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domenica 16 ottobre 2022

Dove era operante una compagine di partigiani comandata da Vittò

Una vista su Taggia (IM) e, a sinistra, su Castellaro. Foto: Eraldo Bigi

Con la Repubblica di Salò si formarono le Brigate Nere [n.d.r.: a quella data per la RSI era attiva la G.N.R., non ancora le Brigate Nere, perlomeno intese in senso con questa denominazione ufficiale] che sparsero il terrore in gran parte d’Italia. Intanto nel novembre 1943 fui chiamato alle armi. Essendo della leva di mare dovevo presentarmi a Vercelli il 20 novembre per essere arruolato nella Decima Mas e inviato in Germania per un periodo d’istruzione: Così era scritto nella cartolina precetto, ma non avevo ancora compiuto 19 anni ed era molto difficile prendere delle decisioni. Avevo molte amicizie fra gli antifascisti e questi mi consigliarono di non partire: unitamente ad altri commilitoni, anche loro chiamati alle armi, decidemmo di nasconderci sui monti che sovrastavano la nostra città. Così abbiamo fatto: ci siamo rifugiati in una casetta di proprietà di uno dei compagni di ventura. Ci portavano da mangiare i nostri parenti con grave rischio per tutti, per cui subito dopo Natale nel gennaio 1944, avuta notizia che sui monti sopra Sanremo si andava costituendo le prime formazioni partigiane, abbiamo deciso di raggiungere quelle località per unirci a quei gruppi combattenti. Eravamo armati con armi recuperate, quando dopo l’8 settembre, i militari avevano abbandonato le caserme, molte delle quali dislocate proprio a Taggia, zona limitrofa al confine di stato. Abbiamo deciso di abbandonare il nostro precario rifugio e siamo partiti per Baiardo (piccolo paese di 900 abitanti sito nell’entroterra di Sanremo). La strada era lunga una quarantina di km, compiendo il seguente percorso: Taggia - Badalucco - Ciabaudo - Vignai - Baiardo, senza mai percorrere le strade carrozzabili passando sempre lungo i boschi limitrofi alle strade principali. Arrivati a Baiardo avevamo già i nomi dei compagni di quella località, che ci hanno ospitato nei loro casolari, uno fra tutti “Garibaldi” [Giuseppe Gaminera] come nome di battaglia. Lungo il percorso siamo stati aiutati e rifocillati dai contadini di quelle borgate che dobbiamo ringraziare per sempre. Dopo alcuni giorni i compagni di Baiardo ci hanno accompagnato a Carmo Langan a 1727 metri di altitudine, dove era operante una compagine di partigiani comandata da “Vittò” (Vittorio Guglielmo), vecchio comunista reduce dalla guerra di Spagna insieme al compagno Longo. E lì incominciai la vera vita da partigiano, assumendo il nome di battaglia “Tarzan”. Intanto continuavano ad arrivare molti giovani e altri meno giovani, militari che l’8 settembre avevano disertato ed erano ricercati dalle Brigate Nere. Mentre si andavano delineando le vere formazioni partigiane. Noi facevamo parte della 1a Zona Liguria, che andava dai confini della Francia all’inizio della Provincia di Savona, ed eravamo inseriti nella 2a Divisione Felice Cascione. Felice Cascione era un medico di Imperia, infatti, il suo nome di battaglia era “u Meigu”. E’ stato uno dei primi partigiani della provincia ed è stato catturato dai nazi-fascisti e fucilato ad Alto piccolo paese sulle alture di Albenga. Cascione fra l’altro aveva scritto la canzone fischia il vento. Intanto la formazione di “Vittò” diventava Brigata formata da tre distaccamenti, io ero nominato comandante di uno di questi distaccamenti e dislocato in una località sita fra Baiardo e Castel Vittorio
[...] Intanto sulle alture di Taggia si era costituito un battaglione di partigiani, chiamato battaglione Luigi Nuvoloni, che era il nome di un caduto in combattimento originario di un paese della valle Argentina. Detto battaglione era costituito in gran parte da partigiani di Taggia e località limitrofe ed era comandato da un vecchio socialista che si chiamava Simi di cognome, col nome di battaglia “Gori”; era molto anziano e cagionevole di salute. Poiché questo battaglione faceva parte della brigata “Vittò” mi chiamò e mi invitò a raggiungere quel battaglione e ad assumere la carica di commissario: in effetti poiché “Gori” era sempre indisposto dovevo portare avanti quella formazione come comandante e come commissario. Intanto eravamo giunti ai primi giorni del 1945 e sapendo che gli Inglesi dovevano fare un lancio di armi e di viveri per le formazioni della 1a zona Liguria ed esattamente sul Mongioie 2600 m. di altitudine, mi fu ordinato di raggiungere tale località poiché conoscevo già il percorso, raggiunsi di nuovo Piaggia e più avanti Viozene provincia di Cuneo, dove ci accampammo in vecchi casolari di pastori, da Viozene al Mongioie la strada era abbastanza breve. In attesa dei lanci abbiamo fatto diverse imboscate sulla strada statale n° 28 che da Imperia porta a Pieve di Teco, Colle di Nava, Ormea, Garessio, Ceva e avanti fino a Torino. Durante uno di questi attacchi abbiamo dovuto ritirarci precipitosamente per non essere sopraffatti dai nazi-fascisti sul Pizzo di Ormea a m. 2475 sul livello del mare dove abbiamo bivaccato all’aperto tutta la notte. Rientrati a Viozene, dopo qualche giorno, seguendo le istruzioni di radio Londra, nella notte stabilita abbiamo acceso dei falò su una spianata alle falde del Mongioie. Tutto si è svolto nella massima semplicità, i lanci si sono svolti regolarmente, abbiamo ricevuto armi e viveri col consueto cioccolato. Armi e viveri sono stati divisi con le formazioni partigiane operanti nella zona fra la provincia di Cuneo e quella di Imperia. Intanto siamo arrivati ad Aprile del 1945, i Tedeschi e le Brigate Nere consapevoli della disfatta, pressati dalle forze alleate e dalle nostre formazioni, si ritiravano verso il nord dell’Italia con la speranza di raggiungere la Germania, molti di loro sono caduti e molti altri fatti prigionieri. Noi abbiamo avuto l’ordine di portarci sulle alture sopra Taggia e Sanremo, durante il trasferimento che è durato alcuni giorni, siamo stati attaccati dai Tedeschi in fuga con raffiche di mitragliatrice, anche se sparavano da molto lontano e disordinatamente, una pallottola ha ferito alla gamba il Comandante Gori che non ha avuto la sveltezza di gettarsi a terra.
Ormai i Tedeschi e i fascisti erano in fuga. Noi abbiamo proseguito la nostra marcia verso Taggia e Sanremo portando a spalle su di una barella improvvisata il Comandante Gori che era stato medicato alla meglio. Si trattava di una ferita lieve, arrivati a Sanremo, è stato ricoverato nel locale Ospedale. Intanto siamo arrivati prima a Taggia e poi a Sanremo, era il 25 aprile 1945, contemporaneamente sono arrivate le truppe alleate e insieme abbiamo presidiato quelle città ormai abbandonate dai nazi-fascisti. Dalla vicina Francia sono arrivate anche delle truppe francesi formate da soldati di colore Senegalesi questi, dopo qualche giorno sono rientrati in Francia. Dopo i festeggiamenti per la vittoria sul nazifascismo, siamo rimasti a presidiare la città con le truppe alleate, fin quando il Comitato di Liberazione che si era costituito, dopo avere regolarmente registrato le nostre generalità e le formazioni in cui avevamo operato, ci ha messo in libertà e siamo rientrati nelle nostre famiglie.
Gio Batta Basso (Tarzan)
Chiara Salvini, Ricordi di un partigiano, Nel delirio non ero mai sola, 29 luglio 2012


Chissà se lassù da qualche parte

sventoleranno le bandiere rosse,

se ci sarà quel mondo di fratelli

che hai sognato nelle gelide

veglie di partigiano.

Come in un film

della Resistenza spagnola

hai fatto saltare

il ponte della vita

e ancora una volta

hai opposto il tuo sdegnoso rifiuto

ad una realtà vile e cialtrona.

Non così avremmo voluto lasciarci.

Tutti insieme

avremmo voluto sfidare con te

la morte

che fa il nido negli angoli bui

della nostra anima

Nelle piazze, sulle strade faticose

delle montagne,

nel gelo degli inverni infiniti

non saresti mai morto.

Non posso che cantarti,

disperata e triste

per la tua bella vita perduta.

Voglio cantarti,

smarrita e triste

contro la morte assassina

per far vivere il tuo ricordo.

Donatella D’Imporzano, In memoria di Vittò, capo partigiano

Chiara Salvini, Vittò, poesia di Donatella D’Imporzano, Nel delirio non ero mai sola, 29 luglio 2012

giovedì 6 ottobre 2022

Il governo americano aveva già predisposto dei piani di possibile intervento militare in Italia


1.1 Il Sifar, il primo servizio segreto della Repubblica
Il primo servizio segreto della Repubblica, per i motivi sopracitati, poté nascere soltanto dopo l’esito delle elezioni dell’aprile del 1948, che sancì la sconfitta del Partito Comunista e aprì la strada alla Nato. Fino a quel momento, l’Oss (Office of Strategic Service) e successivamente la Cia (Central Intelligence Agency) avevano ritenuto opportuno operare sul territorio italiano in prima persona.
Il Sim, ossia il servizio segreto militare di epoca fascista, che stava cercando di far valere la propria identità antifascista all’insegna della discontinuità col vecchio regime (come gran parte degli apparati dello Stato), nel 1945 dovette affrontare il cosiddetto “scandalo Roatta” <7. L’ex capo del Sim negli anni Trenta, il generale Mario Roatta, il quale era sotto processo per la mancata difesa di Roma e per l’omicidio dei fratelli Rosselli oltre che accusato dal governo jugoslavo di crimini di guerra, era stato aiutato dal SIM a fuggire dal suo luogo di detenzione, per trovare asilo nella Spagna franchista. Lo scandalo scatenò un’ondata di sdegno pubblico, che sfociò in importanti moti di piazza animati dalla sinistra. Per placare gli animi, all’ufficio venne semplicemente cambiato nome (pratica che, come si vedrà, verrà riutilizzata in futuro) e, dopo un anno, venne ufficialmente sciolto. Rimase in piedi soltanto l’ufficio “I” (un modesto ufficio d’informazione militare che esisteva, tra scioglimenti e rifondazioni, dal 1865 <8), che si occupò principalmente di distribuire sussidi ai decorati di guerra. Fu soltanto nell’ottobre del 1948, sei mesi dopo le prime elezioni politiche, che il generale Giovanni Carlo Re venne messo a capo di questo ufficio; e fu soltanto il 30 marzo 1949 che Re venne incaricato, con una circolare del ministro repubblicano Pacciardi, di potenziare l’ufficio e riformarlo, ma sempre sulla linea del vecchio Sim. Infine, dopo la firma del patto Nato in aprile, il primo di settembre del 1949 nasceva ufficialmente il Sifar (Servizio Informazioni Forze Armate) <9. Alla stessa data vennero istituiti i Servizi informazioni operative e Situazioni (Sios), che “avrebbero dovuto operare esclusivamente nel campo tecnico-militare di ciascuna forza armata, ma sui quali peseranno, negli anni successivi, le stesse ombre e gli stessi sospetti che si addentreranno sul Sifar e sul Sid” <10.
La contiguità con la stipulazione del patto del Nord Atlantico (ratificato in parlamento il primo di agosto 1949) e la sua relativa Organizzazione è l’elemento da tenere in maggiore considerazione. All’interno della vasta rete di alleanze degli Stati Uniti (Nato, Cento, Seato, Patto di Colombo, ecc.), anche la Nato agiva per mantenere lo status quo politico nei paesi aderenti, ma scelse di tenere segreta questa finalità per le ovvie proteste che avrebbero presentato i partiti comunisti italiano e francese. <11
Il governo americano aveva già predisposto dei piani di possibile intervento militare in Italia. Nel documento 'Foreign Relations of the United States' (1948) del National Security Council, la sezione dedicate all’Italia prevedeva che, nell’ipotesi di una vittoria elettorale del Pci, bisognasse “iniziare una pianificazione militare congiunta con azioni selezionate” e che si dovesse “fornire ai clandestini anticomunisti italiani assistenza finanziaria e militare”; ancora più significativo il passo: “un efficace appoggio degli USA può incoraggiare elementi non comunisti in Italia a fare un ultimo vigoroso sforzo, anche a rischio di una guerra civile, per prevenire il consolidarsi del controllo comunista”. <12
“Per prevenire”: infatti, nonostante il risultato rassicurante delle elezioni, le direttive degli Usa sull’Italia non cambiarono affatto di orientamento; al contrario, le misure furono sempre più intensificate, dato il progressivo aumento dei consensi che il Pci registrò in ogni tornata elettorale per ancora trent’anni. In un’altra riunione del National Security Council, del 5 gennaio 1951, era stato previsto un piano per “dispiegare forze in Sicilia o Sardegna o in entrambe le isole, col consenso del governo italiano, in forze sufficienti a occupare queste isole contro l’opposizione comunista indigena”, direttiva approvata da Truman l’11 gennaio <13.
Si possono qui intravedere le origini del progetto Gladio <14. Il documento, consultabile dal 1985, è tuttavia coperto da omissis nelle parti più delicate; in un passo, che riteniamo significativo, si dice che: “[…] nel caso che [il governo italiano] cessi di mostrare determinazione a opporsi alle minacce comuniste interne ed esterne, gli USA dovrebbero iniziare misure [omissis] … progettate per impedire la dominazione comunista e per ravvivare la determinazione italiana di opporsi al comunismo”. <15
Il “ravvivare la determinazione”, con il senno di poi, ci può far ritenere che si potesse già trattare di iniziative in linea con quella che poi verrà chiamata “guerra psicologica” (v. cap. 3).
Per completare il quadro delle relazioni tra il Sifar e gli apparati di intelligence americani e la massima fedeltà dimostrata dal primo verso i secondi, menzioniamo la funzione dell’ente del dipartimento di difesa americano National Security Agency (NSA), un’agenzia specializzata nello spionaggio delle telecomunicazioni; questa struttura governativa allestì un “pool internazionale delle informazioni”, comprendente i servizi segreti di molti paesi alleati degli americani. La rete di collaborazione, che era sostanzialmente un insieme di patti firmati dai servizi segreti per conto dei governi, funzionava a senso unico, c’era in sostanza una gerarchia per la quale il cosiddetto primo firmatario (appunto, il Nsa) e i secondi firmatari (il GCHQ per la Gran Bretagna, il CBNRC per il Canada e il DSD per Australia e Nuova Zelanda) avevano l’obbligo di scambiarsi tutte le informazioni senza restrizioni; mentre i terzi firmatari (tra cui il Sifar per l’Italia) erano semplicemente tenuti a inviare materiale al primo e ai secondi, in un rapporto impari.
Un ex agente del NSA rivelò nel 1972 il funzionamento di questa catena: “I terzi firmatari non ricevono quasi nulla da noi, mentre noi riceviamo quasi tutto da loro. In pratica è un trattato a senso unico. Noi lo violiamo anche con i secondi firmatari, sorvegliando costantemente le loro vie di comunicazione.” <16
Dopo il generale Re, il Sifar passò per degli anni di gestione “apparentemente incolore”, sotto la guida del gen. Umberto Broccoli e del gen. Ettore Musco. Il salto di qualità nella attività del Sifar cominciò negli ultimi giorni del 1955, con la nomina a capo del servizio del generale Giovanni De Lorenzo, una personalità che diventerà di importanza centrale e che ritroveremo più avanti all’interno del presente studio. Il generale De Lorenzo ricevette questa nomina anche in virtù dei suoi meriti nella guerra resistenziale, probabilmente veritieri ma sicuramente molto gonfiati dal momento che gli vennero assegnate numerose decorazioni senza motivazioni esaustive <17. Il De Lutiis definisce questi meriti “assai presunti” <18. Di fatti, la sua nomina viene favorita piuttosto dal benestare dell’ambasciatrice statunitense in Italia Claire Booth Luce; gli americani ritenevano che un uomo come De Lorenzo avrebbe potuto sorvegliare l’operato del neoeletto presidente della Repubblica Gronchi, “in odore di sinistrismo”. A conferma della reputazione che il generale aveva in seno agli apparati di difesa statunitensi, c’è il fatto che il primo ordine che gli viene impartito, una volta alla guida del Sifar, dal comando generale delle forze armate statunitensi è quello di rispettare gli obiettivi del piano permanente di offensiva anticomunista chiamato 'Demagnetize', che aveva come obbiettivo prioritario quello di limitare “forze, risorse, influenza, nei governi e nei sindacati italiani e francesi” e del quale “i governi italiano e francese non devono essere a conoscenza, essendo evidente che esso può interferire con la loro rispettiva sovranità nazionale” <19.
Ad ogni modo, l’irresistibile scalata del generale ai vertici occulti dello Stato comincia proprio durante i suoi anni al Sifar, ma prenderà una svolta decisiva negli anni a seguire. L’argomento verrà approfondito nel cap. 2.3, I dossier di De Lorenzo.
[NOTE]
7 Cfr. Giuseppe De Lutiis, storia dei servizi segreti in Italia, Editori riuniti cap. Lo scandalo Sim
8 Cfr. Giuseppe De Lutiis, op. cit., cap. Gli esordi
9 Giuseppe De Lutiis, op. cit., pg. 38
10 Ibidem, pg. 39
11 Ibidem, pg. 40
12 Ibidem, pg. 41
13 Citata in G. De Lutiis, op. cit., pg. 41
14 Per Gladio, tra la vasta letteratura in proposito, rimandiamo a …
15 Citato in G. De Lutiis, op. cit., pg 42
16 Cfr. Marco Sassano, SID e partito americano, Padova, Marsilio, 1975, p. 47; Citato in G. De Lutiis, op. cit., pg .43
17 Cfr G. De Lutiis, op. cit., cap. De Lorenzo, la schedatura generalizzata
18 G. De Lutiis, op. cit., pg. 54
19 Joint Chief of Staff, Memorandum, 14 maggio 1952. documento citato in R. Faenza, Il Malaffare, p. 313
Claudio Molinari, I servizi segreti in Italia verso la strategia della tensione (1948-1969), Tesi di laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 2020/2021

domenica 2 ottobre 2022

Vera si vide costretta a ripartire alla volta di Milano dove, tramite un agente dell'OSS, riuscì ad ottenere nuovi piani di trasmissione

Viareggio (LU). Fonte: mapio.net

All’inizio del mese di settembre del 1943, sulle montagne della Versilia molti giovani - tra di loro anche alcuni soldati sbandati - si rifugiarono per organizzarsi e combattere i nazifascisti che erano arrivati a portare morte e distruzione sul territorio.
L’atmosfera di grande rischio ed incertezza richiedeva la soluzione di alcuni problemi logistici, primo fra tutti quello dell’armamento di questi coraggiosi. Si rendeva quindi necessario stabilire un contatto con gli Alleati. La mente instancabile di Manfredo Bertini detto “Maber”, attivo nel Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), nonchè talentuoso tecnico della fotografia, molto conosciuto anche per la collaborazione alla regia della prima pellicola di Mario Monicelli, aveva già in mente un piano, quello di inviare un emissario per informare gli alleati di quanto si stesse organizzando sul territorio Versiliese e contestualmente richiedere l’invio degli aiuti necessari per poter combattere i nazifascisti. “Maber” finanziò l’Operazione Gedeone - così fu chiamata - , vendendo qualche anello, una catenina ed un fermaglio d’oro.
Su incarico del CLN Vera Vassalle, una donna che non aveva ancora compiuto ventiquattro anni e alla quale in tenera età una poliomielite aveva causato una menomazione permanente alla gamba destra, fu inviata presso un comando alleato a Montella Irpinia da dove, di lì a breve, sarebbe salita al comando della missione “Radio Rosa”. Vera, nata a Viareggio il 21 gennaio 1920, diplomata all'Istituto Magistrale, era stata, per le sopraggiunte difficoltà economiche in famiglia, costretta a lasciare gli studi universitari e a trovare impiego in banca, dove si trovava nel 1941 quando suo padre, Eugenio Vassalle, morì nell'affondamento di una nave da guerra al largo della Sicilia. Di fede antifascista, prese parte attiva alla resistenza nel gruppo di cui faceva parte il cognato Manfredo Bertini.
Il 14 settembre 1943 Vera partì alla volta di Montella Irpinia servendosi di qualche raro treno, di una bicicletta e percorrendo lunghi tratti a piedi. Impiegò due settimane per raggiungere il comando alleato attraversando pericolosamente le linee nemiche e riuscendo finalmente, il 28 settembre, a stabilire un contatto con ufficiali dell'esercito americano. Dopo un breve addestramento presso l'Office of Strategic Service (OSS) di Napoli, viene trasferita a Capri, Pozzuoli, Taranto, Palermo ed infine, a bordo di un aereo alleato, a Bastia in Corsica da dove riuscirà a tornare in Toscana, a Castiglione della Pescaglia, a bordo di una motosilurante dell'esercito inglese in qualità di agente del 2677° Reggimento dell'OSS. Dorme in un cascinale e la mattina successiva con un treno arriva fino a Cecina dove è costretta a scendere e a scappare nei campi in quanto la linea ferroviaria era interrotta. Il 19 gennaio 1944 raggiunge a piedi Viareggio, portando con sé una radiovaligia, spacciata per un bagaglio a mano, riuscendo a sfuggire a diverse perquisizioni.
 


La ricetrasmittente, la radiospia modello A MKIII prodotta dalla compagnia Marconi nel Regno Unito nel 1944, era destinata alle operazioni clandestine sul territorio occupato da parte degli agenti, delle forze speciali e delle unità della Resistenza. Questa radio, molto piccola per l'epoca, poteva essere facilmente collocata all'interno di una valigia di cartone per bambini in modo da eludere controlli e le perquisizioni. Poteva funzionare sia con l'alimentazione di rete (110-130V o 200-250V, 40-60Hz) o tramite un'unità opzionale, con una sorgente esterna 6V DC come la batteria di un auto. Sempre all'interno della valigia venivano posizionati la cuffia e il tasto telegrafico completando la dotazione. L'apparato radio era in grado di trasmettere su tutte le frequenze comprese tra 3 e 9 Mhz divise in gamme con una potenza di uscita di 5 Watt.
La missione “Radio Rosa” consisteva nel rendere operativo un contatto radio clandestino per coordinare le azioni alleate con quelle partigiane ma purtroppo, per negligenza di un radiotelegrafista che aveva perduto i piani di trasmissione, non fu possibile implementare il piano subito dopo l'arrivo di “Rosa” con la radiospia.Vera si vide costretta a ripartire alla volta di Milano dove, tramite un agente dell' OSS, riuscì ad ottenere nuovi piani di trasmissione e la promessa dell'invio di un radiotelegrafista fidato.
Fu così che alla fine di marzo del 1944, Mario Robello detto “Santa”, ex Radiotelegrafista della Marina Militare, venne paracadutato sull'Alpe delle Tre Potenze sull'Appennino Tosco-Emiliano nella missione “Balilla” e fu quindi possibile dare inzio alla missione.
“Radio Rosa” inizia a operare a servizio della libertà.
 

L'osteria della famiglia Frugoli

L'attività clandestina e frenetica di Radio Rosa, dapprima situata in località Focette a Marina di Pietrasanta per poi spostarsi in un’osteria della Famiglia Frugoli nelle campagne di Capezzano Pianore in località Cateratte [n.d.r.: nel territorio del comune di Camaiore, in provincia di Lucca] e per muoversi definitivamente nell'abitazione di Vincenzo Bonuccelli presso il Convento dei Frati di Camaiore, riuscì a trasmettere trecento messaggi e, oltre a fornire notizie sugli spostamenti dell'esercito tedesco alle truppe Anglo-Americane, riuscì ad ottenere sessantacinque lanci di armi e munizioni da parte degli alleati ai partigiani Versiliesi e Toscani.
Il 18 febbraio 1944, alle quattro del mattino, preceduto dal messaggio “Per chi non crede” (frase in codice coniata da Manfredo Bertini - la frase voleva essere un monito per chi nell'antifascismo ancora titubava a passare alla lotta armata -), trasmesso dalla B.B.C., in località Foce di Mosceta (quota 1170m) avvenne il primo lancio effettuato da un Halifax Inglese. Vennero sganciati diciassette bidoni contenenti 50 “Sten” automatici, varie munizioni, materiale da sabotaggio, vestiario, viveri e generi di conforto. Nonostante tutte le precauzioni prese, però, l'iniziativa non passò inosservata ai fascisti che presero coscienza che anche in Versilia si cominciava ad operare seriamente e che occorreva stroncare ad ogni costo e con ogni mezzo il movimento di Resistenza armata.
Il 2 luglio 1944, su delazione di tre donne amiche di ufficiali tedeschi, Radio Rosa dovette cessare le trasmissioni a seguito dell'irruzione dei soldati. Così la Vassalle ricordava l’accaduto:
”Il comando tedesco inviò nella zona tutti i radiogoniometri, riuscendo ad individuare l’apparecchio radio nella stessa casa in cui era il “Santa” e a conoscere le ore di trasmissione. In quella mattina, alle ore 11 circa, mentre “Santa” era intento alla trasmissione, due vetture, da diversa direzione, si avvicinarono alla casa e ne scesero una decina di SS comandate da un maggiore, che circondarono la casa. “Santa” ebbe subito la percezione del pericolo e, dopo aver lanciato cinque bombe a mano con le quali colpì il maggiore e altri quattro tedeschi, si lanciò armato di mitra per le scale riuscendo ad uscire incolume dal portone e a raggiungere i campi. Di tale scena sono stata testimone oculare, trovandomi alla finestra di una casa vicina. I tedeschi credendo che Ciro Del Vecchio, un pensionato che per caso si trovava nei pressi del portone, fosse un altro nostro agente, lo uccisero con una raffica di mitra. Operarono pure numerosi arresti tra cui quelli di una mia cugina, che ospitava “Santa” con la radio, a nome Emilia Bonuccelli, che fu sottoposta a lunghi interrogatori e, poi, con gli altri condotta a Bologna, dove fu in un secondo tempo rilasciata. Io, intanto, ero riuscita a fuggire, portando con me tutta la documentazione, inerente al servizio. Riparai a Monsagrati, dove il giorno successivo ebbi notizia della salvezza di “Santa”. Ma, ricercata dai tedeschi, fui costretta ancora una volta a fuggire e a trovare rifugio presso la formazione “Marcello Garosi”, dove fui raggiunta da “Santa”.
Per la sua preziosa attività la Vassalle fu decorata di Medaglia d’Oro al Valor Militare con la seguente motivazione:
”Ventiquattrenne, di eccezionali doti di mente, d’animo e di carattere, all’atto dell’armistizio, incurante di ogni pericolo, attraversava le linee tedesche e si presentava ad un comando alleato per essere impiegata contro il nemico. Seguito un breve corso d’istruzione presso un ufficio informazioni alleato, volontariamente si faceva sbarcare da un Mas italiano, in territorio occupato dai tedeschi. Con altro compagno R.T. portava con sé una radio e carte topografiche, organizzava e faceva funzionare un servizio dì collegamento fra tutti i gruppi di patrioti dislocati nell’ Appennino toscano, trasmettendo più di 300 messaggi, dando con precisione importanti informazioni di carattere militare. La sua intelligenza e coraggiosa attività rendeva possibile sessantacinque lanci da aerei a patrioti. Sorpresa dalle SS. tedesche mentre trasmetteva messaggi radio riusciva a fuggire portando con sé codici e documenti segreti e riprendeva la coraggiosa azione clandestina. Pochi giorni prima dell’arrivo degli alleati passava nuovamente le linee tedesche portando preziose notizie sul nemico e sui campi minati. Animata da elevati sentimenti, dimostrava in ogni circostanza spiccato sprezzo del pericolo. Degna rappresentante delle nobili virtù delle donne italiane.
Italia occupata, settembre 1943 - luglio 1944”.
Anche Mario Robello detto Santa fu insignito della Medaglia d'Argento al valore militare. Nel dopoguerra Vera e Mario si sposarono e si trasferirono in Liguria a Lavagna dove Vera morì a causa di un male incurabile nel novembre del 1985.
Gabriele Pardini, IZ5JLW, NOME IN CODICE ROSA, “per chi non crede”. Un'affascinante storia di coraggio, di ideali e di radiantismo che hanno contributo in maniera determinante alla liberazione del territorio Versiliese durante il secondo conflitto mondiale 

venerdì 23 settembre 2022

Il Monferrato ebbe una forte gerarchia fascista autoctona

Benito Mussolini in visita a Casale Monferrato il 27 settembre 1925 - archivio Sergio Favretto - immagine qui ripresa da Sergio Favretto, art. cit. infra

Il n. 71 della rivista Quaderno di Storia Contemporanea edito dall’ISRAL di Alessandria, uscito ad agosto 2022 e diretto dal prof. Cesare Panizza, titolato Nascita ed avvento del fascismo in provincia di Alessandria, ospita una serie di saggi che esplorano e ricostruiscono la nascita del fascismo e la sua affermazione fino al 1926.
Con decine di pagine dense e documentate, con alcune immagini, Sergio Favretto restituisce una analisi storica e una narrazione puntuale sulle vicende che in quegli anni connotarono il Monferrato Casalese. Attingendo a fonti scritte, ai giornali di allora, a pubblicazioni, a relazioni, viene curata forse una prima completa cronistoria di eventi, una serie di protagonisti, il clima di tensione sociale e di progressivo dominio sul territorio del nascente fascismo.
Da sottolineare che analizzando il fascismo del Monferrato si richiamano gli ingredienti essenziali e caratterizzanti del fascismo nazionale. La violenza fisica e psicologica, il blocco della crescita sociale e della conoscenza libera, l’indottrinamento diffuso, la propaganda a ogni livello, l’esaltazione dell’uomo forte, la tutela dei privilegi dei poteri economici e elitari, nessun solidarismo ma solo caccia prepotente all’affermazione personale.
Cose che - drammaticamente - si respirano ancora in questi tempi.
redazione Allonsanfan
Lo squadrismo fascista non fu epidermico e dimostrativo, ma violento e organizzato. Basta ricordare: gli eventi di Casale (6 marzo del ’21, scontri presso la Camera del Lavoro con morti e feriti fra fascisti e lavoratori); di Trino (agosto del ’21, con uccisione di Coletto e altri quattro feriti, cittadini e un comunista); di Frassinello d’Olivola (25 dicembre del ’21, con uccisione di Ruschena); di Zanco di Villadeati (1923, con missione squadristica e uccisione del comunista Boario) e di Gabiano (nel ’24, con disturbo, manganellate e violenze al comizio del Popolare Brusasca). Sono stati tutti chiari episodi di gratuita violenza che alimentarono per molti anni il profondo dissenso e la paura di parte delle popolazioni verso il nascente regime. Per tutto il 1921, ad esempio, le azioni dimostrative e violente dello squadrismo fascista si ripeterono anche nelle piccole località: a Coniolo Monferrato, paese di cavatori e minatori, venne distrutto un circolo comunista e data la caccia ai socialisti casa per casa da parte di squadre fasciste; a Terruggia intervennero i ciclisti fascisti casalesi per sedare scontri allorquando la banda musicale si rifiutò di suonare Giovinezza e la Marcia Reale; nel quartiere del Ronzone a Casale, abitato in prevalenza da operai e cavatori, le squadre intervennero a tappeto e con grande effetto intimidatorio.
Il Monferrato ebbe una forte gerarchia fascista autoctona, come ebbe efficienti formule di squadrismo violento che intervennero in varie altre località alessandrine (era molto nota e temuta la squadra denominata La Disperata), nell’Astigiano e nella pianura verso Vercelli e Novara, in direzione di Alba e Genova e Savona.
Accanto al quadrunviro Cesare Maria De Vecchi, si segnalarono per durezza e organizzazione, Giovanni Passerone, Ettore Mazzucco, Michele Miglietta, Felice Governa, Nino Triulzi. La MVSNXI Legione Monferrato era una delle più nutrite e ramificate. È sufficiente leggere le pagine del settimanale fascista La Scolta per avere conferma dell’indottrinamento e del livore propagandistico che venivano utilizzati in modo aggressivo.
Vi fu nel Monferrato anche una presenza imprenditoriale (cementifici e cave, indotto vario) e varie associazioni agricole che si collegarono prestissimo con il nascente fascismo e lo squadrismo di sostegno e di sponda.
Sul fronte avverso, la tradizione comunista e socialista casalese, con il neocostituito Partito Popolare che con le figure di Giovanni e Giuseppe Brusasca, si opposero tenacemente. Molti gli scioperi, le manifestazioni di dissenso, con adesioni fra operai salariati agricoli, braccianti, artigiani. A livello locale e provinciale, i partiti della sinistra e i Popolari seppero distinguersi e battersi per la libertà e contro i privilegi, ma non bastò. Nel ’19 le elezioni amministrative videro la sinistra al governo della città. Con un attento lavoro di propaganda, militanza estrema, condizionamento economico, con violenza culturale, il fascismo tuttavia iniziò a mietere consenso o disarmare ogni coraggio.
Dal mio lavoro di analisi e ricostruzione storica emergono quali siano stati i fattori causali e agevolativi del sorgere del fascismo, ma pure gli aspetti che lo caratterizzarono e ne fecero un unicum e un modello da esportazione nel resto del Piemonte, Lombardia e Liguria.
Dalla ricerca emergono alcune novità o dettagli poco noti:
- a Casale per ricordare l’impresa di Natal Palli, diventato mito e simbolo dannunziano del super uomo, venne creata una associazione giovanile a lui dedicata che poi, nel 1922, confluì per convinta scelta nelle Avanguardie Giovanili Regionali Fasciste, con impegno diretto nella propaganda e nell’organizzazione fascista;
- gli scontri di marzo ’21 accentuarono a Casale il netto divario fra una sinistra movimentista, frazionata al proprio interno e con debole ruolo dei partiti storici riformisti, e un ceto borghese alleato con lo squadrismo fascista e la grande proprietà immobiliare terriera. Venne proclamato lo sciopero generale dei lavoratori casalesi contro il tentativo di riduzione dei salari. Grandi adesioni nei cementifici, nelle cave del Monferrato. Per porre termine allo sciopero, gli industriali e le squadre fasciste attuarono, con reciproco sostegno, un’operazione forte e simbolica: serrata e licenziamento di 4.000 lavoratori, intervento di operai bergamaschi condotti a Casale dai cementifici lombardi dalle squadre fasciste locali, riassunzione poi dei lavoratori casalesi con il gradimento del Fascio, riconquista della piazza e del consenso più generale;
- il 14 gennaio ’22 giunse a Casale Umberto Terracini (direttore di Ordine Nuovo) per svolgere un comizio presso la Camera del Lavoro, venne accolto con sputi e oltraggi alla stazione ferroviaria da squadre fasciste, rincorso e costretto a rifugiarsi in un teatro;
- alle elezioni Amministrative a Casale del 22 aprile 1922 stravinse il blocco fascista e affini, con le tre anime liberale, conservatrice e monarchica, con espressioni degli industriali e dello squadrismo locale, con esponenti degli agrari e del ceto medio. Contro la lista fascista vi fu solo la lista dei Popolari con l’industriale Pietro Buzzi, industriale cementiero stimatissimo ed esponente del cattolicesimo sturziano. Buzzi era anche partecipe degli organismi provinciali dei Popolari. Venne eletto sindaco l’avvocato Luigi Manacorda, rappresentante della componente conservatrice moderata, contro il ribellismo squadrista di Passerone e Cerruti. Assenti le sinistre, vi fu solo il 50% dei votanti aventi diritto;
- con la Marcia su Roma del 28 ottobre ’22 il fascismo conferma potere e violenza nel casalese. Alla Marcia si recarono pochi esponenti fascisti casalesi; protagonista quale quadrunviro con qualche distinguo, invece, Cesare Maria Devecchi con militanti di Torino. La dirigenza fascista rimase a Casale, impegnata a coordinare la mobilitazione della vigilia e poi effettuare l’occupazione della sottoprefettura, degli uffici postali e delle ferrovie. Il concentramento delle camice nere si diede appuntamento all’albergo Tre Re Vecchi nella notte del 27 ottobre. Il console Passerone diresse le operazioni, coudiuvato da Michele Miglietta e Felice Governa, da Luciano Segre e Carlo Ubertazzi e dall’avv. Giovanni Caire. Il sottoprefetto Dardanello venne congedato e i poteri passarono al comando generale fascista. Scorrendo le pagine del settimanale Il Monferrato del 28 ottobre e del 3 novembre, troviamo tutti gli ingredienti dell’organizzazione e dell’approccio dominante: camice nere che occupano uffici e servizi pubblici, attività di falangi fasciste, richiami alla forza virile e autorità di Passerone, le coorti fasciste in pieno assetto di guerra, le squadre avanguardistiche balilla e femminili, nuclei numerosi di triari. Il settimanale La Scolta pubblica ampi resoconti e l’appello e il saluto del console Giovanni Passerone con frasi certamente allarmanti: “La travolgente marcia del Fascismo… Dico con Mussolini che chi infanga il fascismo, infanga i nostri morti; per questo vi giuro che se anche dovessi uccidere saprei di compiere un dovere…”.
- nel gennaio 1923, l’Associazione Agricoltori Monferrini, fondata da Marescalchi, aderì immediatamente e confluì nelle Corporazioni fasciste, su indicazione di Ettore Mazzucco e Arturo Marescalchi, constatando l’identità di obiettivi con il Partito Nazional Fascista.
- simbolico e fortemente rappresentativo è il poco noto fatto della “proposta e bocciatura del telegramma di solidarietà alla vedova per l’uccisione di Matteotti”. Nel consiglio comunale di metà agosto 1924, Giuseppe Brusasca propose di approvare e inviare alla vedova Matteotti un telegramma di condoglianze a nome di tutta la città di Casale e della sua amministrazione. Il telegramma aveva il significato di una forte provocazione democratica per unificare il dissenso contro il fascismo dilagante. Il sindaco di allora, Oddone, la maggioranza consigliare fascista si opposero fermamente, ritenendola una strumentalizzazione. La proposta di Brusasca venne respinta. Ecco il testo del telegramma:
“Consiglio comunale di Casale Monferrato, interprete sentimenti intera cittadinanza, assassinio Giacomo Matteotti, porge vivissime condoglianze madre vedova figlia, con il fervido augurio vostre nobilissime invocazioni alla pace, alla concordia, all’amore siano ascoltate per il bene della Patria da tutti gli italiani”.
La nascita del fascismo nel Monferrato non fu, dunque, mera copia di altre esperienze, copia giunta per propagazione naturale, ma fu un prodotto locale ben distinto e originale.
Sergio Favretto, L’Italia fascista vista dal Monferrato, Allonsanfàn, 23 settembre 2022

[n.d.r.: tra i lavori di Sergio Favretto: Partigiani del mare. Antifascismo e Resistenza sul confine ligure-francese, Seb27, Torino, 2022; Il papiro di Artemidoro: verità e trasparenza nel mercato dei beni culturali e delle opere d’arte, LineLab, Alessandria, 2020; Con la Resistenza. Intelligence e missioni alleate sulla costa ligure, Seb27, Torino, 2019; Un carabiniere, testimone di storia. Mussolini a Ponza e a la Maddalena narrato in un diario, Arti grafiche, 2017; Una trama sottile. Fiat, fabbrica, missioni alleate e Resistenza, Seb27, 2017; Coraggio e passione. Riccardo Coppo, il sindaco, le sfide, Falsopiano, 2017; Fenoglio verso il 25 aprile, Falsopiano, 2015; La Resistenza nel Valenzano. L’eccidio della Banda Lenti, Comune di Valenza (AL), 2012; Resistenza e nuova coscienza civile. Fatti e protagonisti nel Monferrato casalese, Falsopiano, 2009; Il diritto a braccetto con l'arte, Falsopiano, 2007; Giuseppe Brusasca: radicale antifascismo e servizio alle istituzioni, Atti convegno di studi a Casale Monferrato, maggio 2006; I nuovi Centri per l’Impiego fra sviluppo locale e occupazione (con Daniele Ciravegna e Mario Matto), Franco Angeli, 2000; Casale Partigiana: fatti e personaggi della resistenza nel Casalese, Libertas Club, 1977]

domenica 18 settembre 2022

Macciocchi operava al cuore di una rete femminile che aveva il suo territorio d'azione nel centro di Roma

Roma: uno scorcio di Piazza Navona

4. L’incontro con i GAP <45
“Dato che il partito non poteva fornirci un poligono di tiro, per esercitarci a sparare, con Maria Antonietta andavamo alle bancarelle di Piazza Navona” <46. Così Rinaldo Ricci <47, membro dei GAP romani, in seguito assistente regista di Luchino Visconti, ricorda oggi i giorni in cui lui e Macciocchi facevano “coppia” nell’organizzazione romana della Resistenza. I due si conobbero all’inizio degli anni ‘40, quando entrambi, giovani studenti, davano ripetizioni ai figli del ministro della Cultura, Pavolini.
L’antifascismo, per loro come per tanti altri giovani, era prima di tutto un fatto culturale, alimentato da letture vaste e spesso proibite, sintomo di un'inquietudine delle coscienze cui il plumbeo clima culturale del regime non poteva dare risposte. “Ci influenzava la letteratura americana, ma anche Malraux, Marx”, ricorda Rinaldo Ricci. La condizione umana era stata infatti una lettura determinante per Macciocchi: “Ho letto La condizione umana di Malraux (…) Il fascismo ci aveva tenuto all’oscuro di tutta la cultura straniera, eppure, chissà come, questo Malraux era stato tradotto” <48. Il libraio era meta quotidiana per la giovane, che acquistava libri usati, spesso tenuti “sottobanco”, come nel caso dell’autore francese che tanto la influenzò: “Solo Malraux mi aveva messo in rapporto con i comunisti” <49.
Fu Rinaldo Ricci invece a metterla materialmente in contatto con gli ambienti romani della Resistenza, e in primis con Guttuso <50, che nel suo studio di via Pompeo Magno ospitava gli antifascisti. Come ha scritto Giorgio Galli nella sua Storia del Partito Comunista Italiano, i primi sintomi del risveglio di una coscienza politica durante la guerra erano giunti, già dal 40-41, proprio dagli intellettuali, in particolare quelli dell’ambiente romano: Renato Guttuso, Ruggero Zangrandi <51, Mario Alicata <52, Pietro Ingrao <53, Paolo Bufalini <54, Aldo Natoli <55, Fabrizio Onofri <56, Marco Cesarini Sforza <57, Antonello Trombadori <58. Dopo il 25 luglio del ‘43 Guttuso aveva costituito un comitato pluripartitico per dare assistenza agli antifascisti in carcere, rappresentandovi il PCI. Macciocchi entrò in contatto con quest‟ambiente: incontrò Negarville <59, Di Vittorio <60, Giorgio Amendola <61. Quest'ultimo in particolare avrà un ruolo determinante nella vita di Macciocchi, sia dal punto di vista politico, sia personale, visto che diventerà suo cognato. Figlio di Giovanni Amendola <62, Giorgio si era assunto il compito di seppellirne l’eredità idealista liberale - scrisse Macciocchi - in nome dell’ideologia ufficiale del PCI <63. Giorgio Amendola era un politico accorto, estremamente realista, fedele a Mosca. Il partito doveva seguire la linea dettata dall’URSS, il che in questa fase significava accreditarsi come leale agli occhi delle forze politiche democratiche e degli alleati. Per chi si formò politicamente in quel periodo la parola d'ordine democratica era persino più forte del richiamo alla centralità del proletariato, temporaneamente passata in secondo piano. Con la svolta di Salerno Togliatti propose la collaborazione tra tutte le forze che volessero battersi per la libertà d'Italia accantonando la pregiudiziale dell’abdicazione del re. Nel frattempo la presenza delle truppe angloamericane sul territorio italiano veniva presentata dal PCI come la causa transitoria che impediva di portare avanti una linea rivoluzionaria. Si cominciava a parlare di attesa di “nuove più favorevoli condizioni di lotta per le situazioni future” <64.
Macciocchi intanto fu nominata responsabile delle donne della zona centrale di Roma, e si vide assegnare come primo compito la distribuzione de l’Unità <65. In questa fase iniziale, nella distribuzione di materiali di propaganda, fu affiancata da una giovanissima Miriam Mafai, che ricordò in seguito: “Per tutti i mesi dell’occupazione, continuammo a incontrarci, a distribuire volantini e l’Unità (…). Mi fece leggere Malraux e mi spiegò che i comunisti cinesi erano 'gagliardissimi'” <66.
Dopo l’8 settembre 1943 si assisteva alla rinascita dei partiti politici, l’opposizione antifascista si riorganizzava e nel settembre nasceva il CLN. Accanto a questo, al Nord, nascevano i Gruppi di difesa della donna. A Roma invece era l’occupazione tedesca. Furono mesi interminabili e tragici per la città, durante i quali Macciocchi svolse tutti i compiti propri di una staffetta, facendo da tramite per operazioni militari e di sostegno ai partigiani. Accompagnò Giorgio Amendola, suo futuro cognato, in diversi rifugi, e come lui altri esponenti della rete clandestina, introducendoli in alloggi segreti dove sarebbero stati ospitati e tenuti al riparo. Così conobbe tra gli altri Sandro Pertini, avendo l’incarico di accompagnarlo nell’alloggio clandestino indicatole dal comando della zona <67.
Macciocchi operava al cuore di una rete femminile che aveva il suo territorio d'azione nel centro della città, tra il Lungotevere, piazza del Popolo e piazza Colonna. “Il lavoro femminile nella quinta zona clandestina di Roma (…) non era difficile. Cercavo ragazze antifasciste disposte a svolgere un piccolo lavoro politico come la distribuzione de l’Unità, o qualche volantino clandestino da sparpagliare per Roma, oppure disposte a stare nei posti di blocco sulle arterie stradali che uscivano da Roma, per contare i convogli militari che vi passavano” <68. Le clandestine della zona centrale erano una quindicina, ed erano divise in due spezzoni: quello con compiti di propaganda e di sostegno alle famiglie degli antifascisti incarcerati e quello con compiti propriamente militari. Quest'ultimo dipendeva in parte dal PCI, in parte dal CLN. Erano le partigiane più anziane, sulla quarantina, ad istruire le giovani come Maria Antonietta non solo sui compiti pratici di una staffetta, ma anche sui fondamenti teorici della lotta, trasmettendo alle ragazze rudimenti della filosofia marxista-leninista.
La guerra ha spesso costituito per le donne un'esperienza senza precedenti di responsabilità e libertà, legata alla conquista di spazi tradizionalmente riservati agli uomini, all’apertura di nuovi orizzonti professionali, e spesso, come nel caso della Resistenza, alla partecipazione militare <69. L’attivismo femminile alterava la chiusura sociale ma anche “la rigidità dei modi di abbigliamento e di socialità borghesi” <70. Si tratta spesso di un‟esperienza illusoria, poiché i mutamenti legati alla guerra sono limitati dal rafforzamento, pratico e simbolico, dei ruoli sessuali, oltre ad essere funzione di svariati parametri, quali il gruppo sociale, l’età, la situazione familiare e naturalmente la storia individuale <71.
Nell’autobiografia di Macciocchi si ritrova l’immagine di una vera e propria trasfigurazione legata all’esperienza resistenziale, in linea con altre testimonianze che ci rinviano un'immagine di liberazione femminile legata alla fase del conflitto. Se infatti le donne sono spesso doppiamente travolte dalle guerre, divenendo oggetto di specifiche violenze di genere legate ai conflitti, in molte memorie si ritrova invece come elemento comune l’euforia per la liberazione provvisoria dalle regole e dai rigidi ruoli vincolanti in tempo di pace. Macciocchi descriveva in questi termini la sua liberazione: “Di quell’epoca, mi resta il ricordo di giornate intense, e libere. Provavo la gioia assoluta di voltare le spalle a padre, sorelle, tutela casalinga. La mia emancipazione stava nel mescolarmi agli uomini, ai ragazzi, ai compagni, che avevo visto fino allora solo nell’altra fila di banchi a scuola” <72. Dunque fine della segregazione sessuale, della divisione dei ruoli, anche se solo apparente e transitoria. Il desiderio di emancipazione individuale, la volontà di scardinare un sistema di relazioni sociali soffocanti, appaiono come altrettante motivazioni importanti per comprendere il protagonismo delle donne in quel periodo.
Il 15 febbraio 1944 Macciocchi riceveva l’input per entrare nei gruppi di azione partigiana, i GAP <73. Questi le apparvero come un gruppo di giovani borghesi sicuri, decisi, persino altezzosi.
[NOTE]
45 I GAP, Gruppi d'Azione Patriottica, nacquero su iniziativa del Partito Comunista Italiano, sulla base dell’esperienza della Resistenza francese. Erano articolati in piccoli nuclei di quattro o cinque persone e portavano avanti azioni di sabotaggio nei confronti delle truppe nazifasciste. Sui GAP romani e in particolare su una delle vicende più controverse legate alla loro esperienza, ovvero l’attacco di via Rasella, si veda la ricostruzione del comandande GAP Rosario Bentivegna, protagonista dell’assalto di via Rasella, Achtung Banditen!, Milano, Mursia, 1983, n. ed. 2004. E ancora sulla Resistenza a Roma M. Avagliano G. Le Moli, Muoio innocente. Lettere di caduti della Resistenza a Roma, Milano, Mursia, 1999.
46 Testimonianza di Rinaldo Ricci
47 Rinaldo Ricci (Roma, 1923); è stato assistente alla regia di Luchino Visconti, Franco Zeffirelli e Billy Wilder. Nella sua filmografia ricordiamo con Visconti Il Gattopardo e Rocco e i suoi fratelli, con Franco Zeffirelli Romeo & Juliet. Ha partecipato alla Resistenza.
48 Macciocchi, Duemila anni di felicità, cit, p. 77
49 Ivi, p. 77
50 Renato Guttuso (Bagheria, 1911 - Roma, 1987) è stato un pittore italiano, esponente del cosiddetto realismo sociale, e uno dei più illustri nomi della cultura vicini al Partito comunista italiano.
51 Ruggero Zangrandi (1910-1970) è stato un giornalista e scrittore italiano. Si impone al largo pubblico negli anni Sessanta per le sue inchieste sul Sifar e per la sua ricostruzione della mancata difesa di Roma, nel 1943, da parte dello Stato Maggiore italiano.
52 Mario Alicata (Reggio Calabria, 1908 - Roma, 1966) è stato un giornalista e politico italiano. Ha partecipato alla Resistenza. Membro del Comitato centrale del PCI è stato uno dei più stretti collaboratori di Palmiro Togliatti. Ha diretto il quotidiano comunista ‘L’Unità’.
53 Pietro Ingrao (Lenola - Latina 1915), è un giornalista e politico italiano. Partecipò alla Resistenza a Roma e Milano, è stato membro del Comitato centrale del PCI, parlamentare per numerose legislature e presidente della Camera dei Deputati. Ha diretto il quotidiano ‘L’Unità’ e partecipato alla fondazione del Partito Democratico di Sinistra, per abbandonarlo il seguito e aderire al partito della Rifondazione Comunista.
54 Paolo Bufalini (Roma, 1915 - Roma, 2001) è stato un politico italiano. Partigiano, eletto più volte in Parlamento, è stato fra i massimi dirigenti del Partito Comunista Italiano.
55 Aldo Natoli (Messina, 20 settembre 1913) medico, antifascista e deputato italiano per il PCI, fu radiato dal partito con Rossana Rossanda, Luigi Pintor e il gruppo del quotidiano “Il Manifesto” a causa del dissenso sulL’invasione sovietica della Cecoslovacchia.
56 Fabrizio Onofri (Roma, 1917 - 1982) è stato uno scrittore e dirigente comunista, Medaglia di bronzo al valor militare per il suo impegno nella Resistenza. Fu espulso dal PCI nel '57 in seguito ad una polemica con Togliatti sullo stalinismo.
57 Marco Cesarini Sforza è stato un giornalista e membro del PCI.
58 Antonello Trombadori (Roma, 1917 - Roma, 1993) è stato un giornalista, critico d'arte e politico italiano. Partecipò alla Resistenza e dopo la Liberazione entrò a far parte del Comitato centrale del PCI. Collaboratore di importanti riviste come 'La Ruota', 'Primato', ‘Città’, ‘Corrente’, ‘Cinema’ e ‘Rinascita’, fu eletto quattro volte deputato. Dopo il 1968, si avvicinò dapprima alla corrente migliorista di Paolo Bufalini e Giorgio Napoletano, quindi alle posizioni socialiste. Giorgio Galli, Storia del Partito Comunista Italiano, Milano, Kaos edizioni, 1993.
59 Celeste Negarville (Avigliana, 1905 - Torino, 1959) è stato un politico italiano. Antifascista, nel dopoguerra sarà uno dei maggiori esponenti del PCI e il primo a dirigere l’Unità dopo gli anni di diffusione clandestina. Fu deputato alL’Assemblea Costituente, quindi senatore e più volte sottosegretario. E' stato sindaco di Torino nell’immediato dopoguerra. Ha contribuito alla sceneggiatura del film di Rossellini Roma città aperta.
60 Giuseppe Di Vittorio (Cerignola, 1892 - Lecco, 1957) è stato un politico e sindacalista italiano. Proveniente da una famiglia di contadini, partecipò da antifascista alla guerra civile spagnola e quindi alla Resistenza in Italia nelle Brigate Garibaldi. Nel 1945 fu eletto segretario della CGIL che aveva contribuito a rifondare e che guidò fino alla sua morte.
61 Giorgio Amendola (Roma, 1907 - Roma, 1980) è stato un politico italiano, autore di numerosi libri. Figlio di Giovanni Amendola e dell’intellettuale lituana Eva Kuhn, aderì al PCI nel 1929 militando nell’antifascismo e quindi nella Resistenza, entrando nel comando generale delle Brigate Garibaldi assieme a Luigi Longo, Pietro Secchia, Gian Carlo Pajetta e Antonio Carini. Fu deputato per il PCI dal 1948 fino alla morte. Fu cognato di Maria Antonietta Macciocchi, che sposò il fratello Pietro Amendola.
62 Giovanni Amendola (Salerno, 1882 - Cannes, 1926) è stato un politico italiano. Docente di filosofia teoretica all’Università di Pisa, parlamentare liberale, fu ispiratore del Manifesto degli intellettuali antifascisti e uno dei principali artefici della secessione aventiniana. Inviso al regime, fu una delle prime vittime del fascismo. Morì a Cannes, in Francia, in seguito ad una lunga agonia, per le percosse ricevute a Serravalle Pistoiese (PT) il 20 luglio 1925 da un gruppo di squadristi.
63 Maciocchi, Duemila anni di felicità, cit, p. 70.
64 G. Galli, op. cit, p. 239.
65 L’Unità era il quotidiano della sinistra italiana, quindi organo ufficiale del PCI, fondato il 12 febbraio 1924 da Antonio Gramsci. Messo fuori legge nel 1925 dal Prefetto di Milano, uscirà clandestinamente, tra Francia e Italia, sino alla seconda guerra mondiale; solo con l’arrivo degli alleati, dal 1944 riprese a Roma la pubblicazione ufficiale del giornale. Il nuovo direttore era Celeste Negarville.
66 M. Mafai, Addio alla Macciocchi, comunista eretica, ‘La Repubblica’, 16/04/07. In realtà Mafai sembra ricalcare il suo ricordo della Resistenza con Macciocchi dalle pagine di Duemila anni di felicità, cit., p. 77
67 Macciocchi, Duemila anni di felicità, cit, p. 85
68 Ivi, p. 88
69 Sulle donne e la guerra alcune considerazioni interessanti si trovano in F. Thébaud, La Grande Guerra, in Storia delle donne. Il Novecento, a cura di F. Thébaud. Bari, Laterza, 1997 “Gli anni della guerra hanno costituito per le donne un‟esperienza positiva, e persino - interrogativo provocatorio quant‟altri mai - un happy time?”, si chiedeva la storica francese analizzando L’impatto della Grande Guerra sulla condizione femminile. Ivi, p. 42. La studiosa rileva come numerose fonti femminili ci rimandino quest‟immagine. L’espressione “good time” è stata usata dalla femminista inglese C. Gasquoine Hartley in Women’s Wild Oats, mentre di “fine time” ha parlato L. Pruette. La propagandista inglese Jessie Pope e la romanziera americana Willa Cather hanno esaltato il rovesciamento dei ruoli sessuali. L’Inghilterra di Harriot Stanton Blatch nel 1918 era un mondo di sole donne, che apparivano sicure nel loro spazio, capaci, felici, gli occhi brillanti.
70 Ivi, p. 46
71 Ivi, p. 49
72 Macciocchi, Duemila anni di felicità, cit., p. 87
73 Ivi, p. 89
 


Eleonora Selvi, Maria Antonietta Macciocchi: profilo di un'intellettuale nomade nel secolo delle ideologie, Tesi di Dottorato, Università degli Studi Roma Tre, 2009

martedì 13 settembre 2022

Si giunse così a dare nuovo impulso alla persecuzione dei criminali fascisti grazie all’istituzione delle Corti di assise straordinarie, le Cas



Con il 25 luglio del 1943, in Italia, si apre una nuova fase politica dopo un ventennio di dittatura. Il Gran Consiglio del Fascismo, in una seduta estremamente tesa, sfiducia a maggioranza il Duce, Benito Mussolini. Hans Woeller, bene racconta il clima di quei momenti <3, quando alle 22:45 di sera, ora in cui viene ufficializzata pubblicamente la sfiducia a Mussolini, scoppia un vero e proprio “terremoto”: la gente per le strade è festante e aggredisce i simboli tangibili del regime (i monumenti e altri manufatti), anche se in alcune città, come a Milano, si procede all’aggressione caotica ai rappresentanti del regime che arrivano sotto tiro. Mussolini si presenta dal re per rassegnare nelle sue mani, come dal vigente Statuto Albertino, le proprie dimissioni e da questi viene fatto arrestare. Il Generale Badoglio è il nuovo Primo Ministro che già il 27 luglio decreta lo scioglimento del partito fascista e la soppressione del Gran Consiglio del Fascismo. Ma di perseguitare gli ex fascisti ancora non se ne parla. In realtà, l’obiettivo principale di Badoglio è di uscire da una guerra tanto rovinosa quanto violenta a fianco degli alleati tedeschi senza preoccuparsi eccessivamente delle epurazioni, anche se qualcosa venne fatto, come l’arresto avvenuto a fine agosto 1943 di alcuni esponenti di spicco del partito fascista al fine di evitare un complotto antigovernativo; ma questa è un’altra cosa rispetto all’epurazione per aver commesso crimini fascisti o per aver collaborato con essi. I primi veri interventi sono svolti in Sicilia dall’Amgot (Allied Military Government of Occupaid Territory) che altro non è che un organismo amministrativo espressione del governo alleato che intanto si estende alla Sicilia e che, nelle intenzioni di Churchill, avrebbe dovuto fare piazza pulita del regime mussoliniano e dell’alleanza dell’Asse, ma seppur occupandosi dell’epurazione non era assolutamente diretto a licenziamenti indiscriminati e di massa. Per gli alleati, insomma, era necessario cacciare i responsabili della grave situazione italiana e tutto si sarebbe ricomposto.
Il Governo Militare Alleato procedette così allo scioglimento del PNF e dei sindacati ad esso collegati, proibendo qualsiasi forma di manifestazione di natura fascista; parallelamente si procedette all’arresto dei fascisti considerati pericolosi. Si proseguì poi, non senza difficoltà, alla sostituzione di amministratori e funzionari collusi con il vecchio regime.
L’8 settembre del 1943 veniva firmato l’armistizio tra il governo italiano, rappresentato da Badoglio, e gli alleati anglo-americani. I tedeschi invadono Roma e il re scappa a Brindisi, creando le premesse di quello che sarà il Regno del Sud. Mussolini, il 12 settembre, viene liberato dai tedeschi presso il Gran Sasso, dove era detenuto, e di lì a poco darà vita nel nord Italia alla Repubblica Sociale Italiana che durerà fino all’aprile del 1945 e farà “epurazione” a modo suo, quando, a ottobre del 1943, creerà un Tribunale Speciale Straordinario per punire con pene capitali chi aveva votato contro il dittatore nella seduta del 25 luglio (vittime illustri saranno il generale de Bono e Galeazzo Ciano, fucilati di lì a poco a Verona).
Intanto, al Sud, con l’estendersi del controllo anglo-americano a Napoli, la defascistizzazione prosegue con l’epurazione delle istituzioni scolastiche e delle università e con l’epurazione degli enti locali; anzi, per garantire una maggiore efficacia alle politiche alleate viene creata la Allied Control Commission (Acc) con funzioni operative. Invece nelle zone sotto il controllo del governo Badoglio, molto frequentemente, i fascisti erano tornati al potere o perlomeno esercitavano poteri ufficiosi ancora rilevanti senza che il legittimo governo potesse operare se non per sedare le rivolte di cittadini disperati dal ritorno ad una sorta di status quo. Così si dovette ripartire quasi da zero nel campo dell’epurazione. Nonostante non ritenesse il problema di prioritaria importanza, Badoglio, provvide con un ordinanza ad epurare le forze dell’ordine (ottobre 1943) anche se non pensò mai di estendere l’epurazione alla pubblica amministrazione. Nel novembre del 1944, Badoglio, giunge a catalogare, dopo molteplici pressioni politiche, quattro tipi di fascisti: “Del primo gruppo, considerato relativamente inoffensivo, facevano parte gli iscritti al partito da lungo tempo e magari di alto rango che tuttavia si erano sempre comportati abbastanza degnamente e che quindi non andavano annoverati tra i profittatori e gli sfruttatori di regime; certo, dovevano perdere i loro privilegi ma non era necessario sottoporli a misure coercitive. Un analogo riguardo, invece, non bisognava dimostrare nei confronti dei componenti il secondo gruppo, nei confronti, cioè, di quei fascisti che non solo avevano ricoperto cariche pubbliche, ma “sono stati fautori di favoritismi, scorrettezze amministrative, abusi, violenze contro non fascisti ecc…” e che quindi andavano arrestati come del resto gli appartenenti al terzo gruppo, vale a dire gli attivisti e i fascisti della prima ora. Badoglio, infine, considerava particolarmente pericolosi i fascisti del quarto gruppo, cioè quegli “individui che, pur non appartenendo in primo piano alla vita politica, hanno sempre aiutato sottomano i gerarchi con tutti i mezzi specialmente illeciti, per ottenere protezione e favori”; essi sono - continuava Badoglio - “i vermi più luridi del letamaio fascista (…) che occorre ricercare, scoprire e colpire inflessibilmente”. <4 Quest’ultimi, i più deleteri per il paese, andavano perseguiti. Il risultato di questa valutazione sarebbe stato un Regio Decreto del 9 dicembre 1943, “Defascistizzazione delle amministrazioni dello Stato degli enti locali e parastatali, degli enti comunque sottoposti a vigilanza e tutela dello Stato e delle aziende private esercenti pubblici servizi o di interesse nazionale”, sintesi di tutte le direttive in materia emanate fino a quel momento. Lo scopo della defascistizzazione degli enti statali era evidente.
All’atto dell’applicazione però tale decreto non si mostrò particolarmente gradito a coloro che dovevano applicarlo, poiché non chiariva i molti dubbi procedurali legati alla sua applicazione; fu così che venne rallentato e boicottato. Questa situazione si sarebbe protratta fino all’aprile 1944, quando il governo sostenuto da una nuova coalizione di partiti, tra cui socialisti e azionisti, diede vita ad un nuovo esecutivo che nel maggio 1944 allargò grazie a un nuovo decreto, la platea dei punibili anche a coloro che avevano organizzato e diretto la marcia su Roma, gli squadristi autori di violenze, gli autori del colpo di stato del 3 gennaio 1925 e a chi aveva mantenuto in vita il fascismo con atti rilevanti. Per la prima volta si prendeva in considerazione la “lesione della fedeltà e dell’onore militare per fatti commessi dopo l’8 settembre 1943”. Il ministro Sforza, appena insediato, dovette agire in materia di epurazione colpendo anche banchieri ed ex prefetti.
E ci avviciniamo alla liberazione di Roma. Il Mercuri <5 sottolinea moltissimo le responsabilità della figura del maresciallo Badoglio che più di ogni altra cosa si sarebbe preoccupato di smantellare le strutture politiche del defunto regime con lo scopo solamente che queste non collidessero con il nuovo corso italiano e non per senso di giustizia verso il popolo italiano, indicando con i primi provvedimenti del suo Governo le direttrici di un colpo di stato regio che nel regno del Sud. Infatti, al crollo del fascismo, in assenza di tentativi di rivolta, accadde lo scioglimento del PNF, del Grande Consiglio del Fascismo, del Tribunale Speciale per la difesa dello Stato, della Camera dei fasci e delle Corporazioni, all’incorporamento della MVSN nel Regio esercito e all’arresto di alcuni gerarchi come misura di sicurezza. Chi non fuggì in Germania si affrettò a professarsi leale al nuovo corso politico e manifestando fiducia nel Re si mise a disposizione della patria.
E così si giunge alla liberazione di Roma avvenuta ad opera delle forze alleate il 4 giugno 1944 che, come era avvenuto dieci mesi prima, passa da una esplosione di gioia, all’accanimento esasperato contro i simboli del regime. Si forma un nuovo governo che scalza quello reazionario di Badoglio, presieduto da Ivanoe Bonomi, figura di spicco dell’antifascismo italiano. Il passo, rispetto al governo precedente, cambia poiché ora la compagine parlamentare è composta da azionisti, socialisti, comunisti e dai partiti moderati borghesi, molto poco disposti ad entrare a compromessi con gli ex fascisti. Il 27 luglio 1944 viene controfirmato dal Luogotenente del Regno ritornato a Roma, Umberto di Savoia, dopo la provvida abdicazione di Vittorio Emanuele III, il Decreto Luogotenenziale 159: potremmo definirlo come fa il Woeller la Magna Charta dell’epurazione politica <6. In esso furono accorpate tutte le precedenti “sanzioni contro il fascismo”. In materia penale si prevedeva una responsabilità di livello costituzionale per gli atti che avevano favorito l’avvento del regime fascista compromettendo la sicurezza e l’ordinamento dello stato. Per i membri del governo fascista e i gerarchi “colpevoli di annullare le garanzie costituzionali, distrutte le libertà popolari, creato il regime fascista, compromesse e tradite le sorti del paese” si prevedevano pene dall’ergastolo alla pena di morte. I giudizi sulla colpevolezza erano demandati ad un’Alta Corte di Giustizia presieduta da un presidente e composta da otto membri di nomina del Consiglio dei Ministri tra gli alti magistrati dello stato (nomine difficilissime da fare, perché o i magistrati erano compromessi col precedente regime, o erano prossimi alla pensione, o proprio non volevano saperne di addossarsi responsabilità così grandi <7). Inoltre, erano considerati colpevoli di altri delitti commessi “per motivi fascisti o valendosi della situazione politica creata dal fascismo” gli organizzatori di squadre fasciste colpevoli di violenze e devastazioni, coloro che avevano diretto la insurrezione del 28 ottobre 1922, coloro che avevano promosso e diretto il colpo di stato del 3 gennaio 1925, e chiunque avesse contribuito con atti delittuosi commessi “per motivi fascisti o valendosi della situazione politica creata dal fascismo”.
Questi casi appena citati erano sottoposti al giudizio della magistratura ordinaria. Era inoltre prevista la sospensione temporanea dai pubblici uffici o dall’esercizio dei diritti politici nonché l’assegnazione a colonie agricole o a case di lavoro fino a dieci anni per coloro che, avvalendosi della situazione politica creata dal fascismo o per motivi fascisti avevano compiuto fatti di particolare gravità che, pur non configurando gli estremi di reato, fossero apparsi “contrari a norme di rettitudine o di probità politica”. Accanto alle norme penali che colpivano le responsabilità nell’avvento e nel sostegno del regime fascista, si introdusse anche il concetto di collaborazionismo con l’occupante tedesco. In materia di epurazione si prevedeva la dispensa del servizio in ragione della qualifica ricoperta; questo valeva per gli squadristi, per i partecipanti alla marcia su Roma, per gli insigniti di sciarpa littorio, per i sansepolcristi e per i fascisti ante marcia e gli ufficiali della Milizia Volontari Sicurezza Nazionale, con la possibilità di applicare misure disciplinari meno gravi per chi non si era comportato in modo settario o intemperante. In caso di indebiti avanzamenti di carriera per titoli fascisti, era prevista la retrocessione alla posizione precedente anziché procedere al licenziamento.
Vi era poi un titolo che si occupava dell’avocazione dei profitti di regime che prevedeva che gli arricchimenti patrimoniali avvenuti dopo il 28 ottobre del 1922 da chi aveva ricoperto cariche pubbliche o politiche fasciste avrebbero dovuto essere stati avocati.
Nel complesso per la prima volta ci si trovava di fronte ad una legge organica ed esaustiva, almeno nelle intenzioni.
E qui si potrebbe aprire una riflessione su un fenomeno che Claudio Pavone affronta nel saggio sulla “continuità dello Stato nell’Italia 1943-‘45” <8. Molto sinteticamente l’autore pone l’accento su due piani distinti ai quali, a mio parere, ne va aggiunto un terzo. Vi è infatti un tema della continuità inteso in senso ristretto e formale, come rottura o meno della legalità costituzionale e di una legalità nell’ambito del Regno, ancora esistente, della Repubblica, che vi sarà tra pochissimo. Un secondo livello è poi quello legato all’apparato e organizzazione e il complesso di istituzioni che il fascismo chiamò “parastato” e che venne lasciata in eredità al postfascismo. Aggiungiamo qui un terzo elemento di discontinuità che andrà a rallentare significativamente la macchina burocratica e altri non è se non ciò che consegue alla suddivisione italiana in tre zone di influenza: legislazione in materia di epurazione efficace nelle zone amministrate dagli alleati, inefficienza della legislazione epurativa nella zona in mano alla monarchia nel regno del sud, per finire con la zona corrispondente alla ex RSI che vedrà un accavallarsi di normative, con prevalenza di quelle alleate, se non altro più pratiche.
Vi è poi il tema dell’epurazione spontanea che si cerca di soppiantare con questa normativa [...]
Infine, l’epurazione giudiziaria, concentrata più che altro tra l’estate e l’autunno 1944. Questa la situazione al momento della pubblicazione della nuova legge. E l’attività dell’Alto Commissariato diede i suoi frutti: all’inizio di ottobre del 1944 l’organismo in questione aveva sottoposto ad indagine 6000 persone con 3500 deferimenti alle 61 commissioni costituite e 650 proposte di sospensione con 167 licenziamenti effettivi <10 solo nei Ministeri e nelle altre amministrazioni centrali dello Stato. E alla fine dell’anno, con le dimissioni dell’Alto Commissario, Scoccimarro, i numeri erano ancora più importanti: l’Alto Commissario e la stessa amministrazione pubblica avevano segnalato ben 16000 persone e per 3600 di questi si era finalmente giunti a un giudizio di primo grado da parte delle commissioni con 600 rimozioni e 1400 sanzioni meno pesanti <11. Vi è una rinnovata spinta a procedere contro i rei di atti criminali e di collaborazionismo durante il regime. Un esempio per tutti è il processo che si svolge a Roma il 20-21 settembre 1944 contro l’ex capo della polizia Pietro Caruso: l’accusa mossa era quella di aver preso parte ai rastrellamenti tedeschi o di averli personalmente organizzati, di collaborazione con la Gestapo e le SS. Ma l’accusa di maggior peso lo vedeva responsabile della collaborazione con i tedeschi nel redigere la lista di 335 persone detenute che verranno poi massacrate, nella primavera del 1944, alle Fosse Ardeatine, per rappresaglia contro l’attentato di via Rasella a Roma, che era costato la vita a 35 soldati tedeschi. La corte, nell’applicazione del decreto del 27 luglio, comminò una pena capitale che sembrò più un verdetto “contro l’intero fenomeno del collaborazionismo” <12.
Il contesto politico, nel frattempo, stava mutando nuovamente con la virata dei partiti moderati verso destra e con la convinzione sempre più forte di democristiani e liberali di un effettivo pericolo di rivoluzione socialista in Italia. Era il momento, per i politici, di cambiare registro. A suffragare quanto detto arriva un’inaspettata svolta del comunista Togliatti che già verso la fine del 1944, pur rimanendo fermo nella sua convinzione di una epurazione politica severa, passa a più miti consigli rispetto alla epurazione giudiziaria, constatando una parziale paralisi del paese che non poteva durare ancora per molto senza creare danni irreparabili. Nella primavera del 1945 questo era il sentimento prevalente nella classe politica italiana anche se nessuno pensava di rendere pubbliche queste riflessioni. Di fatto, però, la tendenza a un disimpegno dal terreno si faceva sentire in seno all’Alto Commissariato che a dicembre del 1944 aveva visto i suoi componenti dimissionari. L’Istituzione perse progressivamente significato fino a svuotarsene, e nei primi mesi del 1945 non si ebbero eventi significativi sul fronte epurazione. Poi, nella notte del 5 marzo 1945 fuggì dal carcere un criminale di guerra, il Generale Mario Roatta; questo evento sollevò indignazione generale e sospetti, da parte dei partiti della sinistra, di complicità tra governativi di destra, forze dell’ordine ed ex fascisti. Si giunse così a dare nuovo impulso alla persecuzione dei criminali fascisti grazie all’istituzione delle Corti di assise straordinarie, le CAS, che, con D. Lgs. L. 22 aprile 1945 n. 142, vennero istituite presso i capoluoghi di provincia con competenza a giudicare chi, dopo l’8 settembre 1943, si fosse macchiato di delitti contro la fedeltà e la difesa militare dello Stato con qualunque forma di intelligenza o corrispondenza o collaborazione con i tedeschi e di aiuto o assistenza ad essi prestato. Era considerato pertanto colpevole: 1) chi avesse ricoperto cariche di ministro o sottosegretario di stato o cariche direttive del PFR; 2) Presidenti o membri del tribunale speciale per la difesa dello stato o altri tribunali straordinari istituiti dal governo fascista repubblicano; 3) capi di provincia o segretari o commissari federali o cariche equivalenti; 4) direttori di giornali politici; 5) ufficiali superiori in formazioni di camicie nere con funzioni politiche o militari. In parallelo, inoltre, vengono emanati il D. Lgs. Lgt. 26 aprile del 1945 n. 195 che stabilisce sanzioni penali per l’attività fascista nell’Italia liberata (il 25 aprile il CLNAI aveva proclamato la insurrezione del nord Italia contro i tedeschi occupanti), e il D. Lgs. Lgt. 26 aprile 1945 n. 149 che stabiliva sanzioni a carico dei fascisti particolarmente pericolosi e prevedeva interdizioni dai pubblici uffici e privazione dei diritti politici per chi aveva compiuto atti particolarmente gravi mosso da motivi fascisti pur non essendo configurabili come reati. Le sanzioni erano applicate da commissioni provinciali presiedute da tre membri. Molto spesso però nell’Italia liberata al Nord, venivano applicate le Ordinanze generali dell’American Military Government (in particolare la 35) che prevedeva una autodichiarazione scritta, su modelli predisposti dall’AMG, del proprio passato politico e militare e che le Commissioni di epurazione aziendali applicavano regolarmente. Tale ordinanza agiva similmente alle leggi italiane, colpendo le varie categorie di fascisti (sciarpa littorio, marcia su Roma…), trasferendo alle commissioni di epurazione provinciali il potere, dopo avere visionato le schede personali e le prove accusatorie, di sospendere dal lavoro il soggetto sotto giudizio. Era previsto anche un ricorso da effettuarsi da parte dell’epurato nel termine perentorio di 10 giorni dalla comunicazione della sentenza. Dunque, come si evince da questa ultima normativa, erano previsti provvedimenti penali per i crimini, e sanzioni amministrative per le “colpe minori”: due aspetti, il penale e l’amministrativo, che viaggiavano su binari differenti se pure paralleli. Le CAS durano poco.
[NOTE]
3 Hans Woeller, I conti con il fascismo - l’epurazione in Italia. 1943-1948, Bologna, Il Mulino, 1977, pagg. 19 e seguenti.
4 Hans Woeller, op. cit, pag 111.
5 Lamberto Mercuri, l’epurazione in Italia. 1943-1948, Cuneo, ed. l'Arciere, 1988, pagg.9 e segg.
6 Hans Woeller, op. cit. pag. 193.
7 Cfr., a cura di Giovanni Focardi e Cecilia Nubola, Nei Tribunali - Pratiche e protagonisti della giustizia di transizione nell’Italia repubblicana, Bologna, Il Mulino, 2016.
8 Claudio Pavone, Rivista di Storia Contemporanea, Sulla continuità dello Stato, fascicolo 2 anno 1974, Torino, Loescher, pagg. 172-205.
10 Dalla relazione di Upjhon davanti all’Advisory Council for Italy, 6 ottobre 1944.
11 Rapporto conclusivo di Scoccimarro, 3 gennaio 1945.
12 Hans Woeller, op. cit. pag 255.

Fabio Fignani, L’epurazione in Veneto. Alcuni casi di studio, Tesi di laurea, Università Ca' Foscari Venezia, Anno Accademico 2015/2016

mercoledì 7 settembre 2022

Nel 1974 iniziarono a trasmettere Telemontecarlo, Firenze Libera e Telemilano di Silvio Berlusconi


La storia della televisione e della radio, nei cinque anni precedenti alla riforma, può essere vista come un incalzare di fermenti rivoluzionari a cui faceva eco un’urgenza di ristrutturazione capitalistica. Ma alla fine a vincere fu una terza strada, una strada a metà: quella del capitalismo selvaggio che in principio sembrava accontentare tutti e che poi alla lunga avrebbe portato al duopolio. <250 L’esigenza di cambiamento della Rai si esprimeva attraverso tre gruppi fondamentali: il Partito socialista che puntava sulla riforma; il gruppo dei sindacati, uomini di cultura e costituzionalisti; il management della Rai (compresi i redattori del famoso documento dei tre esperti, che delineava una Rai più azienda e meno fabbrica di consenso). <251 In occasione del noto ordine di servizio del 1969, che prevedeva un rimpasto e un moltiplicarsi delle cariche direttive della Rai, Granzotto venne sostituito dal nuovo presidente della Rai, il repubblicano Aldo Sandulli. Da questo momento si aprì in Rai una crisi lunga e difficile. L’ordine di servizio del maggio 1969 prevedeva infatti un rimpasto dell’organigramma, che si tradusse in un vero sisma. Esso fu interpretato, dai nemici di Bernabei, come il sigillo di una nuova svolta “moderata”, <252 come un tentativo per mettere le mani su tutta l’azienda in un’ottica di lottizzazione <253. Mentre dal punto di vista di osservatori neutrali lo stesso ordine di servizio fu indice di un’errata ingerenza dei partiti sul piano del management. L’ordine non fu firmato dall’amministratore delegato Granzotto, ma dal suo successore, il socialista Paolicchi. Proprio su questo progetto si consumò infatti lo scontro tra Bernabei e Granzotto, le cui dimissioni provocarono commenti sulla stampa e interrogazioni parlamentari.
Nel frattempo appariva sempre più complesso stabilire come fornire un servizio pubblico obiettivo e imparziale, aspetto quest’ultimo che traspare anche dall’inchiesta di Tv 7 di Sergio Zavoli, Un codice da rifare, che portò alle dimissioni di Sandulli. Nel Cavallo morente di Chiarenza al riguardo si legge: <254 “Il Comitato ristretto nominato dalla Commissione parlamentare di vigilanza non raggiunse mai un accordo sulla valutazione da dare ai tagli effettuati in sede di montaggio della trasmissione “Un codice da rifare”; la maggioranza si limitò a definire discutibile l’utilizzazione delle immagini”. <255
Tutto questo mentre si avvicinava la scadenza della Convenzione, prevista per il dicembre del 1972. Il fronte di contestazione del monopolio era esteso e composito e a grandi linee può essere inserito all’interno di due specifiche tendenze, quella di chi indicava la strada della riforma interna all’azienda o quella di chi apriva alla privatizzazione. Il dibattito sulla nuova forma da dare alla Rai fu portato avanti attraverso dibattiti e convegni. La Dc voleva la riforma interna della Rai e invocava un intervento più efficace del Parlamento; il Pci ambiva a sua volta al rafforzamento del servizio pubblico e alla regionalizzazione; il Psi indicava la strada della creazione di un ente pubblico a statuto speciale, con una più precisa accentuazione del monopolio, un controllo parlamentare e una spinta al decentramento, rifiutando vieppiù ogni apertura ai privati. <256
In questo clima variegato prendeva piede anche l’ipotesi di privatizzazione di Eugenio Scalfari, <257 che individuava nella strada della concorrenza fra pubblico e privato, l’unica possibilità per la radiotelevisione italiana. Intanto Giovanni Leone veniva eletto presidente della Repubblica, mentre il nuovo governo Andreotti (1972), si limitò a prorogare di un anno la concessione dello Stato alla Rai, affidando lo studio della riforma a una commissione mista di politici e tecnici.
A partire dall’autunno del 1973 in tutti i Paesi capitalistici si diffuse una crisi che durò fino alla fine deli anni Settanta e che ebbe ripercussioni anche nell’economia nella politica. Per l’Italia si trattò di un periodo di trasformazione e crisi: maturavano cambiamenti nell’assetto produttivo, nella fisionomia legislativa, nella tipologia dei consumi di radio e tv, che fecero parlare del “caso italiano”. La crisi dunque non generò stagnazione, semmai dinamismo: creò nuove forme di aggregazione, nuove tendenze, distruggendo nel contempo vecchie ideologie. Gradualmente si venne configurando il processo di privatizzazione della televisione che assunse due direzioni: da una parte la concentrazione di grandi gruppi editoriali e dall’altra lo sviluppo di iniziative a opera di piccole imprese presenti su tutto il suolo nazionale, mentre a concorrere allo sviluppo del mercato concorrenziale fu la diffusione della tv via cavo.
Intanto la battaglia per la riforma continuava, ma c’era anche una nuova battaglia che prendeva piede, quella giuridica sulla legittimazione delle stazioni locali via cavo. Telebiella, <258 prima tv a trasmettere via cavo, ottenne il 20 aprile del 1971 dal Tribunale della sua città la registrazione “come giornale periodico a mezzo video”; ne era direttore Peppo Sacchi, ex regista Rai. Nello stesso anno, quello in cui Umberto Delle Fave divenne presidente Rai, dal confine jugoslavo, Radio Capodistria trasmetteva ogni sera, per tre ore, programmi a colori che si captavano con nitidezza dal Veneto alle Marche. <259
Sulla questione poi dei ripetitori svizzeri presenti in Italia ci fu la prima rivoluzionaria sentenza emessa dalla Corte Costituzionale, quella del luglio 1974 n. 225; in base ad essa i ripetitori stranieri non dovevano essere smantellati per garantire la libera circolazione di idee. Non solo: questa delibera, “non mette in dubbio la legittimità del monopolio Rai, ma di fatto apre ad alcuni varchi teorici della privatizzazione, sottoponendo il monopolio Rai a una serie di condizioni o di vincoli (i cosiddetti comandamenti) diretti a creare un “monopolio aperto” […]. É la prima espressione del principio del pluralismo interno proprio del servizio pubblico”. <260 La seconda sentenza, n. 226, definiva come legittima la riserva dello Stato della concessione per la tv via etere e liberalizzava definitivamente la tv via cavo in ambito locale. Nell’estate del 1974 si attestavano le prime esperienze di emittenti libere via etere, mentre tra il 1974 e il 1975 sparivano dalla scena tutte le tv via cavo, sostituite da tv via etere.
Nel frattempo veniva approvata la riforma Rai attraverso la legge n. 103, dal 14 aprile 1975, che stabiliva in primis che l’asse del servizio pubblico si spostasse dal Governo al Parlamento per assicurare un maggior pluralismo, completezza e obiettività (in questo modo, il Pci, secondo partito italiano, poté accedere alla futura Rai Tre); si ribadiva il monopolio di Stato sul servizio pubblico e si cominciavano a regolamentare le trasmissioni via cavo. <261
La legge si basava su tre importanti assunti: in primis la riserva allo Stato della diffusione dei programmi su scala nazionale, a patto che fosse assicurato il massimo livello di pluralismo possibile, in secondo luogo la garanzia di decentramento e di rispetto delle esigenze locali e in ultimo la ripetizione sul territorio nazionale di televisioni straniere. Dunque più che una riforma, una vera e propria rifondazione, che si avvalse di tempi di elaborazione lunghi, ma che alla fine arrivò. Inoltre, con la sentenza n. 202 del luglio del 1976, vennero dichiarati incostituzionali gli articoli 1, 2, 14, 45 della neonata legge n. 103, autorizzando così le trasmissioni via etere in ambito locale. Una mossa quest’ultima che aprì ancora di più alla liberalizzazione.
In questo periodo infatti nascevano moltissime emittenti radiofoniche e televisive. In poco più di quindici anni l’imprenditoria privata diede prova di sfruttare a pieno i vantaggi offerti dalla riforma, a scapito di una Rai che si trovò invece sempre più in difficoltà rispetto alla nuova concorrenza. <262 Nel 1973 erano state avviate Tele Ivrea, Tele Alessandria, Tele Vercelli, Tele Piombino, Teleromacavo, Tele Ancona, Telediffusione Italiana, mentre nel 1974 iniziarono a trasmettere Telemontecarlo, Firenze Libera e Telemilano di Silvio Berlusconi.
[NOTE]
250 Su questi aspetti si veda Giorgio Grossi, Sistema di informazione e sistema politico, in “Problemi dell’Informazione”, III, 1978, n. 1, gennaio-febbraio.
251 Cfr. Carlo Macchitella, Il gigante nano, cit.
252 Cfr. Telesio Malaspina, I faraoni della tv in “L’Espresso”, 1 giugno 1969. Ma anche Irene Piazzoni, Storia delle televisioni in Italia…, cit., pp. 107-108.
253 Cfr. Vincenzo Basili, Dirigere la Rai: cinquantacinque anni di lottizzazione e managerialità, in “Problemi dell’informazione”, XXV, 2000, n. 2, pp. 191-201.
254 Cfr. Franco Monteleone, Storia della radio e della televisione in Italia…, cit., pp. 377-384.
255 Cfr. Franco Chiarenza, Il cavallo morente…, cit., p. 155.
256 Cfr. Franco Monteleone, Storia della radio e della televisione in Italia…, cit., pp. 382-383.
257 Cfr. Eugenio Scalfari, E ora, libertà d’antenna, in “L’Espresso”, 23 gennaio 1972.
258 Cfr. Alessandra Bartolomei, Paola Bernabei, L’emittenza privata in Italia dal 1956 a oggi, Eri, Torino 1983, p. 24.
259 Aldo Grasso, Storia della televisione italiana…, cit., p. 227.
260 Cfr. Giuseppe Gnagnarella, Storia politica della Rai, 1945-2010…, cit., pp. 84-85.
261 Cfr. Aldo Grasso, Storia della televisione italiana…, cit., p. 272.
262 Cfr. Franco Monteleone, Storia della radio e della televisione in Italia, cit., pp. 377-392.
Giulia Bulgini, Il progetto pedagogico della Rai: la televisione di Stato nei primi vent’anni. Il caso de "L’Approdo", Tesi di dottorato, Università degli Studi di Macerata, 2018