra cui Walter Fillak, Giambattista Vignolo, Ottavio Galeazzo e Orfeo Lazzaretti, i quali sono mossi da un «comune interesse per la lettura, lo studio e per la conversazione» <297:
"Dalle iniziali discussioni letterarie e filosofiche, passeranno ben presto ad esprimersi con molta chiarezza e senso critico sugli avvenimenti politici. […] Da questi giovani studiosi verrà intentato, sul piano intellettuale, con un enorme sforzo, un lungo processo alle strutture del fascismo" <298.
Dal confronto tra i membri del gruppo emerge una «estraneità alle sollecitazioni e alla cultura del fascismo» <299:
"Non accettavamo i rituali. Ci si ribellava. Non andavamo alle riunioni. Trovavamo giustificazioni per non far parte di quello che allora era considerato l’atteggiamento giusto, confacente. Forse tutto ciò dipende dalla predisposizione di ciascuno di noi verso l’accettazione o meno. Per noi l’accettazione era il fascismo. Ribellarsi era rifiutare il fascismo <300. Tutto è stato quando sono cominciate le nostre letture; i libri che ci piacevano. Lì abbiamo capito che il fascismo era tutto il contrario. C’era anche una certa predisposizione all’indisciplina, a non accettare le adunate e una scuola che ti trattava come un bambino dell’asilo. C’era un rifiuto… Il rifiuto ci accomunava e nello stesso tempo ci apriva a cose diverse da quelle che ci proponeva il fascismo" <301.
Giacomo ritiene il fascismo «un’enorme macchina fondata sulla paura di “perdere il posto”», che «si frantumerà inevitabilmente» <302 una volta dato l’esempio. Dal suo diario, steso tra 1937 e 1939, per quanto condizionato dal «pensiero posteritatis» che induce chi scrive ad una «falsa sincerità caratteristica anche delle autobiografie ritenute più schiette» <303, emerge in lui una disposizione al sacrificio, di sapore risorgimentale e mazziniano:
"[…] ho concluso che occorre sacrificarsi; che il sangue dei martiri segna la strada più sicura alle Idee, che il nostro Risorgimento era fatto meritorio già dopo i primi tentativi falliti e soffocati nel sangue. Dissi che occorre mantenersi liberi da nuova famiglia perché la nostra eventuale morte debba lasciare il minor lutto possibile: niente moglie niente figli. Che occorre trasformare il pensiero e i sentimenti in azione: questo si fa sacrificandosi. Ma prima di giungere al sacrificio supremo bisogna prepararsi perché tale sacrificio possa effettuarsi ed abbia la maggior efficacia" <304.
Si tratta di «una visione eroica dell’impegno personale, che gli anni matureranno, attenuandone gli aspetti più letterari e i toni retorici, e che resterà sino alla fine un aspetto peculiare della sua milizia» <305.
Conseguita la maturità scientifica nell’estate del 1939, Giacomo inizia l’università. Insieme a Fillak e a Lazzaretti, frequenta il primo anno del biennio di ingegneria, comune al ramo di chimica industriale, scelto dagli amici, e a quello di elettrotecnica, selezionato da lui. Le nuove conoscenze strette in ambito universitario portano all’entrata nel gruppo, facente capo a Buranello, di nuovi studenti, quali Luciano Codignola, Arnaldo Minnicelli, Tommaso Catanzaro e Goffredo Villa <306.
In tutti gli appartenenti del raggruppamento vi è la necessità di dare una svolta organizzativa agli incontri, di «trasformare il proprio antifascismo teorico in attività pratica» <307. Giacomo sceglie di iniziare da semplici azioni di propaganda volte a «recuperare la classe operaia dal suo lungo sonno» <308. Nella classe operaia, infatti, egli vede il potenziale rivoluzionario in grado di abbattere il fascismo:
"Senza la lotta attiva delle masse lavoratrici, senza l’esperienza combattiva operaia, il fascismo non sarebbe mai caduto. Ma dovrà essere lo studioso […] a mettersi al servizio degli oppressi. L’intellettuale dovrà muoversi per primo. È il suo privilegio culturale che lo obbliga ad essere avanguardia. Egli, l’intellettuale, conoscendo meglio d’ogni altro l’efficacia contenuta nel movimento e nell’azione, dovrà agire pensando di compiere un atto pedagogico, educativo nei confronti delle masse" <309.
Sulla base di questa logica, l’attività viene avviata in direzione della classe operaia genovese nelle zone di Sampierdarena, Cornigliano, Sestri Ponente e Rivarolo. Attraverso queste iniziative propagandistiche, Buranello si propone «conseguenze politiche precise per una prossima organizzazione comunista» <310. Per il gruppo di studenti, il comunismo:
"[…] rappresentava il coronamento di storie familiari, locali. Gli studenti erano approdati al comunismo per una inquietudine frutto di una somma di fattori dove carattere, sensibilità, condizione familiare, un maestro elementare e un eccesso di letture avevano avuto, sia pure in dosi diverse per ognuno, il loro peso" <311.
Il primo contatto comunista per Buranello avviene all’inizio del 1940, attraverso un colloquio, preparatogli dal maestro Antonio Rossi, con Emilio Guerra <312, ferroviere di Sampierdarena. Ciò rappresenta per Giacomo l’inizio di una serie di incontri e collegamenti con militanti operai di varie fabbriche e del porto di Genova.
Il 1° marzo 1941 Buranello viene chiamato a prestare servizio militare. Destinato a Bologna, vi trascorre 5 mesi, ossia la durata del corso per specialisti marconisti. Conseguita la specializzazione, viene trasferito momentaneamente a Chiavari, in attesa di essere inviato a Pavia per partecipare ad un corso preparatorio per allievi ufficiali di completamento. Classificatosi tra i primi del corso, ha la possibilità di scegliere una sede che lo avvicini maggiormente a casa. Così, nel febbraio 1942, è nuovamente a Chiavari, sottotenente di completamento presso il 15° Reggimento Genio. Favorito dalla vicinanza con Genova, Giacomo riprende la sua attività politica alla testa della neonata organizzazione clandestina comunista, che continua ad espandersi a macchia d’olio, sviluppandosi, oltre che in Liguria, anche in direzione di Alessandria e Torino.
Nel maggio 1942 viene costituito un Comitato centrale di cui entrano a far parte Buranello, Walter Fillak, Giambattista Vignolo e Ottavio Galeazzo per il gruppo degli studenti, mentre tra gli operai vengono scelti Emilio Guerra, l’ex ferroviere Edgardo Pinetti per i suoi contatti con il centro della città e la val Bisagno, il falegname Cesare Bussoli per quelli con la Riviera di Levante e Raffaello Paoletti <313, in quanto responsabile del gruppo operante in val Polcevera. Scopo del Comitato è «formare un’organizzazione centralizzata che dia unità e forza al Partito nella Provincia di Genova e nelle zone contigue» <314.
[...] Questo organismo, che rappresenta a Genova «l’ultimo progetto cospirativo comunista vissuto in città prima della caduta del fascismo» <317, viene smembrato dagli arresti dell’11 ottobre 1942.
Nel giorno fissato da Buranello con l’architetto Giuseppe Bianchini <318, rappresentante di un altro gruppo comunista operante nel centro della città di Genova, per concludere le modalità di fusione dei due raggruppamenti, l’organizzazione di Giacomo, sotto indagine da diversi mesi, cade vittima di una vasta operazione di polizia che porta alla cattura della quasi totalità dei suoi membri dirigenti.
Buranello, essendo ancora in servizio militare, viene incarcerato nelle prigioni del 15° Reggimento di Chiavari, salvo poi essere trasferito nel carcere genovese di Marassi e, in seguito, in quello di Apuania. Trovatosi a Roma, nel carcere di Regina Coeli, in attesa di essere giudicato dal Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato, al momento della destituzione di Mussolini, Giacomo viene rimesso in libertà il 29 agosto 1943.
Tornato a casa, egli viene inserito ufficialmente nell’organico del PCI genovese, di cui uomo forte è ora Raffaele Pieragostini <319. Quest’ultimo, «consapevole della singolarità delle loro posizioni e della difficoltà di controllarne politicamente l’azione» <320, decide di utilizzare Giacomo Buranello e Walter Fillak in ruoli operativi e non in «un impiego che valorizzasse le caratteristiche intellettuali o la loro collocazione universitaria» <321:
"[…] non ci si fermò ad interrogarsi sulla migliore collocazione di un quadro né sul ruolo che potevano assumere militanti della caratura di un Buranello o di un Fillak. […] si decise che Fillak e Buranello sarebbero andati a lanciare bombe. Specialmente non avrebbero assunto ruoli di direzione politica che restavano riservati al partito di Ventotene" <322.
Quando gli viene comunicata la scelta di impiegarlo, in virtù dei suoi trascorsi nell’esercito, come comandante dei futuri GAP, Giacomo non vuole accettare. Infine, acconsente di fare il gappista «per disciplina» <323, pur non riuscendo a tenere nascosta, nel corso dei mesi, «una ribellione intima (che rigettava in continuazione) al ruolo che si trovava a svolgere e che certo non identificava con l’indole del proprio essere» <324:
"Buranello avrebbe preferito fare, data l’attività svolta precedentemente, un lavoro di coordinamento politico specialmente in settori come l’Università, con gruppi di studiosi e studenti, mantenere contatti in ambienti in cui avrebbe potuto esprimere la sua personalità ed esplicare una funzione dirigente" <325.
Ciononostante, verso la metà di ottobre si forma a Genova il primo nucleo dei GAP, composto da Buranello, Fillak, Andrea Scano <326, Angelo Scala <327, Balilla Grillotti <328 e Germano Jori. La loro prima azione militare di rilievo viene compiuta il 28 ottobre 1943 a Sampierdarena, con l’uccisione del capo manipolo della MVSN Manlio Oddone.
A seguito della già accennata retata fascista del 31 dicembre 1943, che, anche nei giorni successivi, è causa di arresti e trasferimenti in montagna, gli unici gappisti rimasti attivi a Genova nel mese di gennaio sono Buranello e Scano, i quali portano a termine due iniziative: la prima, realizzata il 13, in via XX Settembre, riguarda l’abbattimento, tramite colpi di pistola da distanza ravvicinata, di due ufficiali tedeschi; la seconda consiste nel lancio di alcune bombe a mano contro la casa del fascio di Sampierdarena in data 15 gennaio.
Dopodiché, anche loro ricevono l’ordine di Remo Scappini, divenuto responsabile del PCI a Genova e in Liguria, di allontanarsi dalla città e di portarsi in montagna.
A Buranello viene assegnato il comando del 1° distaccamento della 3ª brigata Liguria, operante nella zona del monte Tobbio. Si tratta di un ruolo che ricopre per breve tempo, per il fatto che, in vista dello sciopero generale programmato per l’inizio di marzo 1944, egli viene richiamato a Genova, insieme a Walter Fillak, allo scopo di sostenere, attraverso azioni di sabotaggio, i manifestanti in lotta nelle fabbriche.
Così, Giacomo torna a Sampierdarena la sera del 28 febbraio. L’ampia mobilitazione di forze tedesche e fasciste in conseguenza del proclamato sciopero, unitamente al riscontro di un’assoluta mancanza di partecipazione della classe operaia ad esso, però, porta ad un immediato contrordine: Buranello viene intimato a non eseguire interventi armati in città e a fare ritorno al più presto alla sua formazione partigiana. Egli, tuttavia, malgrado la precarietà della situazione, decide di non tornare in montagna, bensì di «organizzare alcune azioni che avessero ridato fiducia agli operai per la lotta» <329:
"Quando mi dissero che Buranello, nella situazione in cui si trovava Genova, non voleva ritornare in montagna, pensai che egli rimaneva coerente con se stesso fino all’ultimo. Buranello aveva fretta di bruciare le tappe. Il suo entusiasmo nel perseguire una giusta causa gli fece perdere di vista anche le elementari norme di condotta dell’attività clandestina. Nel suo fervido pensiero […] forse ripudiava le lentezze, i compromessi in attesa che maturassero gli altri. Ed ancora, le raccomandazioni di compagni anziani alla prudenza. Per tutto questo penso fu spinto, in quel clima drammatico, ad agire" <330.
La mattina del 2 marzo, durante un appuntamento al bar Delucchi mirato ad ottenere documenti di identità falsi per la sua permanenza a Genova, Giacomo viene catturato e portato in questura, dove subisce interrogatori e torture. Su ordine del questore Arturo Bigoni, viene convocata per la sera stessa una riunione del Tribunale speciale per la difesa dello Stato della RSI <331, i cui componenti decretano la pena di morte a Buranello mediante fucilazione alla schiena.
La sentenza viene eseguita, all’alba del 3 marzo 1944, sull’altura del Forte San Giuliano.
[NOTE]
137 Germano Jori (1904-1944). In carcere dal 1933 al 1937, fu comandante dei GAP genovesi dopo la morte di Giacomo Buranello. Il 13 luglio 1944, identificato in un bar di Sampierdarena, fu ucciso mentre tentava di sottrarsi alla
cattura, in Donne e Uomini della Resistenza, ad nomen, consultato il 27-06-2019.
138 L’attentato fu seguito, il 19 maggio, dalla rappresaglia del passo del Turchino, con la fucilazione di 59 detenuti, prelevati dal carcere di Marassi.
139 Remo Scappini (Giovanni), Rapporto dalla Liguria del 14-08-1944, in Secchia, Il Partito comunista italiano e la guerra di Liberazione 1943-1945, cit., p. 481.
140 Remo Scappini (Giovanni), Informazioni dalla Liguria del 19-03-1945, in Ibid., p. 975.
290 Nicola Simonelli, Giacomo Buranello. Primo comandante dei GAP di Genova, De Ferrari, Genova 2002, p. 15.
291 Il podestà, nel corso del regime fascista, fu, con la soppressione della carica di sindaco, l’organo monocratico a capo del governo di un comune.
292 Testimonianza di Domenica Bondi, in Simonelli, Giacomo Buranello, cit., p. 18.
293 Pietro Rossi, Giacomo Buranello, i Gap, la violenza e la moralità nella Resistenza: analisi e riflessioni, in «Storia e memoria», 2005, 2, pp. 212-213.
294 Lettera di Buranello ad Antonio Rossi del 12-08-1939, in Simonelli, Giacomo Buranello, cit., pp. 42-43.
295 Testimonianza di Orfeo Lazzaretti, in Ibid., p. 20.
296 Ibid., p. 26.
297 Ibid., p. 34.
298 Ivi.
299 Manlio Calegari, Comunisti e partigiani. Genova 1942-1945, Selene, Milano 2001, p. 22.
300 Testimonianza di Ottavio Galeazzo, in Ibid., p. 38.
301 Testimonianza di Orfeo Lazzaretti, in Ivi.
302 Mariella Del Lungo, Il diario di Giacomo Buranello, in «Storia e memoria», 1994, 2, p. 86.
303 Del Lungo, Il diario di Giacomo Buranello, in Ibid., p. 81.
304 Del Lungo, Il diario di Giacomo Buranello, in Ibid., p. 86.
305 Simonelli, Giacomo Buranello, cit., p. 33.
306 Goffredo Villa (1922-1944). Comunista, entrò a far parte del gruppo di studenti di Buranello e Fillak. Arrestato, riacquistò la libertà in seguito alla caduta del fascismo. Fu membro dei GAP genovesi e, in seguito, partigiano. Venne fucilato al Forte San Giuliano il 29 luglio 1944, in Donne e Uomini della Resistenza, ad nomen, consultato il 29-06-2019.
307 Simonelli, Giacomo Buranello, cit., p. 49.
308 Ibid., p. 50.
309 Ivi.
310 Ibid., p. 52.
311 Calegari, Comunisti e partigiani, cit., p. 31.
312 Emilio Guerra (1906-1944). Ferroviere comunista, fatto prigioniero nel corso della Resistenza, fu tra coloro che persero la vita, mediante fucilazione, nella strage del Turchino del 19 maggio 1944, in Simonelli, Giacomo Buranello,
cit., p. 58.
313 Raffaello Paoletti, nato nel 1910, comunista. Dichiaratosi contrario all’organizzazione centralizzata pensata da Buranello, il 27 settembre 1942 fu espulso dal Comitato centrale di cui faceva parte. Malgrado l’allontanamento,
anch’egli finì nell’elenco degli arrestati di ottobre, in Calegari, Comunisti e partigiani, cit., pp. 61-62.
314 Atto costitutivo dell’organizzazione, in Simonelli, Giacomo Buranello, cit., p. 109.
317 Calegari, Comunisti e partigiani, cit., p. 67.
318 Giuseppe Bianchini (1894-1951). Aderì al PCd’I dal 1921, fu tra i primi dirigenti della sezione genovese del partito. Nel corso della Resistenza divenne segretario del Triumvirato insurrezionale della Liguria, in Donne e Uomini della
Resistenza, ad nomen, consultato il 29-06-2019.
319 Raffaele Pieragostini (1899-1945). Aderì al PCd’I nel 1922. Fu arrestato nel 1927 e condannato a 5 anni. Scarcerato, lasciò l’Italia, in accordo con il partito, continuando a svolgere attività politica in Francia, Unione Sovietica e
Spagna. Fu arrestato in Francia nel 1942 e condotto in Italia, riottenendo la libertà dal carcere di San Gimignano nell’agosto 1943. Venne chiamato a dirigere il PCI a Genova. Fu vice comandante militare del CLN della Liguria, in
AA. VV., Ear, vol. IV, cit., p.587.
320 Simonelli, Giacomo Buranello, cit., p. 74.
321 Calegari, Comunisti e partigiani, cit., p. 139.
322 Ivi. Con partito di Ventotene si intende il gruppo di dirigenti e quadri di partito che, a seguito della liberazione dall’isola omonima, assunse la guida dell’organizzazione comunista in Italia.
323 Simonelli, Giacomo Buranello, cit., p. 74.
324 Ibid., p. 78.
325 Ibid., p. 74.
326 Andrea Scano (1911-1980). Accorso volontario in Spagna per combattere nelle Brigate internazionali, nel 1939 finì nei campi di internamento francesi. Consegnato nel 1941 alle autorità fasciste italiane, fu confinato a Ventotene. Nel
corso della Resistenza, fu gappista a Genova e partigiano nell’alessandrino, in Donne e Uomini della Resistenza, ad nomen, consultato il 29-06-2019.
327 Angelo Scala (1908-1974). Comunista, fece parte dei GAP genovesi. Con il nome di battaglia «Battista» nel novembre 1944 divenne comandante della Brigata Volante Balilla, squadra di punta dotata di grande mobilità, operante tra
Bolzaneto, la val Polcevera e Genova, in Wikipedia, ad nomen, consultato il 29-06-2019.
328 Balilla Grillotti (1902-1944). Operaio comunista, operò nei GAP di Genova. Catturato il 19 luglio 1944 e processato dieci giorni dopo, fu condannato a morte e fucilato, in Donne e Uomini della Resistenza, ad nomen, consultato il 29-06-2019.
329 Simonelli, Giacomo Buranello, cit., p. 94.
330 Testimonianza di Remo Scappini, in Ibid., p. 95.
331 Fu un tribunale straordinario della Repubblica Sociale Italiana, istituito nel dicembre 1943 ed erede del disciolto Tribunale speciale per la difesa dello Stato.
Gabriele Aggradevole, Biografie gappiste. Riflessioni sulla narrazione e sulla legittimazione della violenza resistenziale, Tesi di laurea, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2018-2019
E a cent’anni dalla nascita - era nato il 27 marzo 1921 - decine di docenti della Scuola Politecnica dell’Università di Genova, insieme al centro di Documentazione Logos hanno infatti promosso una richiesta per il conferimento della Laurea alla Memoria a Buranello - a cui già negli anni 70 era stata intitolata l’Aula Magna della Facoltà di Ingegneria - e il Consiglio della Scuola Politecnica ha approvato all’unanimità la proposta, trasmettendola ora ai vertici dell’Ateneo a cui spetta la decisione di attribuire il titolo [...]
Donatella Alfonso, Giacomo Buranello, una laurea alla memoria, Patria Indipendente, 27 marzo 2021