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lunedì 9 dicembre 2024

Ombrellaio!!!

Ventimiglia (IM): il carro del Dopolavoro di Nervia transita davanti al Teatro Romano per l'edizione 1938 della Battaglia di Fiori. Fonte: Diego Pannoni

C'era una casa, a Nervia di Ventimiglia, più o meno insistente sull'attuale ingresso dell'antico Teatro Romano, demolita concluso il secondo conflitto mondiale, una costruzione che ospitava anche un panificio, dove diversi ragazzi dell'epoca impararono il mestiere. Si fermava spesso ai tempi in quell'operoso laboratorio un ferrivecchi, arrivato da non molto dalla lontana Calabria. Tra l'ospite e gli addetti al forno l'atmosfera era sempre gioiosa, le conversazioni erano sempre amichevoli, gli spuntini erano frequenti. Ma era anche irresistibile la tentazione per gli indigeni di giocare qualche tiro all'immigrato, mettendosi a parlare in dialetto stretto: il divertimento era comunque assicurato per tutti, trattandosi di persona di spirito, destinata di lì a breve a diventare un noto ristoratore della città di confine.

Arturo Viale nel suo "Punti Cardinali. Da capo Mortola a capo Sant'Ampelio" (Edizioni Zem, 2022) si sofferma su di sergente dei granatieri, alto un metro e novanta, il quale, per arrotondare la paga raccoglieva ferro ed ossa (di animali, si suppone!): "il ferro serviva per qualche fucina e le ossa tritate diventavano concime", ma, finita la guerra, riapprodato a Ventimiglia, "aveva deciso di sfruttare l’altezza e si era messo a costruire i pergolati di cannicci per coltivare il verde e le serre in legno".

In quel periodo operava nella zona intemelia di frontiera anche un guaritore, una figura su cui Odovindo Del Bona ha incentrato il suo romanzo "Il mago e le streghe. Vicende dell'estremo Ponente Ligure" (Youcanprint, 2019).
In effetti l'autore (un noto imprenditore del ponente ligure che per l'occasione ha inteso celarsi sotto un nome d'arte) ha innestato dei raccordi di fantasia sulla rievocazione di molte vicende reali della vita del nonno materno (e di questo ramo della sua famiglia): un'opera che merita, invero, qualche successiva specifica presentazione critica più dettagliata.
Qui preme sottolineare due situazioni, estrapolate dal contesto.
L'imposizione fatta al protagonista, nonché a sua moglie ed alla figlioletta, di sopportare la presenza forzata del "comandante Kasper" e di un drappello di soldati tedeschi al piano terra della propria abitazione, un casale parzialmente appena ristrutturato, situato non lungi dal cimitero di Vallecrosia, e di questi e di altri teutonici nel suo terreno adibito ad uso agricolo, ancorché in quei giorni tormentati praticamente abbandonato, un terreno ben presto devastato per l'allestimento di un'officina di riparazione di mezzi pesanti germanici.
E la richiesta del comandante garibaldino Vittò (al secolo Giuseppe Vittorio Guglielmo), quando Pigna era una zona libera partigiana, di curare un suo caro amico che versava colà in gravi condizioni. Il guaritore, che attraversava di continuo gli spazi di patrioti e di nazifascisti in quanto molto richiesto per le sue prestazioni, in quel caso si sentì sul serio incapace allo scopo, ma, con sua somma sorpresa, il suo tentativo ebbe successo: al ritorno fu molto attento a non fare accenni di questa vicenda all'uomo della Wehrmacht, che, anche se riconoscente per la terapia praticata alla sua sciatalgia, era sempre molto sospettoso circa gli spostamenti di chi malvolentieri lo ospitava.

In molti, specie donne, allora ed anche dopo, praticavano rimedi e medicamenti, per lo più con decotti di erbe, per malanni vari: ad esempio, si prestava attenzione ai bambini per i cosiddetti "vermi" (la tenia) ed ai più grandi per slogature, storte alle caviglie ed altri acciacchi muscolari, rispetto ai quali alcuni veri "maghi" sapevano ripristinare condizioni ottimali con la semplice (si fa per dire!), misteriosa imposizione delle mani.

Ma ambulavano, inoltre, da queste parti, come nel resto del Paese, chi sporadicamente, chi più sovente, zampognari (che la mentalità popolare individuava come nunzi di maltempo), arrotini, spazzacamini, pescivendoli (brutto termine ma di uso corrente). In genere si annunciavano con forti strilli in gergo. Un grido, forse, è rimasto più impresso in una certa memoria collettiva, quello di "Ombrellaio!!!". Mestieri in larga misura superati dalle tecniche moderne, comprese quelle che producono beni "usa e getta". Qua e là, tuttavia, si esibiscono ancora colleghi degli amici acrobati e ballerini di Mary Poppins, non del tutto sorpassati dal progresso.

E dalle spiagge si sente pure adesso qualche volta il quasi ancestrale, cantilenante annuncio "Cocco fresco, cocco bello!". Ma anche un più recente - così, almeno, sembra! - "Co! Co! Co! Cocco bello!".

Adriano Maini

lunedì 2 dicembre 2024

Genova (2)

Genova: uno scorcio della Loggia di Piazza Banchi

Si legge di un progetto di forte valorizzazione culturale della Loggia di Piazza Banchi a Genova, consistente in una sorta di innovativo museo diffuso: passerelle sospese all'interno dell'edificio per consentire la visione dei reperti scavati di recente, proiezione - visibile all'esterno - di stampe d'epoca medievale e rinascimentale sulle vetrate, altri effetti notte.
In effetti, decenni addietro la zona, compreso l'adiacente - a monte - Palazzo Senarega, era molto fatiscente: si cominciò con una invero bella ristrutturazione di quest'ultimo ed ora in qualche modo si prosegue.
Si deve solo confidare che i visitatori non rimangano troppo distratti da quanto presentano, ad esempio,  in termini di gastronomia i circostanti vicoli, Sottoripa, Piazza Caricamento, Porto Antico.
Del resto, ci sono diversi modi di amare la storia: dopo tante dimenticanze oggi nella città della Superba si intende forse passare da un'esagerazione all'altra.

Non si legge più nulla, invece, dello Stadio Carlini, sede storica di svariate displine, situato a levante del centro storico, coinvolto una dozzina d'anni fa in un disegno di forte cambiamento. Negli anni Sessanta poteva capitare che i giovani atleti partecipanti alle gare regionali di atletica leggera della categoria allievi prima di avviarsi dagli spogliatoi ai loro cimenti si avventurassero talora, facendo ticchettare i chiodini delle scarpette di gara, per errore o per fretta, sull'anello di cemento, architettato per essere una pista per il ciclismo, un'attività, quest'ultima, la quale, purtroppo, non dice più nulla al largo pubblico.

In Piazza De Ferrari a Genova si avviò la ribellione composta e civile, soprattutto di tanti giovani, contro il congresso del Msi previsto ai primi di luglio del 1960 nella città simbolo per antonomasia della Resistenza, un moto di protesta dilagato presto in tutta Italia, da cui derivò la caduta del governo Tambroni, che quell'assise aveva autorizzato e che sui voti dei neo-fascisti si reggeva, e da cui risultarono confermati in modo saldo i valori repubblicani dell'antifascismo: i cortei di Genova furono chiamati "dei ragazzi dalle magliette a strisce", indumento molto diffuso in quel frangente perché venduto a prezzo molto economico da un grande magazzino, e di quel novero fecero parte anche persone del ponente ligure o che in questo lembo di terra di lì a breve si trasferirono.

Adriano Maini

sabato 23 novembre 2024

Un po' prima dei carri de "I Galli del Villaggio"


Capita di riprendere in mano un vecchio libro sulla Battaglia di Fiori di Ventimiglia per cercare almeno il nome della compagnia di carristi con la quale aveva collaborato nei primi anni Sessanta - addirittura potendo usufruire di una specifica licenza dal servizio militare di leva - un vecchio conoscente, smemorato, ma nostalgico. Si risolve parzialmente il quesito, individuando il gruppo, ma non - salvo due - i carristi. Ci si è arrivati anche incrociando i dati ricavati dalla lettura con quelli emersi da conversazioni con persone che ben conoscono la strada dove era ubicato il capannone.

A questo punto è doveroso citare il ponderoso volume "Battaglia dei Fiori" di Danilo Gnech, Franco Miseria e Renzo Villa (Dopolavoro Ferroviario di Ventimiglia, Cumpagnia d'i Ventemigliusi, Civica Biblioteca Aprosiana - 1987). Si tratta di una vera e propria miniera di informazioni, che non può, tuttavia, essere del tutto esauriente, proprio per la massa sterminata di notizie, concernenti le brevi analisi di decine di edizioni della manifestazione (dal 1921 al 1938; poi l'interruzione per la guerra; quindi, dal 1948 sino al 1969; poi, le due, una del 1984, l'altra del 1985) e la pubblicazione di centinaia di fotografie, desunte quasi tutte dallo storico archivio di Foto Mariani di Ventimiglia.

Accade che in occasione della mentovata ricerca, venga, altresì, in mente di tentare di appurare le specifiche di carri che, considerate le fotografie - focalizzate sulle persone ritratte, con inquadrature, dunque, solo parziali dei carri - portano a propendere per riferimenti a Bordighera e per una datazione talora risalente ai primi anni Cinquanta.


Ci si inizia, però, a distrarre. Sono troppi i particolari curiosi che si riscoprono nella grande mole di documentazione, solo sfogliata negli anni per parziali consultazioni, o che si notano per la prima volta.
Diventa irresistibile la tentazione di citare alla rinfusa, senza neppure risalire a prima dell'ultimo conflitto, periodo foriero di tanti altri eventi, partigiani e reduci della recente guerra impegnati in qualche modo con i carri; personaggi noti ed altri meno noti, ma caratteristici; carri non solo provenienti da Bordighera - ma questa circostanza è scontata - da Camporosso, da Vallecrosia, cittadine limitrofe della zona intemelia, ma anche, in almeno in un caso da Nizza - o costruito in loco per conto del capoluogo del dipartimento delle Alpi Marittime.
Viene spontanea una divagazione su Vallecrosia, suscitata dalla reminiscenza del racconto di una ex staffetta partigiana, che a suo tempo, per contribuire finanziariamente alla costruzione del carro del suo gruppo, aveva rinunciato a comprarsi l'agognato ciclomotore: i garofani per infiorare all'epoca erano gratuiti - congiuntura sulla quale qualcuno ha scritto pagine molto belle, che sarebbe d'uopo rivisitare - per cui era sufficiente andare a raccoglierli, ma qualche spesa pur sussisteva e, se non si vincevano premi, rimborsi pubblici, anche parziali, pare non sussistessero.
Anche a Vallecrosia si cimentarono sodalizi ispirati da riviste dell'area comunista; anche da Vallecrosia salirono sui carri belle ragazze e gagliardi giovanotti, compreso il negoziante più anarchico che comunista, fine intellettuale che conosceva tutti (tra questi Angelo Oliva, Francesco Biamonti, gli animatori dell'Unione Culturale Democratica di Bordighera). Nel libro "Battaglia dei Fiori" vengono poi citati i fratelli Tardito di Vallecrosia come gruppo carrista: in sostanza, una didascalia a corredo di uno scatto abbastanza buffo del quale basta dire che riprende un motociclo più o meno infiorato, con più persone a bordo, di cui una chiaramente è un uomo travestito (male!) da donna, il tutto per ricreare un soggetto da sfilata dal titolo emblematico (oggi lo si definirebbe molto scorretto) "Le zitelle". Quasi sicuramente gli autori hanno inteso menzionare Elio ed Ivo Tardito, i quali ben conoscevano il commerciante di cui si è già detto, ma di loro va anche rammentato il grande impegno successivamente profuso nel Cine-Foto Club di Vallecrosia, altra associazione che meriterebbe qualche appropriata rievocazione.

Tornando all'argomento dei carri di Bordighera ad inizio anni Cinquanta si sottolinea, a mero titolo indicativo, che nel 1948 avevano già partecipato alla Battaglia di Fiori l'opera "Omnibus dell'Ottocento" della compagnia - o gruppo - Anzio-Sasso, nel 1949 il carro "India" (Sicilia-Parmeggiani) e quello "Corbeille" (Azienda Autonoma Turismo), nel 1950 "Il sedile dei pensieri" (sempre Sicilia-Parmeggiani).  


Con "Tempio proibito" (Giuseppe Tomatis) del 1954 si è, forse, arrivati al primo riscontro positivo tra una fotografia e gli atti, per così dire, ufficiali della Battaglia di Fiori: nell'immagine si vede almeno un protagonista dei futuri trionfi (anni Sessanta) dei carri de "I Galli del Villaggio". Si fa notare di passaggio che si sono fatti scomodare nell'indagine alcuni interlocutori, autorevoli in materia, comunque, rimasti presi alla sprovvista.
Ai carristi de "I Galli del Villaggio" di Bordighera ha reso per lo meno onore Renato Ronco con l'articolo intitolato per l'appunto "I Galli del Villaggio", compreso in (a cura di) Pier Rossi, Racconti di Bordighera - 2, Alzani Editore, 2018.

Rimangono, rispetto ad immagini attinenti la Battaglia di Fiori e Bordighera, altri inediti da appurare, probabilmente, anche errori da rimediare.
Del resto, quello relativo alla desueta manifestazione popolare ventimigliese è un romanzo che ogni persona interessata scrive per conto suo.
Forse, per molti motivi, una storia irripetibile, ma sempre foriera, per chi interessato, di ulteriori spunti narrativi.
E, forse, è meglio che restino ancora nell'alone del mistero le prime due fotografie qui pubblicate, la prima delle quali potrebbe anche essere fuori lo stretto tema.

Adriano Maini

lunedì 11 novembre 2024

Il macchinista francese venne espulso

Ventimiglia (IM): un treno regionale francese in partenza dalla stazione ferroviaria

Ventimiglia presenta - si può dire da sempre - una stazione ferroviaria internazionale, dalla quale a lungo presero servizio tanti "cheminots", i quali, pertanto, dimorarono anche nella città di frontiera. Poco prima dello scoppio della seconda guerra mondiale un cameriere, ancora ragazzo, venne interrogato dai militi fascisti per tentare di incastrare un ferroviere francese, presunto (a ragione!) autore o regista dei continui lanci di volantini antifascisti e pacifisti lungo i binari ed altrove, ma quegli sostenne, suscitando l'ilarità degli inquisitori in camicie nere, che in quella casa si recava perché amante della moglie del vero indagato: in ogni caso gli sgherri del regime riuscirono a fare espellere da Ventimiglia quel macchinista.

Racconta Sergio Marcenaro, all’epoca giovane (classe 1931) staffetta partigiana della SAP di Vallecrosia, della necessaria complicata procedura clandestina messa in piedi dal fratello Pietro Gerolamo (Gireu), importante protagonista del distaccamento Gruppo Sbarchi Vallecrosia e, logicamente, alla macchia con i garibaldini, prima per contattarlo di persona in una baracca al di là del torrente di fronte al cimitero della località in questione, successivamente, una volta debitamente ragguagliato sui pericoli che avrebbe corso e, quindi, "ingaggiato", per potersi spostare in zona da un contatto all'altro per recare messaggi ogni volta a lui recapitati da persona diversa e da lui distribuiti pedalando con passione su di una vecchia bicicletta nella cui canna celava, come tanti protagonisti (un nome per tutti, Gino Bartali, "Giusto tra le Nazioni") di simili missioni della Resistenza, i dispacci che gli erano stati affidati.

Un altro anziano (era sui 16 anni il 25 aprile 1945), anch'egli già staffetta partigiana, ma a Sanremo, solo di recente si è concesso a rievocare con alcuni interlocutori momenti dell'epoca della Resistenza: in precedenza in pratica non lo aveva mai fatto, neppure nel suo recente libro di memorie relative ad intense vicende politiche e sindacali, dipanate nell'arco di oltre settant'anni. In queste occasioni non si è certo fatto guidare dal "politicamente corretto". Richiesto di parlare di un brigatista nero della città dei fiori, fucilato all'indomani della Liberazione, lo definisce un losco figuro già prima della guerra, un boss della zona di Sanremo dove la famiglia aveva il negozio di legna e di carbone da ardere, con familiari altri fascisti molto impegnati. Fu suo compagno di malefatte - ruberie di vario tipo - un emiliano, un "gobbo", che gestiva una pensione davanti alla Chiesa Russa e che si salvò fingendosi in extremis antifascista. Quel "figuro" aveva come complice anche una donna sorda (sembra a questo punto di entrare in una "Corte dei Miracoli") e manovrava a suo piacimento, sempre durante il periodo della Repubblica di Salò, altri colleghi miliziani. In ogni caso dalle richiamate conversazioni non sono emersi addebiti circa rastrellamenti e uccisioni di patrioti, il che è quanto sperava e spera tuttora un nipote del citato personaggio, anche se sarà sempre più difficile con il passare del tempo fare piena luce sui comportamenti del nonno materno.

Un documento - oggi desecretato - della CIA con data 6 dicembre 1951 è incentrato in sostanza sui rapporti tra i comunisti italiani e quelli francesi a cavallo della frontiera tra ponente ligure e Costa Azzurra. Tra gli altri aspetti in due pagine sottolinea attività di espatrio clandestino - ma non aggiunge di antifascisti spagnoli perseguitati dal regime franchista -, mette in rilievo il ruolo avuto in merito da Libero Alborno di Ventimiglia, indica altri collaboratori di quest'ultimo, delinea una presunta organizzazione paramilitare in provincia di Imperia di cui sarebbe stato a capo Nino Siccardi (Curto), già comandante della I^ Zona Operativa Liguria delle forze partigiane: se non che lo stesso rapporto appunta per i due anni precedenti continui imbarchi di Siccardi come macchinista su navi mercantili lasciando da ultimo un gustoso quadretto che suona più o meno come segue: "Siccardi porta con sé numerose copie della rivista comunista 'Vie Nuove" che distribuisce ai nativi nei porti africani".

Adriano Maini

sabato 2 novembre 2024

Marché aux fleurs

Nizza: Marché aux fleurs, Boulevard Jean Jaurès. Fonte: Rachel Koin

Un fotografo di Ventimiglia fu in quell'occasione molto fortunato. Dopo ore e ore di appostamento su di un albero al di fuori del muro di cinta di quella villa di Saint-Tropez, la famosa attrice, impietosita, lo ricevette e gli concesse un reportage che fece scalpore.

La nota che qui subito segue non può prescindere dalla fotografia che correda questo post, fotografia alla cui didascalia si rimanda per gli appropriati accrediti. La sosta a Nizza in prossimità di un mercato di fiori all'aperto - ma quella che si cercava era una fontanella - in quel lontano 1970 del pullman che, partito da Sanremo per raccogliere partecipanti anche nella zona più di confine, portava a Grasse l'allegra comitiva, fece rivivere ad alcuni la scena in cui Cary Grant nel film "Caccia al ladro" finisce tra ceste del variopinto prodotto e viene colpito alla testa da un innocuo mazzo, agitato da un'alterata anziana venditrice: rivisitazioni di immagini del film e confabulazioni di decenni dopo fanno proprio propendere per tale ambientazione (sempre che Alfred Hitchcock non fosse ricorso, con il semplice ausilio di qualche fondale, al classico studio hollywoodiano), anche perché la citazione fatta dell'episodio nel romanzo "54" dei Wu Ming non aiuta molto in proposito.

Un altro fotografo, in questo caso di Bordighera, bazzicava spesso in veste professionale il noto ritrovo "Le Pirate" di Cap Martin, indirizzo mitico degli anni '60 e '70, ma al momento non è ancora dato sapere dove reperire qualche suo relativo scatto.

Franco Giordano, ex partigiano, nel suo "Le historiae del Contahistoriae" ha dedicato un discreto spazio non solo alle sue attività imprenditoriali in Costa Azzurra, ma anche a episodi di vita brillante e mondana, che di tutta evidenza non aveva condotto solo nella sua natia Sanremo.

Da pochi mesi è stato pubblicato il nuovo libro di Arturo Viale, "I Sette Mari". Nell'ennesima fatica letteraria di questo autore del ponente ligure non potevano mancare pagine che spaziassero anche nel Nizzardo, per cui chi lo leggerà potrà, ad esempio, approfondire le sue conoscenze sulla leggenda di Santa Devota, patrona del principato di Monaco, sul capitano Bavastro, corsaro di Napoleone, sull'emigrazione di una famiglia siciliana di cui almeno una componente fece tappa anche nella città natale di Garibaldi, sulla nave che portò Grace Kelly in sposa al "suo principe".

Adriano Maini

lunedì 21 ottobre 2024

Francesco Lanteri e Giobatta Lanza, di Triora, fucilati in una imprecisata rappresaglia nazifascista


Forse rimarrà ancora a lungo tale il mistero del luogo più preciso dove vennero massacrati dai nazifascisti, ma grazie alla tenace insistenza di un appassionato ricercatore della Val Roia francese, Christian Marchisio, vengono nuovamente oltre frontiera in qualche modo commemorati a distanza di quasi ottant'anni dalla loro tragica sorte due abitanti di Triora, uno dei quali, per i criteri dell'epoca, decisamente anziano, entrambi trucidati per rappresaglia.
Nella banca dati dell'Istituto Ligure per la Storia della Resistenza e dell′Età Contemporanea "R. Ricci" Francesco Lanteri (nome di battaglia Stella) e Giobatta Lanza (nome di battaglia Marco) vengono ricordati come fucilati il 30 giugno 1944 a Cima Marta.

Foto: Christian Marchisio

Christian Marchisio ha opportunamente sottolineato che a Lanteri e a Lanza è dedicato un piccolo memoriale in un ovile (o ex ovile) della Baisse d’Anan nel comune di Saorge, luogo che, ad esempio, il CAI di Savona oggi include nel cosiddetto anello del Balcone di Marta, quindi, non poi molto lontano da Cima Marta, in ogni caso in alta montagna.


Quanto riportato nei libri sulla Resistenza Imperiese e nella lapide (valorizzata dal meritevole sito Pietre della memoria e che indica Lanteri e Lanza, invece, quali caduti civili) in Piazza Bronda a Triora non fa luce sui motivi scatenanti la rappresaglia che costò loro la vita.



L'impegno di Christian Marchisio consente oggi la pubblicazione di alcuni documenti - a lui pervenuti dall'Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia - concernenti Francesco Lanteri e Giobatta Lanza, documenti dai quali balza evidente agli occhi un'altra anomalia, perché queste carte riportano come data della loro morte quella del 30 settembre 1944, di tutta evidenza quella vera.


Di Lanteri Marchisio si è così procurato anche una fotografia.



Christian Marchisio si chiedeva se gli sarebbe stato possibile contribuire alle celebrazioni nella sua zona dell'80° della Liberazione (così fu per il sud-est della Francia) procurando dettagli sulle figure di Lanteri e di Lanza.


Si può affermare che in buona misura ci sia riuscito.

Resta il fatto che, al netto di ulteriori informazioni su di loro probabilmente non più reperibili, Francesco Lanteri e Giobatta Lanza sono due tra i tanti martiri della Resistenza al nazifascismo della zona marittima di frontiera tra Italia e Francia, segnatamente della Val Roia.

Adriano Maini

lunedì 14 ottobre 2024

Profumi

Camporosso (IM): la provinciale di Val Nervia poco oltre la vecchia distilleria


Imperia: il campo di atletica al Prino

Negli anni Sessanta, in qualche caso anche oltre, poteva capitare di imbattersi in singolari circostanze. Odori dolciastri di distilleria accoglievano di tanto in tanto al campo di atletica del Prino ad Imperia - all'epoca una struttura dell'Esercito - i partecipanti ai campionati provinciali studenteschi e gli atleti di Maurina e di Foce, società rispettivamente del capoluogo provinciale e di Sanremo, sia in occasione di allenamenti che di gare. Fragranze di tal genere davano il benvenuto a chi in Corso Genova di Ventimiglia lasciava o entrava in regione Nervia, a chi transitava lungo la provinciale di Val Nervia in località - anche questa! - Nervia di Camporosso, a chi passava in zona Bigarella, angolo Via Romana, di Bordighera. Alla distilleria storica della Frazione Latte di Ventimiglia, posta all'imbocco della strada per Villatella, sono state dedicate diverse pagine scritte di rievocazione. 

Le rivisitazioni di lungo periodo comportano, tuttavia, un discorso che porterebbe molto lontano, addirittura alla fabbrica di profumi di Vallecrosia, aperta oltre un secolo fa, ma già chiusa in epoca lontana, o all'opificio Andracco di Bordighera. O all'analisi seria, di carattere socio-economico, di distillerie tuttora esistenti, come quella di Vallebona.

Con queste righe, invece, si è tentato di cogliere aspetti curiosi, specie della zona intemelia. Già così facendo verrebbero in mente ulteriori e variopinte divagazioni: come non pensare, infatti, in questa direzione ad almeno un estroso personaggio uso ad esporre al MOAC di Sanremo essenze ed altri derivati della lavanda e a presentare i suoi prodotti con fare da imbonitore d'antan?

A inseguire la memoria di appaganti effluvii si corre il rischio, consapevole, di spaziare assai.

A saperli cogliere, ancora oggi ci si può lasciare inebriare dai profumi intensi delle jacarande quando queste iniziano a sfiorire: di particolare forza quanto capita in proposito in Via Romana a Bordighera sopra il Giardino Monet. Questa esperienza, invece, viene ormai da lungi impedita, come hanno sottolineato anche personaggi illustri, per i pitosfori, pur molto numerosi nella zona intemelia: un fenomeno negativo che non tutti i commentatori hanno colto, forse perché tipico della Liguria.

Gli aromi di caffè appena tostato erano sino a poco tempo fa una costante in tutto il Paese. Il ponente ligure conferma tuttora in larga misura la tradizione, ad esempio in Piazza Dante ad Imperia ed in Via Fiume a Sanremo. Ma é uno scomparso esercizio di Via Prè a Genova che ha ricevuto di recente gli onori del ricordo indiretto da parte di una brillante penna - forse ignara del fatto che allo stato attuale non troverebbe più riscontro per la sua memoria - di una ex studentessa universitaria degli anni Sessanta sul blog di Chiara Salvini: "Con tutto ciò, devo dire che quello che amo ancora di Genova è il profumo del caffè che si respirava nei suoi vicoli: quando uscivo dall’ambiente polveroso dell’Università di via Balbi andavo a Principe attraversando via Prè e lì c’era la Genova che mi piaceva: mi piace De André perché ha amato e cantato quella città, per tanti versi inospitale". Non sarà del tutto fuori tema sottolineare, a questo punto, che furono clienti assidui della torrefazione di Via Prè tanti ferrovieri del personale viaggiante che prendevano servizio alla stazione di Ventimiglia.

Adriano Maini