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martedì 12 dicembre 2023

Sbiaditi racconti ed altri inediti di guerra

Richiesta alla Corte di Assise Straordinaria di Imperia da parte del governatore alleato Garigue per un rinvio di presenza in processo della teste Lina Meiffret. Documento in Archivio di Stato di Genova. Ricerca di Paolo Bianchi di Sanremo (IM)

Il giovane, inibito dall'Ovra rispetto allo sfollamento di tutta la popolazione locale, al terzo giorno di guerra riusciva ad eclissarsi su uno dei pochi treni in partenza da Ventimiglia (IM) in direzione - logicamente! - levante.

Sopra Bolzano in quell'estate del 1940 passavano anche aerei italiani diretti a nord: a bombardare l'Inghilterra?

L'ex coscritto della Regia Marina narrava da anziano di una deriva per mare di giorni e giorni, prima che egli e lo sparuto gruppo di compagni superstiti all'affondamento venissero tratti in salvo.

Nel viaggio in treno, che lo riportava alla nave di ritorno dalla breve licenza in Nervia di Ventimiglia, il furiere vedeva le fumanti rovine di una Genova appena colpita da uno dei terribili bombardamenti di quel conflitto. Forse doveva ancora assistere dalla plancia di comando della corazzata alla prima battaglia navale della Sirte, che non fece, invero, grandi danni.

Il futuro maresciallo di polizia, scampato alla ritirata di Russia, prima di andare ancora una volta in partenza, questa volta per cercare di unirsi agli Alleati in Costa Azzurra, ebbe la casa distrutta da ordigni  scagliati dall'alto.

Un semplice fante, neppure ferito, dal nord Africa in Italia rientrò misteriosamente in aereo poco prima che avvenisse la resa delle forze dell'Asse su quel teatro.

Non si commuoveva al ricordo della campagna di Russia, forse tenendo ben presente la fotografia che lo ritraeva in quelle lontane lande atletico ufficiale eretto superbamente a cavallo, ma nel rievocare il suo viaggio a piedi, iniziato ad Alessandria al momento dell'armistizio, per rientrare in famiglia in Irpinia, qualche luccicone agli occhi ad un Luigi ormai anziano veniva sul serio.

Dalla corazzata che prendeva il largo i marinai vedevano arrivare sulla banchina del porto di Pola i primi mezzi tedeschi: non potevano immaginare che di lì a breve gli stukas avrebbero tentato, senza riuscirci, di colpirli. In una certa saga familiare si vociferava di un ammutinamento di ufficiali affinché quella flotta dell'Adriatico andasse sul serio a consegnarsi agli inglesi a Malta.

Dopo l'8 settembre 1943 l'addetto, nei recessi dell'incrociatore Raimondo Montecuccoli, continuava imperterrito a sfornare pane, adesso mentre la superba nave faceva trasporti per conto degli Alleati.

Anche in Magauda di Bordighera era stato realizzato un rifugio artigianale antiaereo.

La seta dei paracadute dei bengala era un provvidenziale dono del cielo per i civili che riuscivano ad impossessarsene.

Alcune amanti dei gerarchetti nazisti di Sanremo in quel torno di tempo abitavano a Bordighera: per questo via vai si produceva un grande impegno di autisti, anche italiani, delle SS.

E sempre da Sanremo una spia dell'Abwehr da privato riusciva anche ad occuparsi della tentata vendita di un quadro del Tintoretto, attirando su di sé e sui suoi complici l'attenzione delle autorità doganali, ancora sussistenti, perché il dipinto in questione era transitato dal Principato di Monaco attraverso la frontiera francese con l'Italia.

D. del suo partigianato raccontava solo che una volta, dovendo raccogliere con un compagno del materiale, si erano divertiti a scivolare sulla neve sino a finire dentro ad un cumulo di letame, da loro erroneamente scambiato per un covone ammantato di bianco.

Una scena accaduta innumerevoli volte, ma era sempre della zona intemelia la madre che stringeva la figlioletta al seno, dove aveva nascosto documenti compromettenti, dinanzi a nazisti che cercavano il marito.

Padre e figli, proprietari di noto garage in Bordighera, collaboratori del capitano Gino, accorrevano allarmati per verificare a poche decine di metri dal loro luogo di lavoro come stessero le donne e la bambina dell'appartamento colpito dal mare, non sapendo che erano già sfollate.

Lina Meiffret, trattenuta da impegni di lavoro al governatorato alleato provinciale, doveva più volte giustificare alla corte d'assise straordinaria di Imperia i suoi impedimenti a poter testimoniare contro la persona, un tempo amica, che aveva contribuito a scatenare l'inferno contro di lei e contro il martire della Resistenza Renato Brunati.

La similare istanza giudiziaria di Sanremo condannava a pena blanda, solo per "furti" e non per partecipazione a rastrellamenti, un milite del Distaccamento di Bordighera della XXXII^ Brigata Nera Padoan, nato a Ventimiglia, ivi residente.

Il professore Mario Calvino, padre del più illustre Italo, attestava, finito il secondo conflitto mondiale, che un dattilografo della G.N.R. (Guardia Nazionale Repubblicana della R.S.I.) di Imperia, costretto a tale mansione dagli eventi, in realtà aveva passato clandestinamente svariate utili informazioni ai patrioti.

La polizia partigiana di Ventimiglia doveva inoltre registrare molte denunce di persone che intendevano riottenere certi loro beni affidati a dei vicini o a dei conoscenti nelle occasioni delle loro precedenti fughe, più o meno precipitose.

Adriano Maini

venerdì 8 dicembre 2023

Francesco Biamonti sapeva di trovare spesso Sergio "Ciacio" Biancheri sul lungomare di Bordighera

Bordighera (IM): il Lungomare Argentina

Si racconta che Bruno Fonzi avesse preso in carico una borsa di svariati appunti, tutti di Giacomo Ferdinando Natta, una volta defunto quest'ultimo, con l'impegno di condividere, in funzione di future occasioni di valorizzazione, il materiale per così dire ereditato con diversi attori dei cenacoli letterari ed artistici che facevano perno anche su Bordighera: da quel lontano 1960 si sono perse, purtroppo, le tracce di quel prezioso retaggio.

Francesco Biamonti sapeva di trovare spesso Sergio "Ciacio" Biancheri sul lungomare di Bordighera intento ad abbozzare talune delle sue splendide "Marine": capitava altrettanto di sovente che chiedesse ed ottenesse in dono dall'amico pittore alcuni degli schizzi di prova, che al futuro scrittore di San Biagio della Cima sarebbero in seguito serviti per atti delicati di galanteria in ambito femminile.

Un altro amico pittore di Biamonti, Ennio Morlotti, introdotto casualmente in quella compagnia (i nomi che qui corrono ed altri ancora che non verranno citati animarono irripetibili stagioni culturali di Bordighera, talvolta anche della zona e del ponente) da Guido Seborga, trovò nella vicina Ventimiglia un mecenate molto discreto che, ospitandolo vicino a Porta Marina, gli diede l'occasione di studiare con calma i paesaggi, in particolare quelli aspri, e la natura del ponente ligure.

Guido Seborga, dal canto suo, non pago di avere già suscitato alti pensieri e valorizzato giovani di intelletto, una volta dedicatosi anche alla pittura, ben volentieri impartiva in Bordighera, sul finire degli anni Sessanta, disinteressate lezioni in materia, molto apprezzate da freschi virgulti.

Nico Orengo, il vero scopritore di Francesco Biamonti, quando presente nella zona di Ventimiglia e Bordighera, si teneva in genere più defilato in prossimità del confine francese e in Val Nervia, in località che furono per lui (come noto) grandi fonti di ispirazione.

Di Lalla Romano e di Francesco Biamonti esiste una fotografia che li colse in un intenso, plastico conversare. La scrittrice - ed artista - che già in gioventù aveva frequentato la Riviera, segnatamente Sanremo, cui in seguito la legarono anche altri affetti, nella sua intensa vita, conclusa in un luogo altamente evocativo, quale Brera in Milano, fu anche una grande amica di Bordighera, come tante tracce lasciate ancora documentano. A Lalla Romano in Bordighera è stata intestata una viuzza pressoché di campagna, a settentrione di regione Due Strade, non discosto dalla Frazione Borghetto San Nicolò.

Quasi a chiudere un minuto racconto, non si può dimenticare che Enzo Maiolino, sodale apprezzato da tanti personaggi, qui menzionati e non,  e da sempre al fianco di Luciano De Giovanni, il quale non disdegnava, pertanto, frequentazioni di Bordighera, meditava ancora poco prima della morte, sulla base di scritti che forse si illudeva di ritrovare ancora, e proprio nella città delle palme, di realizzare un'opera altamente compiuta sulla figura di Giacomo Natta, a cui, peraltro, aveva continuamente dedicato forte attenzione sotto forma di saggi critici e, addirittura, di cura di ristampa di talune opere.

Adriano Maini

martedì 5 dicembre 2023

Santiago, Riccardo, Pier delle Vigne e Leone

San Giovanni, Frazione di Sanremo (IM): campagne abbandonate

Si presta a qualche considerazione di carattere locale la recensione di Marco Belpoliti a "Lettere a Chichita (1962-1963)" a cura di Giovanna Calvino, volume dato in uscita presso Mondadori e recensione apparsa sabato 7 ottobre scorso su "la Repubblica" con il titolo «Italo Calvino: “Perché credo negli angeli”» - e sommario «In un suo manoscritto il grande autore svela gli incontri con alcune figure che hanno avuto su di lui un’influenza benefica o salvifica. E su Robinson l’intervista alla figlia e un racconto in esclusiva» -. Dalla scheda di presentazione del citato libro, come già pubblicata, invece, dalla casa editrice milanese sul Web, si possono estrapolare queste parole: "Il primo appuntamento con Chichita, a Parigi nell'aprile 1962, è uno dei momenti che Calvino identificava come cruciali nella propria parabola esistenziale, insieme alla partecipazione alla Resistenza e all'ingresso nella casa editrice Einaudi [...] Ritrovate dalla figlia Giovanna, quelle missive del 1962-1963 sono qui pubblicate per la prima volta assieme a un testo inedito coevo, 'Sulla natura degli angeli', e a una delle risposte di Chichita. Se ne ricava l'affresco di una quotidianità ricca e sfaccettata: oltre alle immancabili incomprensioni della comunicazione a distanza, l'attesa degli incontri con la donna amata, le complicazioni logistiche degli spostamenti (Sanremo-Torino-Roma-Parigi), le luci e le ombre del lavoro editoriale, l'irresistibile richiamo della vocazione letteraria".
Il giornalista concentra la sua attenzione sul manoscritto, di cui riporta anche la data, primo ottobre 1963.
Da Belpoliti vengono citati tre ex partigiani di Sanremo,  ricordati con particolare intensità ("«in sodalizio fraterno» legato a «un'allegria che mai nessuna compagnia d'amici mi ridarà così piena»") da Italo Calvino nel predetto documento, Adriano S., Pier delle Vigne (Pietro Sughi) e Jaurès Sughi (Leone), "altri angeli dei suoi [dello scrittore] inizi: i compagni della Resistenza, quelli che l'hanno introdotto nella lotta partigiana [...] ex-boxeur, futuro gangster [il primo] [...] avanzo della legione Straniera [il secondo], l'altro avanzo di galera [il terzo]". Probabilmente si tratta del primo documento in cui Calvino abbia scritto di questi suoi vecchi sodali. Oltrettutto, Calvino, uso del resto a scrivere in terza persona, nei suoi lavori celava sotto nomi di fantasia personaggi reali.
Adriano S. è da identificare con Adriano (Riccardo) Siffredi, non fosse altro per il fatto che si riporta la notizia della sua morte come avvenuta a Dien Bien Phu, come noto luogo della sconfitta subita nel 1954 dall'esercito francese contro i Việt Minh guidati dal generale Giap, sconfitta che portò alla fine di quella guerra, con i conseguenti accordi di pace di Ginevra, i quali sancirono l'indipendenza - anche se poi la storia vide altri tragici eventi, come la guerra in Vietnam che coinvolse gli Stati Uniti - dell'Indocina. Questa deduzione attinente la figura di Siffredi può essere fatta alla luce di una tradizione orale che, in quanto tale, si lascia in queste righe in un alone di indeterminatezza. Sarà sufficiente aggiungere qualche frase desunta da un articolo, senza titolo, se non quello della rubrica, "Corriere di Sanremo", della "Cronaca di Imperia" de "Il Lavoro Nuovo" (all'epoca quotidiano, con sede a Genova, del Partito Socialista) di domenica 2 ottobre 1955, in una copia conservata da Giorgio Loreti, infaticabile animatore delle iniziative dell'Unione Culturale di Bordighera: "E' tornato dopo la lunga assenza, attraverso diecimila miglia di quel mare che amò con passione quasi morbosa, è tornato ai fiori e agli olivi della sua terra cui donò nei giorni dell'ira e del riscatto l'indomito ardore della giovinezza Adriano Siffredi, il «Riccardo» della nostra lotta [...] Non altrimenti vogliamo ricordarlo questo ventenne comandante partigiano, terrore ai nemici, esempio ai compagni, sprone agli ignavi: tutto il resto si spegne dinanzi alla luce che promana dalla sue gesta: Bignone, San Romolo, Borello, Via Privata, Piazza Colombo, Villa Impero... ovunque vi era un'azione da compiere, un amico da salvare, un nemico da snidare Adriano Siffredi ed i ragazzi-eroi della Matteotti furono sul posto, senza nulla chiedere se non di marciare alla testa dell'Esercito di Liberazione [...]". Il padre, Adolfo Siffredi, patriota antifascista (Fifo), fu il primo sindaco di Sanremo alla Liberazione. La figlia, Eleonora Siffredi, è una valente artista. Riferimenti ad Adriano Siffredi, poi, risultano in modo confuso in dichiarazioni contorte ed evasive contenute nel Diario (brogliaccio) del distaccamento di Sanremo della Brigata Nera "A. Padoan", documento di cui si dirà meglio dopo.

Una pagina del brogliaccio della Brigata Nera di Sanremo in cui appare più volte il nome di Adriano Siffredi

A differenza di Adriano Siffredi, che non viene mai evidenziato nelle recensioni critiche - quantomeno quelle più note - dei lavori di Italo Calvino (il cui nome di battaglia da partigiano era "Santiago"), sui fratelli Sughi esiste una discreta letteratura, dalla quale si può attingere qualche citazione. Premesso che anche Pier delle Vigne e Leone furono valorosi partigiani, si può rammentare - andando in ordine sparso - che Calvino e Jaures Sughi militarono insieme nell'estate del 1944 nella SAP "Matteotti" di Sanremo; che Pietro Sughi aveva raccontato a Pietro Ferrua (che lo riferisce nel suo "Italo Calvino a Sanremo", Famija Sanremasca, 1991) della grotta nella campagna di San Giovanni, Frazione di Sanremo, attrezzata dal padre Mario Calvino, dove in talune circostanze si nascosero Italo, il fratello Floriano - anch'egli partigiano - ed altri patrioti; che quando, nel corso del rastrellamento del 15 novembre 1944, che investì anche San Giovanni, Italo venne catturato - e si salvò dalla fucilazione perché potè esibire un surrettizio foglio di licenza - insieme a lui cadde prigioniero Jaures Sughi, destinato a salvarsi per altre vie, mentre Pietro Sughi e Floriano Calvino erano riusciti a fuggire prima dell'accerchiamento; che sempre Pietro Sughi, "Pier delle Vigne", spiegò a Pietro Ferrua il retroscena reale dell'episodio dell'incendio nel casone riportato ne "Il sentiero dei nidi di ragno": «Cosa era successo in realtà? I partigiani erano pieni di pidocchi e spidocchiandosi sulla fiamma ad uno prese fuoco la camicia, che appiccicò fuoco al canniccio sul quale c’erano delle munizioni». Si aggiunga che "Pier delle Vigne" Sughi era attivamente ricercato dalle Brigate Nere di Sanremo; alcune note del brogliaccio di questa milizia fascista, lette a distanza di tempo, assumono il tono del picaresco, se non del grottesco, specie quella del 1 febbraio 1945 (il che lascia intendere che dalle parti di San Giovanni i partigiani erano ben tornati):"... informa che la concubina di Pier de la Vigna (Sughi Pietro) parte sempre alle ore 9 e 1/4 antim. e ritorna alla sera alle 19 circa (o alle 18 3/4) per andare da Pier de la Vigna (suo concubino) a portargli da mangiare. Fa il seguente itinerario [...] Di lì va alla Madonna del Borgo. Prende la mulattiera. Va al golf e di lì a S. Giovanni. Ci dev'essere un casolare di campagna, isolato, vecchio, dove non abita nessuno, a destra della strada mulattiera, una mezz'oretta - o venti minuti - dopo la Chiesa di S. Giovanni. Sotto c'è la stalla e sopra ci sono due camere [...] Pier de la Vigna e la concubina stanno insieme e mangiano insieme. Generalmente vi sono altri due ribelli [...]". 

Lo schizzo della zona di San Giovanni a Sanremo fatto da un brigatista nero

La copia del documento di identità di Pietro Sughi nel brogliaccio della Brigata Nera di Sanremo

La pagina in questione riporta anche uno schizzo della zona; la stesura del brogliaccio viene interrotta pochi giorni dopo, per lo meno nella copia in dotazione a Paolo Bianchi di Sanremo, da cui qui si attinge; a gennaio 1945 in questo diario viene, altresì, allegata la carta d'identità di Pietro Sughi o una sua riproduzione.
 
Adriano Maini

domenica 3 dicembre 2023

C'é una Torre nella Piana di Latte...

Ventimiglia (IM): una vista parziale della Piana di Latte

Persiste un gran scrivere - per non dire un gran pontificare - sulle ville storiche di Latte, Frazione di ponente di Ventimiglia. E non solo su quelle - per lo più situate nella Piana -, ma anche su altre, non molto lontane.

Spiace solo che un bel dibattito non ci sia mai stato sui rischi corsi - ancora nel recente passato - di ulteriore cementificazione, né su ristrutturazioni, che almeno in un caso si dice sia consistita in uno sventramento completo con successiva ricostruzione. Come aveva paventato ne "Gli spiccioli di Montale" Nico Orengo, di cui non si sa se si sia mai rallegrato di qualche relativa salvaguardia pur conquistata in zona.


Conviene rifugiarsi nell'aneddotica.

C'è una Torre - una delle cinque, se non aggiuntiva, delle superstiti strutture di avvistamento, come da elenco stilato da competente persona del posto - adagiata al muro di cinta - lato di ponente, affacciato sulla foce del torrente Latte - del parco di una vestusta magione del novero di quelle già menzionate, una Torre che in una stanzetta al pianterreno negli anni - quelli Ottanta - di fulgore di sagre popolari e Feste de l'Unità - ma anche dell'Amicizia (Democrazia Cristiana) - ospitava materiali utili a tali accadimenti: a fianco, talora, all'aperto, si tenevano incontri conviviali, qualche volta rallegrati dal passaggio di qualche vispo porcospino. L'edificio oggi dovrebbe essere di proprietà diversa da quella dell'intero complesso padronale, ma, invero, questo aspetto risulta poco interessante.

La stretta Via Romana, infrastuttura di accesso a molte delle già dette dimore, attraversa la località da una parte parallela al mare, dall'altra alla ferrovia, prima in un senso, poi, in un altro, mediante un cavalcavia pedonale, sì da congegnare un'arteria carrozzabile strozzata quasi a metà. Allo stato attuale ci sono discreti parcheggi a ponente. All'epoca di tante feste popolari era uno spettacolo vedere invaso di automobili e di motocicli l'ampio greto del rio, compresi tratti del corso - asciutto d'estate! -. Per chi arrivava - ma anche adesso - sussisteva l'obbligo di prestare sempre attenzione al fatto che non ci sono quasi mai due sensi di marcia. 

Ventimiglia (IM): un classico tratto di levante della Via Romana a Latte

Una situazione che probabilmente disegna da sola tante storie.

Ad esempio, diversi anni fa Nico Orengo scrisse - dopo averne letto "Quaranta e mezzo" - un biglietto di congratulazioni ad Arturo Viale  (che lo ha pubblicato nel suo ultimo "Punti Cardinali: da capo Mortola a capo Sant'Ampelio", Edizioni Zem, 2022), in cui, tra l'altro, menzionava l'albero di giuggiola presente prima del cavalcavia della Via Romana, aggiungendo: "Caro Viale, il suo raccontare mi ha tenuto una affettuosa e sincera compagnia per una sera, tempo fa...".

Ventimiglia (IM): il cavalcavia della Via Romana a Latte

Neanche a farlo apposta appena attraversata quella passerella - o poco prima, se si arriva da un'altra direzione - sorge Villa San Gaetano. Dalla fitta ringhiera sovrastante la ferrovia si intravvede a malapena l'abside della Chiesetta dallo stesso nome, che sorge di fronte: i colori sono belli ed intensi, mentre la facciata è grigia e smorta. A quella Cappella a cavallo tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta erano usi recarsi per depositare fiori due ferrovieri in pensione, lieti di rendere in tale modo felice una signora più anziana di loro, impossibilitata a  muoversi. A Villa San Gaetano Maria Pia Urso, di recente purtroppo scomparsa, ha dedicato un bel libro di memorie - sue e di famiglia -, uno spaccato di grande livello sociale e morale. "... l'intensa esperienza di vita, la gioventù spensierata al mare, gli ideali, i gusti culturali, le curiosità e le molteplici iniziative nella comunità", sottolineava una presentazione dell'opera (Maria Pia Urso, Villa San Gaetano, youcanprint, 2015).

Spostandosi verso ponente si possono scorgere la casa a lungo abitata ed i resti delle campagne per pari periodo coltivate a fiori - rose, soprattutto - con passione e competenza - il tutto rigorosamente in affitto - da Libero Alborno, il Libero de "La curva del Latte" e di altri romanzi di Nico Orengo.

Ventimiglia (IM): uno spazio verde a complemento di un parcheggio nella zona di ponente della Via Romana a Latte

Si narra, inoltre, di episodi - accaduti in qualche punto della Piana - di pura goliardia ai quali lo scrittore si sarebbe lasciato andare con compagni sì di modesta statura intellettuale, ma che si beavano contraccambiati della sua presenza e che non si sono mai sognati di dedicargli pensieri scritti.

Ventimiglia (IM): la zona di Latte, vista dalle vicinanze di Villa San Gaetano

Da quelle parti ha abitato a lungo un floricoltore, per nulla vanesio, ma del quale ancora oggi si raccontano da terze persone grandi avventure di pesca, vissute negli anni, da quella - ripetuta - al pescespada, affrontata sempre con un piccolo guscio, non con mezzi professionali, a quella - che si tramanda ancora - di una mirabolante imbarcata di bianchetti, che, forse, non era già del tutto lecita, stanti i divieti in materia. Il fratello, forse sodale, forse più pronto ad uscire in mare con altri, ridimensionava, invece, in una datata conversazione gli esiti di una ricerca di branzini, di cui si era, invece, tramandata una bella storia, storia, inoltre, costellata di riferimenti a inconsueti, di solito rocciosi, rialzi del fondale, al massimo a pelo d'acqua, teatri a volte, per i conoscitori di quegli arcani, di cospicui risultati e talora muti conservatori di relitti misteriosi, spesso piratescamente trafugati. Non sempre i gozzi sono partiti o tornati dalle spiagge della Piana di Latte, ma spesso, per un risvolto o l'altro, lì si torna. 

D'altronde, i racconti di pesca - a fare inizio dallo stesso Nico Orengo - abbondano per tutto il ponente di Ventimiglia, da Punta della Rocca al confine con la Francia.

Adriano Maini

venerdì 1 dicembre 2023

E Italo Calvino testimoniava a favore di un ex soldato repubblichino

Sanremo (IM): il Monumento ai Partigiani - opera del patriota resistente Renzo Orvieto - sito davanti all'ex Forte di Santa Tecla, dove brevemente fu rinchiuso anche Italo Calvino

Leggendo articoli di quotidiani e di portali web, sembra che non solo per Sanremo e per Bordighera - come si è già visto su questo blog -, ma che per tutta la provincia di Imperia durante la seconda guerra mondiale ci fosse un gran pullulare di spie, ma non di spie qualsiasi, bensì di quelle che oggi rendono appassionanti film, serie televisive e romanzi d'azione. Solo che Kgb e Cia all'epoca non c'erano ancora! E non ci fu neppure nulla di paragonabile a esperienze vissute da personaggi quali Richard Sorge, Kim Philby, ‎Anthony Blunt, ‎Guy Burgess o i membri dell'Orchestra Rossa.
Neppure, forse, nella limitrofa Costa Azzurra.
Detto questo, ad onor del vero furono numerose le operazioni segrete - raramente spettacolari - condotte da o verso la Costa Azzurra da alleati, partigiani, nazifascisti.
Su questo panorama e su quello delle fitte trame intessute sul territorio imperiese c'é da credere che sarà molto illuminante il prossimo libro degli storici locali Giorgio Caudano e Paolo Veziano.
Il grosso degli accadimenti, in ogni caso, riguardava infiltrati - per fortuna, molti a favore della Resistenza! -, sicofanti, voltagabbana, traditori, delatori, opportunisti.
In questo quadro ci sono fatti noti, altri meno, altri pressoché inediti.
 
In questo vasto campo non si può fare altro che procedere con degli esempi.
 
In ordine alle tristi collaborazioni con i nazifascisti si può evincere che "un fascista repubblicano" di Imperia denunciava il 13 febbraio 1944 due funzionari dell'Ufficio Provinciale delle Corporazioni per generici gesti antifascisti compiuti dopo il 25 luglio 1943; che ci furono, sempre nel capoluogo, altre analoghe denunce; che un impresario edile di Sanremo si dichiarava protetto dalle S.S. tedesche; che molto pesanti furono le accuse a carico di una donna abitante a Bordighera; che a Sanremo il borghese "robusto, statura piuttosto alta, età circa 50 anni, colorito bruno, capelli leggermente brizzolati, barba rasa [...] del quale ho dato i connotati, che secondo me guidava la spedizione, mi disse che era stato lui ad andare dal comando tedesco" (come da un verbale di interrogatorio, oggi documento in Archivio di Stato di Genova - ricerca effettuata da Paolo Bianchi di Sanremo - < fattispecie in seguito in questo post contrassegnata come AS GE>), avrà quasi di sicuro indotto altri rastrellamenti, oltre quello qui appena accennato e nel corso del quale vennero falcidiati i partigiani fratelli Zoccarato; che sempre a Sanremo un mutilato di guerra "che camminava con i bastoni" era comunque in grado di dare informazioni nocive agli antifascisti; che era piuttosto losca la figura dell'impresario di Sanremo del quale "... parecchi giorni dopo si seppe che era stato preso l'O. Il 15 novembre [1944], pochi giorni dopo l'arresto dell'O., i nazi-fascisti effettuarono un  rastrellamento nella zona di San Romolo [n.d.a.: le responsabilità di questo O. per la tragica fine di così tanti partigiani a San Romolo, tra i quali il vecchio gappista Aldo Baggioli, il giorno stesso in cui venivano preso anche Italo Calvino, erano ribadite dall'ex graduato delle SS Ernest Schifferegger - documento statunitense agli atti -] .... tutto San Romolo è voce comune che nel secondo rastrellamento, avvenuto otto giorni dopo, vi era... il quale alla presenza del figlio del custode di Villa Marsaglia presentò ai tedeschi una lista nella quale vi erano tutti i finanziatori dei Patrioti" (AS GE); che SS francesi ancora al 22 aprile 1945 mandavano informazioni carpite a danno dei partigiani al comando locale della X Mas. 
 
Se si leggono alcuni carteggi, quali i documenti in archivio IsrecIm, riassunti da Rocco Fava di Sanremo nella sua tesi di laurea del 1989, si capiscono, inoltre, in controluce talune contromisure adottate dai garibaldini. Il 18 gennaio 1945 "Dario", Ottavio Cepollini, informava la Sezione SIM (Servizio Informazioni Militari) della Divisione d'Assalto Garibaldi  "Silvio Bonfante" che "da parte dei tedeschi continua l'interrogatorio di 'Giulio' e 'Dek', 'Boll' collabora con i tedeschi, viene messo spesso con gli arrestati e con il pretesto di essere caduto anche lui in trappola cerca di carpire notizie utili da riferire ai tedeschi. Si cercherà di fare eliminare 'Boll' proprio dai tedeschi. I tedeschi a Pieve di Teco stanno ricostruendo il ponte crollato". Il 1 marzo 1945 la Sezione SIM del CLN di Sanremo avvisava la Sezione SIM della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione" che "... a Sanremo si stava intensificando l'attività spionistica dei tedeschi... era inutile l'attacco contro il sarto Sofia". Il 16 marzo 1945 il CLN di Sanremo informava la Sezione SIM della V^ Brigata che "si trovava di nuovo a Sanremo il 'famigerato maggiore' tedesco Kruemer". Il 28 marzo 1945 "Carmelita" segnalava al C.L.N. di Sanremo  che tra i più assidui informatori dei tedeschi vi era un certo colonnello Alberto Neri, abitante a Sanremo, invalido, ex combattente dell'esercito francese, in diretto contatto con il capitano "Frank" e che un'altra informatrice era una donna sudamericana di nome "Pegg", intima amica del Neri stesso. Il 30 marzo 1945 il responsabile "S. 22", G.B. Barla del SIM della I^ Zona Operativa Liguria scriveva al comando della I^ Zona Operativa Liguria che occorreva procedere all'arresto della spia Seccatore (Coccodé), su cui si erano già date informazioni e che stava agendo a Molini di Prelà.  
 
Si riportano spesso in letteratura specialistica il passaggio di confine con la Francia compiuto in tre direzioni o punti diversi da tre gruppi della missione britannica Flap, cui si erano aggregati, tra gli altri, patrioti del Piemonte, piloti ed avieri, ex prigionieri, e l'arrivo dell'ufficiale di collegamento con la I^ Zona Operativa Liguria Robert Bentley, del Soe. Meno conosciuti, invece, sono - nel novero del Oss - i passaggi della missione Youngstown e di quella Zucca, alla quale ultima partecipava anche Vincenzo Stimolo, un eroe delle Quattro Giornate di Napoli, fallita casualmente alla stazione ferroviaria di Santo Stefano al Mare, mentre poco al largo un sottomarino aspettava di sbarcare il vero referente, un responsabile del servizio statunitense, Bourgoin.
 
Ventimiglia (IM): a sinistra la casa - di colore rosa - in Marina San Giuseppe dove venne ucciso il capitano Gino Punzi

Una storia straordinaria è quella del capitano Gino Punzi, infine reclutato dagli americani Oss antenna di Nizza, nella cui tragica vicenda si incontrano maquisard, poliziotti fascisti prima di Ventimiglia poi di Imperia ma impegnati a sostenere in segreto la sua azione di costruzione di una rete antifascista, patrioti italiani quali Giuseppe Porcheddu, il maggiore degli Alpini a riposo di Ventimiglia Luigi Raimondo - già impegnato a margine della missione Flap -, Chiappa padre e figli di Bordighera, partigiani di passaggio in Costa Azzurra che tentarono di affidargli messaggi di delazione da recapitare ai loro Comandi circa loro compagni dediti a presunte o veritiere attività illecite, pescatori contrabbandieri chi in ferale ritardo chi fatale traditore: il capitano Gino, colpito da tergo alla testa con un'ascia, ricevette il colpo di grazia a Marina San Giuseppe di Ventimiglia per ordine di un agente della S.R.A. della Marina da guerra tedesca di stanza a Sanremo.
 
A danno della Resistenza Imperiese è celebre il caso della cosiddetta "donna velata" che, dopo essersi infiltrata tra i partigiani, creò i presupposti per alcune efferate stragi nazifasciste, soprattutto ad Imperia. Lo è meno quello di Olga, nome fittizio di una giovane, forse jugoslava, di cui parla Michael Ross nel suo libro di memorie "From Liguria with love". Ross, inglese, già prigioniero di guerra a Fontanellato di Parma, dopo essere stato, insieme al suo compagno di fuga Bell, prima aiutato dal martire antifascista Renato Brunati e dalla sua compagna Lina Meiffret, poi, dopo il fallito tentativo di arrivare in Corsica in barca a motore, ospitato in clandestinità per mesi e mesi a Bordighera da Giuseppe Porcheddu - che aveva acceduto alle istanze di Brunati e di Meiffret, i quali sentivano imminente il loro arresto da parte della miliza fascista - si trovava, sempre con Bell, ai primi del 1945 tra i partigiani della zona di Taggia. Per due volte la spiaggia di Arma di Taggia da dove i due - ed altri militari alleati - avrebbero dovuto attendere il canotto di un sottomarino, attivato grazie ai messaggi radio del telegrafista di Bentley, fu, invece, teatro di uno scontro, rischiarato dai bengala tedeschi, tra partigiani e nazisti, con conseguente fallimento della prevista esfiltrazione. Non ci fu un terzo scontro, perché sia i tedeschi che il comandante - che non si era più potuto avvisare - del mezzo navale attesero invano. I garibaldini avevano capito il tradimento di Olga, che venne pertanto giustiziata con un colpo di pistola alla nuca alla presenza dei due britannici: la sua salma venne seppellita in fretta e furia. A marzo 1945 Ross e Bell partirono infine in barca a remi da Vallecrosia con l'aiuto della locale SAP per rientrare da Montecarlo nei propri ranghi.
 
Un funzionario - temporaneo (venne quasi subito arrestato) - di P.S. della Questura fascista di Imperia fece mettere a verbale che aveva contributo a salvare il maggiore Enrico Rossi (reintegrato finito il conflitto nel Servizio Permanente Effettivo del Regio Esercito), che era stato consegnato a giugno 1944 dalla G.N.R. alle SS tedesche insieme al tenente Angelo Bellabarba ed al tenente Alfonso Testaverde, tutti rei di attività antifascista, in cui spiccava la loro pregressa collaborazione con Renato Brunati e Lina Meiffret (AS GE).   
 
Italo Calvino dichiarava il 17 luglio 1945 in Commissariato di Polizia a Sanremo: "Ho conosciuto sempre il N. come di sentimenti antifascisti. Essendo io stato catturato nel rastrellamento del 15 novembre 1944 mi trovavo alcuni giorni dopo nella Caserma Crespi d'Imperia ed arruolato forzatamente in quella Compagnia Deposito. Qui incontrai il N. che era stato costretto a presentarsi in seguito a minacce di rappresaglie verso la sua famiglia. Egli appariva assai abbattuto, moralmente, per aver dovuto compiere quel passo. Io lo avvertii che la compagnia deposito non era che una stazione di smistamento verso i campi di addestramento dai quali non si poteva più scappare perciò lo consigliai, vedendo che egli aveva intenzione di scappare quanto prima di entrare a fare parte della compagnia provinciale cercando di esimersi dal fare rastrellamenti. Alcuni giorni dopo io scappai e non sò specificare l'attività del N. in quel d'Imperia. Posso dichiarare però che egli pur essendo a conoscenza del mio nascondiglio in campagna, non solo non mi denunciò ma mi avvertì che ero attivamente ricercato segnalandomi i rastrellamenti che si sarebbero compiuti nella zona" (AS GE): lo stile di scrittura non é certo quello del grande autore de "Il sentiero dei nidi di ragno"!
 
Un rapporto della flotta statunitense di stanza nel Mediterraneo annunciava l'arrivo il 10 settembre 1944 nelle vicinanze di Saint-Raphaël di tre giovanotti, colà pervenuti in barca a remi da Ventimiglia e latori di alcune informazioni di spessore militare (" Più tardi nostre navi spararono, con il supporto di aerei da ricognizione, su alcuni obiettivi indicati da questi patrioti italiani"), una attestazione che conferma un racconto tramandato oralmente in zona ma non molto noto, anche se tramandato anni fa da Arturo Viale nel suo "Vite parallele".
 
Nel diario brogliaccio del distaccamento di Sanremo delle Brigate Nere si può leggere che il comandante Mangano - di cui oggi qualcuno insinua che fosse anche in contatto con gli americani - ebbe almeno un abboccamento - destando stupore nel verbalizzante - con un partigiano autonomo. Mangano, appena finita la guerra, morì suicida a Genova.
 
"Per assicurare la dovuta segretezza alle nostre comunicazioni è stato stabilito che ogni nostro Agente firmi ogni suo rapporto, relazione, informazione, ecc con una sigla. Vogliate prendere nota che la SIGLA a Voi assegnata e con la quale dovete firmare é: VEN 38" scriveva il comandante della Legione G.N.R., Bussi, ad un suo agente confidente - goielliere di Ventimiglia - alle dipendenze dell'U.P.I. (Ufficio Politico, in pratica uno dei tanti servizi segreti della Repubblica di Salò) (AS GE).  
 
Il 16 settembre 1944 alcuni giovani francesi tentarono un vera e propria azione di commando sulla frontiera di Ponte San Luigi, tra Mentone e Ventimiglia. Il colpo fallì: morirono Jean Bolietto, di origini astigiane, saltato su una mina, e Joseph Arnaldi, detto Jojo, raggiunto da proiettili, cui si sottrassero gli altri tre del gruppo. Su questi partigiani e su questo fatto ha scritto diverse volte il professor Enzo Barnabà.         
Stando alle sue dichiarazioni del maggio 1945 (AS GE) un ex poliziotto ausiliario della polizia saloina - di nuovo in carcere con l'accusa di avere militato in precedenza nelle fila fasciste - doveva incontrare alla fine di novembre del 1944 a Camporosso alcuni partigiani francesi, ma ne venne impedito in quanto catturato da ex colleghi repubblichini di Bordighera.
Si hanno notizie (pregressa ricerca del compianto Giuseppe "Mac" Fiorucci, autore di "Gruppo Sbarchi Vallecrosia" - con ogni evidenza in ciò aiutato dallo stimato storico nizzardo Jean-Louis Panicacci -) di incursioni - confermate da precise mappe dei luoghi, ancora esistenti - in zone del nostro ponente compiute da Joseph Manzone, detto "Joseph le fou" (un nome, un programma!), maquisard del dipartimento delle Alpi Marittime, che aveva già aiutato intorno all'8 settembre 1943 soldati italiani della IV Armata a fuggire o a raggiungere la locale Resistenza, protagonista di svariate altre avventure, lunghe da raccontare.
Da ottobre 1944 in avanti diversi furono da parte di partigiani ed agenti transalpini i tentativi compiuti di entrare in Italia attraverso la Val Roia, ma fallirono tutti o quasi. Particolarmente efficiente fu in questo contrasto a febbraio 1945 il servizio di controspionaggio tedesco.
 
Adriano Maini

lunedì 27 novembre 2023

Natta guardava ancora al Pci in termini di alterità rispetto agli equilibri politici


Dopo la caduta del Muro di Berlino e lo smantellamento della Cortina di ferro si aprì, all’interno del Pci, una riflessione sull’identità del partito che non poteva non riguardare temi del passato come l’eredità politica di Togliatti e i crimini commessi dal totalitarismo stalinista <51. I segnali lanciati da Occhetto, specialmente nei confronti dei “cugini” socialisti, furono contraddittori, soprattutto in occasione del bicentenario della Rivoluzione francese <52, durante il quale emerse la possibilità di una ridefinizione del pantheon ideologico comunista. Ciò avvenne accantonando il divisivo “primato di Lenin” e, al contempo, riportando in auge gli ideali rivoluzionari di Libertà, Uguaglianza e Fratellanza e le figure storiche dei loro propugnatori Saint-Just e Robespierre <53. Ciò, tuttavia, non bastò a ricomporre le lacerazioni ideologiche con i socialisti in tempi brevi <54.
Il segretario Achille Occhetto aveva visto, sin dal XVIII Congresso del Pcus e nel cambio di passo delle politiche sovietiche, l’occasione per riformare il comunismo, tentando l’avvicinamento alla socialdemocrazia, di cui a lungo si era dibattuto in casa comunista. Non tutti all’interno del partito, tuttavia, si trovavano allineati con tale visione; il precedente segretario, Natta, per esempio, non si era rivelato per nulla entusiasta della nuova linea, tanto da commentare laconicamente l’evoluzione dello scenario politico internazionale con la celebre frase: «Qui crolla un mondo, cambia la storia… Ha vinto Hitler… si realizza il suo disegno dopo mezzo secolo». Craxi, dal canto suo, si poneva in una posizione mediana nel Psi, spartiacque tra chi come Gianni De Michelis credeva che i comunisti fossero ancora troppo pericolosi e chi come Claudio Martelli vedeva in loro validi alleati per un agognato «ritorno alle origini». Il segretario socialista, infatti, riconosceva nel Pci una volontà di cambiamento, cui, tuttavia, si opponevano ancora troppe resistenze <55. A luglio del 1990, però, Occhetto raffreddò considerevolmente i rapporti con i socialisti, definendo il pentapartito come la «realizzazione del progetto eversivo per il sistema-Italia» portato avanti da Licio Gelli, venerabile maestro della loggia massonica P2. Il gelo tra i due partiti durò per mesi, mentre gli sconvolgimenti ad Est rubavano la scena agli avvenimenti del quadro politico italiano <56.
Ciononostante, Occhetto, perseverando nelle sue convinzioni riformatrici, di ritorno da un vertice del gruppo politico Com a Bruxelles, domenica 12 novembre partecipò a sorpresa alle celebrazioni per il 45esimo anniversario della battaglia partigiana della Bolognina e, davanti a militanti, ex partigiani e giornalisti, rilasciò una dichiarazione che avrebbe mutato per sempre la storia del più grande Partito comunista d’Occidente: il Pci avrebbe potuto cambiare nome e rinnovarsi negli obiettivi e nell’azione politica <57.
Di un cambio del nome si discuteva da tempo all’interno del partito. La corrente migliorista, guidata da Giorgio Napolitano, sosteneva in tal senso la necessità di una rottura rispetto alla tradizione, in un’ottica europea piuttosto che sovietica; la sinistra del Pci, invece, opponeva resistenza al cambiamento, avvertito come segno di un irreversibile mutamento identitario.
L’estenuante discussione testimoniava lo stato di confusione e fibrillazione dei comunisti in quel periodo. Proprio per la conflittualità tra le suddette visioni, del tutto antitetiche, all’inizio del 1990 molti vecchi dirigenti comunisti pensarono che la svolta della Bolognina necessitasse maggiore collegialità e ponderazione. La nuova generazione di dirigenti, tra i quali Massimo D’Alema, Walter Veltroni, Livia Turco, Claudio Petruccioli, Piero Fassino, sosteneva, invece, già da tempo, che il partito dovesse trasformarsi in qualcosa di diverso rispetto al passato e che non fosse più sufficiente essere soltanto la forza di opposizione al sistema, oggetto di una conventio ad excludendum che non aveva più ragione di esistere <58.
Il partito, in conseguenza dei fatti internazionali e dell’horror vacui dovuto alla dissoluzione della Cortina di ferro, fu costretto ad affrontare quei nodi di dipendenza - politica, ideale ed economica - dall’Unione Sovietica che Berlinguer negli anni Settanta non aveva voluto sciogliere. Il gruppo dirigente e i militanti erano ora costretti a riconsiderare il peso del rapporto con Mosca, determinante nell’intera storia del partito, nonostante la rivendicazione di una “via italiana al socialismo” <59. Questa formula aveva costituito una sorta di “rifugio ideologico”, che aveva allontanato il Pci dall’autoritarismo sovietico, e nello stesso tempo lo aveva isolato dalle altre socialdemocrazie europee e dalle giovani generazioni, condizionate da esigenze generate dal cambiamento della società del tempo <60. Aveva altresì generato un’incomprensione profonda e l’impossibilità di dialogare con il Psi, stante la strenua difesa delle posizioni di principio <61. In questo contesto emerse l’ambivalente posizione di Craxi nei confronti del processo in atto nel Pci. Dopo la Bolognina, infatti, il segretario socialista lasciò a Botteghe Oscure il tempo per riflettere <62, esitante se radunare i voti in uscita dai comunisti in crisi o accogliere l’eventualmente rinominata formazione politica sotto la sua influenza <63.
Il Pci manifestava difficoltà anche nella comprensione dei caratteri della nuova società che, con il diminuire degli operai occupati nell’industria pesante e l’aumento di impiegati nel settore terziario, cominciava a mostrare i primi segni di un assetto post-industriale <64. Il Psi, con la sua condotta innovativa e riformista, manifestò invece una più acuta sensibilità nei confronti di questi cambiamenti e delle inquietudini che generarono. Per questa ragione, il Psi vide crescere i propri voti, specialmente nelle grandi città, ma ciò non fu sufficiente a raggiungere l’obiettivo del “sorpasso a sinistra” ai danni di un Pci in piena crisi ideologica <65.
Questa situazione rafforzò Occhetto nel convincimento che il vecchio partito non avesse futuro e che spettasse a lui guidarne il percorso di trasformazione verso nome, simbolo e identità diversi, capaci di marcare una netta rottura con il passato.
La dirigenza del partito, infatti, aveva mantenuto tutte le caratteristiche strutturali che ne avevano garantito il radicamento nella società: la natura “laica” dell’organizzazione, in antitesi con la Chiesa Cattolica, i legami di appartenenza tra militanti e la struttura centralizzata di comando. Con l’incalzare del processo di modernizzazione del Paese, però, era giunto il momento di smantellare tale impostazione estremamente rigida; si avvertì la necessità di rendere meno rigorosa la disciplina interna, di attenuare la funzione “ieratica” di cui erano rivestiti i dirigenti e di assecondare la crescita dell’elettorato di opinione, garantendo maggiore libertà di critica.
In tal senso, negli ultimi anni di vita del Pci, entrarono a far parte del dibattito politico comunista anche molteplici e divergenti orientamenti interni al partito, pur formalmente vietati dallo statuto dello stesso, in nome del centralismo democratico. Questi si polarizzarono, da un lato, intorno al principio del “compromesso sull’identità di programma” di Natta e, dall’altro, sulle “ritirate strategiche” di Occhetto. Natta guardava ancora al Pci in termini di alterità rispetto agli equilibri politici e coniugava slancio propositivo a mantenimento delle posizioni; Occhetto propendeva sempre più per un cambio di riferimenti culturali ed un avvicinamento rapido alla sfera del nuovo “socialismo dal volto umano” post-Guerra fredda <66, che metteva definitivamente alle spalle lo stalinismo e il dispotismo asiatico. Il dibattito fra le due opzioni divideva sia il gruppo dirigente che la massa di militanti ed era reso ostico dall’assenza di una leadership forte.
Nonostante tale processo di revisione dirigistico, con tutte le sue contraddizioni, fu sempre ampia la fascia di militanza che continuò a porre fortissime resistenze alla messa in discussione dell’identità partitica, in nome della memoria culturale comunista, “patria” politica per un terzo degli elettori italiani.
I dirigenti, gli intellettuali, e soprattutto i militanti, che pure vivevano con passione ed euforia le settimane successive alla caduta del muro di Berlino, erano mossi da un’ondata di “patriottismo di partito” che contrastava con la “crisi identitaria”; sarebbero stati propensi a mettere in discussione il simbolo o il patrimonio simbolico, ma in nessun caso sarebbero stati disposti a riconsiderare criticamente la propria storia o il deposito di memorie e tradizioni <67, in difesa delle quali si era alzata una fermissima levata di scudi.
[NOTE]
51 F. Merlo, Uno storico: Occhetto non sa quando è nata la democrazia e Craxi ha preteso di piegare Machiavelli ai propri fini, in «Corriere della Sera», 26 gennaio 1989.
52 E. Scalfari, E Occhetto ha intonato la marsigliese, in «la Repubblica», 22 gennaio 1989.
53 S. Colarizi, M. Gervasoni, La cruna dell’ago. Craxi, il partito socialista e la crisi della Repubblica, cit., p. 231.
54 V. Coletti, L’arduo sogno dell'unità a sinistra, in «il Corriere della Sera», 11 febbraio 1989.
55 P. Franchi, Intervista a Bettino Craxi, in «il Corriere della Sera», 15 giugno 1989. 56 L. Cafagna, La grande slavina, l'Italia verso la crisi della democrazia, Marsilio, Venezia, 1993, p.16.
57 L. Fabiani, Forza giovane Pci: ti aiuteremo noi a cambiar nome, in «la Repubblica», 30 settembre 1989.
58 A. Possieri, Il Peso della storia. Memoria, identità, rimozione dal Pci al Pds (1970-1991), il Mulino, Bologna, 2007, pp. 273-279
59 Ibidem.
60 S. Colarizi, M. Gervasoni, La cruna dell’ago. Craxi, il partito socialista e la crisi della Repubblica, cit., p. 213.
61 Ivi, p. 214.
62 B. Craxi, Lasciar riflettere il Pci, in «Avanti!», 17 novembre 1989.
63 S. Colarizi, M. Gervasoni, La cruna dell’ago. Craxi, il partito socialista e la crisi della Repubblica, cit., p. 233.
64 Ivi, p. 208.
65 Ivi, p. 206.
66 Tempo di Inquietudini. La segreteria di Natta raccontata dall’Unità (1984-1989), in «Diacronie, studi di storia contemporanea», 2014. https://journals.openedition.org
67 Lettera a «l’Unità» del 25 gennaio 1990, in A. Possieri, Il Peso della storia. Memoria, identità, rimozione dal Pci al Pds (1970-1991), cit., pp. 280-281.
Leonardo De Marco, “Il duello a sinistra: Pci e Psi tra pentapartito e Tangentopoli” (1987-1992), Tesi di laurea, Università Luiss "Guido Carli", Anno Accademico 2018-2019

[...] Gorbaciov costituì più un ostacolo che uno stimolo per l’evoluzione e la trasformazione della cultura politica del Pci verso la socialdemocrazia europea. Questa interpretazione era peraltro largamente condivisa dai moderati capeggiati da Giorgio Napolitano, il quale cercò inutilmente di indicare una strada diversa tra l’integrazione piena nella sinistra europea e il socialismo riformatore di Gorbaciov suscitando non poche reazioni negative all’interno del Partito. <13
Nel maggio del 1988, mosso dalle critiche che si erano levate all’interno del gruppo dirigente e da ragioni di salute, Alessandro Natta scelse di rassegnare le dimissioni dalla segreteria del Partito. Aldo Agosti ha osservato che sotto la direzione del nuovo segretario Achille Occhetto, simbolo del suddetto ricambio generazionale, cercò di imprimere una svolta più netta all’evoluzione del partito. Il Pci proclamò la volontà di recuperare un rapporto con la tradizione socialista identificando come unica strada percorribile «quella di un’alternativa di sinistra al sistema di potere della Dc». <14 Malgrado la profonda rottura della segreteria di Occhetto rispetto a quella di Natta, l’esplicita collocazione del Pci nella sinistra europea, la presunta “laicizzazione” del partito e la sua emancipazione da ogni residuo di ideologia leninista, il “nuovo corso” fu caratterizzato da numerosi elementi di confusione e di improvvisazione, quella che Pons ha definito tutto ciò come «una continuità più selettiva, ma non meno forte, con la cultura politica berlingueriana». <15
A proposito del Pci all’indomani della svolta della Bolognina Pons scrive: "L’apice del disorientamento viene raggiunto all’indomani della strage di Tienanmen nel giugno 1989, quando Occhetto dichiara che il suo partito non ha nulla a che fare con il comunismo internazionale, ma respinge ogni richiesta di cambiamento del nome. Sotto questo profilo, il Pci costituisce la parte più debole, contraddittoria ed esposta di un intero sistema politico dominato dal riflesso bipolare e impreparato a fronteggiare il repentino disfacimento dell’ordine della Guerra fredda dalla fine del 1989 in avanti". <16
L’affermazione spesso rivendicata dai comunisti italiani della propria specificità e “diversità” fece in modo che il Pci lasciasse un’impronta di rinnovamento di fronte alla crisi finale del comunismo mondiale. Si trattò tuttavia di un percorso di “riconversione” irto e difficile e che, pretendendosi risolto nella sua vicenda nazionale, finì per offrire agli avversari un’ulteriore sponda al discorso anticomunista.
[NOTE]
13 Pons S., La bipolarità italiana e la fine della guerra fredda, in L’Italia contemporanea dagli anni Ottanta ad oggi, Volume I, Fine della Guerra fredda e globalizzazione, a cura di Pons S., Roccucci A. e Romero F., Roma, Carocci, 2014, pp. 45-46.
14 Agosti A., Storia del Partito comunista italiano 1921-1991, Bari, Laterza, 2000, pp. 151-152.
15 Pons S., La bipolarità italiana e la fine della guerra fredda, in L’Italia contemporanea dagli anni Ottanta ad oggi, Volume I, Fine della Guerra fredda e globalizzazione, a cura di Pons S., Roccucci A. e Romero F., Roma, Carocci, 2014, p. 46.
16 Ibidem.
Maria Chiacchieri, Il Pci da Berlinguer a Occhetto. L’onda lunga della cultura pacifista e la prima Guerra del Golfo (1984-1991), Tesi di dottorato, Università degli Studi Roma Tre, Anno Accademico 2019-2020

domenica 19 novembre 2023

La nascita dei GAP


Il 20 settembre 1943 a Milano in casa dei coniugi Morini nacque il Comando generale delle Brigate Garibaldi, alla presenza di Massola, Roasio, Novella, Negarville, Scotti, appena rientrato dalla Francia, e Secchia, giunto da Roma. Nei giorni successivi sarebbe arrivato anche Longo, mandando Negarville a Roma e assumendo la responsabilità militare delle Brigate del Pci, mentre Secchia era incaricato della guida politica. Nonostante la mancanza di un'effettiva struttura di partito in Italia, si scelse di rompere l'attesismo e lanciare nell'immediato l'attacco all'occupante e al suo collaboratore. Pur con supporti logistici da socialisti e azionisti, in Italia come in Francia, i comunisti risultano gli unici fautori del terrorismo urbano, mentre gli altri partiti antifascisti "non sono convinti della sua produttività, in termini di consenso da parte dei cittadini, e della praticabilità, in termini morali, del terrorismo urbano" <16. Per il PCI invece, l'esperienza di vita clandestina e di lotta in Francia fu di centrale importanza nella decisione di ricorrere a tale pratica, di cui conosceva già le modalità e i fini, ma anche i rischi e le difficoltà. La scelta di ricorrere alla guerriglia in città fu adottata consapevolmente, in accordo con il comportamento dei comunisti a livello europeo e con la convinzione di costituire l'avanguardia del movimento operaio nella liberazione. Una filiazione delle azioni dei GAP da quelle dei FTP, un filo diretto com'è dipinto da Amendola nel suo panegirico di Ilio Barontini, può forse essere valido sul piano strettamente personale, apparirebbe invece sul piano storiografico un salto deduttivo, in relazione alle scarse informazioni ufficiali sull'operato degli italiani a Marsiglia.
Per Amendola "l'azione all'albergo Terminus divenne l'azione compiuta dai Gap romani contro l'albergo Flora, con la stessa tecnica e l'ordigno gettato davanti alla coda della casa di tolleranza di Marsiglia, divenne l'ordigno gettato da Bentivegna davanti al cinema Barberini a Roma" <17.
Questi eventi potevano forse essere legati nella memoria del protagonista, che si servì del precedente di alcune azioni realizzate in Francia da comunisti italiani per la guerriglia in patria, ma, in assenza di testimonianze e riscontri documentari, tali parallelismi non possono valere sul piano storiografico. Si può tuttavia riconoscere che le strutture di un organismo già noto servirono da modello alla preparazione delle squadre deputate al terrorismo nelle città italiane. Santo Peli riconosce l'imprescindibilità dell'esperienza francese all'inizio della sua storia dei GAP, asserendo che "senza questi dirigenti, senza l'esperienza della concreta organizzazione della lotta armata nelle città di Lione, a Marsiglia, progettare la formazione dei Gap sarebbe stato impensabile" <18.
I comunisti passati per la Francia costituirono lo scheletro dei Gap ma dovettero scontrarsi in Italia con i nodi già presentatisi ai comunisti francesi, il timore delle rappresaglie, l'impreparazione della classe operaia italiana a questo tipo di lotta, la scarsità cronica dei reclutati. Com'era successo oltralpe infatti, la previsione di versare alla lotta armata in città il 10% dei propri effettivi fu impossibile da realizzare per tutta la durata dell'occupazione. La direzione comunista decise comunque che bisognava agire e i più versati nella lotta armata furono impiegati nell'attuazione della direttiva, colpire e sabotare il nemico in città sin dalle prime settimane. Anche i problemi logistici sorti in Francia, la necessità di documenti falsi, armi, vettovagliamenti e appartamenti, si ripresentarono in Italia, aggravati però dalla mancanza di una struttura clandestina preesistente alla lotta, come quella del PCF. I finanziamenti per i Gap vennero dai contributi richiesti ai tesserati al partito, ma anche dalle cosiddette azioni di recupero, ovvero rapine in banca o assalti alle caserme fasciste, esponendo i patrioti alla mescolanza con criminali comuni e con individui di dubbia moralità.
Ad ogni modo, il 25 ottobre Longo, telegrafando a Mosca sulle novità dell'estate e l'armistizio, poteva riferire sinteticamente "Sta nascendo la guerriglia" <19. Infatti le risorse umane più attive del partito erano mobilitate: sotto la guida di Longo e Secchia, Scotti era ispettore generale incaricato dell'organizzazione della lotta in Piemonte, Lombardia e Liguria, mentre a Roasio spettavano il Veneto, l'Emilia e la Toscana. Ritroveremo molti dei militanti addestrati in Spagna e Francia incaricati della costituzione delle singole brigate, mentre Ilio Barontini, prima di assumere la responsabilità militare in Emilia, viaggiò nelle principali città italiane per dare consigli ai comandanti di formazione e insegnare come fabbricare gli ordigni. Come in Francia quindi, non si attese di avere i mezzi e gli uomini necessari alla lotta, ma furono ampiamente dispiegate le risorse disponibili, nella convinzione che bisognasse agire subito, poiché spettava al partito il compito di innescare la miccia per l'azione delle masse.
Il 24 ottobre Ateo Garemi e l'anarchico Dario Cagno colpirono a morte Domenico Giardina, seniore della Milizia a Torino, e, catturati in seguito all'azione, lasciarono spazio al I Gap del Piemonte, guidato da Giovanni Pesce. Le prime azioni di Garemi e Cagno, che, pur avendo avuto contatti con il partito, non ne dipendevano, rientravano nell'ambito di azioni di disturbo da parte di un gruppo anarco-comunista, i cui obiettivi risultavano abbastanza casuali, come per altre cellule autonome, ad esempio Stella Rossa. Appunto per portare sotto la propria autorità la lotta urbana, il PCd'I convocò a Torino Remo Scappini in qualità di responsabile federale, Arturo Colombi, responsabile regionale, e Romano Bessone, commissario politico dei Gap per la città <20. Tutti e tre militanti di vecchia data, i primi due passati per Mosca, per l'emigrazione in Francia e la detenzione a Civitavecchia, Colombi anche per il confino a Ventotene. Bessone invece era nato nel vercellese nel 1903, operaio comunista dalla gioventù, era stato deferito al Tribunale Speciale nel 1927 per aver partecipato ad una riunione comunista nei pressi di Torino. Resosi latitante, fu arrestato il 25 ottobre 1930 e condannato a 16 anni di reclusione e 3 di libertà vigilata, ridotti poi a 7 per amnistia, fu scarcerato nell'ottobre 1935. Al momento dell'arresto dichiarò di essere tornato da Mosca e fu trovato in possesso di volantini comunisti. Durante la reclusione, a partire dal '32, gli fu impedito di tenere corrispondenza con Elodia Malservigi, dattilografa residente in Russia che dichiarò di aver sposato con rito sovietico a Nowieltz nel 1928. La sua scheda personale riporta che in carcere "tenne cattiva condotta politica, appalesandosi pericolosissimo comunista. Pertanto è stato incluso nel 2° elenco di sovversivi pericolosi da arrestare in determinate contingenze" <21. Infatti, dopo l'ingresso in guerra, il 20 luglio 1940, era stato inviato al confino a Ventotene, dove aveva ripreso contatto con i dirigenti confinati e da cui sarebbe stato liberato nell'agosto '43, poche settimane pima di ricevere la responsabilità della formazione dei Gap torinesi. La direzione fu invece affidata al venticinquenne Giovanni Pesce, che abbiamo incontrato tra i giovani accorsi in Spagna sette anni prima. Al rientro in Francia era tornato dalla famiglia nella regione della Gran Combe ma, vista la difficoltà di trovare lavoro e il timore di essere internato per la propria condizione di straniero comunista, entrò clandestinamente in Italia e fu arrestato a Torino il 23 marzo 1940. Trasferito a Ventotene sei mesi dopo, vi trovò compagni vecchi e nuovi: "Terracini, Scoccimarro, Secchia, Roveda, Frasin, Camilla Ravera, Spinelli, Ernesto Rossi, Li Causi, Pertini, Bauer, Curiel, Ghini" <22. In assenza di militanti provati da versare alla nascente formazione, Bessone e Pesce si volsero agli appartenenti a queste cellule di fabbrica spontanee, comuniste ma non legate alla linea di partito, reclutando giovani provenienti soprattutto dall'ambiente operaio.
In Lombardia invece, il comando regionale era assegnato alla metà di ottobre a Vittorio Bardini, responsabile politico, a Cesare Roda, responsabile tecnico, e ad Egisto Rubini, addetto alle operazioni. Il profilo di questi uomini è quello spesso incontrato nel nostro percorso: tutti sopra i 35 anni, divenuti nell'esilio rivoluzionari professionali, passati per la Spagna, e Rubini anche per i FTP del Sud della Francia. In questi parametri generali rientravano tutti i comandi regionali e i principali istruttori dei distaccamenti, che si esposero in un primo momento per dare l'esempio ai nuovi, sotto i trent'anni, che sarebbero stati i fautori del terrorismo urbano. Il primo obiettivo di grande rilievo fu Aldo Resega, responsabile della federazione del fascio a Milano, colpito dal primo nucleo operativo dei GAP milanesi, che sarebbe diventato il distaccamento Gramsci (Validio Mantovani Barbisìn, Carlo Camesasca Barbisùn, Antonio La Fratta Totò e Renato Sgorbaro Lupo). Come rileva Borgomaneri, autore del lavoro più completo sul terrorismo urbano a Milano, "il primo gappismo milanese nasce dalla fabbrica e affonda le proprie radici in quell'oscuro lavoro di agitazione, di propaganda e di proselitismo che l'organizzazione comunista è riuscita a tessere nel ventennio,[inoltre…] la prima forza combattente dei Gap è costituita da operai non più giovanissimi" <23. Essi erano infatti tutti operai dell'area di Sesto San Giovanni, il più giovane, Mantovani, aveva 29 anni, il più anziano, La Fratta, 35. I ragazzi, inesperti poco più che ventenni, sarebbero subentrati tra il gennaio e la primavera. Il 18 dicembre 1943, in concomitanza con uno sciopero che bloccava da giorni i principali stabilimenti milanesi, il federale venne atteso all'uscita della propria abitazione. La Fratta e Mantovani erano di guardia, uno accanto al portone e l'altro all'angolo della via, Camesasca e Sgorbaro nei pressi di un edicola leggevano un giornale, dietro il quale erano nascoste le armi. Resega venne colpito nel momento in cui il proprio cammino incrociava quello dei terroristi, che si affrettavano poi a raggiungere le biciclette e fuggire nel trambusto creato dagli spari. Le prime azioni, spesso improvvisate, rappresentavano per questi militanti, provati ma non temprati nella lotta, una prova del fuoco, lo scoglio da superare per altre azioni. Borgomaneri individua alla fine del '43 due distaccamenti, il Gramsci di Mantovani e il Cinque giornate di Oreste Ghirotti, composti ciascuno da tre squadre. Con le azioni iniziarono però anche le prime cadute. Il 19 dicembre Arturo Capettini, addetto alla logistica e ai rifornimenti di armi, fu arrestato. In seguito al rinvenimento di materiale bellico ed esplosivo nel suo magazzino di riparazione per biciclette, esso divenne una trappola per alcuni ragazzi del Cinque giornate, come Stefano Brau e Augusto Mori. L'individuazione di Sgorbaro portò inoltre all'isolamento del gruppo di Sesto, lasciando spazio alle azioni dei distaccamenti Matteotti e Rosselli, autori in gennaio di attacchi nei ritrovi tedeschi e mordi e fuggi in bicicletta. All'inizio di febbraio, per l'omicidio del nuovo questore di Milano, Camillo Santamaria Nicolini, fu richiamato il distaccamento Gramsci, del quale Camasasca e Mantovani erano stati promossi responsabile militare e politico. In questa fase più avanzata della guerriglia in città però, le autorità non si muovevano a piedi senza protezione: il piano prevedeva perciò di colpire Nicolini in auto da un'altra auto in corsa, una lancia Aprilia appositamente rubata a due tedeschi. L'azione, affidata ai giovani di Niguarda (Elio Sammarchi, Dino Giani e Sergio Bassi) ricorda ancora una volta come la riuscita di un colpo fosse questione di attimi, in cui non mancava l'intervento del caso. Un tram si interpose tra le due vetture e una frenata dell'autista di Nicolini impedì che venisse colpito. L'ultima azione di questa prima fase del gappismo milanese fu un attacco alla casa del fascio di Sesto San Giovanni il 10 febbraio 1944, compiuto con l'aiuto di un operaio della Breda infiltrato, Lacerra. Egli però, invece di lasciare la città (come previsto) si recò sul proprio posto di lavoro, dove fu arrestato due giorni dopo, portando ad una catena di arresti e delazioni che sbaragliò i gruppi di città, giungendo sino al vertice con la cattura di Bardini, Roda e Rubini. Quest'ultimo e Ghirotti si suicidarono in carcere dopo giorni di tortura. Il terrorismo urbano a Milano si sarebbe riacceso in estate, grazie alla riorganizzazione di Giovanni Pesce, che nell'inverno '43 era però ancora a Torino.
[NOTE]
16 Santo Peli, Storie di Gap, op.cit., pag. 31.
17 Amendola, Comunismo, Antifascismo, Resistenza, op.cit., pag. 364.
18 Santo Peli, Storie di Gap, op.cit., pag. 33.
19 Longo, op.cit., pag. 100-101.
20 Nicola Adduci, Il mito e la storia: Dante Di Nanni, in Studi Storici, fascicolo 4, settembre-ottobre 2012, pag. 260-262.
21 Acs, Cpc, fascicolo personale, busta 591
22 Giovanni Pesce, Senza Tregua. La guerra dei GAP, Feltrinelli, Milano 1967, pag. 161.
23 Luigi Borgomaneri, Due inverni, un'estate e la rossa primavera. Le Brigate Garibaldi a Milano e provincia. 1943-1945, Franco Angeli, Milano, 1995, pag. 24.
Elisa Pareo, "Oggi in Francia, domani in Italia!" Il terrorismo urbano e il PCd'I dall'esilio alla Resistenza, Tesi di laurea magistrale, Università degli Studi di Pisa, 2019