Pagine

giovedì 21 ottobre 2021

Ebrei fuggiti dai loro Paesi d’origine nella missione britannica Danbury in Carnia...

Pianoro del Monte Pala (Anduins di Vito d’Asio), autunno 1944: davanti alla sede del comando del Battaglione Italia-D.D. (3° Brigata Osoppo-Friuli), i componenti del gruppo Danbury assieme ad alcuni partigiani. È probabile che MacCabe sia l’autore della foto. Il primo a sinistra è Cheyney; al centro, con la piccozza, c’è Simon. Alle sue spalle, con il basco nero, c’è Hauber, la cui presenza fa risalire lo scatto almeno alla seconda metà di ottobre. Tra gli altri, si riconoscono anche i fazzoletti verdi Burbo, Muk, Cepe, Caverna, Speranza, Rex e Fuca. Rimane non identificato il primo uomo a destra, da alcune fonti genericamente indicato come “membro della missione inglese” (ph. © Associazione Partigiani “Osoppo-Friuli”) - Fonte: Enrico Barbina e Jurij Cozianin, Op. cit. infra

È la notte tra il 12 ed il 13 agosto 1944. Al chiaro di luna, nel cielo del Friuli vola un aereo decollato da una delle basi pugliesi della Royal Air Force britannica. In attesa di lanciarsi con il paracadute ci sono uomini scelti per un’importante missione organizzata a Monopoli, nel quartier generale del SOE in Italia: tre agenti costituiscono il gruppo Danbury. Indossano la divisa degli ufficiali inferiori britannici ma, in realtà, sono Ebrei fuggiti dai loro Paesi d’origine dopo l’ascesa del nazismo e rifugiati nel Regno Unito. I tre sono stati appositamente addestrati dal SOE come specialisti nel maneggiare gli esplosivi e sabotatori. L’obiettivo segreto di Danbury è il sabotaggio della linea ferroviaria Villach-San Candido, nel tratto tra Greifenburg, nella valle della Drava, e Sillian, in Alta Val Pusteria, nel Tirolo Orientale.
Redazione, La Panarie 1968-2018: cinquanta anni di cultura (opuscolo per il 50° della rivista), 7-13 ottobre 2018 

Un gruppo di agenti della X Section del SOE. Tra gli altri, si riconoscono MacCabe, al centro in prima fila, e Priestley, il secondo da destra in seconda fila (arch. E. Sanders, immagine trasmessa agli autori dal Dr. Peter Pirker) - Fonte: Enrico Barbina e Jurij Cozianin, Op. cit. infra

Anteprima libraria oggi, alle 17.30, in municipio a Clauzetto. Le amministrazioni di Clauzetto e Vito d'Asio propongono la presentazione della ricerca storica "Autunno 1944, Danbury sul Monte Pala". Una fotografia scattata sul Monte Pala nell'autunno del 1944 ha ispirato la ricerca di Enrico Barbina e Jurij Cozianin, sulle tracce di tre agenti ebrei del Soe britannico, paracadutati in Friuli per compiere la loro missione segreta in Austria. Grazie alla consultazione di documenti d'archivio, è stato possibile accertarne l'identità, conoscerne le biografie e il servizio operativo. Ricercatori e articolisti della rivista friulana di cultura "La Panarie", gli autori si sono avvalsi della collaborazione di Peter Pirker, docente dell'università di Vienna. Barbina e Cozianin faranno luce sulla vicenda, mettendosi a disposizione di appassionati e curiosi per approfondire questo avvenimento che coinvolse i nostri territori sul finire del secondo conflitto mondiale.
G.Z., Agenti segreti sul Pala. La storia in una ricerca, Messaggero Veneto, 24 novembre 2018 

Il Douglas C-47 Dakota eretto a monumento nell’area dell’airfield “Piccadilly Hope” di Otok (Metlika), in Slovenia (ph. © kraji.eu) - Fonte: Enrico Barbina e Jurij Cozianin, Op. cit. infra

È la notte tra il 12 ed il 13 agosto 1944.
Al chiaro di Luna, nel cielo del Friuli vola un aereo decollato da una delle basi pugliesi della Royal Air Force britannica <1. In attesa di lanciarsi con il paracadute ci sono sette uomini, scelti per un’importante missione organizzata a Monopoli, nel quartier generale del SOE <2 in Italia (No. 1 Special Force).
Alcuni di loro appartengono alla Sezione Tedesco-Austriaca (X Section) del servizio segreto di Sua Maestà, diretta da Ronald Thornley <3, costituita già alla fine del 1940 con l’allora ambizioso, se non velleitario, obiettivo di favorire e poi sostenere in Austria un’auspicabile insurrezione nazionale e separatista che determinasse il ripristino dell’indipendenza perduta nella primavera del 1938 con l’annessione al Terzo Reich nazista (Anschluss).
A tal fine, sono stati progressivamente reclutati ed addestrati nelle fila della Sezione diverse decine di esiliati politici, rifugiati e disertori della Wehrmacht. In realtà, rispetto ad un contesto di fatto sconosciuto e probabilmente molto meno favorevole di quanto sperato, le missioni destinate a raggiungere l’Austria dal territorio italiano, con il supporto dei partigiani locali, sono partite solo all’inizio dell’estate del ’44.
Quattro degli uomini a bordo dell’aereo compongono in effetti la missione Rudolf o gruppo Bakersfield: il maggiore Francis <4, l’operatore radio caporale Buttle <5, il tenente tirolese Georgeau <6 e il capo missione, il maggiore Rudolf <7. Il loro compito è di infiltrarsi nelle valli del Gail e della Drava, con l’obiettivo di verificare se ci siano le condizioni per alimentare la Resistenza locale, qualora esista, o favorirne la nascita e l’organizzazione, attraverso lo sviluppo di una rete di corrieri, contatti ed appoggi logistici, da estendersi in direzione di Innsbruck, Lienz, Salisburgo e Villach. Di fatto, essi vanno a rafforzare la missione Beckett <8, già operativa dal 14 giugno ed alla quale si sono aggregati un mese più tardi anche il capitano Pat <9 e l’operatore radio sergente Charles <10.
Gli altri tre agenti costituiscono invece il gruppo Danbury. Indossano la divisa degli ufficiali inferiori britannici ma, in realtà, sono Ebrei fuggiti dai loro Paesi d’origine dopo l’ascesa del nazismo e rifugiati nel Regno Unito. Il leader del gruppo è Simon ovvero il sottotenente Otto Karminski, soprannominato “Putzi” <11, austriaco, nato a Vienna il 17 febbraio 1913 [...]
[NOTE]
1. La ricerca degli autori non ha consentito di rintracciare il Record del volo. È probabile che l’aereo fosse un Halifax appartenente ad uno degli squadroni polacchi utilizzati per le missioni segrete Special Duties nel Nord Italia e nei Balcani. Di norma, in quel periodo a tali fini veniva utilizzato l’aeroporto “Campo Casale” di Brindisi. Tuttavia, vista la concomitanza delle numerose missioni effettuate a sostegno della Rivolta di Varsavia, non è escluso che il volo sia stato effettuato a bordo di un Douglas C-47 Dakota del 267 Squadron RAF decollato da Bari.
2. Special Operations Executive, servizio segreto britannico istituito il 22 luglio 1940 per lo svolgimento di operazioni speciali dietro le linee nemiche. Era composto da uomini e donne di provenienza militare e civile.
3. Tenente Colonnello Ronald Howe Thornley (1909-1986).
4. William Francis Dayrell St. Clair Smallwood (1914-1945).
5. Arthur Ernest George Buttle (1924-1975).
6. Hubert Mayr (1913-1945), alias Jean Georgeau ovvero Banks, giovane socialista di Innsbruck, reduce della Guerra Civile Spagnola, catturato dai tedeschi in Tunisia, fuggito da un campo di prigionia italiano, dalla fine del 1943 agente della Sezione Austriaca del SOE. Disperso nel corso della missione nell’inverno 1944/45 e dichiarato morto nel 1945. L’11 febbraio 2011 egli è stato insignito dell’onorificenza postuma “Ehrenzeichen für Verdienste um die Befreiung Österreichs”, per i servizi resi ai fini della Liberazione dell’Austria.
7. George Rudolf Hanbury Fielding (1915-2005), reduce dalla battaglia di Creta e dal Nord Africa tra i ranghi del reggimento di cavalleria “3rd The King’s Own Hussars”. Agente del SOE dal 1944.
8. Altrimenti detta missione Balloonet o gruppo Aunsby. Beckett era il nome in codice del capo missione, il Conte Manfred Czernin (1913-1962), Manfredi per i partigiani friulani. Berlinese di nascita e figlio di un nobile diplomatico austriaco, valoroso Maggiore della RAF nella Battaglia d’Inghilterra, dal 1943 pluridecorato agente del SOE. Venne paracadutato sul Monte Losa, tra Sauris e la Val Pesarina, nella notte tra il 13 ed il 14 giugno 1944, assieme al marconista Piero, il bolognese Piero Cantoni (alias Piero Bruzzone o Boeri).
9. Patrick Martin-Smith (1917-1995), londinese, già ufficiale nei Commandos, dall’aprile del 1944 agente del SOE, in missione in Friuli anche in qualità di British Liaison Officer (BLO), ufficiale di collegamento con le formazioni partigiane.
10. Ernest Charles Roland Barker (1919-1953), del Royal Corps of Signals. Deceduto in servizio, in Malesia.
11. Vezzeggiativo traducibile con “piccolino”.
Enrico Barbina e Jurij Cozianin, Autunno 1944, Danbury sul Monte Pala, La Panarie 1968-2018: 50° Nuova Serie, 198/267

In questo episodio dedicato alla missione Coolant, destinata al Friuli, ripercorreremo i mesi dal luglio 1944 al settembre dello stesso anno. Il maggiore Hedley Vincent, inviato come capomissione nella zona, organizzò i partigiani locali, divisi tra brigate Garibaldi e Osoppo, per dar battaglia ai nazi-fascisti, mentre ancora tutti nutrivano la speranza che la guerra sarebbe finita di lì a pochi mesi. L'estate fu quindi un periodo molto intenso, in cui i partigiani liberarono una vasta zona sulle Alpi Giulie.  
Redazione, Episodio 43 - Coolant: L'arrivo di Hedley Vincent, Racconti dal nascondiglio, 29 maggio 2021

Questo secondo episodio dedicato alla missione Coolant chiude il capitolo che vide il maggiore Hedely Vincent a dirigerla. I partigiani, che controllavano un territorio piuttosto ampio a nord-est di Udine, furono attaccati con violenza dal nemico nel settembre 1944. La battaglia tra i due schieramenti infuriò per giorni, mentre la situazione diventava sempre più disperata e, contemporaneamente, diventava sempre più chiaro che l'avanzata alleata a sud era stata bloccata e non sarebbe arrivato aiuto per i partigiani.
Redazione, Episodio 44 - Coolant: il grande rastrellamento di settembre 1944, Racconti dal nascondiglio, 5 giugno 2021

In questo episodio seguiremo l'avvicendamento alla guida della missione Coolant tra il maggiore Vincent e il maggiore Macpherson. Questi, reduce da una lunga prigionia in mano nemica, e poi una missione in Francia, fu designato in quanto ufficiale esperto e capace. Tuttavia, le sfide che dovette affrontare furono notevoli: non solo la presenza massiccia di forze nemiche, rinforozate anche da truppe cosacche e croate, ma anche le crescenti tensioni tra sloveni e italiani, che infine esplosero a metà inverno.
Redazione, Episodio 45 - Coolant: l'arrivo di Macpherson, Racconti dal nascondiglio, 12 giugno 2021

In questo episodio affronteremo gli ultimi mesi di attività della missione Coolant in Friuli al comando di Macpherson. A gennaio la situazione è critica, i partigiani sono pochi e i loro nemici numerosi a agguerriti. Tuttavia, questo non fermò la Resistenza che presto si riogranizzò in varie forme, fino alla ricostituzione delle bande nella primavera. La Liberazione, tuttavia, non sarà cosa facile, visto che il Friuli rappresenta una delle direttrici di ritirata dei tedeschi verso la Germania.
Redazione, Episodio 46 - Coolant: La fine della guerra, Racconti dal nascondiglio, 19 giugno 2021

Un container di armi ed esplosivi. Si notano i mitra Sten Mk II, diffusi tra i partigiani friulani - Fonte: Enrico Barbina e Jurij Cozianin, Op. cit. infra

Le Brigate Osoppo furono formazioni partigiane autonome fondate presso la sede del Seminario Arcivescovile di Udine il 24 dicembre 1943 su iniziativa di volontari di ispirazione laica, liberale, socialista e cattolica, gruppi già attivi dopo l'8 settembre nella Carnia e nel Friuli.
I fini della Osoppo erano cooperare in autonomia con le formazioni garibaldine comuniste e contribuire alla lotta antifascista contro le forze occupanti tedesche. Quest'ultime avevano infatti istituito la Operationszone Adriatisches Küstenland, sottraendo di fatto l'intero territorio del Friuli-Venezia Giulia all'autorità della Repubblica Sociale Italiana ed instaurando un rigido regime di repressione e spogliazione, avvalendosi della partecipazione di reparti di SS etniche, di cosacchi e di forze repubblicane fasciste.
Il raggruppamento ebbe al comando: Candido Grassi (nome di battaglia "Verdi"), Manlio Cencig (nome di battaglia "Mario"), due capitani del Regio Esercito Italiano e don Ascanio De Luca (già cappellano degli Alpini in Montenegro e in quel momento parroco a Colugna, frazione di Tavagnacco).
A causa della complessa situazione politico-militare presente nel territorio friulano e della Venezia Giulia, al centro di opposti nazionalismi e di secolari rivalità etnico-territoriali, le formazioni della Osoppo ebbero rapporti spesso conflittuali con i reparti garibaldini comunisti e furono in contrasto con le forze partigiane sloveno-jugoslave.
Il Gruppo Brigata Osoppo dell'Est, comando unificato con la Divisione Garibaldi Natisone, non accettò di passare a est del fiume Isonzo per mettersi alle dipendenze del IX Corpus sloveno dell'Armata Popolare di Liberazione della Jugoslavia di Tito.
Il 22 novembre 1944, il Partito Comunista Italiano (e non il CLNAI, unico comando in grado di impartire legittimamente ordini sull'impiego operativo delle forze partigiane) aveva dato l'ordine ai partigiani italiani della zona di passare alle dipendenze del IX Corpus jugoslavo per favorire la creazione di (secondo le parole di Togliatti in una lettera a Vincenzo Bianco, rappresentante del PCI nel IX Corpus, « una condizione profondamente diversa da quella che esiste nella parte libera dell'Italia. Si creerà insomma una situazione democratica.»
La disposizione era che "tutte le unità italiane della zona [del litorale adriatico friulano] devono operare soltanto sotto il comando del IX Corpo di armata di Tito", aggiungendo che chi avesse rifiutato questo comando sarebbe stato considerato fascista ed imperialista e trattato di conseguenza; il comando delle Brigate Osoppo aveva rigettato la richiesta con il grido paà nostris fogolars (per i nostri focolari).
La dipendenza fu quindi accettata dai circa 3500 partigiani comunisti della divisione Garibaldi-Natisone ma non dagli autonomi della Osoppo, tra i quali militava una ragazza, Elda Turchetti, uccisa e ritenuta successivamente dai comunisti una spia della X MAS ma possibilmente anche un intermediario secondo altre fonti.
Se gli osovani basavano la loro posizione sui principi della difesa degli interessi nazionali, dei quali si sarebbe dovuto discutere solo a guerra finita, anche i garibaldini erano molto dubbiosi viste le posizioni politiche e i metodi autoritari adottate dagli sloveni nei loro territori.
[...] Sin dal luglio 1944 l'OSS (il servizio segreto degli USA che poi diventerà l'attuale CIA, relativo alle operazioni all'estero) aveva avviato in Friuli una propria missione di collegamento con i partigiani, denominata Chicago-Texas. La missione era guidata da due agenti italiani affiliati al PCI, Alfredo Michelagnoli e Giuseppe Gozzer. La missione fu organizzata sulla scorta di un più ampio accordo tra OSS e Partito comunista, che prevedeva l'arruolamento di "uomini esperti" indicati dal partito, in cambio della possibilità, per quest'ultimo, di utilizzare le radio del servizio segreto per comunicare con i propri dirigenti nell'Italia occupata dai nazifascisti.
Gozzer, tuttavia, sebbene alla testa di una missione alleata, divenne presto capo di stato maggiore della Brigata Garibaldi Friuli, generando incertezze tra i membri del SOE (uno dei vari servizi segreti britannici per operazioni dietro le linee nemiche), già operanti in zona, i quali non avevano chiaro quando considerare le sue iniziative come adottate nella sua qualità di rappresentante degli statunitensi, o in quella di comandante partigiano e comunista.
D'altra parte, non esisteva alcun coordinamento specifico tra le missioni OSS e SOE e questo, a prescindere dal differente approccio politico tra statunitensi e britannici, generò "la più completa confusione", arrivando a mettere in concorrenza involontaria le missioni inviate indipendentemente su uno stesso territorio, e generando inefficienza e pericoli indebiti per gli stessi agenti alleati. Inoltre, il diverso approccio delle differenti missioni alleate non forniva ai partigiani una coerente immagine dell'alleanza angloamericana, e rendeva meno efficace la loro azione militare.
Redazione, Brigate Partigiane Osoppo-Friuli, Bella ciao, Milano!

[...] Mentre è ancora in corso la ricerca dei contenitori scesi dal cielo e sparsi nella zona, ad accogliere i sette agenti segreti ci sono Beckett (Manfredi), Pat ed i partigiani dal fazzoletto verde e dal cappello Alpino, ovvero gli uomini della 3ª e 4ª Brigata Osoppo-Friuli, schierate in Val d’Arzino e Val Tramontina. Non sono giorni sereni per loro, dopo l’improvviso attacco tedesco e repubblichino al castello di Pielungo, sede del comando osovano, avvenuto il 19 luglio. La controversa “crisi” politico-militare che ne è derivata, aggravata dalla destituzione e dall’arresto di Verdi <22 ed Aurelio <23 a Rutizza (Tramonti di Mezzo), è ancora in corso. Verrà risolta tra qualche giorno, con la decisiva presa di posizione, in armi, dei più carismatici comandanti dei reparti della 3ª Brigata, la liberazione di entrambi gli “imputati” ed il loro immediato reintegro nelle rispettive funzioni <24.
L’epilogo segnerà il definitivo tramonto di ogni ipotesi di stabilire un Comando Unico tra le formazioni partigiane osovane e quelle garibaldine operanti in zona. In questo complesso contesto, riconosciuto come tale anche dalle missioni alleate, la Resistenza friulana e carnica sta per affrontare i più duri mesi di lotta, non solo contro tedeschi e fascisti, ma anche contro i reparti cosacchi e caucasici affluiti in Carnia ed Alto Friuli, con migliaia di civili e di cavalli al seguito.
Saranno giorni di lutti, sofferenze e sacrifici per tutta la popolazione.
A parte Georgeau, gli altri sei agenti pacadutati si presentano in uniforme britannica, senza abiti borghesi nello zaino e privi di documenti utili da esibire in Austria, in caso di necessità. La volontà di non indossare abiti da civili può essere comprensibile per i componenti di Danbury, in virtù del fatto di essere ebrei ovvero del rischio di essere, se catturati, smascherati e trattati come tali. Il problema in realtà è serio per tutti e condiziona la loro missione. Beckett e Pat ne sono pienamente consapevoli.
In Austria non è consentito ciò che lo è in Italia o in Slovenia, dove gli agenti del SOE operano in divisa tra i partigiani di una Resistenza già organizzata ed in armi. Per il momento a muoversi oltre confine saranno così solo Georgeau e la preziosa guida austriaca Vienna <25, mentre Rudolf e gli altri troveranno una sistemazione in Carnia, scortati da Aurelio e dai partigiani del Battaglione Fedeltà, completando la ricognizione dei passi montani che consentono l’accesso alla valle del Gail, in attesa di ricevere dalla Base Maryland le armi ed i rifornimenti promessi.
Beckett comprende che almeno per ora neppure Danbury può muoversi secondo il piano originario. 

Il Nobel No. 808, l’esplosivo al plastico utilizzato dai partigiani e dal SOE nelle azioni di sabotaggio. Veniva fornito con gli aviolanci o prelevato dalle polveriere presidiate dal nemico - Fonte: Enrico Barbina e Jurij Cozianin, Op. cit. infra

Nell’attesa, i tre possono rendersi utili in altri modi, innanzitutto istruendo i partigiani della Osoppo sull’utilizzo degli esplosivi e dei timer <26. In particolare, i patrioti della 3ª Brigata, ovvero dei battaglioni Italia-D.D., Giustizia e Libertà hanno già dimostrato di saperne fare buon uso, anche nel giorno dell’attacco al castello di Pielungo, quando hanno bloccato la rientrante colonna nemica tra le gallerie della Strada Regina Margherita, infliggendole notevoli perdite. Non sono neppure mancati i sabotaggi a ponti e viadotti della ferrovia pedemontana e a tratti stradali. Ai primi di ottobre gli uomini del Libertà tenteranno anche l’ardita distruzione del Ponte di Ragogna-Pinzano sul Tagliamento, impedita solo dall’insufficiente quantità dell’esplosivo fatto brillare <27.
 

Gli effetti di un atto di sabotaggio partigiano sulla Ferrovia Pontebbana (ph. © Associazione Partigiani “Osoppo-Friuli”) - Fonte: Enrico Barbina e Jurij Cozianin, Op. cit. infra

Beckett ha invece in mente di colpire la Pontebbana, certamente un’arteria stradale e ferroviaria molto importante per la Werhmacht. 

Cartolina del vecchio ponte ferroviario di Dogna. Nel corso della Seconda Guerra Mondiale venne solo parzialmente danneggiato dai bombardamenti aerei alleati - Fonte: Enrico Barbina e Jurij Cozianin, Op. cit. infra

A Simon viene così affidata la missione di provare a far saltare il ponte di Dogna, da tempo nel mirino dei partigiani ed in particolare dei guastatori del Battaglione Monte Canin <28, ma la ricognizione effettuata lo convince dell’impossibilità dell’operazione. L’obiettivo è ben presidiato, con molte mitragliatrici e fotoelettriche.
Nella seconda settimana di settembre il gruppo Danbury raggiunge Rudolf all’Albergo Sottocorona di Forni Avoltri, in cui egli si è insediato, proveniente da Liariis (Ovaro) e Priola (Sutrio), sede del comando del battaglione osovano Val But. Lungo la marcia, i quattro partigiani che scortano Simon hanno teso un agguato ad una pattuglia tedesca. Lo scontro è terminato con otto caduti tra i nemici. La partecipazione dell’agente del SOE all’iniziativa altrui viene considerata un’intemperanza dal comando britannico e come tale biasimata.
Aggirando Santo Stefano, presidiata dai tedeschi, la via per il Cadore è ancora libera ed è là che Simon vuole verificare se ci sia la possibilità di entrare in Austria, con l’aiuto delle formazioni partigiane locali. Raggiunta Lorenzago con un paio di guide, incontra così i fazzoletti rossi della Divisione garibaldina Nino Nannetti. Essi si dicono disponibili ad aiutarlo, con l’intento di trasferirsi più a nord-ovest, vicini alla frontiera. Per loro la nuova base potrebbe essere il punto di partenza anche per una requisizione di bestiame oltreconfine.
Al momento Simon cerca di disssuaderli da quest’ultimo proposito e prende tempo, promettendo loro il lancio delle armi e delle scorte di viveri di cui hanno disperato bisogno. Individua infatti la dropping zone, dando disposizioni a Cheyney di presidiarla costantemente e a MacCabe, spostatosi a Forni di Sopra, di mantenere il contatto radio con Monopoli.
I rifornimenti consentirebbero anche di dare il via al piano partigiano, messo a punto da MacCabe ed approvato dalla Base, di liberare Santo Stefano dalla guarnigione tedesca, peraltro progressivamente rinforzata fino a contare ottocento uomini.
Nel frattempo, i lanci promessi e mai ricevuti rimangono la più grave preoccupazione anche per Rudolf, oltre alla mancanza di un operatore radio per Georgeau, in Austria. Le ricognizioni effettuate oltreconfine hanno dato via via motivi di moderato ottimismo rispetto all’obiettivo della missione, pur in un contesto che si è rivelato molto più difficile di quanto la Base aveva previsto o semplicemente sperato. Le prospicienti valli austriache infatti, specie quella del Gail, sono poco abitate, in particolare dai maschi, impegnati al fronte e nell’industria bellica del Terzo Reich. L’atteggiamento di chi è rimasto nei paesi è di apatia se non di terrore, visto il rigido controllo esercitato da anni dalla Gestapo. Non è certo facile trovare uomini e donne disposti ad imbracciare le armi o a fare da staffette. Tuttavia, grazie agli indomiti sforzi di Georgeau e Vienna, una prima rete di complicità, aiuti ed appoggi logistici è stata creata e si estende tra le valli del Gail e della Drava fino a Villgraten, nel Tirolo Orientale. I disertori austriaci e tedeschi tra le fila della Werhmacht vanno inoltre aumentando ed alcuni di loro sono già utilizzati come corrieri. I passi alpini sono ancora praticabili ed in genere non presidiati dal nemico <29.
Con il passare dei giorni e delle settimane, l’attesa dei lanci si fa però così snervante da spingere Rudolf ad inviare un caustico messaggio alla Base in cui, contro la presunta ritrosia dei piloti a volare di notte ed in condizioni meteorologiche non ideali, invoca da loro “more of the spirit of the Battle of Britain and less of the bottle of Bari”.
 

La time pencil (Switch No. 10), dispositivo di innesco dell’esplosivo, ritardato mediante la corrosione controllata di un filo metallico da parte di un liquido contenuto in un’ampolla. Quelle con la safety strip gialla avevano un ritardo di dodici ore - Fonte: Enrico Barbina e Jurij Cozianin, Op. cit. infra


I mancati rifornimenti impediscono anche a Danbury di mantenere la promessa fatta ai partigiani del Cadore e l’unica cosa che Cheyney, soprannominato “Teddy il dinamitardo”, può offrire loro è la somma di 10.100 Lire, consegnata il 26 settembre alla Compagnia Alto Piave della Brigata Calvi. Simon tuttavia non desiste dal proposito di infiltrarsi in Val Pusteria e tentare il sabotaggio del ponte ferroviario sulla Drava a Tassenbach (Strassen) nei pressi di Sillian, come suggerito da “un ufficiale americano” incontrato da MacCabe <30. La zona risulta tuttavia ben sorvegliata dalle pattuglie tedesche, secondo quanto riportato dalla guida mandata in perlustrazione.
Nel suo tentativo, anche Simon s’imbatte infatti nel nemico, sfuggendo per un soffio dalle sue grinfie ed essendo costretto ad abbandonare l’esplosivo.
Lo scenario sta in effetti rapidamente volgendo al peggio e l’8 ottobre scatta la prima fase dell’operazione Waldläufer, la massiccia offensiva nazifascista e cosacca contro la Zona Libera della Carnia e dell’Alto Friuli, in cui è stata proclamata la Repubblica partigiana.
Nella notte tra il 12 ed il 13 è previsto il lancio a Tramonti di altri quattro agenti del SOE, tra i quali ci sono anche Turner, il quarto uomo di Danbury, e Priestley <31, l’operatore radio tanto atteso da Rudolf, da affiancare a Georgeau in Austria.
A causa di un errore accidentale del pilota polacco, probabilmente ingannato dalle luci delle caserme, il lancio viene disgraziatamente effettuato sopra Tolmezzo.
Gli uomini atterrano nelle braccia del nemico. Taggart <32 muore, forse suicida, Priestley e Turner vengono catturati <33, l’unico che riesce a fuggire è Hauber <34.
Rudolf è costretto ad abbandonare precipitosamente Forni Avoltri, rastrellata senza pietà il giorno 13, ed a spostarsi a Sauris su cui, lasciato il Cadore, convergono anche i membri di Danbury. Dopo aver atteso a lungo il lancio promesso, il laconico messaggio cifrato “Insufficient cloud cover” trasmesso dalla Base ha infranto ogni loro residua speranza.
Nel frattempo anche Francis e Charles sono stati catturati <35, mentre di Georgeau e Vienna non si hanno più notizie <36.
Nell’emergenza e con una taglia sulla sua testa di 800.000 Lire, Rudolf segnala alla Base un’ulteriore dropping zone, in vista di un ventilato lancio di massa, da ben dieci aerei, di armi e scorte, indispensabili anche per il Fedeltà.
In realtà, la situazione venutasi a creare con l’offensiva nemica e l’acuirsi dell’inverno, con l’impraticabilità dei passi verso l’Austria, ha convinto la Base dell’impossibilità di rifornire adeguatamente gli agenti ed i reparti partigiani che li supportano.
Gli uomini del SOE devono essere progressivamente richiamati.
A giorni, l’annuncio del Proclama Alexander chiarirà le motivazioni della decisione.
Alla fine di ottobre il primo a dover rientrare a Monopoli è Beckett. Il giorno 29 lo preleva un Lysander, atterrato nel campo di Pradileva, un ampio terreno tra Tramonti di Mezzo e Tramonti di Sotto, approntato a tal fine dai fazzoletti verdi del Battaglione Monte Canin nel corso dell’estate. Il giorno seguente giunge in Val Tramontina anche il gruppo Danbury, con Buttle ed il redivivo Hauber. Su ordine di Rudolf attendono di ricevere finalmente un lancio, benchè non così abbondante come a lungo vanamente sperato.
Nel corso della loro marcia, c’è stato il tempo per scattare una fotografia assieme ad alcuni partigiani, davanti alla sede del comando del Battaglione Italia-D.D., nel pianoro del Monte Pala <37, ad Anduins di Vito d’Asio. È il primo reparto in armi della Osoppo, formato a partire dal 25 marzo del ’44, il giorno in cui un manipolo di patrioti è salito in Palamajȏr <38, alle pendici del Monte Rossa <39. 

Il comandante Goi sul Monte Pala nel 1944 (ph. © Associazione Partigiani “Osoppo-Friuli”) - Fonte: Enrico Barbina e Jurij Cozianin, Op. cit. infra

Intitolato a Renato Del Din Anselmo <40, dopo la sua morte nell’attacco alla caserma della Milizia fascista di Tolmezzo, il battaglione è agli ordini di Goi <41, il suo rude e carismatico comandante. Coraggioso e di gran cuore. Temprato dai cinque avventurosi anni trascorsi a Sidi Bel Abbes, in Algeria, tra i ranghi della Legione Straniera, e dai duri giorni in Croazia in qualità di Sergente Maggiore del 2º Reggimento di Fanteria “Re”, si è guadagnato il rispetto, la fiducia e l’affetto dei suoi uomini. Tali rimarranno anche a guerra finita.
Il 6 novembre sono a Tramonti anche Rudolf e gli uomini del Fedeltà, degni del nome del proprio reparto. La loro discesa dalla Carnia è stata a dir poco avventurosa, resa molto complicata e rischiosa dal dover percorrere i sentieri innevati di alta montagna, cercando di evitare le vallate occupate dal nemico.
La marcia ha comportato la perdita dei muli e nel corso di uno scontro a fuoco a Luint (Ovaro) Rudolf è stato ferito ad un braccio <42. I suoi rapporti con il maggiore Nicholson <43, il nuovo British Liaison Officer in Val Tramontina, sono piuttosto tesi, a causa della non facile convivenza operativa e delle rispettive rivendicazioni sui lanci di armi, equipaggiamenti e scorte. Nicholson sfoga la sua insofferenza in un messaggio alla Base, nel quale definisce “inutili, indisciplinati e senza guida” gli elementi austro-inglesi della X Section, accusandoli di interferire nella sua attività quotidiana e chiedendone l’allontanamento.
Vorrebbe trattenere al suo servizio solo MacCabe, anche per il fatto che sa parlare l’italiano <44. Quanto alle missioni di sabotaggio, egli suggerisce alla Base la formazione di un gruppo di sciatori cadorini, da affidare a Prior <45.
Dopo la ricezione del lancio atteso da Rudolf, l’8 novembre a partire sono così tutti i membri di Danbury ed Hauber, assieme ad una dozzina di ex prigionieri alleati ed aviatori statunitensi <46. 

Vista sul Tagliamento dal Monte di Ragogna. Al centro l’isolotto del Clapàt ed i due tronconi del ponte stradale e ferroviario di Cornino-Cimano (ph. © J. Cozianin) - Fonte: Enrico Barbina e Jurij Cozianin, Op. cit. infra

La loro marcia verso la Slovenia inizia in una notte tempestosa con l’attraversamento del Tagliamento, poco a valle del ponte ferroviario di Cornino-Cimano, sorvegliato dal nemico. Con loro ci sono alcune guide partigiane oltre ad Aurelio e Goi. Come sempre, è necessario togliersi gli scarponi, i calzettoni ed i pantaloni. Il guado dei bracci del fiume e del suo infido greto di ciottoli e pietre non è certo dei più semplici, se le sue fredde acque sono gonfiate dalle piogge autunnali, se non si conosce l’ostacolo e non si ascoltano i saggi consigli di chi, invece, ne ha ormai scoperto ogni segreto. Deve essere così, se il piccolo Simon per ben due volte viene trascinato via dalla corrente e “ripescato” in extremis da Goi, “a suon di moccoli” <47. Il suo zaino è inzuppato e molto del contenuto è andato perso. Costretto a fermarsi a riva, tra i tuoni egli fa solo in tempo a gridare a Cheyney e MacCabe di proseguire, con l’obiettivo di ricongiungersi presso la missione Coolant del maggiore Macpherson <48, paracadutato sul Monte Joanaz nella notte tra il 4 ed il 5 novembre ed acquartierato nelle malghe di Porzûs (Topli Uorch), presso il comando osovano di Bolla <49.
Esausto, Simon ritorna sui suoi passi e ripara in un fienile, ospite di un generoso contadino. La notte successiva riesce finalmente a guadare il fiume, aggrappandosi alla coda del cavallo montato da un partigiano. Nel frattempo, Cheyney e MacCabe, senza più guida e con il conforto della sola bussola, trovano rifugio nella prima casa isolata incontrata nel loro cammino. Una donna li accoglie benevolmente, dicendo loro di avere un nipote partigiano. Pochi minuti dopo una pattuglia tedesca si avvicina all’abitazione. Gli agenti del SOE attendono con le pistole in pugno che la porta si spalanchi da un momento all’altro. Non è così, il nemico si allontana e la loro marcia può proseguire. La via verso la Slovenia prevede l’attraversamento della Pontebbana poco più a Nord di Tricesimo e, oltre Nimis, la risalita del sentiero che da Porzȗs conduce al Monte Carnizza ed alle malghe in cui si è installata la missione Coolant.
È lì che il gruppo Danbury si ricongiunge.
Dopo l’attraversamento dell’Isonzo e l’ingresso in territorio sloveno, di norma le guide partigiane jugoslave conducono a Čepovan e poi alla sede del quartier generale del IX Korpus e della missione britannica Crayon. Di certo, scavalcata la ferrovia Trieste-Lubiana, la lunga marcia verso la Bela Krajina consente al gruppo Danbury e ad Hauber, il 3 dicembre 1944, di raggiungere Črnomelj, ovvero il quartier generale dei partigiani sloveni (Glavni Štab Slovenije) e la missione Flotsam di cui sono responsabili il Tenente Colonnello Peter Moore <50 ed il Maggiore Owen Reed <51. Entrambi operano in Jugoslavia per il SOE fin dall’autunno del 1943. Tra Črnomelj e Metlika ci sono alcuni airfields <52 molto utilizzati dagli Alleati per evacuare gli agenti segreti, gli ex prigionieri, gli equipaggi dei bombardieri abbattuti ed i partigiani feriti. Tuttavia, a causa del protrarsi delle avverse condizioni meteorologiche, i componenti di Danbury ed Hauber non possono salire a bordo di un aereo come previsto ma devono proseguire la loro marcia, diretti alla missione Fungus presso il quartier generale dei partigiani croati (Glavni Štab Hrvatske), nell’area tra Glina e Topusko. Attraversato il fiume Kupa (Kolpa) da Stari Trg, s’inoltrano infatti nella regione montuosa del Gorski Kotar, oltre Brod Moravice e Skrad. La zona è ancora parzialmente tenuta dagli Ustaša <53 ed il suo passaggio non è privo di rischi. Le successive marce, ognuna in media di 25 chilometri al giorno, conducono infatti gli agenti del SOE molto più a Sud, attraverso la Lika.
Spostandosi lungo la catena del Velebit raggiungono Knin, liberata ai primi di dicembre del ’44. Da là un camion li porta a Spalato. È certo che il 22 dicembre si trovano sull’isola di Vis (Lissa), dalla scorsa estate sede del quartier generale di Tito e di una base aerea alleata, oltre che strategico approdo per le numerose imbarcazioni della flotta partigiana jugoslava.
Tuttavia essi rientrano a Spalato e l’8 gennaio 1945 salpano a bordo del piroscafo Ljubljana <54, già ampiamente utilizzato per il trasferimento degli uomini delle Brigate d’Oltremare (Prekomorske Brigade) dalle coste pugliesi alle isole dalmate nei primi mesi del 1944. Il giorno dopo sbarcano a Bari e rientrano alla Base. Un paio di settimane prima vi hanno fatto ritorno anche Rudolf, Pat, Buttle e Brenner, <55 prelevati a Črnomelj da un Douglas C-47 Dakota. 


Uno scorcio della piana di Pradileva (Tramonti di Sotto), utilizzata dalla RAF britannica come dropping zone e landing strip per i Lysander (ph. © J. Cozianin) - Fonte: Enrico Barbina e Jurij Cozianin, Op. cit. infra

Avevano lasciato Tramonti alla fine di novembre del ’44, nei giorni dell’ultimo grande rastrellamento nemico <56.
I membri di Danbury non parteciperanno ad altre missioni, rimanendo a Monopoli, prima del trasferimento a Siena del quartier generale del SOE. [...]
[NOTE]
22. Il prof. Candido Grassi (1910-1969), udinese, insegnante e pittore, capitano dei Bersaglieri reduce dal fronte jugoslavo. Fu tra i fondatori della Osoppo, di cui fu di fatto il comandante militare.
23. Don Ascanio De Luca (1912-1990), di Treppo Grande, già cappellano degli Alpini in Montenegro ed allora parroco di Colugna (Tavagnacco), tra i fondatori della Osoppo ed una delle sue personalità di maggior rilievo.
24. Gurisatti 2003.
25. Georg Dereatti (1898-?), di Villach, ferroviere, socialdemocratico. Scomparso nel corso della missione.
26. Gurisatti 2003, pag. 175.
27. Brezzaro 1998.
28. Reparto autore di numerosi atti di sabotaggio (Archivio Osoppo della Resistenza nel Friuli, V 7).
29. Martin-Smith 1991.
30. Con ragionevole certezza si tratta di Roderick Stephen “Steve” Goodspeed Hall (1915-1945), geniere, capitano dell’OSS (Office of Strategic Services), paracadutato sul Monte Pala nella notte tra il 1º e il 2 agosto 1944 con la missione Mercury Eagle, operativo in Carnia (Ovasta) e in Cadore. Catturato a Cortina, venne torturato ed impiccato dalle SS naziste a Bolzano il 20 febbraio 1945.
31. Michael Peter Priestley è l’ebreo viennese Egon Lindenbaum (1920-1976).
32. William Taggart è in realtà il viennese Wolfgang Treichl (1915-1945).
33. Interrogati nel quartier generale della Gestapo a Trieste ed incarcerati al Coroneo. Trasferiti in treno a Vienna nel gennaio del 1945. Prigionieri nello Stalag XVII A di Kaisersteinbruch e poi nell’Oflag 79 di Querum (Braunschweig), liberato dalle truppe statunitensi il 12 aprile 1945. Vedi nota 19.
34. Richard Hauber è il tirolese Nikolaus Huetz (1922-2014).
35. Interrogati, frustati ed incarcerati a Trieste. Francis verrà trasferito a Kaisersteinbruch e Querum. Charles rimase a Kaisersteinbruch. Alla liberazione del campo da parte dei sovietici, fuggì nell’ungherese Debrecen e da là, in aereo, rientrò a Bari a metà aprile del 1945.
36. In un suo recente articolo, frutto di accurate ricerche condotte assieme a Ivo Jevnikar, il Dr. Pirker sostiene che essi e Rudolf Moser Henry, guida austriaca del SOE, siano stati catturati, interrogati ed assassinati dall’OZNA jugoslava a Gorenja Trebuša (Tolmino). Lasciata l’Austria per sfuggire alla Gestapo, essi cercavano di raggiungere le missioni britanniche in Slovenia. Vedi www.aegide.at/files/files/spec%20140418%20-%20seite%20III.pdf.
37. Monte Pala (1.231 metri).
38. Marson 2018.
39. Il Monte Taîet (1.369 metri) ne è di fatto la sommità. I sentieri e le malghe del Monte Rossa furono particolarmente utilizzati dai partigiani della Val d’Arzino e della Val Tramontina nel corso dei rastrellamenti nazifascisti e cosacchi per evitare l’accerchiamento dei reparti ed assicurane l’ordinato ripiegamento ed il trasferimento in altra posizione.
40. Renato Del Din (1922-1944), mortalmente ferito a Tolmezzo il 25 Aprile 1944, Medaglia d’Oro al Valor Militare.
41. Rainiero Persello (1912-1998), originario di Farla (Majano), Medaglia d’Argento al Valor Militare.
42. Martin-Smith 1991.
43. Thomas “Tom” Ivan Roworth (1911-?), dei Royal Engineers, paracadutato sul Monte Joanaz il 20 settembre 1944, a capo della missione Bergenfield.
44. Radiomessaggi di Nicholson alla Base - Archivio Osoppo della Resistenza nel Friuli, V 17.
45. Capitano Michael William Leathes Prior (1910-1978), responsabile della sottomissione Big Bug, alle dipendenze di Nicholson.
46. La parziale ricostruzione dell’itinerario di marcia attraverso il Friuli, la Slovenia e la Croazia si basa in particolare sul Report redatto da Simon a fine missione, sulla testimonianza di Hauber raccolta dal Dr. Pirker nel 2003, sui Weekly Situation Reports della Base Maryland e in Martin-Smith 1991.
47. Gurisatti 2003.
48. Sir Ronald Thomas “Tommy” Stewart Macpherson (1920-2014), scozzese, già nei Queen’s Own Cameron Highlanders e nei Commandos. Jedburgh del SOE, si distinse nelle missioni in Francia e Friuli, diventando uno dei più decorati militari britannici della Seconda Guerra Mondiale.
49. Francesco De Gregori (1910-1945), già capitano degli Alpini, vittima dell’eccidio di Porzûs (7 febbraio 1945), Medaglia d’Oro al Valor Militare.
50. Peter Neil Martin Moore (1911-1992), dei Royal Engineers, reduce di El Alamein. Paracadutato in Jugoslavia nel settembre del 1943, operò in Bosnia, Croazia e Slovenia, incontrando più volte Tito e Kardelj. Vedi la sua Oral history: www.iwm.org.uk/collections/item/object/80011631 Imperial War Museum, London.
51. Owen Perceval Elrington Reed (1910-1997), con il Royal Tank Regiment in Egitto. Venne paracadutato in Jugoslavia nell’Ottobre del 1943, operando a lungo in Croazia e poi in Istria e Slovenia.
52. In particolare quelli di Griblje, Otok (“Piccadilly Hope”), Krasinec (“Piccadilly Hope A”) e Prilozje.
53. Nazionalisti croati, alleati dell’Italia fascista e della Germania nazista, con a capo Ante Pavelić (1889-1959), Poglavnik dell’allora Stato Indipendente di Croazia (Nezavisna Država Hrvatska).
54. Varato nel 1904 come piroscafo Salona, requisito dalla Regia Marina italiana nel 1941 ed utilizzato come incrociatore ausiliario Lubiana in missioni di scorta nell’Adriatico fino all’8 settembre 1943. Diventata nave da trasporto della flotta partigiana jugoslava, affondò il 14 maggio 1945 nella Baia di Buccari (Bakar) a causa di una mina magnetica. Vi perirono il comandante cap. Ljubomir Dorčić, tredici membri dell’equipaggio e tre passeggeri.
55. Alois Bilisics (1913-1971), austriaco di origini croato-ungheresi, l’ulteriore operatore radio per Rudolf, paracadutato in Val Tramontina nella notte tra il 16 ed il 17 novembre 1944.
56. Dopo la sosta presso la missione Coolant, il loro itinerario di marcia ha toccato Pulfero, Savogna, Stregna, Liga, Kanal ob Soči, Kanalski Vrk, Lokovec, Čepovan, la Selva di Tarnova, il Turški Klanec, Predmeja, Ajdovščina, Planina, Vipava, Bukovje, Postojna e la valle del fiume Kupa, prima di raggiungere Črnomelj.
Enrico Barbina e Jurij Cozianin, Op. cit.

venerdì 15 ottobre 2021

Questa mia singolarità doveva essere imbarazzante


Ionesco, in una conversazione con Edith Mora, apparsa nel 1960 e poi raccolta in Note e contronote, ad un certo punto ricorda le sue opere di prosa narrativa: Ho scritto tre racconti, comico-tragici, molto fantastici, come il mio teatro, che sono diventati tre commedie: Amedeo, poi Sicario senza paga e Il rinoceronte. Quando furono scritti, mi resi conto che erano, effettivamente, delle commedie in nuce. Ma un racconto è rimasto tale. Si tratta de Il solitario, 1973, dove il protagonista narra in prima persona la vita che gli capita di vivere, grazie ad un’eredità, dopo un precoce ritiro dal lavoro impiegatizio: dedito all’alcool, scettico sulla politica (“non è il pallone a contare, e quando quelle squadre più grandi che sono le nazioni si scagliano le une contro le altre o le classi sociali si fanno la guerra, non è per ragioni economiche né patriottiche né di giustizia o libertà, ma semplicemente per il conflitto in sé, per il bisogno di farsi la guerra”), ossessionato dal timore di cadere nella noia, l’uomo registra i piccoli avvenimenti della quotidianità, quasi insignificanti (“Attraversai il viale sulle strisce, una ragazza mi urtò con il gomito e si scusò, poi io urtai il gomito di un uomo e mi scusai”) e trascorre una vita oziosa, anonima, insignificante. È un everyman, e ad un certo punto ci mostra un suo autoritratto.

Mi passavo la mano sul viso. Sentivo i peli duri che cominciavano già a imbiancare, mi guardavo e non mi piacevo: il naso era troppo grande, gli occhi di un azzurro slavato, inespressivi, il viso un po’ gonfio, i capelli mal pettinati e troppo lunghi perchè non andavo abbastanza spesso dal barbiere, le orecchie troppo grandi, le rughe nel gonfiore, nessuno era come me, tutti senza dubbio avvertivano che non era come gli altri.

Nessuno è come lui? O tutti sono come lui?

Questa mia singolarità doveva essere imbarazzante. Non che il mio viso avesse qualcosa di anormale. Ero come gli altri e allo stesso tempo non ero come gli altri. Il carattere insolito della mia persona traspariva certo attraverso la pelle. È vero, per strada non mi fissavano, la gente non si voltava a guardarmi. Però, è vero, c’era la portinaia, la vicina con il suo cagnolino, Jeanine, la domestica, che scuoteva spesso il capo guardandomi, e la cameriera del ristorante che aveva nei miei confronti un atteggiamento decisamente particolare, in parte di amicizia, in parte di disprezzo.

ll paese, intanto, è attraversato da scontri violenti, incomprensibili:

«Entri in fretta» mi gridò la cameriera. «Forse domani saremo ancora aperti. Dopodomani è difficile.» Sedetti al mio solito posto. Nella vetrata c’erano fori e grosse incrinature. «Sì» disse «quelli di dentro hanno sparato a quelli di fuori e quelli di fuori ai nostri clienti. Oggi c’è testina di maiale all’aceto.» «Andate via?» «Il proprietario non ha voluto mettersi a fare il capofila della rivoluzione. Non ne ha più l’età. E poi non è sicuro di vincere. Allora, ce l’hanno con lui. »

«Se fossero rivoluzionari veri» disse il proprietario sopraggiunto in quel momento «forse andrei ad aiutarli. Ma in realtà sono reazionari.» «E i loro avversari?» «Sono reazionari anche quelli. Sono due bande di reazionari. Una pagata dai lapponi, l’altra dai turchi.»

Tutto verrà distrutto, e poi inizierà l’opera di ricostruzione (a cui seguirà, viene subito da pensare, un’ennesima opera di distruzione). In questa vita che procede in modo insensato non si intravede speranza di salvezza, se non in una sorta di visione celestiale, che conclude la narrazione:

Avrei potuto toccare il cespuglio, la scala. La luce era molto forte, ma non faceva male agli occhi. Gli scalini brillavano. Il giardino si avvicinava a me, mi circondava, ne facevo parte, ero al centro. Passarono anni, o secondi. La scala si avvicinò a me. Si fermò quando era quasi sopra la mia testa. Passarono anni, o secondi. Poi tutto si allontanò, sembrò dissolversi. La scala scomparve, poi il cespuglio, gli alberi. Poi le colonne con l’arco trionfale. Qualcosa di quella luce che era penetrata in me rimase. Pensai che era un segno.

Che Ionesco sia un miscredente nei confronti della storia lo sappiamo da sempre: “Esiste un mito della storia che sarebbe ora di«demitizzare», per usare una parola alla moda. Infatti sono sempre state alcune coscienze isolate a rappresentare, contro tutti, la coscienza universale”, dice in un’altra pagina delle Note, conversando con Claude Sarraute. Ed è proprio all’inizio di questo dialogo che Ionesco esprime una sua visione dei conflitti umani, che sembra un commento - anticipato, perché siamo qui nel gennaio 1960 - alle descrizione dei disordini politici nel Solitario:

Ricordo d’essere sempre stato colpito nel corso della mia vita da quelli che si potrebbero chiamare movimenti d’opinione, dalla loro rapida evoluzione, a cui forza di contagio uguaglia quella di una vera e propria epidemia. Improvvisamente la gente si lascia sopraffare da una religione, una dottrina, un fanatismo nuovi, insomma da ciò che i professori di filosofia e i giornalisti con pretese filosofiche chiamano «l’esigenza del momento storico». Assistiamo allora ad una vera mutazione mentale. Non so se l’ha notato, ma quando le persone non condividono più la nostra opinione, quando non possiamo più interderci con loro abbiamo l’impressione di aver a che fare con dei mostri.

E in Chi osa non odiare diventa un traditore, sempre nelle Note, infine:

Mi sembra che oggi come sempre le religioni e le ideologie non siano e non siano mai state altro che alibi, maschere, pretesti di questa volontà di assassinio. Dell’istinto di distruzione, di un’aggressività fondamentale, dell’odio profondo che l’uomo nutre verso l’uomo […] I guardiani della società hanno isti-tuito i bagni penali, i nemici della società assassinano: credo persino che i bagni penali siano apparsi prima ancora dei delitti. Non dico nulla di nuovo se dichiaro di temere coloro che desiderano ardentemente la salvezza o la felicità dell’umanità. Quando vedo un missionario, fuggo come quando vedo un criminale demente armato di pugnale. Si dirà che oggi «bisogna scegliere». «Bisogna scegliere il male minore. Ha più valore ciò che va nel senso della storia»: ma dov’è il senso della storia? Io credo che questo sia un nuovo inganno, una nuova giustificazione ideologica dello stesso impulso all’assassinio: poiché in questo modo si è «impegnati», e si ha una ragione più sottile di patteggiare o di iscriversi nell’uno o nell’altro partito di massacratori.

Si può essere d’accordo in tutto, in parte o per nulla con le posizioni di Ionesco. Ma il suo anarchismo disperato è puro e sincero. In questo cupo inizio millennio dove ci si continua a uccidere in nome dei “grandi ideali”, dove l’ipocrita slogan della fine delle ideologie si accompagna ad eccidi e tirannie motivati da forti e folli e torve e ridicole giustificazioni ideologiche (costruite con associazioni concettuali arbitrarie e falsi sillogismi e apposizioni acritiche di pochi elementi rigidi, pseudo-esplicativi), dove, in molti casi, si è astanti di una degenerazione dell’intelligenza in rigidità e stupidità, dove ancora gli stati nazionali sono retti da retorici discorsi sull’amor di patria e sui sacri valori, ec., bene, non possiamo non amare Ionesco. I nichilisti ci aiutano a mantenerci sempre in dubbio, a cercare altrove, a non cadere nei dogmatismi. Non è poco, anzi, è moltissimo.

Marco Innocenti, Ionesco il solitario in IL REGESTO (Bollettino bibliografico dell’Accademia della Pigna - Piccola Biblioteca di Piazza del Capitolo), Sanremo (IM), anno X, N° 4 (40), ottobre-dicembre 2019

[Marco Innocenti è autore di diverse opere, tra le quali: articoli in Mellophonium; Verdi prati erbosi, lepómene editore, 2021; Libro degli Haikai inadeguati, lepómene editore, 2020; Elogio del Sgt. Tibbs, Edizioni del Rondolino, 2020; Flugblätter (#3. 54 pezzi dispersi e dispersivi), Lo Studiolo, Sanremo (IM), 2019; articoli in Sanremo e l'Europa. L'immagine della città tra Otto e Novecento. Catalogo della mostra (Sanremo, 19 luglio-9 settembre 2018), Scalpendi, 2018; Flugblätter (#2. 39 pezzi più o meno d'occasione), Lo Studiolo, Sanremo (IM), 2018; Sandro Bajini, Andare alla ventura (con prefazione di Marco Innocenti e con una nota di Maurizio Meschia), Lo Studiolo, Sanremo, 2017; La lotta di classe nei comic books, i quaderni del pesce luna, 2017; Sanguineti didatta e conversatore, Lo Studiolo, Sanremo (IM), 2016; Sandro Bajini, Libera Uscita epigrammi e altro (postfazione di Fabio Barricalla, con supervisione editoriale di Marco Innocenti e progetto grafico di Freddy Colt), Lo Studiolo, Sanremo, marzo 2015; Enzo Maiolino, Non sono un pittore che urla. Conversazioni con Marco Innocenti, Ventimiglia, Philobiblon, 2014; Sandro Bajini, Del modo di trascorrere le ore. Intervista a cura di Marco Innocenti, Ventimiglia, Philobiblon, 2012; Sull'arte retorica di Silvio Berlusconi (con uno scritto di Sandro Bajini), Editore Casabianca, Sanremo (IM), 2010; articolo in I raccomandati/Los recomendados/Les récommendés/Highly recommended N. 10 - 11/2013; Prosopografie, lepómene editore, 2009; Flugblätter (#1. 49 pezzi facili), lepómene editore, 2008; C’è un libro su Marcel Duchamp, lepómene editore, Sanremo 2008; con Loretta Marchi e Stefano Verdino, Marinaresca la mia favola. Renzo Laurano e Sanremo dagli anni Venti al Club Tenco. Saggi, documenti, immagini, De Ferrari, 2006]

venerdì 8 ottobre 2021

Circa le controverse azioni dei servizi statunitensi in Italia durante la guerra

William Donovan

L’OSS (Office of Strategic Services) era appunto l’organizzazione, come dice la sigla, dei servizi segreti americani (dalla quale sarebbe nata la CIA) con vari compiti di spionaggio, per effettuare distruzioni infiltrando esperti in esplosivi oltre le linee, aiutare i partigiani con danaro e con aviolanci di armi e munizioni, indirizzarli sugli obiettivi e coordinarne l’attività di guerriglia specialmente nelle retrovie del fronte, e per stabilire contatti con le strutture politiche clandestine.
L’idea era stata di un avvocato, William J. (Bill) Donovan, amico di Roosevelt che, approvandola - siamo nel dicembre del 1941, pochi giorni dopo Pearl Harbor - lo nominò, seduta stante, colonnello (e poco dopo generale di divisione).
Tompkins ne accenna nei suoi libri Una spia a Roma e L’altra Resistenza (editore Il Saggiatore) dicendo che gli americani, contrariamente agli inglesi, non si erano dotati sino a quel momento di un servizio efficiente di spionaggio, nonostante il riarmo del Giappone, l’espansione aggressiva in Asia, e la sua alleanza con la Germania nazista e l’Italia fascista rappresentassero un pericolo per la pace nel mondo e una minaccia per gli Stati Uniti.
Racconta poi diffusamente, con dovizia di particolari, le vicende che lo hanno visto protagonista della lotta di Liberazione, non solo per amore della libertà ma anche del nostro Paese.
Si tratta di narrazioni basate rigorosamente sui fatti accaduti, ma scritte con il piglio del romanziere, rendendo difficile interrompere, tanto appassionano, la lettura (e anche la rilettura) una volta cominciata.
[...] Quanto scrive, ad esempio, Donald Downes nella prefazione alla prima edizione di Una spia a Roma lascia davvero perplessi se non allibiti.
Downes non era uno qualunque. Consigliere di Roosevelt alla Casa Bianca, professore nell’università di Yale, era a capo del gruppo OSS aggregato al corpo di spedizione sbarcato a Salerno il 9 settembre 1943, all’indomani dell’annuncio dell’armistizio. Si sarebbe dimesso dopo pochi giorni non approvando il sostegno degli Alleati a Vittorio Emanuele III e a Badoglio. Afferma tra l’altro: «In Peter Tompkins la mancanza di fiducia e di rispetto nei superiori immediati dell’OSS era giustificata dalla confusione, dall’inesperienza e dalla incompetenza degli ufficiali più alti dei servizi informativi che operavano presso il quartier generale delle forze alleate». Tra gli agenti reclutati - aggiunge - «c’erano scarti della Marina e del Dipartimento di Stato, playboys, rampolli cretini di famiglie ricche e politicamente importanti e così via. Peter lo sapeva benissimo ed è comprensibile la sua rabbia nel trovarsi a rischiare la vita per un’organizzazione incapace di trarre profitto dal suo sacrificio».
Un altro motivo che induce a riflettere sullo scarso rilievo dato dai dirigenti dell’OSS all’attività di Tompkins prima, durante e dopo, la missione compiuta a Roma, e sulla ostilità verso di lui mai venuta meno in tanti anni da parte del Pentagono e del Dipartimento di Stato, va ricercato nelle posizioni politiche che dividevano i membri dell’organizzazione spionistica e di appoggio ai partigiani. Occorre rifarsi anche alla complessa situazione di allora, ai rapporti degli Alleati (non concordi tra loro) nei confronti del governo italiano riformatosi a Brindisi dopo l’8 settembre, diventato “cobelligerante” dopo la dichiarazione di guerra alla Germania (e pertanto non alla pari con le nazioni impegnate nel conflitto).
Basti dire che la Resistenza italiana aveva suscitato, sin dalle prime battaglie di militari e civili contro l’aggressione tedesca seguita all’armistizio - emblematica quella di Roma - la netta avversione di Vittorio Emanuele III (in certo modo “perdonato” e sostanzialmente sostenuto da Churchill) timoroso che il movimento popolare armato, diretto dai partiti politici in maggioranza contrari alla monarchia (sia per il tipo di regime sia per le complicità con il fascismo), segnasse la fine dell’istituzione e con essa il ruolo dei Savoia.
Questo timore, del resto più che fondato, spinge Badoglio ad inviare una circolare, primo destinatario il colonnello Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, che aveva costituito nella capitale il Centro Militare Clandestino. Nella circolare lo Stato Maggiore italiano dichiarava impossibile la guerriglia nel nostro Paese, soprattutto per ragioni orografiche, dando carattere restrittivo all’attività di opposizione ai nazifascisti, limitandola alla costituzione di servizi di spionaggio e, una volta giunti gli Alleati a liberare le località, a collaborare con loro per mantenere l’ordine pubblico.
Va subito detto che tali disposizioni vennero di fatto respinte dai militari che entrarono a far parte delle unità partigiane costituite sotto l’egida dei partiti, o a carattere autonomo.
Badoglio aveva però un altro obiettivo, una volta sconfessata inizialmente la Resistenza in quanto lotta di popolo: ricostituire le forze armate facendole partecipare alla guerra con la propria identità nazionale, inserite in quelle angloamericane.
Ci sarebbe riuscito con la formazione del CIL (Corpo Italiano di Liberazione), ma mentre lo progettava ecco entrare nel gioco, scompigliandolo, Peter Tompkins.
Questi, sbarcato a Salerno alla fine di settembre ’43 - dopo aver svolto un intenso lavoro di intelligence interrogando prigionieri italiani in Grecia, in Kenya, nell’Africa del Nord e reclutando per l’OSS italiani sicuramente antifascisti nei campi di concentramento in Algeria e tra i rifugiati fuggiti dall’Italia (come Velio Spano, arruolatosi in Tunisia) - si era incontrato con Raimondo Craveri proteso, anche per mandato di Ugo La Malfa, a costituire una organizzazione italiana con le medesime funzioni e finalità dell’OSS, alle dipendenze del comando americano. L’idea prese maggiore forza lasciando sperare che si potesse giungere alla costituzione di una consistente unità militare di italiani sotto il comando americano, indipendente dall’esercito nazionale (che Badoglio stava riorganizzando). Craveri, per avere credito presso gli Alleati, poteva contare su una personalità di primo piano, concordemente stimato, Benedetto Croce, di cui aveva sposato la figlia Elena. Con Croce, lui e Tompkins si incontrarono a Capri. Studiarono i particolari dell’operazione, individuarono il comandante dell’unità nel generale Pavone. Ma Badoglio, informato di tutto, l’ebbe vinta, col sostegno del governo inglese, facendo annullare l’impresa di Craveri e Tompkins sul nascere.
Anche se Donovan aveva incoraggiato l’iniziativa, i vertici dell’OSS ne denunciarono l’improvvisazione.
Secondo loro Tompkins era un battitore libero, poco incline a rispettare ordini e disciplina.
Tompkins non si dette per vinto. Ritornati al progetto originario, Craveri e Tompkins costituirono l’ORI (Organizzazione Resistenza Italiana), un’appendice dell’OSS composta da volontari italiani che opereranno sul terreno del nemico anche autonomamente ma sempre in stretto contatto con il comando dell’OSS o inseriti nelle missioni americane anche con funzioni di comando.
Tompkins ha raccontato nei suoi libri, come abbiamo scritto, gli episodi che segnarono l’avvio delle attività dell’OSS mettendo in rilievo le difficoltà incontrate con i capi dell’organizzazione, tacciandoli di ipocrisia, malafede e incapacità a capire il significato unitario del CLN che metteva al riparo la Resistenza italiana dalle divisioni che avevano insanguinato altrove i movimenti di guerriglia antinazista. In un convegno a Venezia (17-18 ottobre 1994) pronunciò contro di loro parole durissime, denunciandone l’ambiguità. Se da una parte - disse - combattevano il nemico utilizzando agenti sinceramente democratici, dall’altra - accusò - salvavano i fascisti della X MAS «con Valerio Borghese, per costituire poi, con loro, “Gladio”, per fare la guerra anticomunista e, con il generale Wolf, capo delle SS, salvare i nazisti in Germania. Perché avevano la trista idea che il comunismo staliniano si doveva combattere con il fascismo e il neofascismo e non con la saggia democrazia».
Quanto disse a Venezia Tompkins ci sollecita, come abbiamo scritto, a compiere nuove ricerche sui rapporti dei servizi segreti americani e quelli italiani sin dalla guerra di Liberazione, anche se la parte più inquietante ci porterebbe al lungo periodo successivo della “guerra fredda”, dello “stragismo”, delle collusioni di organi dello Stato - i “servizi deviati” - col terrorismo nero.
Per quanto riguarda l’OSS e la guerra di Liberazione - non essendo ancora l’OSS diventato CIA - non possiamo però farci fuorviare, nel giudizio complessivo, dalle critiche, benché legittime, rivolte a taluni dei suoi esponenti. Su ciò anche Tompkins era perfettamente d’accordo.
L’apporto dell’OSS alla guerra di Liberazione in Italia è stato di straordinaria importanza, il comportamento delle missioni il più delle volte eroico, sino all’estremo sacrificio, fossero i componenti cittadini americani o italiani (dell’ORI, o diversamente arruolati).
Questo sentimento di riconoscenza, condiviso da tutti partigiani non importa di quale colore, e dagli storici i più accreditati, si accompagna alla gratitudine che nonostante sia passato tanto tempo il popolo italiano conserva verso quello americano, indipendentemente dalle valutazioni sulla politica contingente della Casa Bianca, con la coscienza di essergli debitore, con le altre nazioni componenti le armate alleate, delle libertà democratiche.
Il servizio reso sul piano strategico alle operazioni militari alleate dall’OSS e il sostegno alle unità partigiane non possono essere sottovalutati a causa, come abbiamo scritto, di posizioni diverse all’interno dell’organizzazione tra chi, in sintonia con gli inglesi responsabili del SOE (Special Operations Executive), vedeva nel Partito Comunista Italiano e conseguentemente nelle brigate Garibaldi, un pericolo potenziale per la democrazia da instaurare in Europa a vittoria ottenuta, e chi, come Tompkins, anche senza aderire all’ideologia marxista e anzi essendone decisamente contrario, riteneva doveroso riconoscere sia al PCI che alle formazioni da questo dipendenti - “brigate Garibaldi”, GAP, SAP - e alle sue organizzazioni di massa - “Gruppi di Difesa della Donna”, “Fronte della Gioventù” - motivazioni prevalentemente patriottiche, con una forte, insopprimibile vocazione alla libertà, difficilmente conciliabile quindi con il disegno autoritario rappresentato dallo stalinismo.
Se le diatribe all’interno dell’OSS non portarono alle discriminazioni - che per buona parte della guerra partigiana, tranne un ripensamento nella fase finale, videro gli inglesi del SOE rifornire dal cielo di armi e munizioni preminentemente le unità degli “Autonomi”, di “Giustizia e Libertà”, i verdi e azzurri della Democrazia Cristiana, e in certa misura anche quelle socialiste, le “Matteotti”, lesinando se non rifiutando gli aiuti alle “Garibaldi” (ne fui testimone, capo di Stato Maggiore della Prima Divisione Garibaldi, in Piemonte) - lo si deve soprattutto allo spirito di giustizia e verità che ebbe il sopravvento sulle valutazioni ideologiche arbitrarie, e ciò principalmente per merito dei capi missione, americani e italiani (tra costoro vogliamo ricordare Piero Boni e Ennio Tassinari), i migliori interpreti della realtà anche politica “sul campo”.
Certamente Peter Tompkins ha sofferto personalmente di tale situazione contraddittoria, arbitrariamente imputato (con altri dell’OSS che avevano partecipato alla guerra di Spagna nelle Brigate Internazionali) di filocomunismo, e perciò volutamente screditato a tal punto che un esponente di primo piano dell’OSS, Max Corvo - autore di un libro oltremodo documentato e suggestivo La campagna d’Italia dei servizi segreti americani. 1942-1945 (Libreria Editrice Goriziana) - dedica alla sua missione a Roma poche righe, dicendolo «intrappolato nella rete di intrighi e rivalità intestine del CLN» e attribuendo ad altri il merito dell’attività di spionaggio durante la battaglia per Roma seguita allo sbarco di Anzio, specialmente elogiando agenti dei servizi segreti italiani (SIM), facenti capo a “Scamp” (Vincent Scamporino), alcuni dei quali Tompkins sospettava di essere in contatto e combutta con i servizi segreti fascisti.
La verità sul peso strategico che ebbero le informazioni di Tompkins - assolvendo in modo davvero meritorio, oltre le aspettative, ai compiti per i quali era stato inviato segretamente a Roma alla vigilia dello sbarco di Anzio - ci viene da fonti inoppugnabili, oltre che dai documenti reperibili nell’Archivio di Stato Americano, NARA (National Archives and Records Administration): dalle testimonianze di personalità della Resistenza romana che collaborarono con lui, come Giuliano Vassalli, comandante delle brigate “Matteotti” nella Capitale, poi arrestato e rinchiuso in via Tasso, cui Tompkins dovette la vita avendo Vassalli resistito alla tortura senza rivelare dove si nascondeva il capo missione americano.
Vassalli, poi ministro di Grazia e Giustizia, Presidente della Corte Costituzionale, introducendo la seconda edizione del libro Una spia a Roma, riconosce «le straordinarie doti di coraggio, perspicacia, intelligenza, patriottismo di Peter Tompkins (…). Ai miei occhi ebbe il merito di non lasciarsi menomamente indurre ad una aprioristica diffidenza verso le forze politiche di sinistra, nutrita invece da alcuni ambienti del suo Paese e dalla stessa organizzazione di cui faceva parte…».
Vassalli (uno tra i principali promotori della fuga di Pertini, Saragat e altri da Regina Coeli il 24 gennaio ’44), prima dell’arresto, era a capo di una rete che forniva le informazioni a Tompkins per essere inviate al quartier generale alleato mediante una trasmittente spostata frequentemente da un luogo clandestino all’altro per renderne difficile l’individuazione. Un’altra rete era organizzata da Franco Malfatti, anche lui socialista, con l’aiuto di un medico, Lele Crespi, una terza da un ufficiale che si era appositamente arruolato nella polizia fascista, Maurizio Giglio, cui era affidata anche una trasmittente installata su un barcone in riva al Tevere. Giglio, catturato in seguito ad una delazione, la radio sequestrata e usata dai tedeschi per inviare false notizie agli angloamericani, morirà alle Ardeatine, Medaglia d’Oro al Valor Militare.
Descrivere la battaglia per Roma sui due fronti del Garigliano e di Anzio per individuare il ruolo che vi ebbero i servizi di informazione alleati (tra questi non sufficientemente ricordato il gruppo di sabotaggio e raccolta di informazioni, la missione “Texas”, comandata da Alfredo Michelagnoli “Fred”, paracadutato in febbraio sui monti tra Lazio e Abruzzo) comporterebbe l’uso di uno spazio non consentito da una pubblicazione periodica come questa, per quanto dedicata anche agli approfondimenti storici.
Basterà dire che l’attesa spasmodica protrattasi dalla fine di gennaio ai primi di giugno ’44, la convinzione che la liberazione potesse avvenire da un momento all’altro, la pressione degli Alleati sulla Resistenza perché intensificasse le azioni impegnando quante più forze tedesche, altrimenti inviate sul fronte di Anzio, nella guerriglia cittadina (l’attacco militare dei GAP Centrali in via Rasella obbedì a tale esigenza e alle reiterate richieste angloamericane) sono elementi che, combinati tra loro, ci spiegano come da una parte, quella delle formazioni partigiane, venissero trascurate in quei momenti convulsi le norme che garantivano la clandestinità delle organizzazioni; dall’altra, quella nazifascista, si intensificassero le retate e soprattutto le infiltrazioni tra i partigiani di provocatori e spie.
Tanto da rendere difficile se non impossibile, distrutti quasi per intero i quadri dirigenti della Resistenza romana, o costretti ad abbandonare la città, organizzare l’insurrezione in concomitanza con l’arrivo degli Alleati. E ciò a complemento delle decisioni anche del CLN a seguito dei colloqui tra Pio XII e Karl Wolf (plenipotenziario di Himmler) per evitare che la battaglia finale per Roma, dalle conseguenze terrificanti, si svolgesse sin dentro le mura.
I documenti relativi all’ultima fase dei combattimenti seguiti allo sbarco di Anzio testimoniano numero, intensità, esiti delle azioni di sabotaggio dei partigiani lungo le vie di rifornimento in parallelo all’attività informativa. Impossibile, scrive più volte Tompkins - ed era solito ripetere queste parole, come abbiamo detto, nei discorsi pubblici - senza le donne, gli uomini, i ragazzi, molti dei quali caduti tra i due fuochi o fucilati dai tedeschi, che gli fornivano tempestivamente informazioni e dati perché artiglieria e aviazione degli Alleati colpissero gli obiettivi nemici, reparti in marcia e nei ridotti difensivi o accasermati, apprestamenti, depositi di munizioni e carburanti. E non solo quando l’offensiva alleata consentì la saldatura tra le truppe provenienti da Anzio con quelle dal fronte del Garigliano, ma prima, nei momenti più drammatici, quando la testa di ponte rischiò il fallimento, il corpo di spedizione l’annientamento, i superstiti di essere ributtati in mare.
Massimo Rendina, E il maggiore Tompkins sempre insieme ai partigiani, Patria Indipendente, n° 2,  febbraio 2007
 
Nel suo complesso, dunque, gli Alleati, e soprattutto gli inglesi, considerarono sempre come controparte legittima e affidabile la Monarchia e il Governo Badoglio, mentre si rifiutarono di vedere, almeno sino agli accordi del dicembre 1944, quali interlocutori politici il CLN e il suo rappresentante nell’Italia settentrionale, il Comitato di Liberazione Nazionale per l’Alta Italia, a maggior ragione, ove si consideri che alcuni suoi membri quali, ad esempio, il socialista Sandro Pertini ritenevano che il CLNAI non dovesse assumersi la responsabilità dell’armistizio perché non aveva quella della guerra. Tale contrapposizione ideologica fu ben chiarita da Edgardo Sogno, figura eccentrica della Resistenza italiana, il quale collaborò con il SOE, consapevole del fatto che: "Gli Inglesi non ci rimproverano il fascismo, ci rimproverano di aver fatto la guerra. E in questo fatto della guerra sentono che la colpa è tutta nostra. Gli antifascisti considerano invece la guerra come una conseguenza del fascismo, rimproverano agli Inglesi di avere appoggiato il fascismo, quando loro l’hanno combattuto, e si sentono quindi in credito anche verso gli Inglesi".
A tal proposito, sintomatica di tale contraddizione appare una lettera del 13 settembre 1943 che il luogotenente colonnello Cecil Roseberry, capo della Sezione italiana (J Section) del SOE, inviava all’agente, maggiore Max Salvadori, appena sbarcato a Salerno, nella quale gli si comunicavano gli ordini dello Stato Maggiore Militare britannico con riguardo ai rapporti da osservare con gli antifascisti e, in particolare, con i suoi "vecchi amici" di Giustizia e Libertà (GL). In sintesi, l’ordine era di non incoraggiare ‹‹gli agitatori politici›› ovvero alcuna ‹‹strategia rivoluzionaria›› o ‹‹movimento politico››: l’organizzazione doveva, da un lato, assistere il Movimento della Resistenza nel compimento di operazioni speciali oltre le linee nemiche e, dall’altro, mantenere la collaborazione ufficiale con il Governo e l’esercito italiano per il compimento di azioni militari contro la Germania, da svolgersi avvalendosi di ‹‹fidato personale militare (e non di certo operante come militare)››, ed era  ‹‹d’obbligo usare una buona dose di tatto e discrezione››, affinché l’agenzia segreta inglese non rischiasse di ‹‹compromettersi agli occhi dello Stato Maggiore italiano››, così concludendo: "C’è un solo nemico ora; Il Fascismo è morto e noi e gli Italiani dobbiamo essere uniti per liberarci dei Tedeschi. Non può esserci pace in Italia sino a quando non vi sarà pace in Europa".
Michaela Sapio, Servizi e segreti in Italia (1943-1945). Lo spionaggio americano dalla caduta di Mussolini alla liberazione, Tesi di Dottorato, Università degli Studi del Molise, 2012
 
Peter Tompkins (che dell’OSS fu uno dei membri più importanti ed attivi) afferma che la politica britannica era favorevole alla ristabilizzazione di una monarchia liberale in Italia e voleva impedire che in Italia vi fosse un vero e proprio cambiamento dovuto al fatto che la Resistenza al Nord era sempre più politicamente orientata a sinistra; temendo una ripetizione della situazione greca, le autorità britanniche decisero di sostenere esclusivamente la Resistenza militare e monarchica (le formazioni autonome del generale Cadorna) e pertanto il SOE prese contatti con i servizi del Regno del Sud: il SIM con i suoi residuati fascisti. Churchill inviò a Brindisi uno “sciame di servizi segreti” che però non essendo ancora disposti a recarsi oltre le linee si appoggiarono al SIM, su disposizione di Alexander.
A Brindisi Badoglio cercò di convincere gli inglesi che la resistenza nell’Italia occupata dai tedeschi era organizzata in gran parte da personale del disciolto esercito regolare con il quale i monarchici affermavano di essere in contatto grazie a un canale radio segreto del SIM. Badoglio e il re con l’arma del SIM intendevano impedire la formazione di un movimento armato antifascista nell’Italia occupata dai tedeschi, per mantenere solo quello che richiedevano gli inglesi, cioè “piccoli gruppi di agenti adibiti unicamente ad operazioni di sabotaggio e di ricerca di informazioni militari”: in pratica la Special force creata dall’Intelligence service.
Claudia Cernigoi, Alla ricerca di Nemo. Una spy- story non solo italiana, La Nuova Alabarda e la Coda del Diavolo, supplemento al n. 303, Trieste, 2013


L’O.S.S. ottenne anche di poter impiegare un sommergibile italiano per le missioni di sbarco in Adriatico. Inoltre, per diretto intervento del generale Donovan, capo dell’O.S.S., fu deciso l’invio a Roma del giornalista Peter Tompkins, facente parte dell’ala moderata dell’O.S.S. In imminenza dello sbarco ad Anzio, Tompkins, con un agente emiliano di sua fiducia, fu trasportato da un velivolo B-26 fino a Campo Borgo, in Corsica, vicino a Bastia, ove armato di Beretta calibro 9, con 300 sovrane d’oro, i codici segreti e i quarzi per la radio e una macchina fotografica Minox, imbarcò sulla sezione dei due MAS 541 e 543 italiani assegnati alla missione. Costeggiata l’Isola d’Elba, i due MAS sbarcarono, all’alba del 20 gennaio, il gruppo circa 30 km a nord di Tarquinia (probabilmente alla foce del Fosso Tafone). Lo sbarco avvenne con battellino di gomma giallo, che veniva destinato allo scopo, sul quale prendevano posto tre persone, di cui una destinata a riportare indietro il battellino. Con un’automobile guidata da italiani percorsero l’Aurelia, per giungere a Tarquinia e deviare per la Cassia, in direzione di Viterbo, riuscendo a raggiungere Roma, ove presero contatto con il gruppo inviato in precedenza e con Franco Malfatti, già assegnato alla commissione italiana di armistizio con la Francia e poi funzionario del S.I.M., nel periodo del governo Badoglio. Tompkins incontrò anche elementi del C.L.N.
Giuliano Manzari, La partecipazione della Marina alla guerra di liberazione (1943-1945) in Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare, Periodico trimestrale, Anno XXIX, 2015, Editore Ministero della Difesa

C’era poi una terza missione, denominata in codice Greenbriar, destinata anch’essa alla zona di Salerno. La componevano gli uomini del progetto McGreggor agli ordini di John Shaheen; anche con loro c’era un operatore radio che li avrebbe tenuti in contatto con il nostro comando di Palermo per mezzo di una radio da campo SSTR-1. L’operatore radio era Peter Tompkins, arrivato al SI [Servizio informazioni dell'OSS] dalla sezione guerra psicologica, PWB. Essendo vissuto in Italia prima della guerra Tompkins parlava bene l’italiano. Ormai le trattative per l’armistizio non erano più un segreto, ma Shaheen continuò a perseguire il suo obiettivo fino all’ultimo, cercando di mettersi in contatto con l’Ammiraglio Girosi per far uscire l’Italia dal conflitto […] All’insaputa di Huntington, Peter Tompkins ed alcuni altri elementi ai suoi ordini facevano un tipo di politica che non piaceva né agli Inglesi, né ad alcuni degli ufficiali italiani che erano in contatto con l’OSS. Questi ufficiali erano offesi dalle pesanti critiche mosse al governo Badoglio e dai continui dubbi espressi sulla fedeltà e sulla competenza degli uomini assegnati alle attività di spionaggio.
Max Corvo, La campagna d’Italia dei servizi segreti americani 1942-1945, Libreria Editrice Goriziana, 2006

Posti alle dipendenze del Corpo d'armata francese di Juin, e successivamente di quello polacco di Anders, gli italiani del ribattezzato CIL (Corpo Italiano di Liberazione) si dimostrarono all'altezza delle altre truppe. Avevano avuto l'apporto di un battaglione di alpini, uno di arditi, uno di bersaglieri, uno di marinai da sbarco. Quindi si aggiunse loro il grosso della divisione paracadutisti Nembo, proveniente dalla Sardegna. Sulla efficienza bellica di questa unità non v'erano dubbi: ve n'erano invece - e gli inglesi li affacciarono ostinatamente - sulla sua affidabilità politica. Era avvenuto infatti che dopo l'armistizio un battaglione della Nembo, per sollecitazione dei suoi ufficiali, fosse passato ai tedeschi, che successivamente lo impiegarono al fronte (dove si comportò eccellentemente). Altrettanto bene si batterono poi in campo opposto, nonostante i dubbi inglesi, i battaglioni rimasti fedeli al Re. Il che dimostra che nelle truppe speciali lo spirito di corpo e il sentimento dell'onore stanno molto al di sopra dell'ideologia. Da cinquemila che erano nel raggruppamento motorizzato, i combattenti italiani diventarono così 15 mila: poca cosa nel complesso di una forza militare imponente, ma abbastanza per attestare che c'erano ancora in Italia dei giovani disposti a rischiare la vita per la loro bandiera. Umberto di Savoia avrebbe voluto assumere il comando del CIL, ma la Commissione alleata di controllo glielo vietò con pretesti burocratici - un generale d'armata (per la precisione Umberto era maresciallo d'Italia ma non ne portava i gradi, N.d.A.) non poteva essere messo a capo di quella che in sostanza non era che una divisione - che mascheravano ragioni politiche. Il Principe si disse disposto a essere retrocesso a generale di divisione o a colonnello ma, ha scritto Leandro Giaccone nel suo Ho firmato la resa di Roma, «neppure questo modesto obolo fu concesso al regale mendicante d'onore».
Indro Montanelli - Mario Cervi, Storia d'Italia. L'Italia della guerra civile. Dall'8 settembre 1943 al 9 maggio 1946, Rizzoli, 1983

La carriera di James Angleton era iniziata un anno prima, quando era stato nominato nel novembre del '44 dirigente della sezione romana del controspionaggio americano - chiamata Special Counter Intelligence/Unit Z (SCI/Z) -, mentre il 25 aprile del 1945 venne promosso capo di tutto il settore del controspionaggio, denominato X-2, nella penisola <326.
Nell’autunno del ’44 la nomina di Angleton a capo della sezione romana comportò un netto cambiamento nella politica e nel tipo di operazioni condotte dal servizio segreto americano in Italia. Voluta tanto dal generale Donovan quanto dai vertici dei servizi segreti inglesi, con cui l’Oss collaborava, la nomina di Angleton era una mossa decisa da entrambi in direzione di un orientamento in senso anticomunista dell’azione dell’Oss: l’ufficiale della sezione X-2 dell’intelligence statunitense era noto per le sue posizioni fortemente anticomuniste e per le sue amicizie e simpatie negli ambienti fascisti. Egli infatti era cresciuto a Milano, e prima di frequentare l’università di Yale aveva mantenuto stretti rapporti con l’entourage fascista della città <327. Grande ammiratore di Ezra Pound, era convinto che il male assoluto fosse rappresentato dall’Unione Sovietica, e che l’avanzata di questa verso l’Europa centrale fosse il preludio per una diffusione del comunismo in tutto il continente, da cui poi si sarebbe propagato nel mondo <328.
La sua propensione a ragionare in termini antisovietici aveva favorito la preferenza nei suoi confronti da parte dei vertici dell’intelligence inglese, all’epoca della sua formazione tra i ranghi della dirigenza Oss a Londra, al punto che venne ammesso nella “ristrettissima cerchia di coloro che avevano accesso alle informazioni di Ultra [il codice di decriptazione dei messaggi segreti del Reich, n.d.a.], unico non britannico” <329.
Da poche settimane alla guida della sezione di controspionaggio a Roma, alla fine di dicembre del ‘44 il giovane Angleton aveva cominciato ad occuparsi delle trattative con il comandante della Decima Mas. Il principe Junio Valerio Borghese, che al comando del suo corpo d'assalto della Marina dopo l'8 settembre aveva aderito alla Rsi <330, si stava organizzando per sopravvivere dopo la sconfitta con una parte della sua organizzazione.
[NOTE]
326 Cfr. T. Mangold, Cold Warrior. James Jesus Angleton: the CIA's Master Spy Hunter, New York, Simon & Schuster, 1991, p. 43. Alcuni anni più tardi, nel 1953, Angleton divenne direttore dell’intero controspionaggio statunitense, raggiungendo i massimi livelli del potere politico-militare. Filoisraeliano, ebbe poi modo di curare la fondazione del Mossad (Cfr. M. Del Pero, Gli Stati Uniti e la "guerra psicologica" in Italia. 1948-1956, in "Studi Storici", 1998, n. 4, p. 959).
327 Cfr. T. J. Naftali, “ARTIFICE: James Angleton and X-2 Operations in Italy”, in G. C. Chalou (a cura di), The Secrets War. The Office of Strategic Services in World War II, Washington DC, National Archives and Records Administration, 1992, pp. 218-219.
328 Cfr. T. Mangold, Cold Warrior, cit., pp. 35-36.
329 P. Tompkins, L’altra Resistenza. Servizi segreti, partigiani e guerra di Liberazione nel racconto di un protagonista, Milano, Il Saggiatore, 2005, p. 407; cfr. a questo proposito anche l’articolo di T. J. Naftali, “ARTIFICE: James Angleton and X-2 Operations in Italy”, in G. C. Chalou (a cura di), The Secrets War, cit., pp. 222-223.
330 Sul ruolo e la figura di Borghese durante il periodo della Repubblica sociale cfr. L. Ricciotti, La Decima Mas, Milano, Rizzoli, 1984, pp. 13-43; F. W. Deakin, La brutale amicizia: Mussolini, Hitler e la caduta del fascismo italiano, cit., pp. 804-805, 876; e L. Ganapini, La repubblica delle camicie nere, Milano, Giunti, 2002, pp. 60-62.
Siria Guerrieri, Obiettivo Mediterraneo. La politica americana in Europa Meridionale e le origini della guerra fredda. 1944-1946, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Roma "Tor Vegata", Anno accademico 2009/2010 

Dopo l’armistizio del 8/9/43 il SIM fu riorganizzato dal nuovo governo di Pietro Badoglio ed al suo interno si riformò anche la Sezione Calderini (al cui comando si trovava il colonnello Giovanni Duca <5) che operò «a stretto contatto con lo Special Operations Executive (SOE) britannico e l’Office of Strategic Services (OSS) statunitense, tessendo importanti nuclei di resistenza nell’Italia occupata». Agrifoglio, che si trovava in Tunisia al momento dell’armistizio, era stato fatto prigioniero dai britannici, e fu poi inviato in Italia per dirigere il nuovo SIM, che doveva essere sotto il controllo alleato <6.
L’attività della Calderini consisteva «in missioni informative, di sabotaggio e di collegamento e supporto alle formazioni partigiane», e tra le «personalità ed episodi di rilievo» troviamo l’allora tenente colonnello Aldo Beolchini, il capitano Alberto Li Gobbi, la «missione Cadorna nell’Italia del Nord» e la «missione Sogno con il tentativo di liberare l’on. Parri» <7; ed ancora: la Calderini riformata «durante la Resistenza aveva sovrainteso alle missioni congiunte degli italiani con gli alleati, che si battevano per il ristabilimento della libertà, operando clandestinamente nel territorio occupato dai tedeschi, dopo l’8 settembre e fino alla Liberazione nel 1945».
All’inizio del 1945 il Servizio segreto militare diventa Ufficio informazioni dello Stato maggiore generale, e la Calderini (che era formata esclusivamente da ufficiali e dislocata per lo più oltre le linee, cioè in territorio occupato) diventa Prima sezione; ne esce il Primo gruppo, che diventa Gruppo speciale all’interno del SIFAR e darà poi origine alla SAD (Sezione addestramento guastatori), base su cui si fonderà la struttura della Gladio. Infatti «più ufficiali che avevano militato in questa specifica struttura del Servizio di sicurezza militare nella fase finale dell’ultimo conflitto mondiale risultavano essere poi stati definitivamente incardinati nel SIFAR e quindi nel SID, con la attribuzione di funzioni proprio all’interno della Sezione che per anni ebbe a fungere motore dell’Operazione Gladio: la Sezione Addestramento Guastatori».
[NOTE]
5 Giovanni Duca fece parte della rete militare di resistenza del colonnello Giuseppe Cordero di Montezemolo (che fu ucciso dai nazisti alle Fosse Ardeatine); arrestato nel Veneto assieme al figlio Luigi (che morirà nel lager di Mauthausen), fu incarcerato a Verona, torturato ed ucciso nell’agosto del 1944. Medaglia d’Oro al V.M. alla memoria. Da lui prese il nome «una struttura occulta denominata Duca e formata presumibilmente da ufficiali e sottufficiali del SIFAR» esistita fino al gennaio 1955 (cfr Giuseppe De Lutiis, “I servizi segreti in Italia”, Sperling & Kupfer 2010, p. 51), che sarebbe stata antesignana della Gladio.
6 Andrea Vento, “In silenzio gioite e soffrite”, Saggiatore 2010, p. 273.
7 “Note esplicative in merito all’archivio SIM custodito dalla SAD”, d.d. 12/7/73 a firma del capo Ufficio R colonnello Fortunato. Il documento si trova a p. 1.629 della Sentenza ordinanza n. 318/87 A. G.I., Procura di Venezia, GI Carlo Mastelloni, relativa al misterioso “incidente” occorso all’aereo Argo 16 (d’ora in poi SO 318/87); ringrazio il dottor Mastelloni per avermi messo a disposizione il testo. Aldo Beolchini Bianchi, uomo di fiducia del comandante del CVL, generale Raffaele Cadorna, era l’organizzatore della “Rete TCB” (cioè Tenente Colonnello Beolchini o Bianchi); delle varie “personalità ed episodi” avremo modo di parlare in seguito.
Claudia Cernigoi, Momenti di Sogno, La Nuova Alabarda, Dossier n. 58, Trieste, 2018

L'insieme di tale documentazione aiuta dunque a comprendere quanto alcuni elementi sempre considerati marginali abbiano invece condizionato la nascita della democrazia italiana, soprattutto in virtù delle relazioni stabilite dall'organizzazione neofascista con l'intelligence americana, cosa che permise a quest’ultima di ottenere margini di azione altrimenti non raggiungibili [392].
Si era formato un piccolo esercito segreto, pronto a rivolgere le sue potenzialità all’ottenimento di un preciso scopo: quello di garantire la collocazione internazionale dell'Italia all'interno dello schieramento atlantico [393].
I documenti dell'intelligence statunitense desecretati nel 2002 mostrano come a giudizio di Angleton esistessero due fronti, di importanza vitale, su cui lavorare in Italia: mentre il primo era formato dai confini con i Balcani, il secondo era costituito dai luoghi in cui la forza elettorale dei comunisti cresceva eccessivamente, cosa che accadeva soprattutto in Sicilia.
[NOTE]
392 La portata del fenomeno di riunificazione avvenuto sotto il comando di Polvani, Buttazzoni e Borghese è sempre stata storicamente sottovalutata, anche perché non se ne conoscevano né le dimensioni né l'importanza in relazione agli scopi che i neofascisti si erano prefissati. La rilevanza e la forza di questa organizzazione e, come abbiamo visto, la serietà degli obiettivi anticomunisti, aveva fatto sì che anche il Pci e Togliatti ne fossero venuti a conoscenza e avessero dovuto confrontarcisi.
393 Il Sostituto Procuratore di Padova Sergio Dini, nell'ambito di un'indagine relativa proprio ai rapporti tra i nuclei della Decima Mas e l'organizzazione Gladio, ha ottenuto nel febbraio 2005 la testimonianza di Nino Buttazzoni, nella quale l'ex comandante repubblichino ha illustrato il suo "lavoro di organizzatore di nuclei di resistenza e di guerriglia che, secondo la tecnica classica dello Stay Behind, avrebbero dovuto continuare ad operare nelle zone già liberate dagli anglo-americani e rimanere attivi anche dopo la fine della guerra, anche se in sonno", facendo ampio riferimento poi ai contatti con James Angleton, il quale gli aveva proposto "di collaborare con i Servizi segreti statunitensi in funzione anticomunista e antislava". Commissione Parlamentare di Inchiesta sulle cause dell'occultamento di fascicoli relativi a crimini nazifascisti, XIV legislatura, doc. XXIII, n.18-bis, relazione cit., pp. 220-221. La Commissione d'Inchiesta ha stabilito che i nuclei organizzati dalla Decima Mas, destinati a rimanere dietro le linee nemiche in caso di invasione jugoslava sul confine orientale, divennero il modello di utilizzo per l'intera rete, avendo gli americani il progetto di costituire la "stay-behind" che poi, una volta realizzata, verrà denominata Gladio.
Siria Guerrieri, Op. cit.

Renzo De Felice citava un certo numero di documenti, testimonianze e “piste”, che contraddicevano la vulgata, a cominciare da una relazione segreta, di circa cinquecento pagine, redatta da un agente dell’OSS, alla fine della sua missione nell’Italia del nord, foriera di ‹‹molte nuove verità›› <12. Tale fonte, che è stata analizzata in altra sede <13, fu il frutto dell’indagine compiuta dal colonnello Valerian Lada Mocarski -agente n. 441, nome in codice “Valla”, “Maj”, “Topper” <14- per ordine di Allen Dulles, direttore della Sezione svizzera del Secret Intelligence (d’ora in poi, SI) dell’OSS, al fine di ricostruire i fatti e accertare le responsabilità della morte di Benito Mussolini, dopo che gli americani dovettero, loro malgrado, registrare il fallimento delle molteplici missioni lanciate nell’Italia settentrionale durante le ultime tumultuose settimane di aprile ’45 miranti all’obiettivo di catturare il Duce vivo <15.
[NOTE]
12 R. De Felice, Rosso e Nero cit., p. 145.
13 Uno stralcio di tale relazione segreta è stato riportato, nella versione tradotta in italiano, in appendice al saggio di M. Sapio, Gli ultimi giorni di Mussolini tra storia e verità cit. nonché commentato, in chiave critica, in
M. Sapio, Ma davvero è stata scritta la parola fine? cit. Una sintesi è stata pubblicata con il titolo The last three days of Mussolini in ‹‹Atlantic Montlhy››, n. 6 del dicembre 1945.
14 Valerian Lada Mocarski, russo, discendente di una famiglia nobile travolta dalla rivoluzione bolscevica emigrata negli Stati Uniti, si arruolò quale ufficiale nell’esercito americano nel 1941 e fu, quindi, reclutato nell’OSS e destinato in Medio Oriente, Egitto, Francia e, infine, in Svizzera, dove si trovava durante gli ultimi giorni di Mussolini. Nel giorno di Piazzale Loreto, passò nell’Italia del nord e, infine, si ritirò dall’esercito nel 1945. Dopo la guerra fu nominato vicepresidente della G. Henry Shroeder Banking Corporation a New York.
15 Oltre alla missione del capitano Emilio Daddario già trattata nel capitolo precedente, molteplici furono le missioni alleate di cui si resero artefici, soprattutto, i servizi segreti americani, che furono lanciate nel nord dell’Italia nelle ultime settimane di aprile ’45, con l’obiettivo di catturare Mussolini vivo. Per una panoramica di queste iniziative, si rinvia a M. Sapio, Ma davvero è stata scritta la parola Fine? cit., nt. 43, p. 142.
Michaela Sapio, op. cit.

Gli americani diedero vita alla democrazia in Italia nel 1943, e presero in considerazione l'idea di soffocarla nel 1948. Era una loro creatura, ma minacciava di mettersi su una cattiva strada.
Un rapporto della Cia, rimasto segreto finora, rivela come il padre padrone ebbe per un attimo la tentazione dell'infanticidio.
Il rapporto, intitolato «Conseguenze di un accesso dei comunisti al potere in Italia con mezzi legali», reca la data del 5 marzo 1948 e risponde a una serie di quesiti angosciosi del governo di Washington.
In Italia manca poco più di un mese alle elezioni. Da Roma l'ambasciatore James Dunn manda telegrammi sempre più pessimisti: una vittoria del «Fronte Popolare» socialcomunista sembra probabile. Il National Security Council, che riferisce direttamente al presidente Harry Truman, ha chiesto ai servizi segreti di valutare la situazione che si creerebbe se il partito di Togliatti andasse al governo.
«Nel futuro prevedibile - risponde la Cia - questa situazione potrebbe verificarsi soltanto come risultato di una vittoria del Fronte Popolare nelle elezioni del 18 aprile. Almeno un mese dovrebbe passare tra tali elezioni e l'insediamento di un nuovo governo. Anche se il Fronte Popolare vincesse con il voto la maggioranza dei seggi in parlamento, il suo effettivo accesso al potere potrebbe essere impedito falsificando i risultati, oppure con la forza».
Chi potrebbe usare la forza?
Il governo americano di Truman, quello italiano di De Gasperi, oppure le formazioni di destra come il «Gladio» che gli americani stanno incoraggiando segretamente in Italia per reagire alla minaccia comunista?
Il documento della Cia non lo precisa, ma fa presente che in caso di guerra civile gli anticomunisti non potrebbero vincere «senza immediati e sostanziosi aiuti dall'estero».
Ennio Caretto - Bruno Marolo, Made in Usa, Rizzoli, 1996

domenica 3 ottobre 2021

L’80% dei partenti verso destinazioni americane negli anni venti preferì l’Argentina


L’inizio della prima guerra mondiale provocò una drastica diminuzione dell’immigrazione in Argentina. Se nel 1913 arrivarono 215.871 persone, nel 1914 gli ingressi furono solamente 76.217. Il calo riguardò gli immigrati di tutte le nazionalità, compresi gli italiani, che scesero negli stessi anni da 114.252 a 36.122. Anche se il conflitto scoppiò nel settembre e l’Italia vi entrò solo nel maggio del 1915, quando le forze neutraliste, il clima era già tale da scoraggiare le partenze.
[...] D’altro canto, prima ancora che scoppiasse il conflitto, l’Italia come misura precauzionale aveva sospeso provvisoriamente il rilascio dei nulla osta per l’espatrio ai riservisti (peraltro erano previste delle deroghe su sollecitazione degli interessati). Così, già nel 1914, il saldo migratorio degli italiani in Argentina diventò negativo e i rientri per la prima volta dal 1891 superarono gli arrivi (- 24.480). L’anno seguente, nel 1915, con l’Italia ormai in guerra contro l’Austria-Ungheria, il saldo negativo aumentò e sbarcarono appena 11.309 italiani a fronte di 55.775 ritorni. Fino al 1919 i saldi rimarranno negativi.
Tuttavia, se confrontiamo il flusso dall’Italia al Plata con quello diretto negli Stati Uniti notiamo alcune interessanti differenze. Verso gli Usa ancora nel 1914 furono registrati saldi ampiamente positivi (quasi 300.000 arrivi con 85.000 partenze) e solo a partire dal 1915 il movimento si invertì, mantenendo il segno meno anche negli anni successivi, con l’eccezione del 1917 <64.
Tutto ciò suggerisce che, oltre che con gli effetti della guerra, la brusca caduta dell’immigrazione in Argentina vada messa in relazione con l’evoluzione economica del Paese sudamericano. Le prime difficoltà si fecero sentire già nel 1914, quando ancora il conflitto, che poi avrebbe aggravato la situazione, non era scoppiato. Se la guerra creò alcune possibilità di sviluppo per l’industria argentina, che era chiamata a sostituire quei prodotti importati che non si potevano più comprare in Europa, per altri versi ne rese drammaticamente evidenti i ritardi sul piano tecnologico in molti settori, che non erano in grado di produrre localmente i beni alternativi. Soffrirono anche le esportazioni argentine, che videro cambiare la loro composizione, dato che aumentarono quelle della carne e calarono quelle dei cereali, di cui gli italiani erano tra i principali produttori <65.
Qui incideva la caduta dei prezzi dovuta agli abbondanti raccolti nordamericani e all’aumento dei costi di trasporto, per il rialzo delle tariffe dei noli sulle tratte dell’Atlantico meridionale rispetto a quelle praticate sulle rotte settentrionali.
La guerra da molteplici punti di vista colpiva l’immigrazione e favoriva i ritorni.
Per i contadini in particolare, che costituivano la stragrande maggioranza degli emigranti, il conflitto era certamente una sciagura in più. Obbligati a servire al fronte, dovevano lasciare la famiglia e abbandonare le coltivazioni in mano agli anziani, alle donne e ai bambini.
Terminato il conflitto, l’emigrazione italiana riprese molto lentamente e l’economia argentina pure.
Uno degli effetti della guerra era stata la brusca caduta del Pbi (il prodotto interno lordo), che si combinò con il drastico aumento della disoccupazione. Solo nel 1920 il Pbi argentino, in crescita per il secondo anno consecutivo, superò i livelli del 1913. Da lì in avanti ci fu un nuovo periodo di espansione fino al crack del 1930 <66. Parallelamente il flusso migratorio tornò a essere leggermente positivo nel 1920 e confermò la tendenza nel 1921. Il processo conobbe una significativa accelerazione l’anno dopo, per il concorso di due fattori: il forte recupero dell’economia argentina per un verso e la nuova legislazione statunitense per l’altro.
Introducendo il sistema delle quote nel 1921, il governo nordamericano penalizzò fortemente gli italiani e gli altri gruppi della cosiddetta «new emigration».
[...] L’immigrazione italiana in Argentina continuò a crescere fino a toccare nel 1923 i 91.992 ingressi, il picco del decennio. Nei tre anni successivi si mantenne su livelli elevati, anche se in diminuzione, raggiungendo il secondo valore più alto della decade nel 1927 (75.000), per poi cominciare a calare, stabilizzandosi intorno ai 35.000 nel 1931. Si potrebbe collegare questo declino alle nuove disposizioni restrittive. Misure e controlli furono tra l’altro intensificati a partire dal 1923, sia sul piano normativo che della prassi.
Le fluttuazioni del movimento verso l’Argentina seguirono il ritmo dell’emigrazione italiana nel suo complesso verso tutte le destinazioni: sebbene esse fossero condizionate dalle restrizioni applicate negli Stati Uniti, il calo che si verificò al Plata fu parallelo a quello registrato in Europa <67.
Invece è possibile che la diminuzione del flusso italiano in generale sia da collegare più strettamente, dal 1927 in poi per quanto concerne l’Argentina, alle disposizioni che l’Italia fascista, al pari di altri paesi di emigrazione, introdusse per limitare il numero delle partenze. Tra queste c’era l’obbligo di essere in possesso di un contratto di lavoro per ottenere l’autorizzazione a lasciare la penisola. Le norme per scoraggiare gli espatri rispondevano alla logica fascista, che considerava il numero degli abitanti di un Paese sinonimo di potenza.
In ogni caso, l’emigrazione al Plata nel complesso continuava a riguardare in larga misura il Mezzogiorno, con una partecipazione non indifferente di altre zone da cui tradizionalmente si partiva per l’Argentina, come il Piemonte e le Marche <68.
Una componente nuova (che anticipava in qualche modo la distribuzione regionale del flusso del secondo dopoguerra) era costituita dall’’immigrazione proveniente dalla neonata regione del Friuli Venezia Giulia: l’80% dei partenti verso destinazioni americane negli anni venti preferì l’Argentina.
In questi anni meridionali e friulani si orientarono infatti prevalentemente verso le città, mentre i piemontesi continuarono a dividersi: in buona parte optarono ancora per la pampa gringa, una percentuale minore scelse le aree urbane. Per altri versi, ci fu una penetrazione in zone nuove, in particolare la valle del Rio Negro e altri luoghi della Patagonia.
La crisi mondiale del 1930 causò una brusca interruzione delle migrazioni internazionali in generale e di quelle italiane in particolare. Nel caso argentino alla diminuzione degli arrivi si sommò l’aumento dei rientri, così che il saldo risultò negativo nel 1932 e nel 1933, gli anni di maggior impatto della depressione mondiale. Anche se per l’economia argentina le cose migliorarono già a partire dal 1933, il flusso italiano non recuperò, attestandosi intorno ai 15.000 ingressi annuali, con saldi positivi che oscillarono tra i 3.000 e i 5.000 immigrati a seconda degli anni. Con l’ingresso dell’Italia nella Seconda Guerra Mondiale immigrazione ed emigrazione da e verso l’Argentina cessarono quasi completamente, con un saldo in pratica pari a zero negli anni compresi tra il 1940 e il 1945. Dunque si verificò un’interruzione di quasi quindici anni, tra 1932 e 1946, durante i quali gli italiani smisero di alimentare la società e l’economia argentina e però anche le loro stesse comunità nel Paese, con conseguenze di grande portata.
Le ragioni di questo nuovo calo migratorio possono nuovamente essere collegate all’introduzione di ulteriori misure restrittive in Argentina: nel 1930 (aumento sostanziale del costo del visto consolare per i certificati imposti dal regolamento del 1923), nel 1932 (obbligo per l’immigrato di avere un contratto di lavoro per entrare nel Paese) e nel 1938, quando diventò necessario anche un permesso di «libero sbarco», che oltre a complicare ulteriormente la trafila burocratica, lasciava ampia discrezionalità ai funzionari consolari e di immigrazione argentini, rimettendo a loro la decisione su chi poteva sbarcare <69.
Tuttavia le nuove disposizioni non puntavano a bloccare gli italiani (con l’eccezione non secondaria degli ebrei italiani e degli altri esuli che scelsero l’Argentina come destinazione dopo l’introduzione da parte di Mussolini delle leggi razziali, nel 1938). Al contrario gli italiani erano tra i gruppi chiaramente preferiti, in base al principio della maggiore loro compatibilità con la società argentina, e per effetto anche delle teorie razziste sempre più in voga in quegli anni.
[NOTE]
64 Ferenezi I.- Willcox W., International Migration, NBER, New York. 1929, vol I pp.465 e 496
65 Incisa di Camerana L., L’Argentina, gli italiani, l’Italia , SPAI, Milano, 1998, pp. 387-9.
66 Bertello U., Argentina, il sogno… e la realtà, L’Artistica Editrice, Cuneo, 2003, p.86.
67 Rosoli G., Un secolo…, p. 346.
68 Ivi, p. 351.
69 Devoto Fernando, Historia…, p. 382.
Andrea Ferrari, Aspetti socio-culturali dell’emigrazione italiana in Argentina: il caso di Santa Fe, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Torino, Anno Accademico 2007/2008