|
William Henry Fox Talbot, fotografato nel 1864 da John Moffat - Fonte: Wikipedia |
Nei primi decenni dell’Ottocento, fra i grand-touristi che esplorano
in lungo e in largo l’italica penisola, c’è anche William Henry Fox
Talbot: è sul Lago Maggiore con la moglie, che è un’abile pittrice.
Talbot assai meno, e cercando di riprendere gli ambienti che gli si
parano davanti agli occhi inciampa in notevoli difficoltà tecniche. Non
si sa se per sconforto o ira ma - così si racconta - decide di gettar
via l’armamentario da pittore e di studiare un metodo automatico per
riprodurre ambienti e paesaggi.
In realtà, Talbot aveva praticato a lungo la pittura (e fu anche un
letterato e un decifratore di scritture cuneiformi) ma era infine giunto
all’idea che questo mezzo non riusciva a rappresentare il mondo nella
sua complessità.
Pensò allora - come in quegli anni anche altri stavano pensando - di percorrere la “strada della luce”, cioè di utilizzarne l’azione diretta per creare immagini foto-chimiche.
L’uso della luce per creare immagini era studiato già da secoli, e ce ne racconta qualcosa Francesco Ginatta (“giovine molto competente in questa materia, per aver frequentato riputati stabilimenti fotografici della Francia e dell’Austria”, come spiega …, e specialista degli ingrandimenti indelebili al carbone, secondo quanto egli stesso dichiarava), fotografo nella Sanremo del XIX secolo: La
fotografia è fondata sull’azione della luce, e quest’azione fu
riconosciuta prima dai greci. Vitruvio aveva rimarcato che il sole
alterava certi colori e metteva i suoi quadri in una sala esposta al
nord. Però il trovato del Porta, il quale inventò la camera oscura fu
l’origine della fotografia. Nel 1556, poco tempo dopo dell’invenzione
della camera oscura, un alchimista, Fabricio, trovò il cloruro
d’argento, osservò la proprietà di quel sale di annerire sotto l’azione
della luce, e per mezzo d’una lente egli prospettò sul cloruro d’argento
un’immagine che vi rimase impressa. Era già un bel risultato, ma quello
scienziato ricercava la pietra filosofale e passò quindi oltre […]
Nel 1834 William Henry Fox Talbot fa
esperimenti sull’immagine latente, da rivelare grazie a particolari
sostanze, esperimenti che sono già un primo esempio di quel processo che
in seguito sarà chiamato “sviluppo”: Proposi di spargere
sopra un foglio di carta una sufficiente quantità di nitrato d’argento, e
di porlo alla luce del sole, avendo prima collocato avanti la carta
qualche oggetto che vi gettasse una ben decisa ombra. La luce agendo sul
rimanente del foglio, naturalmente lo annerirebbe, mentre le parti
ombreggiate riterrebbero la loro bianchezza.
I fogli risultano sorprendentemente colorati: Le immagini ottenute in questo modo sono bianche; ma il fondo, sul quale si disviluppano è variamente e piacevolmente colorato.
Tale è la varietà, di cui il processo è capace, che soltanto col
cambiare le proporzioni, e qualche lieve dettaglio di manipolazione si
ottengono varj dei seguenti colori:
Bleu Celeste
Giallo
Color di rosa
Bruno di varie gradazioni
Nero
Il verde unicamente non è compreso, ad eccezione di un’ombra oscura di esso, che si approssima al nero.
|
Talbot, Disegno fotogenico, 1839 Fonte: Wikipedia |
Realizza icone “in negativo”, ponendo foglie o spighe su un
foglio particolarmente trattato - un gesto che chissà quanti avevano già
fatto e chissà quanti altri poi faranno, dai facitori di erbari a Man
Ray - ed esponendo il tutto ai raggi solari.
Sono i disegni fotogenici: Il primo genere di oggetti, che provai
di copiare con questo processo furono fiori e foglie freschi e scelti
dal mio erborario, ed apparvero della maggiore verità e fedeltà,
offrendo anche le diramazioni delle foglie, i minuti peli, le tessiture
delle piante, ecc.
|
Talbot, Latticed window, immagine ricavata dal più antico negativo esistente, 1835 Fonte: Wikipedia |
All’inizio non riesce a stabilizzare queste immagini che per poche
ore soltanto: le foto da lui ottenute continuano ad essere suscettibili
alla luce. Occorreva bloccare il successivo annerimento. Nel 1835 studia
la qualità dei sali d’argento, le concentrazioni necessarie, le
procedure per eliminare l’argento non ossidato. Grazie a Sir Frederick
William Herschel conoscerà le proprietà fissative del tiosolfato e
quindi troverà un metodo sicuro per arrestare l’annerimento. E nel 1841
mette a punto la tecnica della calotipia (detta poi talbotipia):
adoperando carta resa trasparente dalla paraffina e sensibilizzata con
bagni in soluzioni di cloruro di sodio e nitrato d’argento e sviluppando
poi l’immagine con acido pirogallico: otteneva così un negativo dal
quale era possibile trarre un qualsivoglia numero di copie.
Nel 1844-46 Talbot darà alle stampe il fotolibro The Pencil of Nature, a cui seguirà, nel 1848, Sun Pictures in Scotland.
|
Lo studio di Talbot a Reading Fonte: Wikipedia |
Quel che è certo, dunque, è che, quando viene inventato il
dagherrotipo, lo scienziato inglese già da molti anni stava
sperimentando le sue mouse traps, cioè le prime box fotografiche,
riuscendo a riprodurre scorci del “mondo vero”.
Marco Innocenti in Sanremo e l’Europa. L’immagine della città tra Otto e Novecento. Catalogo della mostra (Sanremo, 19 luglio-9 settembre 2018), Scalpendi, 2018
[ Marco Innocenti è collaboratore de IL REGESTO, Bollettino bibliografico dell’Accademia della Pigna - Piccola Biblioteca di Piazza del Capitolo, Sanremo (IM) ed autore di diversi lavori, tra i quali: Verdi prati erbosi, lepómene editore, 2021; Libro degli Haikai inadeguati, lepómene editore, 2020; Elogio del Sgt. Tibbs, Edizioni del Rondolino, 2020; Flugblätter (#3. 54 pezzi dispersi e dispersivi), Lo Studiolo, Sanremo (IM), 2019; Flugblätter (#2. 39 pezzi più o meno d’occasione), Lo Studiolo, Sanremo (IM), 2018; Sanguineti didatta e conversatore, Lo Studiolo, Sanremo (IM), 2016; Enzo Maiolino, Non sono un pittore che urla. Conversazioni con Marco Innocenti, Ventimiglia, Philobiblon, 2014; Sull’arte retorica di Silvio Berlusconi (con uno scritto di Sandro Bajini), Editore Casabianca, Sanremo (IM), 2010; Prosopografie, lepómene editore, 2009; Flugblätter (#1. 49 pezzi facili), lepómene editore, 2008; con Loretta Marchi e Stefano Verdino, Marinaresca la mia favola. Renzo
Laurano e Sanremo dagli anni Venti al Club Tenco. Saggi, documenti,
immagini, De Ferrari, 2006 ]