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martedì 12 dicembre 2023

Sbiaditi racconti ed altri inediti di guerra

Richiesta alla Corte di Assise Straordinaria di Imperia da parte del governatore alleato Garigue per un rinvio di presenza in processo della teste Lina Meiffret. Documento in Archivio di Stato di Genova. Ricerca di Paolo Bianchi di Sanremo (IM)

Il giovane, inibito dall'Ovra rispetto allo sfollamento di tutta la popolazione locale, al terzo giorno di guerra riusciva ad eclissarsi su uno dei pochi treni in partenza da Ventimiglia (IM) in direzione - logicamente! - levante.

Sopra Bolzano in quell'estate del 1940 passavano anche aerei italiani diretti a nord: a bombardare l'Inghilterra?

L'ex coscritto della Regia Marina narrava da anziano di una deriva per mare di giorni e giorni, prima che egli e lo sparuto gruppo di compagni superstiti all'affondamento venissero tratti in salvo.

Nel viaggio in treno, che lo riportava alla nave di ritorno dalla breve licenza in Nervia di Ventimiglia, il furiere vedeva le fumanti rovine di una Genova appena colpita da uno dei terribili bombardamenti di quel conflitto. Forse doveva ancora assistere dalla plancia di comando della corazzata alla prima battaglia navale della Sirte, che non fece, invero, grandi danni.

Il futuro maresciallo di polizia, scampato alla ritirata di Russia, prima di andare ancora una volta in partenza, questa volta per cercare di unirsi agli Alleati in Costa Azzurra, ebbe la casa distrutta da ordigni  scagliati dall'alto.

Un semplice fante, neppure ferito, dal nord Africa in Italia rientrò misteriosamente in aereo poco prima che avvenisse la resa delle forze dell'Asse su quel teatro.

Non si commuoveva al ricordo della campagna di Russia, forse tenendo ben presente la fotografia che lo ritraeva in quelle lontane lande atletico ufficiale eretto superbamente a cavallo, ma nel rievocare il suo viaggio a piedi, iniziato ad Alessandria al momento dell'armistizio, per rientrare in famiglia in Irpinia, qualche luccicone agli occhi ad un Luigi ormai anziano veniva sul serio.

Dalla corazzata che prendeva il largo i marinai vedevano arrivare sulla banchina del porto di Pola i primi mezzi tedeschi: non potevano immaginare che di lì a breve gli stukas avrebbero tentato, senza riuscirci, di colpirli. In una certa saga familiare si vociferava di un ammutinamento di ufficiali affinché quella flotta dell'Adriatico andasse sul serio a consegnarsi agli inglesi a Malta.

Dopo l'8 settembre 1943 l'addetto, nei recessi dell'incrociatore Raimondo Montecuccoli, continuava imperterrito a sfornare pane, adesso mentre la superba nave faceva trasporti per conto degli Alleati.

Anche in Magauda di Bordighera era stato realizzato un rifugio artigianale antiaereo.

La seta dei paracadute dei bengala era un provvidenziale dono del cielo per i civili che riuscivano ad impossessarsene.

Alcune amanti dei gerarchetti nazisti di Sanremo in quel torno di tempo abitavano a Bordighera: per questo via vai si produceva un grande impegno di autisti, anche italiani, delle SS.

E sempre da Sanremo una spia dell'Abwehr da privato riusciva anche ad occuparsi della tentata vendita di un quadro del Tintoretto, attirando su di sé e sui suoi complici l'attenzione delle autorità doganali, ancora sussistenti, perché il dipinto in questione era transitato dal Principato di Monaco attraverso la frontiera francese con l'Italia.

D. del suo partigianato raccontava solo che una volta, dovendo raccogliere con un compagno del materiale, si erano divertiti a scivolare sulla neve sino a finire dentro ad un cumulo di letame, da loro erroneamente scambiato per un covone ammantato di bianco.

Una scena accaduta innumerevoli volte, ma era sempre della zona intemelia la madre che stringeva la figlioletta al seno, dove aveva nascosto documenti compromettenti, dinanzi a nazisti che cercavano il marito.

Padre e figli, proprietari di noto garage in Bordighera, collaboratori del capitano Gino, accorrevano allarmati per verificare a poche decine di metri dal loro luogo di lavoro come stessero le donne e la bambina dell'appartamento colpito dal mare, non sapendo che erano già sfollate.

Lina Meiffret, trattenuta da impegni di lavoro al governatorato alleato provinciale, doveva più volte giustificare alla corte d'assise straordinaria di Imperia i suoi impedimenti a poter testimoniare contro la persona, un tempo amica, che aveva contribuito a scatenare l'inferno contro di lei e contro il martire della Resistenza Renato Brunati.

La similare istanza giudiziaria di Sanremo condannava a pena blanda, solo per "furti" e non per partecipazione a rastrellamenti, un milite del Distaccamento di Bordighera della XXXII^ Brigata Nera Padoan, nato a Ventimiglia, ivi residente.

Il professore Mario Calvino, padre del più illustre Italo, attestava, finito il secondo conflitto mondiale, che un dattilografo della G.N.R. (Guardia Nazionale Repubblicana della R.S.I.) di Imperia, costretto a tale mansione dagli eventi, in realtà aveva passato clandestinamente svariate utili informazioni ai patrioti.

La polizia partigiana di Ventimiglia doveva inoltre registrare molte denunce di persone che intendevano riottenere certi loro beni affidati a dei vicini o a dei conoscenti nelle occasioni delle loro precedenti fughe, più o meno precipitose.

Adriano Maini

domenica 3 dicembre 2023

C'é una Torre nella Piana di Latte...

Ventimiglia (IM): una vista parziale della Piana di Latte

Persiste un gran scrivere - per non dire un gran pontificare - sulle ville storiche di Latte, Frazione di ponente di Ventimiglia. E non solo su quelle - per lo più situate nella Piana -, ma anche su altre, non molto lontane.

Spiace solo che un bel dibattito non ci sia mai stato sui rischi corsi - ancora nel recente passato - di ulteriore cementificazione, né su ristrutturazioni, che almeno in un caso si dice sia consistita in uno sventramento completo con successiva ricostruzione. Come aveva paventato ne "Gli spiccioli di Montale" Nico Orengo, di cui non si sa se si sia mai rallegrato di qualche relativa salvaguardia pur conquistata in zona.


Conviene rifugiarsi nell'aneddotica.

C'è una Torre - una delle cinque, se non aggiuntiva, delle superstiti strutture di avvistamento, come da elenco stilato da competente persona del posto - adagiata al muro di cinta - lato di ponente, affacciato sulla foce del torrente Latte - del parco di una vestusta magione del novero di quelle già menzionate, una Torre che in una stanzetta al pianterreno negli anni - quelli Ottanta - di fulgore di sagre popolari e Feste de l'Unità - ma anche dell'Amicizia (Democrazia Cristiana) - ospitava materiali utili a tali accadimenti: a fianco, talora, all'aperto, si tenevano incontri conviviali, qualche volta rallegrati dal passaggio di qualche vispo porcospino. L'edificio oggi dovrebbe essere di proprietà diversa da quella dell'intero complesso padronale, ma, invero, questo aspetto risulta poco interessante.

La stretta Via Romana, infrastuttura di accesso a molte delle già dette dimore, attraversa la località da una parte parallela al mare, dall'altra alla ferrovia, prima in un senso, poi, in un altro, mediante un cavalcavia pedonale, sì da congegnare un'arteria carrozzabile strozzata quasi a metà. Allo stato attuale ci sono discreti parcheggi a ponente. All'epoca di tante feste popolari era uno spettacolo vedere invaso di automobili e di motocicli l'ampio greto del rio, compresi tratti del corso - asciutto d'estate! -. Per chi arrivava - ma anche adesso - sussisteva l'obbligo di prestare sempre attenzione al fatto che non ci sono quasi mai due sensi di marcia. 

Ventimiglia (IM): un classico tratto di levante della Via Romana a Latte

Una situazione che probabilmente disegna da sola tante storie.

Ad esempio, diversi anni fa Nico Orengo scrisse - dopo averne letto "Quaranta e mezzo" - un biglietto di congratulazioni ad Arturo Viale  (che lo ha pubblicato nel suo ultimo "Punti Cardinali: da capo Mortola a capo Sant'Ampelio", Edizioni Zem, 2022), in cui, tra l'altro, menzionava l'albero di giuggiola presente prima del cavalcavia della Via Romana, aggiungendo: "Caro Viale, il suo raccontare mi ha tenuto una affettuosa e sincera compagnia per una sera, tempo fa...".

Ventimiglia (IM): il cavalcavia della Via Romana a Latte

Neanche a farlo apposta appena attraversata quella passerella - o poco prima, se si arriva da un'altra direzione - sorge Villa San Gaetano. Dalla fitta ringhiera sovrastante la ferrovia si intravvede a malapena l'abside della Chiesetta dallo stesso nome, che sorge di fronte: i colori sono belli ed intensi, mentre la facciata è grigia e smorta. A quella Cappella a cavallo tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta erano usi recarsi per depositare fiori due ferrovieri in pensione, lieti di rendere in tale modo felice una signora più anziana di loro, impossibilitata a  muoversi. A Villa San Gaetano Maria Pia Urso, di recente purtroppo scomparsa, ha dedicato un bel libro di memorie - sue e di famiglia -, uno spaccato di grande livello sociale e morale. "... l'intensa esperienza di vita, la gioventù spensierata al mare, gli ideali, i gusti culturali, le curiosità e le molteplici iniziative nella comunità", sottolineava una presentazione dell'opera (Maria Pia Urso, Villa San Gaetano, youcanprint, 2015).

Spostandosi verso ponente si possono scorgere la casa a lungo abitata ed i resti delle campagne per pari periodo coltivate a fiori - rose, soprattutto - con passione e competenza - il tutto rigorosamente in affitto - da Libero Alborno, il Libero de "La curva del Latte" e di altri romanzi di Nico Orengo.

Ventimiglia (IM): uno spazio verde a complemento di un parcheggio nella zona di ponente della Via Romana a Latte

Si narra, inoltre, di episodi - accaduti in qualche punto della Piana - di pura goliardia ai quali lo scrittore si sarebbe lasciato andare con compagni sì di modesta statura intellettuale, ma che si beavano contraccambiati della sua presenza e che non si sono mai sognati di dedicargli pensieri scritti.

Ventimiglia (IM): la zona di Latte, vista dalle vicinanze di Villa San Gaetano

Da quelle parti ha abitato a lungo un floricoltore, per nulla vanesio, ma del quale ancora oggi si raccontano da terze persone grandi avventure di pesca, vissute negli anni, da quella - ripetuta - al pescespada, affrontata sempre con un piccolo guscio, non con mezzi professionali, a quella - che si tramanda ancora - di una mirabolante imbarcata di bianchetti, che, forse, non era già del tutto lecita, stanti i divieti in materia. Il fratello, forse sodale, forse più pronto ad uscire in mare con altri, ridimensionava, invece, in una datata conversazione gli esiti di una ricerca di branzini, di cui si era, invece, tramandata una bella storia, storia, inoltre, costellata di riferimenti a inconsueti, di solito rocciosi, rialzi del fondale, al massimo a pelo d'acqua, teatri a volte, per i conoscitori di quegli arcani, di cospicui risultati e talora muti conservatori di relitti misteriosi, spesso piratescamente trafugati. Non sempre i gozzi sono partiti o tornati dalle spiagge della Piana di Latte, ma spesso, per un risvolto o l'altro, lì si torna. 

D'altronde, i racconti di pesca - a fare inizio dallo stesso Nico Orengo - abbondano per tutto il ponente di Ventimiglia, da Punta della Rocca al confine con la Francia.

Adriano Maini

sabato 1 aprile 2023

Le storie di Nico vivono dell’aria che scende dal Grammondo e del salino di baia Begliamin

Mortola, Frazione di Ventimiglia (IM): uno scorcio

Nico [Orengo] è nato nel 1944 ed è morto nel 2009 a Torino. Ma la tomba è nella sua Mortola dove è interrato in un cimitero luminoso, senza cipressi nel quale anch’io vorrei un posto per il mio ultimo riposo.
All’ombra di un grande pino il suo tumulo è segnato da quattro ciappe di ardesia messe di costa a contorno e da una lapide in verticale con scolpite le due date, il nome preceduto dal titolo di marchese e in fondo l’indicazione di poeta.
Di fronte, poco lontano all’ombra dello stesso albero, riposa il padre marchese Vladi che suo nonno materno chiamava Volodja. Sua mamma Valentina faceva infatti di cognome Tallevich, era figlia di un ufficiale russo che nella seconda metà dell'Ottocento si era trasferito a Sanremo. Nel 1912 su un terreno situato all'inizio della passeggiata già dedicata alla imperatrice russa, ed acquistato da un comitato appositamente costituito a nome del Tallevich, venne posata la prima pietra della chiesa russa ortodossa di Sanremo.
Già nel 1864 la zarina Maria Aleksandrovna per prima scelse Sanremo per "svernare", aprendo la strada al turismo della nobiltà russa, attratta dal clima mite e dai posti incantevoli.
Prima della chiesa di Sanremo gli ortodossi frequentavano la chiesa di Mentone che esisteva dal 1892. Racconta Vladi che in quel periodo la sua famiglia festeggiava i due Natali, quello cattolico a Sanremo il venticinque dicembre e quello ortodosso a Mentone il sette gennaio, basandosi sul calendario Giuliano. Arrivavano per le feste Vittorio e Momò da Ginevra, Cirillo e Pepino da Parigi, Sergio da Oxford, Olga dal collegio di Dresda.
Finché Valentina abbracciò il cattolicesimo ad insaputa del padre e i rapporti si raffreddarono. Solo molti anni dopo, quando il piccolo Vladi fu presentato al grande nonno, ci fu la riconciliazione. Ma fu l'unica volta che nonno e nipotino si incontrarono.
Al cimitero della foce di Sanremo, a ridosso del muro di cinta, c'è ancora la tomba del numeroso ramo russo della famiglia.
Tra le prime cose Nico Orengo pubblicò Miramare edito da Marsilio, la casa editrice fondata pochi anni prima da Toni Negri. Luigi Malerba ne scrisse la prefazione. Poi seguirono oltre cinquanta libri tra poesie e romanzi, forse qualcuno di troppo.
Le storie di Nico vivono dell’aria che scende dal Grammondo e del salino di baia Begliamin. In un biglietto che mi aveva scritto mi racconta della pianta di giuggiole che c'è a Latte all'inizio della via Romana vicino alla casa del Vescovo e ricorda che all'osteria da Bataglia c'era il più buon condiglione che avesse mai mangiato; e poi mi spiega che becìciùre* chiede due accenti, sulla prima i e poi sulla u.  Io a casa Bataglia ci sono nato, sono cresciuto a condiglione e coniglio e conosco tutte le piante di carrubo e giuggiole e i cespugli di lavanda che ci sono in zona e so dove a Pasqua fioriscono le becìciùre. Quest'estate sono passato da quelle giuggiole e le ho rubate con gusto per Nico. Il legno di giuggiolo, più duro del bosso, si presta molto bene a lavori di scultura. Raccontava mio padre di quel paesano che, inginocchiato davanti ad un Cristo scolpito nel legno di giuggiolo, dopo averlo supplicato in silenzio esclamava: "… pensare che ti ho conosciuto quando eri ancora Zizura".
*muscari [La muscari è una bulbosa perenne che fiorisce in primavera con fiori azzurri. Di facile coltivazione. La specie lampascione è commestibile. Da tuttogreen.it]
Arturo Viale, 1. Nico e Vladi in Oltrepassare. Storie di passaggi tra Ponente Ligure e Provenza, Edizioni Zem, 2018 

Altri libri di Arturo Viale: Punti Cardinali, Edizioni Zem, 2022; La Merica...non c'era ancora, Edizioni Zem, 2020; L'ombra di mio padre, 2017; ViteParallele, 2009; Quaranta e mezzo; Viaggi; Mezz'agosto; Storie&fandonie; Ho radici e ali.
Adriano Maini

venerdì 11 giugno 2021

Giorgio Caproni: un poeta alla guerra sul fronte di Ventimiglia


Giorni aperti, scritto a Roma nel 1940, è un piccolo diario di guerra che narra l’esperienza del poeta Giorgio Caproni sul fronte occidentale e che, a buon diritto, si inserisce nella vasta produzione memorialistica riguardante la Seconda Guerra Mondiale.
Lo stesso Caproni lo definisce «un ingenuo sfogo della memoria» , recante i labili <10 segni stilistici del disimpegno con cui è stato scritto, ma che è invece emblema dei tratti più tipici di un narratore che ama raccontare per immagini, soffermandosi sulle minuziose descrizioni della natura e del paesaggio, che richiamano la poesia degli esordi in raccolte quali Come un’allegoria (1936), Ballo a Fontanigorda (1938) e Finzioni (1941).
 


Le pagine di Giorni aperti, scandite da un andamento anaforico che a tratti può rasentare la monotonia, si aprono ad incantevoli squarci lirici, tanto più efficaci quanto improvvisi, che introducono buona parte dei temi caratteristici del Caproni poeta. Del memoriale di guerra ho analizzato gli aspetti che con maggiore evidenza riprendono o anticipano alcune caratteristiche dell’opera in versi, come la descrizione della figura femminile o l’attenzione al paesaggio e agli agenti atmosferici, ai quali l’autore riserva una parte importante della narrazione che è soprattutto testimonianza di un lungo itinerario.
[...] Nell’autunno - inverno del 1940 Caproni pubblica, sempre sulla rivista «Augustea», il memoriale Primo fuoco che racconta l’esperienza militare vissuta sul fronte occidentale e che ricompare in volume con il titolo di Giorni aperti nel 1942. Tra le prime prose e il diario di guerra, si inserisce poi la scrittura di un romanzo che rimarrà incompiuto, e del quale, come verrà approfondito in seguito, solo pochi capitoli vedranno la luce nel dopoguerra.
Per più di un decennio prosa e poesia convivono strettamente nella penna dello scrittore, a volte influenzandosi in modo reciproco, trattando temi simili e ricostruendo immagini comuni. È quindi necessario valutare il Caproni narratore alla luce del lungo itinerario poetico che l’ha reso uno dei nomi più importanti ed originali del panorama letterario novecentesco ma, come ha giustamente sottolineato Adele Dei, non sarebbe opportuno ridurre lo studio dei suoi racconti ad un semplice confronto che ricerchi nella prosa le suggestioni tipiche della poesia, in quanto i due registri rimangono comunque separati a segnare percorsi autonomi ed entrambi di grande valore: "Sarebbe però certamente ingiusto limitarsi a cercare nel Caproni narratore le tracce della sua poesia, come se il suo faticoso impegno di quegli anni, quando la prosa supera per quantità di gran lunga i versi, fosse solo un percorso periferico, ancillare e subalterno alla nascita e alla prima maturazione di un grande poeta e non invece un itinerario parallelo, inestricabilmente intrecciato, eppure autonomo, divergente, e con una sua ben riconoscibile identità". <18
[...] Il giorno di Pasqua del 1939, un anno dopo il suo trasferimento a Roma <91, Giorgio Caproni è richiamato alle armi nel 42° Reggimento Fanteria e mandato a Genova. Nel giugno del 1940 partecipa alle operazioni di guerra sul fronte occidentale che dureranno per quattordici giorni, dal 10 giugno al 24 giugno, al termine dei quali il poeta verrà inviato prima a Vittorio Veneto e poi a Genova, per tornare a Roma alla metà di ottobre.
Come egli stesso racconterà a Carlo d’Amicis in un’intervista a «L’Unità» del 1995, all’arrivo a Genova venne mandato verso il confine francese a contrastare un esercito che avrebbe dovuto odiare, ma per il quale nutriva invece un profondo rispetto unito a profonda ammirazione per la cultura che quel paese rappresentava e che il poeta amava.
È importante a questo proposito non dimenticare come Caproni sia stato studioso e traduttore appassionato della letteratura francese.
[...] L’esperienza della guerra sul fronte occidentale segnò profondamente Caproni, lo scontro quasi disarmato <92 con un esercito più forte e agguerrito riempirono il suo animo di orrore e di paura, ma soprattutto di grande sdegno, tanto da portarlo a definire poi la guerra a Mentone «un capolavoro di insensatezza» <93.
Il ricordo di quei tragici momenti viene affidato alle pagine di un diario, Giorni aperti, scritto a Roma nel 1940 durante una breve licenza militare, pubblicato nel novembre del 1942 da Giambattista Vicari per le edizioni di «Lettere d’oggi», <94 dedicato ai familiari e all’amico Libero Bigiaretti e definito da Caproni stesso «Il mio piccolo De bello gallico»: "In guerra ho avuto paura: non sono mai stato un eroe, ma mi sono fatto coraggio. Ho combattuto sul fronte occidentale (ho scritto anche un diario, censurato a quel tempo e oggi introvabile)". <95
Alcune pagine di questo diario erano precedentemente comparse sulla rivista «Augustea» ma, a due anni di distanza dalla loro scrittura e dalla loro prima apparizione, Caproni aggiunge al volumetto una nota introduttiva nella quale sottolinea al lettore il carattere precario (la «insussistenza») di quelle pagine, scritte nel ricordo di una guerra la cui esperienza, viva e presente nella memoria, non può essere restituita appieno dalla scrittura
[...] Caproni racconta come il diario di guerra sia stato concepito in un periodo di “svago”, sia quindi lo sfogo della sua stessa memoria in un tempo di riposo, distante dalle vere pene descritte in quelle pagine e, proprio per questo, non può che risentire della leggerezza di quel momento, ben lontano dalle difficoltà della guerra. Anche se il nome del poeta non è da ricercare all’interno del memoriale, e non lo è nemmeno per quegli errori grammaticali che “divertiranno” il lettore, sta in ciò che Adele Dei, nella sua biografia caproniana, definisce «estraniamento dell’io» il motivo per il quale Caproni decide di pubblicarlo comunque. L’animo del poeta si trova infatti diviso tra la reale crudeltà dell’esperienza bellica, dura e viva nella memoria, e lo “svago” rappresentato vissuta e quella narrata.
[...] Probabilmente Giorni aperti non riesce a restituire in pieno l’esperienza, il dolore e l’insensatezza di quelle settimane di campagna militare contro i francesi anche perché, come riporta lo stesso autore in una intervista dei primi anni Settanta, il diario ha subito censure e tagli obbligati: "Giorni aperti (il mio piccolo De bello gallico) risente di tutte le mutilazioni allora imposte dalla censura. Ho purtroppo perso il manoscritto, e perciò non mi è stato possibile colmare le lacune. Così non v’è rimasta traccia di certe scene drammatiche o magari tragicomiche, che caratterizzano la “bella impresa” contro una Francia che noi giovani non riuscivamo in nessun modo - per affinità e per cultura - a sentire nemica". <97
L’autore rivela che ad essere censurate furono le parti più vitali del racconto concernenti i veri e propri atti bellici, considerate troppo sconvenienti dal regime fascista, e delle quali il testo risulta mancante; la narrazione si sviluppa infatti su un tono medio ed è totalmente priva di descrizioni eroiche o avvincenti. Osservando il manoscritto di Giorni aperti, conservato nel Fondo Caproni, Michela Baldini mostra però qualche perplessità riguardo l’attendibilità di queste dichiarazioni: per lei le parti censurate vengono modificate al fine di adattarsi maggiormente a quello che è lo stile dell’intero diario, sicuramente pacato, antiretorico e volto a mettere in evidenza l’insensatezza dell’impresa italiana sul fronte occidentale e la precarietà del reggimento a cui apparteneva l’autore rispetto a quello francese. A questo proposito Luigi Surdich ha evidenziato come: "L’atteggiamento di Caproni è improntato a una pacata ma ferma presa di distanza dalla celebrazione epica o eroica, e ciò avviene per un’inattitudine esistenziale all’immedesimazione col respiro profondo della realtà e della storia e per una coscienza di distacco, di estraneità, di lontananza". <98
Come si vedrà più avanti, è proprio l’antieroismo a caratterizzare la narrazione dell’impresa riportata in queste pagine, nelle quali l’attesa dello scontro con l’esercito francese, suscitata nel lettore dalla descrizione dei continui spostamenti del reggimento, viene poi delusa nelle poche righe in cui si esaurisce il racconto dell’attacco, dove il protagonista non è quasi mai il militare in azione ma è già narratore che osserva quanto accade intorno a lui. Rimane il fatto che, come ha rilevato Giuliano Manacorda, Giorni aperti è una delle poche testimonianze sull’esercito italiano provenienti dal fronte occidentale ed è «l’unico documento che abbia valore letterario, un testo scritto più da letterato che da soldato» <99; inoltre la prosa permette a Caproni di mettere in scena un’esperienza autobiografica che segnerà per sempre la sua vita ma anche di sviluppare quelle costanti che saranno caratteristiche della produzione poetica di ritorni, partenze e paesaggi, e che daranno all’autore la possibilità di trattare l’esperienza bellica anche nelle sue raccolte principali. Nel riadattamento per il volumetto Il labirinto, il diario di guerra compare con il titolo ampliato di Itinerario di un reggimento dal fronte occidentale ai confini orientali e Caproni indica anche il periodo di scrittura e il motivo (una breve licenza militare) che lo portarono a scrivere quelle pagine. Ne aggiunge anche gli estremi cronologici di composizione e pubblicazione, in modo che il lettore sia in grado di inquadrare le prose nel periodo giusto della sua opera in versi. <100
Uno dei generi più diffusi nella letteratura italiana tra il 1945 e l’inizio degli anni Sessanta è la memorialistica di guerra che si compone di memorie, diari e resoconti riguardanti gli eventi accaduti soprattutto sotto il regime fascista e nel periodo bellico e postbellico. Il diario rappresenta lo strumento attraverso il quale l’intellettuale chiamato alle armi denuncia l’esperienza di guerra o semplicemente la riporta sulla pagina perché non venga dimenticata, perché sia testimonianza di ciò che è accaduto. Si tratta quindi di un documento autobiografico che attesta quanto è stato vissuto in prima persona dall’autore attraverso un racconto veritiero condotto da un narratore che è allo stesso tempo il protagonista dell’intera storia.
Il sottotitolo Itinerario di un reggimento dal fronte occidentale ai confini orientali ben si presta a sintetizzare quanto viene descritto in Giorni aperti, vero e proprio memoriale di guerra che racconta gli spostamenti del protagonista a seguito del suo reggimento e che appartiene a buon diritto alla vasta produzione diaristica sulla Seconda Guerra Mondiale.
[...] A questo proposito è interessante notare come in alcune parti di Giorni aperti l’autore metta in evidenza il fatto che compagni ed avversari costretti con lui a combattere la stessa guerra non siano altro che soldati, non importa se appartenenti all’esercito nemico o a gradi più alti del suo: sono tutti semplici soldati nella tragicità dell’esperienza che li accomuna. Così viene ricordato come il maggiore ferito che parla al medico con parole “umane” non sia che un soldato nel suo momento di dolore, per nulla diverso rispetto ai molti altri feriti durante lo scontro, e lo stesso avviene quando il poeta incontra due “nemici” francesi: "Senonché un episodio ancor nuovo sollecitò la mia attenzione: dal sentiero che veniva giù dal costone dirimpetto scendevano quattro uomini che, come mi si avvicinarono (avevano il passaggio obbligato), riconobbi essere due dei nostri e due francesi; i quali, ultimi, disarmati, avanzavano con l’occhio franco, senza sgomento: due occhi nerissimi, la divisa a cachi e l’elmetto come quello dell’altra guerra. Uno aveva un braccio al collo, e s’aiutava con l’altra mano dove il sentiero era più scabroso. Ascoltavano senza batter ciglio, come lontanissimi, le parole che il tenente scandì in francese: né avviliti né alteri: e quando ripresero la via non un segno era mutato sul loro viso: erano anch’essi soldati". <103
Nella scarna limpidità della sua prosa, Caproni propone uno spaccato di ciò che significhi essere soldati: obbedire agli ordini e non lasciare spazio alle emozioni, rimanere combattenti prima che uomini. Così i militari francesi con in testa l’elmetto uguale a quello dell’«altra guerra», non hanno nulla di diverso dagli italiani, sono soldati in una guerra che, proprio perché tale, non si differenzia da quelle combattute in precedenza.
La narrazione del tragitto compiuto, dei paesi attraversati, degli ambienti e dei luoghi che caratterizzano la campagna militare a cui partecipa Caproni, si snoda per quaranta brevi capitoli che, come pagine di diario puntualmente aggiornate ma prive di qualsiasi datazione, forniscono al lettore un personale resoconto di ciò che il protagonista vive e vede e che, oltre alla loro importanza all’interno della biografia caproniana, rappresentano innanzitutto, come già detto, una rara testimonianza proveniente dal fronte occidentale nel primo anno di guerra. <104
 

Una vista dalle alture di Dolceacqua (IM)

Il memoriale racconta l’esperienza della battaglia contro l’esercito francese ripercorrendo l’itinerario del soldato a seguito del suo reggimento da Dolceacqua a Ventimiglia fino al monte Grammondo, che sarà lo scenario dello scontro, al quale seguono la sosta presso la valle del Roja, il rientro a Genova per una licenza di alcuni giorni e il successivo ritorno a Ventimiglia.
 

Villatella, Frazione di Ventimiglia ed il Monte Grammondo

La narrazione continua poi con lo spostamento lungo la costa ligure, l’attraversamento della Pianura Padana e l’arrivo prima a Vittorio Veneto e poi a Follina. Caproni ottiene infine una licenza che gli consente di tornare nuovamente a Genova.
Il racconto si apre in medias res con la descrizione della truppa militare in movimento verso il fiume Roja e prosegue con l’arrivo a Dolceacqua dove, senza nemmeno il tempo di accamparsi, i soldati vengono raggiunti da un nuovo ed improvviso comando che impone loro di marciare verso Ventimiglia per prepararsi al possibile attacco contro l’esercito francese. Questo sarà il primo dei molti e continui ordini e contrordini di spostamento che obbligheranno il reggimento di Caproni a compiere un viaggio in apparenza quasi senza sosta, nella descrizione del quale il narratore stesso sembra non avere il tempo di soffermarsi a raccontare i dettagli più importanti. È interessante notare come la velocità con cui il racconto passa da un luogo all’altro, da un accampamento a quello successivo, voglia rispondere ad un’urgenza di verità, ad un esigenza del Caproni narratore di suscitare nel suo lettore la fretta di quei giorni e l’esasperazione di una situazione che non lascia spazio a momenti di riposo e sollievo. Alle marce ininterrotte ed estenuanti, così come alle disposizioni di spostamento che giungono spesso nelle ore del sonno o dell’attendamento da poco compiuto, viene riservata all’interno del memoriale un’attenzione molto più ampia rispetto alla battaglia stessa che assume quasi l’aspetto di una tregua a quel continuo vagare che è la vera fatica di un’impresa militare anche storicamente priva di gesti eroici.
 

Alcune delle alture del ponente ligure, teatro di guerra nel giugno del 1940, viste da Dolceacqua

Alle prime luci dell’alba il reggimento si sposta nuovamente verso Grammondo che, dopo una lunga marcia forzata, viene scelto come luogo dell’attendamento in vista dello scontro imminente. Il mattino seguente, presso il greto del fiume Roja, inizia la battaglia, nella quale il protagonista ha il compito preciso di mantenere il collegamento tra il comando di battaglione e la compagnia di mitraglieri che avanza. Lo scontro con l’esercito francese, unico momento d’azione militare raccontato all’interno del memoriale, non occupa che un breve capitolo e si riduce essenzialmente alla descrizione del violento temporale che si abbatte sui due eserciti e dei molti feriti la cui debolezza determina la ritirata fino al comando di battaglione. All’azione militare contro i francesi vengono riservate due sole pagine eminentemente descrittive, quasi istantanee fotografiche nelle quali sono fissate poche immagini che restituiscono appena qualche notizia dello scontro: i colpiti stesi sulle barelle con il volto coperto, il tenente medico che lavora in difficoltà sotto il diluvio d’acqua, il maggiore con una gamba spezzata e il sangue versato sull’erba fredda e bagnata. All’interno della narrazione non viene dato spazio ai sentimenti del soldato Caproni né alle azioni che lo vedrebbero protagonista: il suo compito sembra essere quello di registrare l’accaduto, di osservare quanto avviene attorno a sé, attento comunque a non distrarsi troppo. La mancanza di una qualche riflessione profonda non deve però sorprendere il lettore il quale è avvertito da subito della volontà dell’autore di tenere privati i pensieri più intimi: "[…] il momento non ammetteva indugi; e in quattro e quattr’otto mi ritrovai in fila con gli altri, l’animo già rivolto ai più alti pensieri. I quali, per essere tutti miei, privatissimi, non metterò sulla carta: anche perché chi ha cuore li immagina agevolmente, senza necessità ch’io apra bocca. (E chi non ha cuore non li capirà mai, nemmeno s’io vi scrivessi su un trattato tirato con tutte le regole, dall’abc ai logaritmi.)". < 105
Sul far della notte al protagonista viene dato il nuovo incarico di recarsi a recuperare il rancio, spostandosi alcuni chilometri dal reparto, ed è quindi costretto ad allontanarsi dai compagni che perderà a causa di alcuni imprevisti e che ritroverà solo più avanti nel racconto. L’itinerario di Caproni, accompagnato ininterrottamente dalla pioggia battente e dal rumore dei mortai, riprende poi sotto il comando di un nuovo ufficiale e, cessata la pioggia ed insieme ad essa l’imminente pericolo (è stato infatti stipulato l’armistizio), i militari accendono un fuoco notturno attorno al quale scaldarsi e compiere l’appello dei morti. Anche in questo caso, come rileva Michela Baldini, la computa dei caduti assume la valenza di un rito: non vi è alcun dramma né alcuna tragedia, la descrizione dell’evento è pacata e la presenza del protagonista appare, più che una sentita partecipazione, l’adempimento di un dovere.
 

Varase, Frazione di Ventimiglia (IM)

Sulla destra Calvo, Frazione di Ventimiglia

Una vista su Bevera, altra Frazione di Ventimiglia, posta a valle sia di Varase che  di Calvo

All’arrivo del nuovo giorno la truppa si muove verso Calvo per poi raggiungere Varese [ndr: Varase, Frazione di Ventimiglia (IM)], dove le tende rimarranno stabili per due settimane consentendo un temporaneo radicarsi di abitudini e amicizie tra i soldati dello stesso reggimento. Un nuovo compito assegnato al protagonista, che sostituisce un compagno ferito, lo costringe ad alcune giornate di ozio che amplificano in lui sentimenti di nostalgia e malinconia. Al soldato che ha marciato per chilometri e chilometri, reduce dalla battaglia, con il solo desiderio di sopravvivere, si prefigurano lunghe giornate d’immobilità e ozio che finiscono per logorarlo nel corpo e nell’anima. Ai momenti di relativa calma, che consentono l’adattamento alla vita militare, consegue un’inattività spesso difficile da sostenere in quanto portatrice di pensieri tormentati e malinconici: "E come l’erba, per lunghe giornate di sole ed ozio, già s’era logorata lungo le piazzole, il sergente maggiore Bersano mi mandò a chiamare nella tenda della fureria, per rimpiazzare il posto di Baiardo ferito. […]. E da quel momento la mia vita rimase sul tavolo di rozzi assi, all’aperto, in un ozio in cui maturavano sentimenti e presentimenti malinconici, nutriti di nostalgie". <106
[...] Con l’apertura delle licenze, Caproni è tra i primi a poter tornare a casa per qualche giorno e, giunto alla stazione di Ventimiglia, prende insieme ad altri militari il treno diretto a Genova. All’arrivo in città rivede il padre, la moglie Rina, la madre, la sorella e la figlia Silvana ma, dopo pochi giorni di licenza, fa ritorno di notte a Ventimiglia, dove ritrova alcuni compagni ed un ufficiale, con i quali si dirige verso il blocco di Varese [sic!]. Il ricordo delle ore trascorse a casa svanisce in fretta e il protagonista segue il reggimento alla volta di Santo Stefano [ndr: Santo Stefano al Mare (IM), all'epoca comune di Riva-Santo Stefano], dove un vento improvviso costringe i reparti a disfare nuovamente le tende e a spostarsi verso Pompeiana. 

Pompeiana (IM)

Lì, riprese le normali istruzioni, Caproni trascorre alcuni giorni di solitudine al campo, che gli consentono di poter scrivere qualche lettera da inviare ai familiari e alle persone care. Una sera, in seguito all’ordine di trasportare il materiale al Deposito, il poeta si ritrova ancora a Santo Stefano, per prendere il treno diretto a Genova. Segue una sosta a Terralba dove ha l’occasione di rincontrare la moglie e la figlia, prima di ritirarsi in caserma nella quale sopraggiunge in lui una profonda nostalgia del campo. Ritornato poi a Pompeiana e ricongiuntosi con il reggimento, gli giunge durante la notte il nuovo ordine di trasferimento verso Santo Stefano dove, il mattino seguente, la truppa si muove in direzione di Genova. Alla stazione di Sampierdarena il convoglio riparte attraversando la Liguria e arrivando in Veneto alle prime luci dell’alba.
La descrizione dei paesaggi intravisti dal treno, come quella dei molti luoghi in cui il protagonista sosta durante le settimane di campagna militare, rappresenta uno dei momenti più lirici di tutta la narrazione. Come verrà approfondito più avanti, alla natura che fa da sfondo all’impresa militare, ai fenomeni atmosferici che accompagnano le marce dei soldati e ai paesi attraversati di notte o di giorno, viene riservata un’attenzione particolare all’interno del diario che, proprio in questi passaggi, custodisce la sua particolarità e racchiude in sé gli elementi distintivi del Caproni poeta.
A questo proposito risulta interessante un passo del memoriale in cui il soldato si sofferma ad ammirare un piccolo trifoglio nato tra l’erba dell’accampamento, proprio vicino ad una maschera antigas. Il potere della natura di saper fiorire nonostante la guerra, e quasi a dispetto della guerra stessa, trova un esempio importante nella pagine di Giorni aperti.
10 G. Caproni, Introduzione a Giorni aperti. Itinerario di un reggimento dal fronte occidentale ai confini orientali, Roma, Lettere d’oggi, 1942. Ora in A. Dei, Giorgio Caproni, Milano, Mursia, 1992, p.31.
18 A. Dei, Giorgio Caproni, cit. p.8.
91 Caproni si era trasferito a Roma, dove aveva vinto il concorso per un posto di maestro di prima categoria, il 1° novembre del 1938.
92 «[…] Fu un vero macello. Loro erano agguerritissimi, noi praticamente disarmati. Le pallottole erano di un calibro superiore alla canna, e il nostro colonnello, paternamente, ci sconsiglio di usarle perché ci sarebbe scoppiato il fucile tra le mani. Questa fu la nostra guerra a Mentone». cit. in G. Caproni, Il mondo ha bisogno dei poeti. Interviste e autocommenti 1948-1990. A cura di M. Rota, introduzione di A. Dolfi, Firenze, Firenze University Press, 2014, p.446.
93 Dall’intervista rilasciata da G. Caproni a Carlo d’Amicis il 21 agosto 1995 per «L’Unità», ora in L’Opera in versi, cit. p. LVI.
97 Dall’intervista di G. Gigliozzi a G. Caproni, La nostalgia di narrare, cit. Ora in A. Dei, Giorgio Caproni, cit. p.32.
98 L. Surdich, Giorgio Caproni. Un ritratto, cit. p.60.
99 G. Manacorda, Caproni prosatore: il trittico degli anni ’40-’50, «Resine», 2° trimestre 1991, n.48, pp. 3-7.
100 Il memoriale viene scritto nel 1940 e divulgato su rivista nel 1942, a cavallo tra la pubblicazione delle raccolte poetiche Finzioni (1941) e Cronistoria (1943).
103 G. Caproni, Il labirinto, Milano, Garzanti, 1992, p.24.
104 Nel volume Giorgio Caproni narratore, cit. Michela Baldini cita opportunamente le altre testimonianze provenienti dal fronte occidentale raccolte da G. Manacorda e scritte prevalentemente da ufficiali con l’intento di propaganda del regime: Vincere sul Fronte Alpino Occidentale, pubblicato a cura del Ministero della Guerra nel 1941, Dalle Alpi al Pindo del generale Alfredo Obici, Guerra alpina dell’ufficiale Tullio Giordana, La battaglia nel settore Germanasca-Pellice dell’ufficiale Adelmo Pederzani, e i volumi Ricordi di guerra di un alpino di Tonino Lupi e Rinascita. Confessioni di un combattente di Giulio Barsotti.
105 G.Caproni, Il labirinto, cit. p.18.
106 Ivi, p. 29.
Lucia Pasqualotto, «Del racconto però mi è sempre rimasta la nostalgia»: Giorgio Caproni narratore, Tesi di laurea, Università Ca' Foscari, Venezia, anno accademico 2014/2015

 

lunedì 15 febbraio 2021

Convegno dedicato a Francesco Biamonti ad ottobre 2021

Francesco Biamonti e Guido Seborga

Francesco Biamonti è considerato uno degli scrittori più significativi della letteratura italiana di fine Novecento. I suoi quattro romanzi pubblicati in vita tra il 1983 e il 1998 (L’angelo di Avrigue, Vento largo, Attesa sul mare e Le parole la notte, a cui vanno aggiunti le pagine postume del Silenzio e il recente recupero, a cura di Simona Morando, del cosiddetto Romanzo di Gregorio), sono testimoni di un lavoro intorno alla parola che ha pochi eguali nella letteratura coeva. Nato nel 1928 a San Biagio della Cima, piccolo paese nell’entroterra di Ventimiglia, Biamonti ebbe una formazione prevalentemente da autodidatta, sospesa tra lo studio della grande poesia, soprattutto italiana e francese, e quello della filosofia fenomenologica ed esistenzialista. Fondamentale fu per lui anche la riflessione sulla pittura, portata avanti attraverso alcune importanti frequentazioni, a partire da quella con Ennio Morlotti. Tutte queste esperienze si sedimentarono, nel corso di decenni, in una prosa dal chiaro respiro lirico, ma capace di raccontare con grande forza e concretezza il mondo contemporaneo allo scrittore.
Profondamente radicati nel territorio dell’estremo Ponente ligure, i romanzi di Biamonti attirarono fin da subito l’attenzione della critica per il trattamento particolare riservato al paesaggio, il quale pone lo scrittore in continuità con la tradizione ligure (da Boine a Montale, da Calvino a Caproni). Non a caso, grande spazio fu riservato al tema paesaggistico nel primo Convegno Francesco Biamonti: le parole, il silenzio, organizzato nel 2003 dall’Associazione degli “Amici di Francesco Biamonti”, nata dopo la morte dello scrittore, e dall’Università di Genova. Negli anni successivi la critica ha portato avanti la lettura dell’opera biamontiana anche sotto altri punti di vista, in un percorso interpretativo che ha trovato fondamentali riscontri nella pubblicazione, nel 2008, dell’antologia Scritti e parlati, a cura di Gian Luca Picconi e di Federica Cappelletti. Tuttavia, ancora oggi molti aspetti dell’opera di Biamonti, con particolare riferimento al peso avuto da alcuni incontri (reali e intellettuali) sulla sua scrittura e sulla sua visione del mondo, restano inesplorati o comunque meritevoli di approfondimento.
Per questa ragione e per ricordare l’autore a vent’anni dalla scomparsa, l’Associazione “Amici di Francesco Biamonti” ha deciso di organizzare, insieme ai suoi diversi partner universitari, un secondo convegno che si terrà il 15-16 ottobre 2021 al centro Polivalente “Le Rose” di San Biagio della Cima e alla Biblioteca Aprosiana di Ventimiglia. Seguirà la pubblicazione degli atti.
Sono invitate comunicazioni che affrontino le peculiarità della scrittura e della poetica biamontiana, evidenziando i rapporti tra l’opera dello scrittore ligure e quella di altri autori a lui cari: poeti, romanzieri, filosofi, artisti, critici. In particolare, risulta urgente l’approfondimento dei legami tra biografia e opera, oltreché l’analisi dei plurimi nodi intertestuali presenti nei suoi scritti, al fine di tracciare un disegno complessivo delle voci e degli incontri che abitano le pagine di questo autore.
Saranno perciò graditi gli interventi di specialisti di autori e contesti (si veda l’elenco seguente) che, intrecciando le loro conoscenze con l’opera di Biamonti, possano portare un contributo originale, un nuovo sguardo allo studio dello scrittore.
Saranno altresì graditi gli interventi mirati alla ricostruzione storico-biografica dei rapporti personali di Biamonti con altri personaggi della cultura che svolsero un ruolo importante nella sua formazione o nel suo percorso di scrittore (come editori e traduttori).
Per un primo orientamento, si propone qui di seguito una lista indicativa di autori, che tiene presente il tema delle affinità intellettuali, dell’intertestualità, degli incontri:
1) Scrittori italiani: Dante, Petrarca, Leopardi, Manzoni, Verga, Pascoli, D’Annunzio, Tozzi, Novaro, Boine, Sbarbaro, Seborga, Vittorini, Montale, D’Arzo, Fenoglio, Pavese, Calvino, Zanzotto, Lalla Romano, Orengo, Rigoni Stern;
2) Scrittori stranieri: poesia provenzale delle origini, Mistral; Verlaine, Baudelaire, Rimbaud, Mallarmé, Céline, Éluard, Char, Michaux, Valéry, Perse, Malraux, Gracq, Camus, Giono, Duras, Blanchot; Machado, Lorca; Rulfo; Hemingway, Faulkner; Tolstoj;
3) Filosofi: Freud, Jung, Marx, Bergson, Husserl, Croce, Heidegger, Camus, Sartre, Jaspers, Benjamin, Merleau-Ponty, Bachelard, Foucault, Lyotard;
4) Artisti e critici d’arte: de La Tour, Cézanne, De Staël, Morlotti, Cazzaniga, Sutherland, Dondero; Longhi, Arcangeli;
5) Editori e traduttori: Maspero, Simeone, Bobilier, Einaudi.
Le proposte di partecipazione al convegno vanno inviate, in italiano o in francese, all’indirizzo convegno.biamonti2021@gmail.com entro il 15 marzo 2021, allegando un pdf che contenga, oltre ai dati del/la proponente, il titolo e un riassunto dell’intervento, di lunghezza non superiore alle 500 parole (bibliografia inclusa).
Entro il 15 maggio il Comitato Scientifico informerà per e-mail sull’accettazione delle proposte di comunicazione.
Il Comitato scientifico e organizzativo
Andrea Aveto (Università di Genova)
Matteo Grassano (Università di Bergamo)
Simona Morando (Università di Genova)
Claudio Panella (Università di Torino)
Gian Luca Picconi (Amici di Francesco Biamonti)
Corrado Ramella (Amici di Francesco Biamonti)
Paolo Zublena (Università di Genova)
Modlet, Francesco Biamonti: le carte, le voci, gli incontri - Call for papers - Convegno biamontiano, 15-16 ottobre 2021, San Biagio della Cima / Ventimiglia

 

domenica 13 dicembre 2020

I Bassi di ebrei ne hanno fatti sconfinare molti verso Francia

Ventimiglia (IM), Largo Ettore e Marco Bassi,  a fianco del negozio che era stato della famiglia

Con gli anni si dorme di meno e Pierin ne ha ottantasette e la sera da un po’ di tempo fa fatica a prendere sonno.
E poi c’è quella scena che gli viene in mente tutte le sere.
Sono a cena da Tornaghi, il commissario Pavone è passato con la scusa di bere una volta; ha avvertito Marco Bassi che il giorno dopo passerà a prenderlo, arrestarlo, lui e suo padre Ettore.
Li avvisa per dar loro l’ultima occasione per fuggire, in un certo senso sono tutti amici, compagni di ribotte.

I Bassi di ebrei ne hanno fatti sconfinare molti verso Francia e stavolta dovrebbero scappare loro.

Pierin ha capito al volo ed ha subito pensato alle valli di Cuneo, già in mano ai partigiani ed ai contrabbandieri, alla possibile salvezza a Caraglio, a Castelmagno dove conosce molti amici.
E’ pronto col tassista Cavallotti per portarli via, padre e figlio.
Anche Marco ha capito, ma il padre è già anziano e non vuole lasciarlo solo; la mamma l’hanno già sistemata con l’aiuto dei Notari alla clinica Moro, sulla via Romana.
Sono lì e si guardano indecisi; Marco si toglie dal polso l’orologio d’oro di marca e lo offre in ricordo a Pierin che tentenna, vuole ancora convincerlo a scappare.
Così l’orologio lo prende la Giretto, che gestiva il negozio dei Bassi.
Quell’orologio gli manca da più di sessant’anni e quel gesto è l’ultimo che gli viene in mente ogni sera prima di addormentarsi. E prendere sonno è sempre più difficile.

Arturo Viale (3), ViteParallele, 2009

(1)  [ristorante in Ventimiglia (IM), vicino alla stazione ferroviaria]

(2) [I commercianti ebrei Bassi, Ettore, il padre, e Marco, il figlio, benefattori non solo degli ebrei stranieri in fuga, a causa delle Leggi Razziali del 1938, tramite Ventimiglia e zona verso la Francia nel periodo 1938-1939, ma anche benemeriti della città e del comprensorio, i Bassi, arrestati a Ventimiglia il 26 novembre 1943, incarcerati a Milano e deportati ad Auschwitz, da dove non fecero più ritorno. In proposito degli ebrei stranieri: Paolo Veziano, Ombre al confine. L’espatrio clandestino degli Ebrei dalla Riviera dei Fiori alla Costa Azzurra 1938-1940, ed. Fusta, 2014].

(3) [  Arturo Viale, La Merica...non c'era ancora, Edizioni Zem, 2020; Arturo Viale, Oltrepassare. Storie di passaggi tra Ponente Ligure e Provenza, Edizioni Zem, 2019; Arturo Viale, L'ombra di mio padre, 2017; Arturo Viale, Quaranta e mezzo; Arturo Viale, Viaggi; Arturo Viale, Mezz'agosto; Arturo Viale, Storie&fandonie; Arturo Viale, Ho radici e ali  ]